Nord e Sud - anno XV - n. 102 - giugno 1968

I Rivista mensile diretta da Francesco Compag.na Francesco Compagna, Le impervie strade del- /' azione politica - Manlio Rossi Doria, Un piano di sviluppo per l'Irpi11ia - Gustavo Zagrebelsky, Il Governatore negli Stati Uniti"° - Alberto Mondadori, L'editoria italiana e una cultura - Felice Ippolito, La letteratura scientifica in Italia e scrzttzdi Adriana Bich, Vittorio Cantù, Maria Donzelli, Stanislav Kirschbaum, Ugo Leone, Achille Parisi, Mario Pendinelli, Vittore Vezzoli. ANNO XV - NUOVA SERIE - GIUGNO 1968 - N. 102 (163) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Bibliotecaginobianco

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' NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XV - GIUGNO 1968 - N. 102 (163) DIREZIONE E REDAZIONE: Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità : EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346-393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 700 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, seme- . strale L. 2.100 - Estero annuale L. 5~000,semestrale L. 2.700 - Fascicolo arretrato L. 800 - Annata arretrata L. 8.000 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli Bibiiotecaginobianco

SOMMARIO Francesco Compagna Manlio Rossi Daria Mario Pendinelli Adriana Bich ·Ugo Leone Stanislav Kirschbaum Gustavo Zagrebel_sky Alberto Mondadori Felice Ippolito Editoriale [ 3] Le impervie strade dell'azione politica [6] Un piano di sviluppo per l'Irpinia [19] Note della Redazione I giovani alle urne - Comizi a Cicciano - I « centri imprenditoriali » dell'Alfa [ 40] Giornale a più voci I giovani leoni dell'agricoltura [ 47] Cultura e non-cultura [51] . Le prospettive dell'industria aeronautica [54-] Frontiere Il Comecon e il blocco sovietico [57] ' Il Governatore negli Stati Uniti [75] Documenti L'editoria italiana e una cultura [91] La letteratura scientifica in Italia [101] Lettere al Direttore Achille Parisi Miti e paradossi della programmazione [110] Vittore Vezzoli I consumi in Italia [118] Vittorio Cantù L'ENI a Manfredo·nia [119] Filosofia Maria Donzelli L'ideologia di Bertrando Spaventa [120] Bibiiotecaginobianco

... Editoriale In Francia, nelle itltime settimane di maggio, le agitazioni studeritesche e gli scioperi delle forze di lavoro hanno paralizzato il paese, hanno messo in discitssione le fondamenta stesse della V Repubblica, hanno raggiunto un'intensità tale da far pensare che in giugno la crisi del regime gollista si sarebbe consu1nata e che in luglio si sarebbe posto il problema di fondare la V I Repubblica. Si è parlato perfino di un'iniminente successione di Mendès France a Pompidou e di Mitterrand a De Gaulle. Ma la « grande paura» delle società occidentali, la paitra del « fronte popolare», ha fatto rinnovare l'appel au soldat e si è corso addirittura il pericolo di vedere Parigi trasformata in un bivacco per i paras del generale Massu. Risulta chiaro, comunqite, che i nietodi. della cosiddetta « nitova sinistra », le agitazioni di tipo cinese, le guerriglie dichiarate dagli stitdenti, il braccio di ferro degli scioperi ad oltranza, possono dare per un momento l'illusione della vittoria alle forze della sinistra, ma in realtà (come ben sanno, del resto, i più responsabili dirigenti del comunismo occidentale) preparano e alimentano itn rafforzan1ento della destra, una coagulazione a destra della preoccitpazione di tutti coloro (e sono i più) che hanno qualcosa da perdere, una precipitazione di consensi a favore della reazione. Per quanto riguarda in particolare la Francia, dopo lo scioglimento dell'Assemblea nazionale e dopo la formazione del nuovo governo, nella peggiore delle ipotesi avremo la definitiva degenerazione del regime gollista in dittatura nazionalista e militare, nella migliore delle ipotesi avremo le elezioni ed un gollismo rafforzato da una grande maggioranza di elettori spaventati da ciò che si è fatto e da ciò che si è detto negli ultimi giorni di maggio. È significativo, d'altra parte, che l'Unione Sovietica abbia lasciato chiara1nente intendere di guardare con preoccupazione all'eventualità di un rovesciamento del gollismo che fosse determinato dall'azione rivoluzionaria delle giovani generazioni universitarie ed operaie, da un'azione non controllata in tutti i sensi dai comunisti. L'attacco della « Pravda ).) alle teorie marcusiane e ai guerriglieri marcusiani, con esplicito e sprez1 zante riferimento a Cohn Bendit, a parte il fatto di essere un attacco 3 Bibliotecaginobianco

Editoriale ben centrato, aveva il preciso significato di richiamare i comitnisti francesi all'esigenza di non spingere le cose troppo a fondo, di non lasciarsi rimorchiare da elementi irresponsabili, di non_ dimenticare che un De Gaulle nazionalista, antieuropeista ed antiatlantico, rimane l'interlocittore più interessante che l'Unione Sovietica si possa augurare, mentre la diffusione di focolai cinesi in Europa rimane una preoccupazione che l'Unione Sovietica preferirebbe non affrontare. In una situazione che risulta, quindi, caratterizzata, per itn verso, dalla paura dell'opinione moderata, che nelle società occidentali rappresenta la maggioranza, di fronte all'eventuale formazione di fro·nti popolari, e che risulta, per un altro verso, turbata dalle preoccupazioni suscitate, anche negli ambienti comunisti, dalle tendenze cinesizzanti dei movi1nenti studenteschi e dalle inquietudini anarco-sindacaliste delle nuove leve operaie; in una situazione siffatta, la sinistra che protesta può guadagnare voti alle elezioni, ma non conquistare il potere con la guerriglia promessa dai Dutschke e dai Cohn Bendit. E, d'altra parte, quando guadagna voti alle elezioni, com'è avvenuto in Italia il 19 maggio, la sinistra che protesta paga i voti guadagnati con il rifiusso di correnti dell'opinione pubblica moderata, nella migliore ipotesi, a favore di una Democrazia cristiana (nella peggiore delle ipotesi, con1'è avvenuto nel Baden-Wurttemberg, a favore dei neo-nazisti). 1Von c'è prospettiva p·olitica in Occidente per la sinistra che protesta. Ci sarebbe, invece, una prospettiva politica per la sinistra che è disposta a governare ed a sfidare, quindi, la concorrenza elettorale della sinistra che protesta. Certo, Wilson, Brandt e Nenni stanno pagando un alto prezzo per la loro buona disposizione a gbver11are, per il coraggio con il qitale hanno affrontato la concorrenza della sinistra che protesta. Ma forse si tratta di un prezzo che non si pitò non pagare a breve termine e che si può recuperare a lungo termine. Comunque, non lo si può recuperare con inversioni di linea politica; e neanche con accorgimenti tattici d'i bilanciamento fra governo ed opposizione, con escursioni periodiche al governo e ripiegamenti sull'opposizione o su ambigui astensionismi. Ripiegamenti sull'opposizione, o su posizioni astensio-nistiche di at- - tesa, si sono fatte valere, all'indomani delle ~lezioni italiane, fra i socialisti, giustamente amareggiati da un giudizio degli elettori che ha favorito la sinistra di protesta nei confronti della sinistra di governo. Ma le vicende francesi successive al nostro 19 maggio non dovrebbero forse invitare ad un ripensamento coloro che, fra i · socialisti italiani, hanno parlato e vanno parlando della necessità di dare respiro -al PSU con u11 periodo di più o meno lungo « disimpegno » dalle respo11sabilità di go4 Bibiiotecaginobianco

I Editoriale verno? Si crede veramente che il « disimpegno» possa dare al PSU iu-za nuova carica politica? Naturalmente, non si tratta di scegliere comunqiLe la strada del ritorno al governo, ma di negoziare per il ritorno al governo e di decidere, sulla base dell'andamento di questi negoziati, se sussistono le condizioni politiche per arrivare alla stagione dei congressi non sull'onda dei sentimenti e dei risentimenti di frustrazione provocata dai risultati elettorali, ma con l'attivo di quelle riforme che un governo di centro-sinistra qualificato da un programma preciso, realizzabile i11 pochi 1nesi, potrebbe consentire. È ta linea tempestivamente e saggiamente proposta da Giolitti e riproposta da La Malfa: la linea del « socialisnzo possibile » che si congiunge a quella dei « contenuti » di un impegno di rinnovamento ideologico e programmatico della sinistra democratica. È la DC che dovrebbe essere c)1-iamata a decidere se le indicazioni suggerite dalla convergenza tra la linea di Giolitti e quella di La Malfa sono tali da costituire un'alternativa al suo tradizionale ed istintivo m1 oderatismo, mal mascherato dalle inquietudini conciliari e dalle suggestioni « dialoghiste » della sua sinistra, sempre corriva agli scavalcamenti dei laici. Ma la DC può essere 1nessa davanti alle sue responsabilità solo se i socialisti portario avanti il discorso sul « socialismo possibile », non se i socialisti si perdono nei meandri di un tatticismo che nessuna opinione pubblica sarebbe in grado di interpretare politicamente, o, peggio ancora, come pretenderebbe l'on. Lombardi, se i socialisti dovessero pretendere di fare concorrenza alla sinistra che protesta o che cerca di sfruttare la protesta. • 5 Bibiiotecaginobianco

CRONACHE ELETTORALI ,:. Le impervie strade dell'azione politica di Francesco Compagna Siamo all'ultima settimana della campagna elettorale. Per noi questa campagna elettorale si è aperta il 17 marzo con il discorso-programma del Maschio Angioino: il discorso-programma sull'azione meridio11alista del PRI. La nostra campagna elettorale a Napoli ha poi avuto il suo secondo e più qualificante momento al « Fiorentini » il 21 aprile: quando ha parlato Ugo La Malfa. E oggi tocca a me di cl1iudere a Napoli questa campagna elettorale del PRI; o, ·n1eglio, tocca a me di aprire a Napoli qt1esta settimana di chiusura della nostra campagna elettorale. Ringrazio anzitutto coloro che sono intervenuti il 17 marzo al Maschio Angioino, il 21 aprile al Teatro « Fiorentini », oggi all' « Alcio11e ». Ringrazio coloro che hanno inviato o portato da altre città d'Italia la - loro adesione. E un particolare ringraziamento consentitemi di rivolgerlo a Nicolò Carandini che, invitato da me, ha accettato di venire a presiedere questa manifestazione. Perché ho chiesto a Nicolò Carandini di venire oggi a Napoli? Perché Nicolò Carandini rappresenta quel moderno liberalis1no di cui è stato fino a ieri la più alta espressione il giornale che mi ha visto nascere e crescere, come uomo di cultura e come uomo di parte politica, come giornalista e come meridionalista: « Il Mondo » di Mario Pannunzio. Perché Nicolò çarandini è stato presidente e protagonista di quei convegni degli « Amici del Mondo » nell'ambito dei quali si è esplicata un'azione politica a lungo termine cl1e si è configurata come una delle premesse della battaglia politica di oggi. Perché, se il meridionalismo di « Nord e Sud » è stato tenuto a battesimo da Ugo La Malfa - lo ha ricordato lui stesso, al « Fiorentini » - l'europeismo di « Nord e Sud » è stato tenuto a battesimo da Nicolò Carandini. Un altro ringraziamento a Giuseppe Ciranna, anche lui venuto ap- ·k Pubblichiamo il testo dei discorsi che Francesco Compagna e Manlio Rossi Doria hanno pronunciato a chiusura delle loro rispettive campagne elettorali: il primo come capolista del PRI nella circoscrizione di Napoli-Caserta, il secondo come candidato al Senato del PSU nel C'ollegio di S. Angelo dei Lombardi. 6 Bibiiotecaginobianco

.. Le ùnpervie strade dell'azione politica positamente da Roma: ora membro della direzione nazionale del PRI, ma, prima di trasferirsi a Roma, redattore capo di « Nord e Sud ». Ciranna e Galasso• hanno rappresentato qualcosa nelle vicende del PRI a Napoli e con Mario Del Vecchio si riunivano nella redazione di « Nord e Sud » quando erano, gli anni bui per i repubblicani napoletani: si riunivano nella redazione di « Nord e Sud » con Vittorio de Caprariis e con me: loro repubblicani con la tessera e noi repubblicani senza tessera. E questa è forse l'occasione migliore di ringraziare pubblicamente Ciranna e Galasso per tutto quanto hanno fatto e fanno per quella che non io soltanto, ma essi come me, e perfino più di me, possono ben chiamare: la nostra rivista. Nella quale sono cresciuti molti giovani che sono stati intorno a noi durante queste settimane, partecipando alla nostra battaglia con un entusiasmo, una dedizio,ne, una disposizione ad assolvere i compiti anche più umili; testimoniando in questo modo di una fiducia da loro riposta nelle nostre capacità di guida politica, di una fiducia che non sappiamo fino a che punto meritiamo, ma che comunque resta per noi motivo di legittimo orgoglio. Bene: dopo aver assolto a questo non convenzionale dovere di esprimere i sentimenti del candidato verso coloro che lo hanno accompagnato durante il viaggio elettorale, vorrei adesso riferirvi delle considerazioni politiche che mi sono state suggerite da questo viaggio elettorale, giunto quasi al suo termine. Abbiamo soste11uto in Italia un civile confronto elettorale. Potremmo p~rfino arrischiare questa affermazione: che la democrazia si è di molto consolidata nel nostro paese, rispetto ai tempi durante i quali le campagne elettorali assu1nevano aspetti e toni drammatici. Arrischiamo questa affermazione con molta cautela, perché la verifica della sua validità dipende da molte variabili: dagli elettori italiani e dai partiti italiani, da un lato, dalle circostanze internazionali, dal- . l'altro lato. Ma è comunque un'affermazione che si regge su un serio fondamento se co-nsideriamo la differenza di clima tra la campagna elettorale del 1963 e questa del 1968. Voi tutti ricordate quale fu, cinque anni or sono, il motivo dominante della campagna elettorale. ·Fu l'attacco da destra al centro-sinistra. Il centro-sinistra, diceva l'on. Malagodi (e gli facevano eco tutti i giornali legati direttamente agli ambienti industriali), è un salto nel buio: perché la crisi economica è minacciosa, e responsabile della crisi economica è appunto il centro-sinistra. C~ sono poi, si diceva, le pretese dei socialisti: pretese eccessive, smodate, irresponsabili. E ci so-no i cedi- / menti dei democristiani a queste pretese: cedimenti gravissimi. Quelle 7 Bi· liotecag•inobianco

.. Francesco Compagna pretese e questi cedimenti - si concludeva da destra - stanno portando l'Italia al disfacimento. · A questa sfrenata campagna di allarmismo i democristiani reagivano con timidezza, preoccupati di perdere voti a· destra: ed i socialisti reagivano con incertezza, preoccupati di perdere voti a sinistra: do-ve i comunisti erano pronti a rovesciare il discorso che andava facendo la destra, e a denunciare, quindi, le pretese non dei socialisti, ma dei de- / mocristiani, e i cedimenti 110n della DC, ma dei socialisti. Così i liberali hanno guadagnato parecchi voti a spese della DC e i comunisti hanno guadagnato qualche voto a spese dei socialisti. .Si gridò allora che il centro-sinistra era uscito sconfessato e sconfitto dalle elezioni: che il solo proposito, che era stato enunciato, della programmazione economica, aveva provocato la crisi economica, com.e crisi di fiducia, anzitutto; e che l'altro proposito enunciato dai partiti della maggioranza, l'isolamento del PCI, aveva dato luogo ad un aumento dei voti comunisti. Ma intanto, come risultato finale delle elezioni del 1963, si era avuto un Parlamento, nell'ambito del quale era possibile formare una sola maggioranza: una maggioranza di centro-sinistra. Ed è in questo senso che il centro-sinistra aveva vinto le elezioni del 1963, sia pure pagando in voti un certo prezzo a destra ed un certo prezzo_ a sinistra: il prezzo elettorale che sempre si paga per certe coraggiose e lungimiranti scelte politiche e soprattutto quando tali scelte preannunciano o sembrano preannunciare una svolta di indirizzo politico. ·. I liberali avevano vinto una battaglia elettorale, ma avevano perduto u11a battaglia politica nella misura in cui si erano isolati e imprigionati nello schema malagodiano di una demagogia della catastrofe. I còmunisti avevano guadag11ato un po' di voti, ma avevano perso ancora peso politico, percl1é il centro-sinistra li condannava non solo all'isolamento (che era stato l'incubo di Togliatti), ma anche all'immobilismo (che diventava l'incubo di Amendola e di Ingrao). Sapete bene come sono andate le cose dopo il 1963: abbiamo avuto qualche mese di go-verno mo-11ocolore ed infine l'on. Moro è diventato Presidente del_Consiglio e i socialisti assu-mevano dirette respo11sabilità di governo: tutti i socialisti, salvo una fragia massimalista. Si realizzava così il disegno politico che Giolitti e De Gasperi, Turati e Saragat, non avevano potuto realizzare prima di allora. Di co•nseguenza, la crisi economica è stata superata e una relativa stabilità politica ·è stata garantita. Si tratta di risultati senza dubbio apprezzabili. Guardiamoci intorno. In Spagna c'è ancora Franco. In Francia non sarà- vera e propria 8 Bibiiotecaginobianco

Le impervie strade dell'azione politica dittatura quella di De Gaulle, ma si tratta comunqt1e di potere personale, di auto,ritarismo, di declassamento istituzionale e funzionale del Parlamento. In Grecia il potere è stato conquistato dai colonnelli fascisti. Sulle altre sponde del Mediterraneo imperversano altri colo11nelli, generali, marescialli; sia pure colonnelli, generali, marescialli che si considerano di sinistra, e che addirittura si autodefiniscono socialisti. In Inghilterra non è soltanto la crisi economico-finanziaria che desta le maggiori preoccupazioni, ma ancl1e il declino della potenza di una nazione che oggi si suole denu11ciare come colpevole di 110n so quanti e non so quali misfatti colonialistici, e cl1e noi continuiamo a consiqerare come « la grande madre dell'idea liberale », come la 11azione che, guidata dai grandi ministri whigs, era il modello di Cavour e la seconda patria di Mazzini e che, guidata da Cl1urchill, ha fatto risorgere lo spirito dell'Europa dalla notte nibelungica che sull'Europa si era stesa, quando la mia generazione viveva i suoi verdi anni. In Germania, nella Germania delle nostre speranze europeistiche, nella Germania che è sempre stata la malattia dell'Europa, ma che ci augt1ravamo vedere avviata a guarigione con l'Europa, in Germ.ania un infantile estremismo di sinistra tor11a a spave11tare una tradizionalmente pavida borghesia ed una classe operaia finalme11te soddisfatta del benessere economico, onde torna a far sentire la sua voce, la sua voce raggelante, un estremismo di destra che evoca nelle opinioni pubbliche europee fantasmi terrificanti di ricordi odiosi che nell'interesse della Germania stessa, e dell'Europa, si speravano dissolti per sempre: relegati sì nel fondo della memoria, ma cancellati dalle preoccupazioni del presente per il futuro. La democrazia, quindi, l1a ceduto il passo alle dittature nei paesi mediterranei; risulta compromessa là dove sembra che non sussistano più remore all'esercizio del potere personale, all'affer1nazione di tendenze autoritarie; è insidiata là dove crisi economiche suscitano ogni giorno maggiori malcontenti, là dove si manifestano e si aggravano tensioni provocate da movimenti estremistici, extraparlamentari e antiparlamentari. Queste sono le ombre che si proiettano sulla scena europea ed esse si confondono, si giustappongo,rto e si sommano con quelle che si proiettano sulla più vasta scena del mo,ndo. È vero: c'è in Asia una guerra che ha suscitato molte emozioni ·in Europa e in tutto l'Occidente. Ma· dalla sempre più rischiosa escalatiorl -si sta forse per passare ad una de-escalation che potrebbe preludere alla pace. E comunque a Pa~igi si sono aperti i negoziati che da tanto , attendevamo. 9 Bi· liotecaginobianco

Francesco Compagna Sennonché, sul piano delle crisi internazionali, noi abbiamo sempre ritenuto, e continuia1no a ritenere, che i pericoli maggiori per la pace mo11diale, o quanto meno per l'equilibrio di potenza che è una delle co11dizioni della pace mondiale, i pericoli maggiori no·n devono essere ravvisati oggi nella situazione dell'America latina o dell'Africa nera e nemmeno nella situazione del Sud-est asiatico. Fra quelle che, nella sua Strategia della pace, John Kennedy chian1ava le « zone grigie » del mondo, ve n'è una che dobbiamo considerare più preoccupante delle altre: la situazione del Medio Oriente è più che mai carica di tensio,ni. È passato quasi un an110 dalla guerra dei sei giorni, ma non si vedono vie di uscita a breve scadenza: non si intravedono possibilità di soluzione dei problemi di confine, di convivenza, di pacifico progresso econo1nico e civile delle popolazioni che sono insediate fra la Valle del Nilo e la Mesopotamia. È probabile che i paesi arabi, malgrado· le armi ricevute dall'Unione Sovietica, e purtroppo non soltanto dall'Unione Sovietica, non siano in grado, almeno nel pro-ssimo futuro, di aprire una nuova fase della· guerra armata. Ma questa fase della non g.uerra non sembra preludere alla pace, perché non si è ancora delineata nei paesi arabi un'alternativa politica al razzismo arabo e perché coloro che governano i paesi arabi, più che darsi pena della povertà delle popolazioni, eccitano •il razzismo arabo: lo eccita110 anche per eludere i problemi dell'analfabetismo e della fame, i problemi che, assai più della esistenza di Israele, condizionano l'avvenire del mondo arabo. La nostra Europa è minacciata dalla crisi del Medio Oriente. Ivla l'Europa è divisa. E pro-prio in rapporto alla crisi del Medio, Oriente si può 1nisurare quanto costi all'Euro,pa la sua divisione: 11el senso che la sua influenza politica risulta ormai ridotta ai minimi termini. Ancl1e questi accenni sommari alle ombre che si proietta110 sulla scena del mondo riconducono, quindi, il nostro discorso· alle o·mbre che si proiettano sulla scena dell'Europa. Consideriamo, d'attra parte, i rapporti fra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica: la distensione ha provocato un certo· dissolvimento dei blocchi, dei blocchi che si erano formati e irrigiditi co·me blocchi co·ntrapposti negli anni 'SO. E c'è cl1i ritiene che questo sia un fatto molto positivo. Ma fino a che punto il dissolvimento dei blocchi non dà luogo a ritorni di fiamma del 11:azionalismo? Ma fino a che punto l'allentamento dei rapporti di solidarietà atlantica nell'Europa dell'ovest e la stessa desatellizzazione dei paesi dell'Europa orientale po,sso,no degenerare in senso nazionalistico, e provocare quindi un'ulteriore balcanizzazione dell'Europa, una 10 Bibiiotecaginobianco

I Le impervie strade dell'azione politica frammentazione del nostro continente in un mosaico di nazionalisn1i chiusi e rissosi? I gollisti francesi e tedescl1i no11 avvertono questa preoccupazione, ma noi democratici europeisti l'avvertiamo. Siamo tormentati dalla sua portata politica. E mentre auspichiamo anche noi un superamento della divisione del mondo in due blocchi contrapposti, e naturalmente un'intensificazione dei rapporti fra le due Europe, vorren1mo creare in pari tempo le condizioni di un rilancio della politica europeista; cli un rilancio- delle iniziative onde dall'Europa del MEC si possa avanzare verso l'obiettivo non dell'« Europa delle patrie », che sarebbe fatalmente un'Europa balcanizzata, ma di un'Europa che sia la « patria delle patrie »: con istituzioni politiche comuni, a carattere sovranazionale, federale e non confederale, e aperta alla nazione nella quale tutti ~oi, come già Cavour e Mazzini, rico-nosciamo il modello di civiltà cui ci siamo sempre ispirati e addirittura la nostra seconda patria. Badate, se l'Europa del MEC, l'Europa economica, fosse ancora costretta a segnare il passo, e non potesse più avanzare dal piano della integrazione economica a quello, dell'integrazione politica, la crisi delle istituzioni comunitarie create da Scl1uman11 e da Monnet, da Adenauer e da Hallstein, da De Gasperi e da Sforza, questa crisi che già è grave, e di anno in anno si aggrava, dive11terebbe irrimediabile: la balcanizzazione politica provocherebbe la balcanizzazione economica. Si illudono, cioè, coloro i quali affermano che il processo di integrazione economica è un processo irreversibile. No11 è vero: il processo si è già arrestato e rischiamo - se stiamo fermi, se De Gaulle ci costringe a stare fermi - di perdere tutto quello che abbiamo realizzato fino ad oggi sul piano dell'i11tegrazione economica. Dalla consapevolezza che noi abbiamo di questo pericolo, oltre che dalle tradizioni ideali che abbiamo in comune con gli i11glesi, deriva la nostra insistenza sulla necessità di aprire la porta all'Inghilterra; sulla necessità di una politica estera dell'Italia solidale con quella dei paesi del Benelux nel contrastare l'interpretazione gollista della politica europeista. Così come dalla nostra preoccupazione per la pace deriva la nostra insiste11za sulla necessità di aderire subito al trattato di non proliferazione fra Stati Uniti e Unione Sovietica. La pace: magari, anche le encicliche dei papi, le marce dei giovani, i manifesti degli intellettuali servono la causa della pace. Ma noi siamo uomini politici e do,bbiamo servire la causa della pace con gli strumenti dell'azione politica. Della nostra posizione sul trattato di non proliferazione ha già par11 Bi•bnotecag·inobianco

Francesco Compagna · · lato La Malfa al « Fiorentini ». E quanto al Vietn·am ed al Medio Oriente, è evidente, mi sembra, che il 11ostro paese non ha possibilità di influire diretta1nente su queste situazioni. Le azioni di tipo _lapiriano• si sono dimostrate per quello che erano: velleitarie e: confusionarie. La sola prospettiva che a noi si offre di influire direttamente sulla situazione mondiale è oggi quella di contribuire per la nostra parte alla disten.- sione fra Stati Uniti e U11io11eSovietica: e la distensio,ne passa per il trattato di non proliferazione. Per il resto, dicia1nolo francamente, fi110 a quando non avremo t1nificato l'Europa, l'influenza diretta dell'Italia sulle grandi scelte della politica mondiale non può essere che molto debole. Credo che questa nostra osservazione risulti sufficientemente provata quando si pensi all'indebolimento progressivo· dell'influenza esercitata dall'Inghilterra e agli effetti più 11egativi che positivi del tipo di influenza che cerca di esercitare la Francia. Ma questo nostro· paese, la cui influenza sulle scelte della politica mondiale è debole, comincia a poter vantare un suo prestigio che gli consente di sedere onorevol111ente e anche autorevolmente nei consessi internazionali e di esercitare un'influe11za indiretta anche sulle vicende internazionali. Il prestigio dell'Italia: ma questo p~estigio deriva anche e soprattutto dalla co11seguita stabilità democratica, cui accennavo- agli iniz~. Riportiamo, dunque, il 11ostro sguardo sulla scena italiana; e don1andiamoci quali sono i motivi di preoccupazione che dobbiamq responsabilmente tenere presenti per qt1anto riguarda la relativa stabilità democratica acquisita dal nostro paese nel peri~do che corre fra l'indomani delle elezioni del 1963 e la vigilia delle elezioni del 1968. Quando io accennavo poco fa alla democrazia che ha ceduto il passo alle dittature ed all'autoritarismo i11 paesi che non sono geo·graficamente lontani dal nostro, qualcuno avrà forse pensato- che, se altrove ci sono i colonnelli come Papadopulos, in Italia ci suno, i generali come De Lorenzo. Ma Papadopulos ha conquistato il potere nel 1967, mentre in Italia la tensione politica che provocava oscure manovre all'ombra di talun.i palazzi romani si è scaricata già alla fine del 1964, quando le scale del più importante dei palazzi romani so110 state salite da Giuseppe Saragat. Voglio dire, insomma, che all'indomani della campagna elettorale di cinque anni or sono l'orizzonte politico non si era affatto rasserenato e nell'estate del '64 era diventato molto nuvoloso. Agitando il pericolo della crisi economica, come av_eva agitato il pericolo del salto nel buio durante la can1pagna elettorale del '63, la Bibliotecaginobianco

.. I Le impervie strade dell'azione politica destra ha cercato in tutti i modi di mettere in crisi e di rovesciare il centro-sinistra. Ma non c'è riuscita, 11ea11che con l'aiuto del SIFAR. Ricordate poi che cosa si diceva durante la lunga battaglia parlamentare che si dojveva concludere con l'elezione di Saragat alla Presidenza della Repubblica? Qualunquisticamente si diceva che la Repubblica italiana era ormai in agonia, e vicina ad u11a fine ingloriosa come quella della IV Repubblica francese. Qualunqt1isticamente si diceva del Parlamento, dei partiti, e de11e correnti dei partiti, tutto il male possibile. Qualunquisticamente si diceva che era venuto il momento ~i farla finita con l'impotenza dei partiti e qualunquisticamente si auspicava l'avvento di t1n De Gaulle italiano. Ma alla fine di qt1ella lunga battaglia parlamentare non fu eletto un Coty: fu eletto Giuseppe Saragat. Fu quind,i t1na grande battaglia politica quella che ha portato Saragat al Quirinale; e tutti ricordano con quanta tenacia e con quanta coerenza i repubblicani si sono battuti allora per l'elezione di Saragat. Si d·isse addirittura che il grande elettore di Saragat era stato La Malfa, perché la battaglia per l'elezione di Saragat era stata impostata e condotta strategicamente da La Malfa. Comunque sia, con la successione di Saragat a Segni, la destra dovette abbandonare il suo disegno di rovesciare il centro-sinistra. Così abbiamo avuto alcuni anni di stabilità democratica, di quella stabilità democratica che è un bene perduto da altri paesi e che costituisce la maggiore posta attiva quando consideriamo il bilancio della IV legislatura. · Ma c'è stato ancl1e un prezzo che abbiamo pagato per la consolidata stabilità democratica. Ed il prezzo è stato l'affievolimento dell'impegno riformatore che nobilitava il centro-sinistra. Di conseguenza, certi strati dell'opinione pubblica si sono sentiti rassicurati e altri strati dell'opinione pubblica si sono sentiti delusi. Noi repubblicani, d'altra parte, ci siamo allora resi conto, che il discorso sull'impegno riformatore del centro-sinistra non si poteva e non si doveva semplicisticamente esaurire in una verbosa denuncia del nuovo disegno politico della destra; la quale, no•n potendo, rovesciare il centro-sinistra, cercava di svuotare il centro-sinistra, di svuotarlo dei suoi contenuti riformatori. Abbiamo aperto, allora W1 discorso nuovo sull'impegno riformatore del centro-sinistra. E voi conoscete ormai i termini di questo discors·o che abbiamo portato avanti dal 1965 ad oggi. Sul piano economicosociale, •abbiamo detto, non basta proporre tante riforme, ma occorre precisare quanto costa ogni rifo,rma e secondo quale ordine di priorità si possono realizzare le riforme. Sul piano istituzionale, abbiamo detto, 13 Bibiiotecag i nobianco •

Francesco Compagna ci sono riforme che si possono fare subito, e senza spese, per migliorare il grado di efficienza delle is,tituzio,ni repubb1icane. Sul piano ideologico, ai fini della qualificazione delle riforme, ab_biamo detto che molti schemi sono invecchiati e che, per i problemi di una società i11 fase di profonda trasformazione come la nostra, non si possono cercare le soluzioni nell'ambito degli schemi ideologici dell'800, e meno che mai si possono cercarle nell'ambito delle esperienze di paesi lontani, che sono paesi caratterizzati da connotati molto diversi d-ai nostri e, direi, da tensioni politiche e sociali assai più primitive, e comunque meno co11dizionate da comp-lessi fattori storici, di quelle con le quali ci dobbia1no confrontare in Italia e sia pure nella parte socialmente 1neno progredita dell'Italia mo-derna. Abbiamo detto, insomma, che la sinistra sta i11vecchiando e deve ri11giovanire, sul piano ideo1ogico e sul piano, programmatico. E abbiamo anche indicato per una serie di pro·blemi - con una serie di ragionate propo-site - in cl1e n1odo l'impegno riformatore del centrosinistra può riacquistare slancio e mordente. Non mi soffermerò sulle nostre ragionate proposte di riforme eco-- nomiche ed istituzionali. Se ne è parlato, ed io stesso ne ho parlato, durante la campagna elettorale. Ma voglio rilevare che durante la can1pagna elettorale si sono sentiti gli amièi socialisti affermare che occorre trovare « 11isposte nuove ai problemi del nostro tempo » e si so110 sentiti gli amici democristiani affermare che si devono· raccogliere le « sfide » la11ciate dalla società italiana in via di trasf ormazio,ne. Que-: sto vuol dire che non è ,tanto e non è soltanto, questio.ne di accelerato-re socialista e di freno democristiano,: è anche una questio·ne di sterzo. Non è tanto e non è solta11to questio·ne di maggiore velocità: è ancl1e e soprattutto questione di giusta direzione. Non è tan1to e no·n è soltanto questione di mo,lte riforme giustapp·oste nei programmi di governo: è anche questione di riforme coordinate, nell'a·mbito di una visione globale dei problemi di una società che, come la nostra, è in fase di accelerata, e per certi aspetti contraddittoria, evoluzione, trasformazione, se volete rivoluzione. Noi ci siamo proposti fin dal 1965 di assolvere ad una funzione di avanguardia nel processo di ringiovanimento ideologico e programmatico delle forze politiche italiane, delle correnti storiche della democrazia italiana, in primo luo,go di quelle che so·no a noi più affini. E perciq prendiamo atto con soddisfazio·ne del discorso democristiano su}le « sfide » che le forze politiche devono raccogliere e del discorso socialista sulle « risposte nuove » da trovare. Ne prendi~mo ~tto co·n soddisfazio,ne perché ne deduciamo di essere riusciti ad assolvere fi14 Bibliotecaginobianco

.. I Le impervie strade dell'azione politica nora alla funzione di avanguardia cui ci eravamo proposti di assolvere. Il successo delle avanguardie, infatti, si realizza nel mo1 mento in cui le posizioni delle avanguardie sono raggiunte dal grosso degli eserciti e noi abbiamo la fondata impressione che stia·mo per essere raggiunti, almeno per quanto riguarda i,l rico11oscimento da parte democristiana e socialista della nostra proposizione pregiudiziale: quella relativa all'esigenza di coordinare l'impegno riformatore del centro-sinistra, di spezzare taluni schemi ideologici che si sono irrigiditi perché sono invecchiati, di aggiornare i programmi di partito e di governo sulla base dei dati nuovi che sono venuti a maturazione nella società del nostro· tempo. Abbiamo dunque co-nseguito una relativa stabilità politica, che dohbiamo conservare e co•nsolidare. E abbiamo l'avvio, e sia pure soltanto l'avvio, di un processo di ringiovanjmento che sul piano ideologico e programmatico coinvolge, quale più e quale ,meno, naturalmente, tutte le correnti storiche della democrazia italiana. Può sembrare che questa diagnosi sia viziata: viziata da un eccesso di ottimismo. Può darsi: ma i11tanto, come accennavo, noi circondiamo questa diagnosi delle dovute cautele. E d'altra parte noi siamo 1 critici, e non da oggi soltanto (lo dicevo anche nel 1962 al Teatro di Corte in un dibatti 1 to con Indro Montanelli), verso gli atteggiamenti sistematicamente pessimisti degli intellettuali di sinistra che in Italia cedono troppo volentieri alle suggestioni di un sinistrismo che è di maniera, che a volte è studiatamente estetizzante, che comunque non è co·ncretamente e positiva·mente operante, perché è refrattario a quell'ottimismo riformista che alimenta nei paesi anglosassoni lo spirito con il quale si portano avanti le gra11di imprese delle democrazie. E poi c'è un'altra fondamentale considerazione da fare. Deduciamola da quanto 1 ha detto l'on. Ingrao nella prima trasmissione di « T'ribuna elettorale ». L'o·n. Ingrao ha detto che i pro-blemi lasciati insoluti dal centro-sinistra sono tanto numerosi che, soltanto a volerli elencare, sarebbe trasco,rso tutto il tempo che lui, l'on. Ingrao, aveva disponibile per la sua prestazione a « Tribuna elettorale ». L'on. lngrao ha ragione: i problemi che dobbiamo ancora risolvere sono moltissimi; e sono problemi vecchi, ereditati dalla storia del nostro paese, e problemi nuovi, maturati nel corso di questi anni di trasformazione della società italiana. La questione meridionale nei suoi nuovi termini di industrializzazione e di urbanizzazione, per esempio, della quale abbiamo· parlato al Maschio Angioino ed al « Fiorentini »; altri gravi squilibri sociali e settoriali; l'agricoltura da ammodernare; la scuola da potenziare e da 15 Bi liotecaginobianco

Francesco Compagna trasformare; la Pubblica .A.mministrazione che vogliamo più efficiente; il sistema previdenziale che deve essere semplificato; il sottogoverno, le cui degenerazioni clientelari e partitocratich_e dev9no essere contrastate e corrette. Anche noi, a voler elencare i problemi insoluti del nostro. paese, avre1nmo finito col dissipare il tempo a nostra disposizione per questo ultimo meeting elettorale. Ma proprio il fatto che questi nostri problemi sono tanti ( questo vo,rre1n·mo far osservare all'on. Ingrao), proprio questa considerazione sui tanti problemi non risolti, e che dobbiamo risolvere, è una co11siderazione che nel suo risvolto ci offre un 1notivo di co,nforto. Perché la situazione di un paese può dirsi grave, veramente grave, quando il problema da risolvere è uno solo, non quando i problemi sono tanti; la situazione di un paese è grave quando c'è un problema che, al co11fro1nto, riduce tutti gli altri problemi a. dimensioni trascurabili: la gt1erra, per esempio, o la fame, o peggio anco·ra, la servitù, la servitù di Praga e di Varsavia, la servitù di Madrid e Ji Atene. Non sotto,valutiamo dunque la gravità dei no,stri problemi insoluti; ma non sottovalutiamo- neanche il fatto che possiamo affrontarli i11 una co,ndizione di libertà, di una libertà che ci sembra oggi meno insidiata di quanto no,n lo fosse ai tempi di Segni e di Ta,mbro 1 ni, quando il SIF AR accumulava e classificava le sue schede. · Ma la libertà, quando, non si espande, regredisce. Si è detto·, a proposito delle degenerazio·ni del SIFAR, che esse erano giustificate da esigenze di sicurezza. Ma quelle degenerazioni insidiavano la libertà politica. Ebbene: noi non siamo disposti a pagare la sicurezza con la libertà. L'insicurezza non ci preoccupa se sono, garantite le condizioni dell'espansione della libertà. I 1pochi o i molti fra noi che siederanno in Parlamento sanno bene che dovranno battersi, più ancora che per la difesa della libertà, per l'espansione della libertà; si batteranno quindi per l'espansio,ne della libertà e cercheranno di risolvere i problemi di cui dicevamo, i problemi attuali e concreti della società italiana in trasformazione, co,n il metodo della libertà e nel senso dell'espansione della libertà: dell'espansione della libertà, come dicevamo appassionatamente i nostri amati maestri, e non della diffusione del potere, come freddamente dicono i moderni sociologi. Fra i giovani si è fatto strada intanto il proposito- di votare scheda bian~a per protesta. Noi sia·mo stati giovani in tempi durante i quali la libertà era in condizio·ne di ecclesia pressa. E molti giovani di altri _paesi vivono oggi in condizione di servitù politica. Forse molti di essi sarebbero volentieri disposti a cambiare questa loro condizione con 16 Bibliotecaginobianco --

I Le impervie strade dell'azione politica quella dei giovani italiani. Fra i quali, me lo auguro, le schede bianche saranno meno numero,se di quanto non si creda. Ma io vorrei rilevare, a co,nclusione di questo discorso, che oggi in Italia si cede troppo, da parte di mo1ti, alla tentazione di parlare dei giovani soltanto per accattivarsi le simpatie dei giovani. Non avrei più il coraggio di guardare in faccia i miei figli ventenni se cedessi elettoralisticamente ad una tentazione del genere. Credo che questo sia il sentimento di tutto il PRI, dei suoi uomini più rappresentativi, dei suoi militanti più fedeli. Noi ci rifiutiamo di considerare i giova11i come una categoria elettorale. Naturalmente, noi siamo con i giovani studenti che si battono per il rinnovamento dell'Università, e molti di noi non hanno atteso le agitazioni universitarie per fare seriamente il nostro mestiere di docenti universitari, per instaurare fra 11oi ed altri docenti rapporti di co1laborazio•ne interdiscip,linare, per instaurare fra noi e gli studenti rapporti non viziati da atteggiamenti paternalistici, per denunciare quanti avviliscono il prestigio della cattedra nella gretta difesa dei privilegi di una casta chiusa, di un siste1na dinastico. l\1a tutto questo non significa che siamo sempre e comunque coJ1 i giovani perché giovani, e sempre e comunque contro i vecchi perché vecchi. Consentite a me repubblicano, al capolista del PRI a Napoli, di reagire a certe manifestazio.ni intemperanti della cosiddetta protesta giovanile e di gridare quanto sia ingeneroso ed anche sconsiderato l'atteggiamento dei giovani maoisti e fidelisti che si recano a rumoreggiare quando. parla Pietro Nenni. Fra giovani come questi e vecchi come Nenni, che hanno dato conto di sé nei travagli di una lunga ed onorata milizia politica, 11oi abbiamo il dovere di stare co•n i vecchi anche contro i giovani. Ma quando la polizia picchia i giovani studenti e li picchia, come sembra che sia avvenuto recentemente a Ro,ma, senza essere stata provocata dalla violenza dei dimostranti, allora noi chiediamo che la magistratura accerti i fatti, e che, se i fatti risultassero accertati in un certo modo, il governo provveda contro la violenza della polizia. Ai giovani che parlano di contestazione globale del sistema; ai giovani che hanno letto tutti i libri di Marcuse e neanche uno dei libri non dico di Benedetto Croce, ma di Antonio Gramsci; ai giovani cl1c si esaltano per una letteratura politica, che è speculativamente reclamizzata dall'industria culturale, e che è assai più catechistica di quanto non sia rivoluzionaria: a questi giovani noi diciamo però di stare attenti, perché non vogliamo, assolutamente· non vogliamo, che il movimento studentesco degeneri nel senso dell'infantilismo ribellistico e 17 Bibliotecaginobianco

.. Francesco Compagna come. tale vada incontro ad una sconfitta, invece che alla vittoria. Il movimento operaio ha fatto 1 tesoro della sua esperienza nel primo dopoguerra. Il movimento studentesco no,n commetta_ oggi gli errori che il mo·vimento operaio ha commesso ieri e cl1e sono ca-stati 11na esperienza _-didolore a tutto il po1polo italiano. La protesta può essere anche nobile nelle sue motivazioni ideali, ma la protesta è facile e l'azione po1litica è difficile. Le strade della azione politica no•n so,no sempre rettilinee e no·n so·no mai pianeggianti; sono sempre impervie e sono a vo1te tortuose. Vogliamo perco,rrere queste strade difficili, no1 n acco-ntentarci, come tanti si accontentano, delle soste oziose tra le pompe della politica. Ma chi vuole percorrere queste strade, le strade difficili dell'azione politica, dev'essere animato da una grande carica di energia morale: diciamo, pure di idealismo. Il nostro è idealismo- senza illusio 1 ni. Questa è un'espressione kennediana nella quale ci siamo rico-no1sciuti. I repubblicani: una volta si diceva, magari anche co•n intenzione di ironia, che eravamo « storici ». Ora qualcuno ha detto, con rispetto, che siamo i « kennediani d'Italia ~>. Vorremmo esserlo, e· ci auguriamo di sapere stare all'altezza di una qualifica così impegnativa. Così come ci auguriamo di saper essere all'altezza delle tradizioni storiche nelle quali pure, oggi come ieri, ci riconosciamo: le tradizioni risorgimentali. · Con questo augurio a noi stessi, che è anche e soprattutto un impegno, io vi chiedo congedo; ma vi chiedo anche un atto di fiducia: di fiducia nella nostra carica di energia morale, nel nostro idealismo senza illusioni. FRANCESCOCOMPAGNA . .. 18 Bibliotecaginobianco

I Un piano di sviluppo per l'Irpinia di Manlio Rossi Doria Nel discorso di apertura della campagna elettorale, che parecchi tra voi hanno letto, ho preso l'impegno, - e oggi lo assolvo - di presentare, carte e numeri alla mano, le mie considerazioni e proposte sui possibili obiettivi e i probabili lineamenti di un piano di sviluppo della nostra regione. Ho appena bisogno di aggiungere che quanto sto per dire vuol essere solo un primo tentativo, un canovaccio sul quale impostare la discussione sul tema. Un vero e proprio piano di sviluppo richiede, infatti, un lungo• lavoro e la collaborazione di molti. 1. Quadro in cui concepirlo. · Anzitutto vorrei ricordare che, per essere valido, un piano deve partire da una seria conoscenza e valutazione delle dimensioni e dei caratteri del generale sviluppo economico del paese, entro il quale esso andrà attuato, oltre che delle leggi e delle istituzioni, delle quali si potrà avvalere. Per qua•nto riguarda le dimensioni e i caratteri del prossimo sviluppo economico nazionale, tre sono le ipotesi su cui tutti lavoriamo : 1) un au-mento del reddito pari o superiore a quello medio del recente passato; 2) la destinazione del 20% di questo agli investimenti; 3) la localizzazione dei due terzi deg~i investimenti industriali nel Mezzogiorno. Le due prime ipotesi sono. garantite da previsioni abbastanza sicure; la conferma della terza - esplicitamente affermata nel piano di sviluppo. - dipenderà, invece, dalla energia e dalla costanza con le quafi i prossimi governi sapranno portare avanti la politica concordata e far funzionare quella che oggi si chiama la politica della contrattazio·ne programmata d-egli investimenti. . Se queste ipotesi saranno confermate, si può ragionevolmente pre19 Bi· liotecaginobianco

... Manlio Rossi Daria vedere che le dispo,nibilità finanziarie degli anni prossimi, più larghe di di quelle degli anni precedenti, consentano anche di avviare a soluzione molti dei nostri problemi. Non bisognerà, tuttavia, mai dimenticare che condizione essenziale per lo sviluppo di ciascuna delle province meridionali è che nel Mezzogiorno si crei un meccanismo economico autopropulsivo mediante la industrializzazione. La priorità e la parte più cospicua degli investimenti va, pertanto, accordata alla creazione nel Mezzogiorno di grandi e medie industrie ad alto rendimento, le quali, tuttavia, non po-ssono localizzarsi in territori come il nostro, in cui mancano le con-dizioni ambientali necessarie al loro successo. Il rischio, quindi, che anche in futuro lo sviluppo economico- possa aggravare gli squilibri e quindi il nostro distacco dalle regioni più fortunate, è un rischio reale, a eliminare il quale il piano di sviluppo economico nazionale - accanto ad una politica di industrializzazione e ad una di potenziamento delle infrastrutture e dei servizi in favore di tutti i cittadini - prevede esplicitamente una politica di sistematico e pianificato riassetto dei settori produttivi meno favoriti, carne l'agricoltura, e dei territori - come il nostro - il cui sviluppo ha particolarmente bisogno di essere assistito. In questi termini - che non sempre sono chiari alla mente dei nostri concittadini - si pone la prospettiva dello sviluppo economico nazionale nel prossimo decennio. La nostra provincia - anche se non può rinunciare ad inserirsi in qualche misura nella politica di industrializzazione - dovrà, quindi, principalmente puntare ~ulla terza delle politiche indicate e preparare i suoi piani in relazione ad essa. 2. Leggi di cui avvalersi. Quali sono le leggi, quali gli enti, cui far capo per la realizzazione di quella politica e quindi del piano di sviluppo di cui stiamo ragionando? Anche qui occorre vedere le cose con chiarezza. È mia convinzione che il riassetto dell'agricoltura e un equilibrato riassetto delle zo·ne fortunate non possano farsi con le sole leggi in vigore e che altre ne occorrano• in so-stituzione e in aggiunta. In particolare credo che questo sia vero per quanto riguarda la politica agraria. È d'altra parte certo che - se si vuole realmente dar corso all'ordinamento regionale e al riordinamento della pubblica amministrazione - occorra abrogare una 20 Bibiiotecaginobianco

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