Nord e Sud - anno XI - n. 54 - giugno 1964

f , •. Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Vittorio de Caprariis, Rilancio del!'Europa e forza multilaterale - Aldo M. Sandulli, La Corte costituzionalefattore di progresso civile - Ennio Ceccarini, L' unificazione delle sinistre democristiane - Calogero Muscarà, Le due Venezie. e scritti di Gian Luigi Capurso, Girolamo Cotroneo, Ettore De Giorgis, T. R. Fyvel, · K. A. _ Jelenski, Giuseppe Neri, Nicola Pierri, Franco Sansone, Lea Vergine, Antonio Vitiello. ~ ANNO XI - NUOVA SERIE - GIUGNO 1964 - N. 54 (115) ,, EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Biblioteca Gino Bianco

.. ... NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XI - GIUGNO 1964 - N. 54 (115) • DIREZIONE E REDAZIONE: Napo 1 i - Via dei Mille, 47 - Telef. 393.346- 393.309 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità : EDIZIONI SCIENTIFICI-IE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - Napo 1i - Telef. 393.346- 393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 500 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via dei Mille 47, Napoli BibliotecaGino • 1anco

p SOMMARIO Vittorio De Caprariis Aldo M. Sandulli Ettore· De Giorgis Gian Luigi Capurso . Franco Sansone Lea Vergine Editoriale [ 3] Rilancio dell'Europa e forza multilaterale [7] La Corte costituzionale fattore di progresso civile [26 l Note della Redazione "Carosello" avvelenato - La SADE, l'acciaio e il Mezzogiorno - Solidarietà con l'assassinio [SO] Giornale a più voci Il centro-sinistra e i partiti [55] Cronache amnzinistrative: Bologna [ 63] Le nuove ciminiere e i vecchi elefanti [69] L·'obitorio pittoresco [71] Inchieste Ennio Ceccarini L'unificazione delle sinistre democristiane [74] Paesi e città Calogero Muscarà Le due Venezie [91] Nicola Pierri . Giuseppe Neri ·Girolamo Cotroneo Antonio Vitiello T. R. Fyvel K. A. J elenski Biblioteca Gino Bianco Recensioni La crisi dell'unificazione e la questione meridionale [ 98] Il filo dell'ombelico [102] Il mito della storia oggettiva [ 104] L'istruzione corporativa [108] Documenti I giovani intellettuali in Inghilterra [112] I giovani intellettuali in Polonia [ 120]

.. Editoriale Per la seconda volta nel giro di pochi anni l'on. Saragat ha riproposto ai settori politici interessati e all'opinione pubblica la questione dell'unificazione dei socialisti italiani in un solo partito. Tutti certamente ricordano la viva impressione che a suo tempo destò l'incontro di Pralognan. Era quello un momento importante della nostra vita pubblica e l'interesse popolare per le cose politiche appariva particolarmente sveglio. La crisi post-staliniana del comunismo internazionale, anche se non suscettibile di co11seguenze radicali, appariva tuttavia destinata a diventare (come in effetti è accaduto) cronica e irrisolubile. La lunga marcia di avvicinamento del PSI a quel ripensamento che lo ha poi portato ad assumere le responsabilità di governo appariva a sua volta suscettibile di procedere con ritmo più rapido di quanto poi si sia verificato. Rompendo, con la sua iniziativa, le difficoltà nelle quali la crisi del centrismo aveva posto la socialdemocrazia, l'on. Saragat dava inizio ad una reviviscenza dell'azione del suo partito - autentica cerniera, insieme con il PRI, della democrazia italiana nelle sue articolazioni di sinistra - che praticamente non si è più arrestata fino ad oggi. L'esito concreto dell'iniziativa saragattiana fu, naturalmente, quello che poteva essere e molti giudicarono, con frettolosa superficialità, che si trattasse di una mossa intempestiva senza pratico significato. In realtà, anche a prescindere dall'efficacia stimolatrice che essa ebbe nei riguardi del suo partito, la mossa dell'on. Saragat servì a dare al PSI uno dei primi e più interessanti esempi di quelli che potevano essere i suoi dialoghi con le altre forze democratiche italiane; servì a dare la dimostrazione concreta che c'era, oltre quella della « unità d'azione» col PCI ed oltre quella sui pericoli della deprecata « socialdemocratizzazione », tutta itn'altra tematica del socialismo italiano, ancora inesplorata; servì a mantener vive nell'opinione pubblica e nella classe politica l'esigenza e l'aspettativa della « terza forza», prospettandola in termini nuovi e interessanti; servì anch'essa, in una certa misura, a superare l'impasse derivante dall'esaurimento non solo della formula, ma anche della tematica centrista. Radicalmente diverso appare, invece, questo secondo rilancio, da parte dell'on. Saragat, del problema dell'unità socialista, per quanto, proprio come il primo, esso sia sopraggiunto del ti,1,ttoinatteso. Se un 3 BibliotecaGino Bianco

Editoriale momento poteva esserci in citi il problema spontaneamente si riproponesse, questo fu senza dubbio il momento della scissione del PSIUP dal PSI. Perduta la sua ala più scopertamen~e massimalista, il PSI veniva, infatti, a trovarsi, in ipotesi, nella condizione migliore per operare una saldatitra col PSDI, che avrebbe consentito ad esso non solo di sanare un'antica ferita, ma, per di più, di cicatrizzare la nuova nel.lo stesso momento in cui si produceva. Il peso politico del partito verso la controparte democristiana sarebbe immediatamente aumentato di molto, anche per effetto dell'aver tolto alla DC itno dei suoi più intelligenti alleati. Né un fatto come la riunificazione socialista avrebbe mancato di dare qualche frutto sulla stessa sinistra del partito. Tutto questo in ipotesi. In pratica il PSI era fortemente condizionato da dile elementi, l'uno interno e l'altro esterno, aventi un valore pressocché proibitivo. All'esterno agiva la pressione alla quale il partito era sottoposto dalla polemica ormai incalzante dei comunisti e degli scissionisti. Ogni incontro tra PSI e PSDI sarebbe stato interpretato e presentato all'opinione pubblica come una cattura del primo da parte del secondo su posizioni di chiara involuzione. Questo è, naturalmente, uno scotto che, in qualsiasi tempo, la riunificazione socialista, se si farà, dovrà inevitabilmente pagare. Ma in un momento (come l'attuale) in cui le difficoltà economiche del paese acutizzavano le lotte sociali e conferivano ai problemi sindacali una urgenza che essi sembravano avere in qualche modo perduto negli anni immediatamente precedenti, in un momento del genere il peso della_ polemica a sinistra sul tema dell'unificazione col PSDI sarebbe ben presto diventato per il PSI assolutamente int9llerabile. Ancor più forti era.no poi le remore interne. L'ala dichiaratamente massimalista (ma si dovrebbe discutere sull'esatto valore di questa qualificazione nella fattispecie) era uscita dal PSI. Rimaneva, però, e sia pure indebolito per la perdita della posizione centrale fino ad allora occupata, il forte gruppo lombardiano, che nutre verso la socialdemocrazia (e non solo verso quella italiana) un sentimento di superiorità morale, politica e intellettuale che non sappiamo quanto sia obiettivamente giustificato; rimaneva un gruppo di sinistra, esiguo, ma costretto alla massima intransigenza verso destra proprio da_lla sua decisione di non abbandonare il partito; rimanevano gli amministratori locali e i sindacalisti, condizionati dalla loro perdurante collaborazione con i comunisti negli organismi di rispettiva compet€?:nza; rimanevano i numerosi gruppi dalla più varia fisionomia ideologica e politica, legati a schemi tradizionali e per i quali il ritorno dei « traditori» del 1947 è sempre tabù. Rimaneva, cioè, abbastanza nel PSI, anche dopo l'ultima scissione, di quella natura composita che ne ha 4 BibliotecaGino Bianco

.. Editoriale reso così difficile, in questi anni, il recupero democratico e che sul tema dell'unità socialista sarà sempre particolarmente reattiva. Ad ogni modo (e non ha importanza se per queste o per altre ragioni) il momento scelto dall'on. Saragat non è stato quello della scissione del PSIUP dal PSI; è stato, invece, l'indomani delle elezioni regionali in Friuli-Venezia Giitlia, in cui, per la pri1na volta dopo molto tempo, le forze del PSDI hanno fatto registrare un arretramento, peraltro lievissimo. Il fatto sembra, però, aver assunto, per l'on. Saragat, un valore di monito, anche perché si è accompagnato ad un analogo arretramento delle forze degli altri due partiti socialisti; ed egli vi ha scorto una ulteriore riprova di quella tendenza alla contrapposizione frontale tra DC e PCI, alla quale da anni cerchiamo di sfuggire e che certamente sarebbe un'autentica sventura della nostra vita pubblica. L'on. Saragat ha perciò fatto notare cl1e i partiti socialisti raccolgono pur sempre, nel nostro paese, oltre sei milioni di voti; ha giustamente deprecato che una forza tanto considerevole possa fallire, nei compiti ad essa aperti, per difetto di coordinazione; ha acutamente sottolineato il quasi-monopolio della informazione e della formazione dell'opinione pubblica di cui, con i mezzi e per i motivi più vari, si avvalgono DC e PCI; ha ripetuto la necessità di un grande fatto nuovo che sblocchi la stessa possibilità di una bipolarizzazione della lotta politica italiana tra i due maggiori partiti, e lo ha ravvisato nella unificazione delle forze socialiste . . L'on. Saragat non ha, dunque, messo l'accerito, questa volta, sui grandi problemi ideologici e sulle scelte di fondo che la crisi del comuf!ismo riapriva per il socialismo italiano, come aveva fatto all'epoca di Pralognan, ma si è tenuto fermo esclt,lsivamente alle esigenze di ristrutturazione dello schieramento politico italiano, in vista soprattutto della necessità ricorrente di evitare il dualismo senza alternative tra DC e PCI. Forse anche per questo le reazioni alla sua iniziativa sono state in linea di massima più caute o (a seconda dei casi) meno preclusive dell'altra volta, sia nel suo partito che nel PSI. C'è, però, un altro aspetto delle considerazioni fatte valere dall'on. Saragat. che merita di essere sottolineato: « Certo » - egli ha scritto - « noi dobbiamo considerare i nostri impegni verso il governo con quella lealtà che, anche se non corrisposta, è stata sempre la costante della nostra politica; ma è giunto il momento di considerare che, nella necessaria scala delle priorità, il pro,blema dell'unità delle forze socialiste passa al numero uno, e in base alla sua soluzione debbono essere valutati gli altri. Dico subito che tra il problema dell'unità socialista e quello del consolidamento del governo c'è un legame strettissimo; ciò non . 5 BibliotecaGino Bianco

Editoriale toglie però che l'accento della nostra azione e dei nostri impegni debba essere fin d'ora risolutamente posto sul problema la cui soluzione condiziona tutti gli altri: la creazione in Italia; nell'ambito dell'Internazionale socialista, di un grande partito che raccolga tutti i lavoratori che credono nel socialismo e nella libertà ». Se l'on. Saragat non fosse l'on. Saragat, e se egli non fosse stato tra gli antesignani e i più convinti fautori del cerz~ro-sinistra, queste parole potrebbero anche voler dire che egli cerca, attraverso la scappatoia dell'unità socialista, di sfuggire alle difficoltà e ai costi di cui la realizzazione della politica di centro-sinistra si rivela sempre più gravata. Sarebbe in ogni caso una mossa arrischiatissima, perché un fallimento del centro-sinistra dopo pochi mesi di vita, comunque giustificato, non sarebbe riparabile presso l'opinione pubblica, a breve scadenza, neppure dall'unificazio1 ne socialista, che naturalmente anche noi, come tutti i democratici, auspichiamo; e per questa, e per molte altre ragioni, l'on.. Saragat non può averla pensata e, per di più, passata così di contrabbando. Ma proprio perciò è necessario che ogni nube sia d.issolta e che ad incupire l'orizzonte di tA.ngoverno e di una maggioranza, già a volte troppo incerti e guardinghi, non ci si mettano anche e proprio coloro sui· quali maggiormente si può contare per la loro riuscita. Nella posizione in cui si trova, per il suo passato e per la sua autorevolezza, l'on. Saragat è nella condizione di potere, meglio di ogni altro, assicurare la classe politica e l'opinione pubblica sulla stabilità di alcune condizioni essenziali dell'attuale formula _di governo e di maggioranza; e noi siamo sicuri che egli lo farà, come lo ha fatto, ogni volta che ' . sara necessario. 6 BibliotecaGino Bianco

.. Rilancio e forza dell'Europa multilaterale di Vittorio de Caprariis Ci sembra sia giunto il momento non diremo di trarre delle conclusioni dall'ampia discussione sui temi della politica estera che si è svolta dall'ottobre scorso nelle pagine di « Nord e Sud»; ma almeno di fare il punto sui risultati della discussione stessa, per stabilire se tra gli interlocutori non vi fosse, al di là dei dissensi, qualche sostanziale punto d'accordo, e vedere, altresì, se l'analisi politica non possa essere ulteriormente approfondita proprio muovendo da questi eventuali punti d'accordo. E poiché la discussione cui abbiamo dato inizio nello scorso ottobre si svolgeva in un momento assai delicato dell'evoluzione politica del nostro paese, e doveva perciò tenere conto di tale evoluzione e del nuovo accordo che si stava delineando tra le forze politiche italiane per dare vita ad uno stabile e duraturo governo di centro-sinistra, era naturale che molti dei contributi alla discussione stessa (da quello di Paolo Vittorelli, scritto prima. ancora che l'on. Moro formasse il suo Ministero, all'altro di Altiero Spinelli, pensato e dettato quando già tale Ministero era in carica) ponessero il problema non solo nei termini di analisi della congiuntura internazionale, ma anche negli altri di una riflessione sulla politica che in siffatta nuova congiuntura internazionale ed interna avrebbe dovuto fare il nostro paese. Diremo subito pregiudizialmente che almeno una cosa va sottolineata con molta soddisfazione, che, cioè, anche il dibattito tenutosi su questa rivista ha dimostrato ciò che era divenuto chiaro già per numerosi altri segni: il notevole livello di maturità raggiunto dai socialisti nel discutere i problemi di politica estera. Al di là delle critiche particolari che si possono muovere all'articolo di Paolo Vittorelli (e che Ronchey ha brillantemente ragionate e Spinelli ha accennate ellitticamente), resta il fatto che Vittorelli, come la gran maggioranza dei suoi compagni di partito, ha impostato il tema della continuità dello Stato, e dunque della continuità del suo sistema di politica estera e di alleanze, con molto rigore e con altrettanta schiettezza. I socialisti hanno messo . da parte quel neutralismo aprioristico e letterale, che nei più era un modo forse prevalentemente sentimentale di restare fedeli alla tradizione pacifista del partito e che in alcuni era anche, è bene non dimen7 Biblioteca Gino Bianco

Vittorio de Caprariis ticarlo, polemica a senso unico, del tipo· di quella che ancora vengo,no facendo i comunisti; hanno messo da parte, ripetiamo, quel tipo di neutralismo che non conteneva neppure gli agganci per una discussione serena e concreta, ed hanno• assu11to quelle posizioni responsabili che sono, e non possono non essere, proprie di un partito che l1a vocazione di governo del paese. Non v'è chi non veda, ad esempio, cl1e l'argomei;itazione che la denuncia da parte italiana del Patto Atlantico 1 renderebbe più precario l'equilibrio mondiale (un'argomentazione che, se non andiamo errati, Nenni per primo• formulò e che Vittorelli ha ripreso ed illustrato e ragionato) non è un pretesto• capzioso per giustificare un mutamento di posizione, ma il frutto di un'attenta meditazione della congiuntura. V'è, dunque, nei più dei socialisti, questa nuova attitudine ad una valutazione realistica dei dati di fondo della situazione internazionale: il cl1e vuol dire che disaccordi attuali, come quello sul tema dell'armamento atomico multilaterale, potranno essere agevolmente superati quando quell'attitudine restasse, come dovrebbe restare, dominante,e non fosse, invece, piegata ad esigenze tatticl1e. La più matura valutazione del significato dell'atlantismo, il recupero dell'europeismo, da parte dei socialisti sono e saranno se1npre fatti significativi ed importanti quanto più si approfondirà quella propensione realistica a cui si è appena accennato: perché solo siffatto approfondimento potrà trasformare quelle che potrebbero tuttora apparire concessio,ni temporanee a temporanei alleati in dati generatori di una permanente revisione politica. Il che non vuol dire, come pretende in perfetta malafede la destra neofascista e liberale, che ai socialisti non si possa accordare ancora piena fiducia in materia di politica estera; ma vuol dire, più semplicemente, che i soci,alisti stessi devono portare ancora più avanti il processo di revisione delle proprie posizioni passate, non nel senso di u11 ripudio delle tradizioni ideologiche del loro partito, ma nell'altro di una sempre più consapevole presa di coscienza delle concrete realtà e di un sempre più vitale ricambio tra quelle tradizioni e questa presa di coscienza. Sarà solo un tale ricambio che potrà eliminare certe residue astrattezze, quale, ad esempio, quella che rilevava Ronchey in tema di disarmo : e questo del disarmo è un esempio classico di come una giusta esigenza generale possa diventare cattiva ed anzi pessima consigliera quando le posizioni di principio non siano attentamente commisurate alle realtà del mondo• contemporaneo. Per quel che riguarda la sostanza dei problemi discussi negli articoli che la nostra rivista è venuta pubblicando negli ultimi mesi, ci sembra che si possa dire che su un punto almeno tutti gli autori s'accordano più o meno esplicitamente: il mutamento del periodo politico, così per 8 BibliotecaGino Bianco

.. Rilancio dell'Europa e forza multilaterale quello che riguarda i rapporti tra il blocco occidentale e quello comunista, come per quanto riguarda la politica europeistica. La prospettiva della distensione si è venuta fissando; e le tradizionali forze centrifughe nel seno dell'Alleanza Atlantica si sono risvegliate ancora una volta, rese più temibili dal fatto che adesso al timone dello stato francese v'è un uomo della tenacia del generale De Gaulle, per il quale il programma di restaurazione della grandeur della Francia è sempre stato l'alfa e l'omega di ogni possibile politica estera del suo paese. E, per la verità, questi due fatti, la tendenza alla stabilizzazione del processo distensivo e lo scatenamento delle forze centrifughe nell'Occidente, sono legati tra loro assai più di quanto di solito non si sospetti. Fu Walter Lippmann, se non andiamo errati, a scrivere che la differenza tra Kennedy e De Gaulle era questa : che il primo si preoccupava ancora di vincere la guerra fredda, laddove il generale era convinto che l'Occidente una tal guerra l'avesse già vinta. Vera o no che sia questa valutazione di Lippmann, è un fatto che l'attuale politica estera francese è possibile solo perché si è avuto quel processo di approfondimento della distensione a cui si è appena accennato, e perché il generale-presidente ed i suoi intimi consiglieri danno di siffatto processo un'interpretazione, per così dire, liberato,ria da certe forme di solidarietà occidentalistica. Dieci anni or sono lo stesso De Gaulle, per grande ed immaginifico che egli si consideri, non avrebbe potuto fare la politica di cui oggi sta tentando di tessere la trama, che si tratti del miraggio dell'indipendenza nucleare o del tentativo di assumere il leadership di un'« Europa degli Stati » o dell'altro tentativo di giocare la carta del « terzo uomo », tra il russo e l'americano, nel Terzo Mondo, al fine di riconquistare alla Francia posi- - zioni di prestigio politico e morale che essa ha perduto. E qui occorre sottolineare un fatto che è solo in apparenza paradossale e contraddittorio: che, cioè, nella politica gollista possono coesistere insieme l'ispirazione nazionalistica ed autarchica, portata all'estremo dell'indipendenza atomica, ed una certa tentazione neutralistica. Ma la contraddizione, come s'è accennato, è solo apparente: dalla fine della seco11da guerra mondiale, o, per dir meglio, da quando tra il 1947 ed il 1948 è apparso chiaro non solo il nuovo equilibrio di potenza nel mondo, ma anche quali erano i poli reali di quest'equilibrio, da allora, per le nazioni per così dire in between, la posizione nazionalistica ha sempre sfiorato quando non si è addirittura identificata con quella neutralistica, e viceversa: ciò è stato vero per la socialdemocrazia tedesca dei tempi di Schumacher, per il partito liberale tedesco fino ad ieri (e forse è vero tuttora), per alcuni raggruppamenti della destra e della sinistra francese ed italiana degli anni 'SO. In un mondo che, come giustamente ha sot• 9 Biblioteca Gino Bianco

Vittorio de Caprarii~ tolineato Spinelli, va verso l'interdipendenza, è soltanto logico e naturale che le forze politiche, le quali riluttano all'organizzazione di questa interdipendenza, siano indotte a tentare alternativamente o contemporaneamente la carta del nazionalismo e quella del neutralismo. Inso,mma, non certo tutta la politica estera gollista, ma sicuramente una parte di essa è figlia di una certa interpretazione della congiuntura di distensione: talché non meraviglia affatto, dati anche i precedenti eh~ si sono appena ricordati, che forze politiche francesi come quelle raggruppate nel PSU abbiano esplicitamente riconosciuto che l'atteggiamento del generalepresidente sui problemi internazionali li soddisfa largamente, e che, per questo verso, esse non vedono perché dovrebbero preferire Defferre a De Gaulle! Così la sinistra neutralista francese sembra prepararsi alla grande alleanza con la destra gollista, come già fece nel 1953 sul tema dell'esercito integrato europeo! La congiuntura di distensione, dunque, non è priva di qualche spina, com'è proprio, del resto, di tutte le cose umane. E tuttavia noi crediamo che si possa dire che non è tanto la distensione in sé che provoca turbamenti del tipo della tentazione nazio.nal-neutralistica o altri ancora peggiori, quanto una certa interpretazione, che verrebbe voglia di definire letterale e pasticciona o avveniristica, che della distensione stessa si dà un po' dovunque, e naturalmente anche in Italia. Non S8:rà inutile pertanto fermarsi per un momento a considerare quale significato abbia la prospettiva di distensione tra i due blocchi e quali conseguenze si possano trarre da una corretta valutazione .del momento politico internazionale. V'è un'interpretazio,ne del processo distensivo che è propria di coloro i quali vedono in tale processo il miraggio che essi hanno covato per anni, il famoso incontro a mezza strada tra la civiltà « comunistica » e quella « capitalistica », l'integrazione di queste due civiltà (magari a scapito proprio, dei valori di libertà!) e finalmente l'abbraccio onnicomprensivo, nel nome del quale verrebbe meno ogni riserva di democrazia nei confro~ti dell'Unio·ne So-vietica e dei partiti comunisti per ogni do,ve, e si potrebbero tentare con questi ultimi le più svariate ed avariate alleanze. Ed è appena necessario aggiungere che tale interpretazione riceve oggi qualche colore di verità dal grave conflitto russocines~, nel quale, com'è noto, i russi fanno figura di sostenito,ri convinti della pace ad ogni costo ed i cinesi quella di guerrafondai e di sovvertitori dell'ordine internazionale: in questo gioco di apparenze alcuni settori della sinistra non comunista ritengono che il loro compito sia quello di intervenire nella polemica per sostenere la causa di Mosca (che è poi anche la causa del più potente!) o addirittura identificarsi con essa. Ora, poiché questo aspetto della questione è assai delicato 10 · BibliotecaGino Bianco

Rilancio dell'Europa e forza multilaterale anche per le conseguenze che può avere sullo schieramento delle forze politiche nel nostro paese, è bene essere chiari all'estremo. L'Occidente deve continuare a fare il suo mestiere, ossia a perseguire la sua propria politica di distensione, che ha in sé la sua giustificazione e la sua ragion d'essere, e deve. evitare la tentazione di fare ruotare tutte le sue impostazioni di politica internazionale intorno al conflitto russo-cinese. Coloro che chiedono oggi revisioni sostanziali e mirabolanti accostamenti tra Washington e Mosca, naturalmente a spese dell'Occidente, ci ricordano le analoghe richieste di Deutscher all'indomani della morte di Stalin, che cioè fosse indispensabile orientare la politica occidentale in modo da appoggiare a fondo Malenkov ed impedire che Krusciov conquistasse la somma del potere e ... restaurasse lo stalinismo. Oltre tutto ci sembra esattissima l'osservazione di Aldo Garosci, nel « Mondo » del 14 aprile, che, cioè, di per se stessa, la lotta russo-cinese non è tale da indirizzare la Russia verso un regime di maggiore libertà. Tutto ciò non vuol dire affatto, ovviamente, che si sottovaluti l'importanza ed il significato del grave contrasto che si sta producendo nel comunismo internazionale e neppure che non si debba tenere conto di tale contrasto nell'elaborazione della politica occidentale; ma vuol dire più semplicemente che la lotta tra Mosca e Pechino non altera sostanzialmente la gara politica attualmente in corso tra i due blocchi e non potrebbe alterarla. Per effetti aggiuntivi che quella lotta possa produrre sul processo di distensione, nessuno dei due interlocutori interpreta tale processo come una resa a discrezione all'altro; e per quel che riguarda l'Unione Sovietica in particolare è evidente che la scissione ed il massimalismo cinesi condizionano in una direzione ben determinata la sua - politica. Quanto finalmente ai riflessi del contrasto russo-cinese sul Partito Comunista Italiano, vorremmo sottolineare che l'atteggiamento ambiguo tenuto fino ad ieri dal PCI, ossia l'atteggiamento di proclamata fedeltà a Mosca ed insieme di riluttanza a sanzionare una frattura totale nel movimento comunista internazionale ed a fare proprie, secondo che suona un recente comunicato degli stessi comunisti, condanne fulminate dall'alto; questo atteggiamento ambiguo è certamente dovuto ad un calcolo assai preciso delle convenienze dello stesso PCI (timore che la spaccatura russo-cinese non possa riflettersi anche nel partito italiano, galvanizzando il massimalismo che i dirigenti comunisti sono riusciti ·finora a tenere imbrigliato; e preoccupazione anche per le conseguenze di una frattura nel movimento comunista internazionale tale da contribuire ad infrangere il mito intrattenuto nelle masse e dunque avviare un processo di ridimensionamento delle fortune del PCI); ma sarebbe 11 Biblioteca Gino Bianco

Vittorio de Caprariis ingiusto trascurare che quell'atteggiamento che si è detto è sug.gerito anche dalla riluttanza ad allineare totalmente il Partito Comunista Italiano sulle posizioni moscovite~ Quando Gomulka, · o Togliatti, o i romeni si mostrano poco corrivi ad una radicale condanna di Pechino, non lo fanno tanto per nostalgie staliniste o per amoro,so trasporto verso i cinesi, ma, più semplicemente, perché temono che una frattura totale tra Mosca e Pechino indurrebbe fatalmente Mosca a chiedere ai vari partiti comunisti un più rigido allineamento sulle sue posizioni, una pronta disponibilità a tutti i colpi di coda che il Cremlino riterrà necessarii, e distruggerebbe, pertanto,· quel tanto di autonomia (po,co o molto che sia) che essi hanno faticosamente conquistata negli ultimi anni (e non è un caso che, a Budapest, Kadar abbia ripreso a parlare delle funzioni di partito-guida del PCUS). Per paradossale che la cosa possa sembrare a prima vista, ci sembra evidente che un mancato allineamento totale del PCI sulle posizioni di Mosca sarebbe non tanto prova di simpatia per lo, stalinismo tattico ed il bellicismo dei cinesi, quanto testimonianza della resistenza di qualche tentazione autonomista nello stesso· PCI. Che, poi, i dirigenti comunisti abbiano finora regolarmente sterilizzato quelle tentazioni e si siano dimostrati incapaci di un riesame autonomo e coerente dei pro·blemi posti (ad un partito che si vuole di progresso e che opera in regime democratico) dalle vicende degli ultimi dieci anni in Russia, è ovviamente un discorso tutto diverso. È proprio per questa incapacità che i comunisti guadagnano voti e perdono di peso politico reale nel paese! Ma a tal proposito si dovrebbe fare una serie di considerazioni che aprirebbero una parentesi troppo lunga in un articolo dedicato alle questioni di politica internazionale. Il processo di distensione, dunque, non è un indiscriminato abbraccio russo-americano, ma una politica che, muovendo dal più o meno esplicito riconoscimento dello status quo, tende ad isolare i problemi tuttora insoluti ed a ridurre le cat1se di frizione tra i due blocchi. Il grande banco di prova di tale _politica è stata la crisi cubana dell'ottobre 1962, poiché allora Mosca compiè l'ultimo tentativo di un'alterazione brusca dell'equilibrio militare tra i due blocchi, o, se si preferisce, l'ultimo tentativo di affermare la sua propria concezione di uno status quo « dinamico>>. Si ricordino le parole con cui Lippmann illustrò nel 1958 questa concezio·ne kruscioviana : « a giudizio di Krusciov la rivoluzione economica e sociale ora in sviluppo· in Russia, in Cina e altrove in Asia ed in Africa [e, con l'occhio alla situazione cubana di quattro anni più tardi, possiamo aggiungere: nell'America Latina] è lo status quo; ed egli desidera che noi lo riconosciamo come tale. A, suo giudizio l'o,pposizione a questa rivoluzione è un tentativo di sovvertire lo status quo. 12 BibliotecaGino Bianco

Rilancio dell'Europa e forza multilaterale Mentre, insomma, noi pensiamo che lo status quo è la situazione che esiste al momento, Krusciov co,nsidera tale il processo di mutamento rivoluzionario in atto per ogni dove: egli perciò desidera che noi riconosciamo la rivoluzione non solo là dove essa c'è, ma anche là dove vi sarà». Fu appunto la ferma reazione americana a Cuba a costringere Krusciov a rinunciare a questa concezione dinamica dello status quo e ad avvicinarsi sensibilmente alla concezione occidentale come alla sola capace di garantire la pace. E non è un caso che l'accordo anglo-russoamericano sugli esperimenti nucleari tenesse dietro di qualche mese a quella crisi memorabile : poiché tale accordo in analisi estrema non vuol dire altro se non che l'Unione Sovietica antepone la stabilità nucleare alla solidarietà con gli altri paesi che stanno facendo la rivoluzione. La crisi cubana segna, dunque, una svolta decisiva; ma sarebbe alquanto semplicistico immaginare che i rapporti tra i due blocchi siano ormai sotto il segno dell'idillio e che i rappresentanti di entrambe le parti non abbiano da fare altro che incontrarsi, per trovarsi d'accordo su tutto. Il processo distensivo è stato ed ancora di più sarà un lungo e difficile negoziato tra due « grandi alleanze », che sono divise, su alcuni problemi, da contrasti ancora gravi, nessuno dei quali, considerato astrattamente, varrebbe l'olocausto nucleare, ma su ognuno dei quali una ritirata completa sarebbe peggiore, forse, di una gravissima sconfitta militare. Il che vuol dire che questo negoziato, come tutti i negoziati importanti e complessi, avrà le sue fasi felici e quelle difficili; e vuol dire soprattutto che o.gnuna delle due parti cercherà sempre, sia pure entro limiti ben precisi, di valersi a suo vantaggio delle difficoltà dell'altra. È evidente che il contrasto russo-cinese, se non è proprio un ... fattore di grave debolezza per l'Unione Sovietica, almeno condiziona certi suoi atteggiamenti e prese di posizione, inducendola, a volta a volta, ad essere più rigida o più cedevole di quanto non esigerebbe la logica del negoziato; ed è altrettanto evidente che t1n'America Latina in ferme11to ed attirata su posizioni neutral-castriste, a sua volta, condiziona gli Stati Uniti, se non per altro perché rischia di alimentare gravi agitazioni dell'estrema destra americana, le quali indebolirebbero inevitabilmente la capacità negoziatrice di Washington. Questa più sobria e realistica interpretazione del processo distensivo, se da una parte taglia il sogno di coloro che vedono garantiti già per domani il disarmo, la pace e la fratellanza universale, dall'altra .rivela quanto assurde ed irresponsabili siano le posizioni di q1:1elliche già si vedono a braccetto di Krusciov e dei suoi amici italiani, e mostra, finalmente, la pericolosità e la reale mancanza di fondamento di politiche del tipo di quella che sta tentando oggi la Francia. In effetti, la tesi di 13 Biblioteca Gino Bianco

Vittorio de Caprariis coloro che tracciano una sorta di parallelo tra l'azione della Cina e quella della Francia no•n è del tutto destituita di fondamento, dal momento che entrambi quei paesi provocano una: dislocazione dei rispettivi blocchi, che crea notevoli difficoltà al grande negoziato, sia pure col solo fatto di rendere più fluida e co·mplessa la situazione internazionale. È evidente che quando, ad esempio, l'Unione Sovietica non è più in grado di frenare le iniziative cinesi nel Sud-Est asiatico, e queste si sviluppano) alterando· in tali zone proprio quello status quo che è un assunto pregiudiziale del processo, di distensione, le trattative che devono dare concretezza a tale processo non possono non risultare più difficili; come più difficile non può no·n risultare l'intesa, quando, ad esempio·, il desiderio d'indipendenza atomica della Francia frammenta il fronte degli occidentali, suscitando le diffidenze e le riserve dei sovietici. Coloro i quali applaudo.no al riconoscimento francese della Cina comunista o alle iniziative neutralistiche di De Gaulle nella penisola indocine~e, e per avversio-ne neutralistica agli Stati Uniti celebrano la politica cosiddetta indipendente della Francia nei confronti di Washington, non si rendono conto che la· distensione stessa non vi sarebbe mai, né l'Unione Sovietica sarebbe mai disposta a darle contenuti concreti se mancasse l'interlocutore decisivo, di parte occidentale, se mancassero gli Stati Uniti. Mosca potrà per un momento considerare Parigi un interlocutore interessante nel tentativo di esercitare un'azione di disturbo~ non v'è dubbio però che, alla stretta dei conti, i dirigenti sovietici scavalcheranno sempre la Francia, o, qualsiasi altra minore potenza, pur di raggiungere l'accordo con gli Stati Uniti. Ma, forse, si può portare ancora più avanti l'analisi ed affermare che nel mondo occidentale, fatta eccezione pei comunisti, i quali pur nella crisi provocata dalla rottura del movimento comunista internazionale si sforzano di perseguire politiche di copertura all'azio·ne internazionale dell'Unione Sovietica, vi sono, in realtà, due posizioni di fo,ndo: quella di coloro i quali ritengono che la fine della guerra fredda e della pericolosità dell'Unionè Sovietica abbia liberato interamente i comportamenti dei vari paesi, almeno di quelli appartenenti al blocco occidentale, e consenta, perciò, di ripercorrere le strade di una politica radicalment~ diversa da quella degli ultimi dieci o quindici anni; e l'altra posizione di quanti ritengono che proprio perché si apre un periodo di delicati negoziati, dai quali potrebbe dipendere il futuro assetto d_el mondo, la logica ed il buon senso esigerebbero che si evitassero politiche autarchiche ed esaperatamente nazionalistiche. L'esempio· più clamoro,so ed insieme più rigoroso della prima posizione è quello della politica perseguita dall'attuale governo francese. E noi vorremmo osservare che 14 BibliotecaGino Bianco

... Rilancio dell'Europa e forza multilaterale la linea di azione che per brevità chiameremo gollista è sterile e pericolosa non soltanto perché, com'è stato già più volte notato, essa appare, ad un'analisi approfondita e realistica, piuttosto velleitaria (così nell'inseguire il mito dell'indipendenza nucleare assoluta come nel coltivare il miraggio di una présence française nel Sud-Est asiatico o nell'America Latina), ma anche perché è una politica sbagliata. Si potrebbe dire; forse, che nella diagnosi che egli fa della situazione mondiale il politico De Gaulle è, per una volta, condizionato dalla sua educazione militare: e ci pare che lo dimostri il fatto che egli sembra considerare pericolose solo le tensioni e crisi politiche che possono condurre ad un conflitto armato; laddove, quando la minaccia di guerra scompare, tensioni e crisi politiche perdono d'improvviso importanza e non v'è più necessità di una politica seriamente concordata tra gli alleati di ieri. Ora, conviene riconoscere co11 franchezza che non v'è un 3ran merito a sentire la necessità dell'unità quando il pericolo sovrasta; il merito v'è ad avvertire la medesima esigenza nei tempi cosiddetti tranquilli, per evitare che in avvenire si possano produrre situazioni pericolose. Molti osservatori americani, e tra questi lo stesso Lippmann, hanno scritto che non bisogna dimenticare che De Gaulle fu il più determinato di tutti gli alleati nella crisi dell'ottobre 1962; ed hanno dedotto da ciò la necessità di riconsiderare la politica gollista e l'opposizione del Dipartimento di Stato ad essa. Ma quello di codesti osservatori politici è soltanto un falso realismo: se si vuole ragionare in termini di realismo autentico bisogna pur dire che la determinatezza francese nell'ottobre 1962 non aggiunse nulla a quella americana; mentre l'atteggiamento - ambiguo, la volontà d'indipendenza assoluta, la politica del gennaio 1963 nei confronti dell'Inghilterra, il neutralismo nel Sud-Est asiatico,, e non so che meschina volontà di differenziarsi ad ogni costo dagli Stati Uniti che è apparsa pur ieri in seno al Cosiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, insomma molte delle cose che la Francia è venuta facendo tolgono non po~o alle capacità operative dell'intero Occidente. E dunque anche questa della Francia alleato fedele nei momenti difficili è poco più di una bella frase dietro la quale si nasco,nde l'incapacità a pensare realisticamente ciò che accadde. Si potrebbe obiettare che alla politica francese, ossia al desiderio francese di affermare una propria posizione affatto, indipendente dagli Stati Uniti, corrispondono, simmetricamente, analoghi desiderii. che si manifestano nel blocco sovietico, ovviamente nei limiti in cui si possono manifestare in un raggruppamento a struttura così rigida. Non si tratta soltanto della rottura aperta decisa dai cinesi, ma dell'atteggiamento 15 Biblioteca Gino Bianco

Vittorio de Caprariis stesso di paesi come la Romania, la Polonia o la Cecloslovacchia, i· quali, per le ragioni che si sono di sopra accennate, riluttano a rapporti troppo stretti, ad allineamenti totali con Mosca. E non· v'è dubbio che, quale che sarà alla fine la posizione che assumeranno polacchi, romeni e cechi, la loro attuale riluttanza è segno che qualcosa si muove nel blocco sovietico; ma sarebbe eccessivo dedurne che ci si trova innanzi. ad un fenomeno mondiale, espressione di una sorta di fatale legge storica. Si comprende perfettamente che dopo le coagulazioni verificatesi durante la guerra fredda, e dopo le terribili imposizioni dello stalinismo, paesi come la Polo-nia o come la Cecoslovacchia aspirino ad orizzonti più larghi o intravvedano nel contrasto russo-cinese la spaccatura attraverso la quale far passare una loro maggiore autonomia; pure, quello che è attualmente mero desiderio di rifuggire gli allineamenti totali con Mosca non potrà restare tale molto a lungo, perché non è una politica costruttiva. Se l'autonomia a cui questi paesi p&iono aspirare si potrà consolidare nel prossimo avvenire, è verosimile che si verificheranno nuove e spontanee coagulazioni nei Balcani e nell'Europa orientale, del tipo di quella che la Jugoslavia parve pro,muovere nel 1947-48 e che le attirò la furiosa reazione di Stalin. Perché neppure i paesi del blocco sovietico posso,no sfuggire alla regola inesorabile di questa seconda metà del ventesimo secolo, alla regola dell'insufficienza delle dimensioni dei vecchi stati nazionali europei e della necessità di costruire nuovi raggruppamenti di stati. La politica gollista è sbagliata anche perché in un mondo c~e va verso l'interdipendenza (riprendiamo ancora una volta la formula di Spinelli) essa ripropone schemi di costruzione politica vecchi di almeno cinquant'anni e che proprio• l'esperienza storica del vecchio continente ha negli ultimi decennii definitivamente consumati. L'indipendenza atomica assoluta di un paese delle dimensioni della Francia o la sua pretesa di un nuovo ruolo, tra economico e morale, in Asia o nell'America Latina, sono cose affatto prive di senso: e nella misura in cui il gollismo fa balenare questi miraggi alla coscienza francese esso sollecita il sentimento nazionalistico., lo potenzia, lo esaspera; e mentre distrugge o paralizza il riflesso dell'interdipendenza, esso mistifica i francesi, facendo apparire lor~ come decisive risoluzioni politiche che tali non sono. E l'esempio più chiaro di tutti è proprio quello del famoso rifiuto all'Inghilterra della conferenza-stampa del gennaio 1963: allora De Gaulle e non sappiamo quanti francesi poterono pensare che la Francia si era rizzata in tutta la pienezza della sua autonoma volontà nazionale, per affermare questa contro venti e maree. La verità assai più prosaica è che quella sublimazione della volontà nazionale francese non è servita a nulla, perché 16 BibliotecaGino Bianco

Rilancio dell'Europa e forza multilaterale la concezione gollista della costruzione europea non ha fatto dal gennaio 1963 un solo passo avanti, ed il generale-presidente ha dovuto inventare il neutralismo in Indocina ed i viaggi nell'America Latina per darsi l'illusione di portare avanti una politica « francese ». A questo punto, però, occorre chiedersi se siffatti disegni politici radicalmente diversi da quelli perseguiti negli ultimi dieci o quindici anni siano in Europa ed in Italia appannaggio soltanto dell'attuaìe governo francese e, poniamo, dei nazional-gollisti italiani, o se spunti e schemi, almeno formalmente simili, non si trovino anche in altri gruppi politici. E la risposta ci sembra non ammettere dubbii. I neutralisti più o meno dichiarati, coloro che sono disposti sempre a giocar sull'equivoco (quelli, per fare un esempio, che scrivono mondo libero tra virgolette), quanti, insomma, vanno chiedendo una politica estera indipendente, che porti il nostro paese del tutto fuori dell'Alleanza Atlanti0a e gli faccia assumere il ruolo nuovo di propagandista del neutralismo e della pace a tutti i costi, costoro finiscono col volere nei fatti politiche che recano un aiuto poderoso a quelle nazionalistiche. In effetti, quella del neutralismo disarmato è una posizione troppo debole per potere resistere all'attacco dei nazionalisti dell'indipendenza atomica; talché è fin troppo facile prevedere che in un paese come l'Italia quel tipo di neutralismo, sottoposto alla duplice pressione dei comunisti (pei quali esso è soltanto una tappa verso il trasferimento ai margini del blocco sovietico) e dei nazionalisti, finirebbe col cedere il posto ad una politica di tipo gollista. Del resto, e l'abbiamo già ricordato, il fatto che nella stessa Francia i gruppi di sinistra che sono stati sempre neutralisti abbiano applaudito alla politica del generale-presidente dovrebbe essere sufficientemente illuminante sulla logica di certe collusioni. Né ci sembra si possa dubitare che sempre in Francia l'annosa polemica anti-americana condotta dalla sinistra neutralista, anche non-comunista, non sia servita ad altro che ad alimentare un aberrante ✓ riflesso nazionale, sul quale il generale De Gaulle ha potuto costruire una parte delle sue fortune. Per quanto la situazione interna ed il gioco delle forze politiche siano in Italia abbastanza diversi che in Francia, bisogna pur dire che anche in Italia le stesse cause possono sortire i medesimi effetti: anche da noi le punte anti-atlantiche ed anti-americane della polemica neutralistica finirebbero col portare argomenti alla causa di coloro che accarezzano il miraggio dell'indipendenza atomica perfino per il nostro paese, di una politica italiana di tipo gollista. Qui si può vedere un'ennesima manifestazione della sinistra pasticciona ed irriflessiva, la quale almanacca piuttosto che non ragioni ed è sempre singolarmente incapace di prevedere le conseguenze delle sue proprie azioni. 17 Biblioteca Gino Bianco /

Vittorio de Caprariis Interdipendenza, dunque; e qui vengono naturalmente in discussione le due strutture attualmente esistenti, per imperfette e monche e deficienti che siano, di tale interdipendenzé!3-: l'AlJeanza Atlantica e la Comunità Europea. Per quel che riguarda la NATO, si fanno sempre più forti le richieste di una sua riforma più o meno radicale; e c'è stato un articolo del c~rrispondente militare del « Times >>, che si chiedeva brutalmente se l'Alleanza Atlantica non stesse diventando irrilevante, e proponeva un ripensamento totale della politica militare dell'Occidente ed una strategia affatto nuova, la quale prendesse atto del fatto che l'Europa è diventata dal punto di vista della difesa delle posizioni occidentali una zona secondaria e si proponesse, in conseguenza, di contrastare le minacce dove queste sono realmente, nelle zone grige del continente africano e di quello asiatico. In Italia no•n si è, forse, data la giusta importanza a questa presa di posizione del « Times », che pare a noi assai rilevante non già perché se ne possa sospettare un'ispirazione ufficiosa, ma perché rivela chiaramente quale sia lo stato· d'animo e di mente di uomini che sono pur vicini al ceto1 dirigente britannico. « L'idea - scrive il « Times » - che la nuova strategia mondiale possa essere formulata e diretta attraverso le strutture NATO attualmente esistenti si scontra, certo-, con l'inevitabile obiezione, che sarà impossibile persuadere alcuni degli alleati europei a far causa comune per la difesa del Medio Oriente o del Sud-Est asiatico·. Ma se questo è vero, se i pericoli derivanti alla sicurezza europea dall'espansione comunista in Asia non sono chiari abbastanza, allora bisogna dire che è venuto il momento per un ripensamento delle stesse alleanze» .. Sono proposizioni fin troppo chiare; e poiché l'analisi della situazio·ne internazionale su cui esse sono fondate non è affatto cervellotica, si può prevedere che nei prossimi mesi esse troveranno sempre più numerosi sostenitori in Inghilterra come negli Stati Uniti (e basta ricordare, quanto agli americani, i colloqui McNamara - von Hassel su un contributo· tedesco alla difesa del Viet-Nam del Sud, e la stessa richiesta accennata e poi ritirata a tutti gli alleati atlantici nell'ultima conferenza della NATO, per rendersi conto come a Washington non si sia affatto sordi a simili ragionamenti). E conviene aggiungere che quelle medesime frasi mostrano con molta chiarezza come certi circoli dirigenti britannici siano di nuovo lontani dalle impostazioni europeistiche o almeno dalla problematica europeistica : poiché è evidente che il principio ispiratore della richiesta di un ripensamento della strategia occidentale è che le responsabilità mondiali di paesi co,me l'Inghilterra e gli Stati Uniti primeggiano sulle loro responsabilità in Europa e che l'Europa stessa non è che uno dei set18 Biblioteca Gino Bianco

. ·' Rilancio dell'Europa e forza multilaterale tori nei quali Inghilterra e Stati Uniti sono impegnati, e oggi neppure il settore veramevte decisivo o almeno neppure quello realmente in prima linea. Può sembrare paradossale che mentre molti europei richiedono una revisione della strategia della NATO in funzione di un maggiore consolidamento della difesa del vecchio continente e mentre gli stessi americani paiono condividere questa esigenza (la loro insistenza sull'armamento multilaterale atomico dell'Alleanza lo dimostra), si formulino da parte britannica ipotesi così radicalmente diverse: eppure qui non v'è nessun paradosso, ma solo una dimostrazione ulteriore delle difficoltà che incontrano gli inglesi a pensare in termini europeistici. Questo non vuol dire, ovviamente, che la revisione atlantica sollecitata dal « Times » sia soltanto espressione di un interesse inglese a che tutti concorrano a difendere le ultime posizioni imperiali: come si è accennato, alla sua origine v'è una diagnosi giusta della situazione mondiale e del nuovo tipo di lotta che si viene organizzando co1 ntro il mondo libero, talché, anche se le conclusioni del grande giornale londinese non sono interamente accettabili, ve ne sono alcune ben degne di essere attentamente meditate. È evidente che il successo nel fronteggiare la penetrazione del comunismo, cinese o no che sia, in Africa o in Asia, o nella stessa America Latina, è interesse comune di tutto il mondo libero, e dunque anche italiano o tedesco; e può essere esatto pure che le strutture della NATO esistenti possano agevolare un ripensamento ed un ampliamento della visione strategica occidentale; e, finalmente, il richiamo alla complessità della situazione mondiale può essere utilissimo poiché può servire ad aiutare gli europei a ridimensionare le loro eccessive preoccupazioni ed a superare l'ipnosi dell'Elba. Ma anche ~ prescindere dal sottinteso assai pericoloso implicito nelle proposte del« Times » (l'allontanamento di truppe inglesi ed americane dal vecchio continente, che è la prima logica deduzione da trarre da quelle proposte, può avere gravi conseguenze psicologiche); anche a prescindere da ciò, a noi sembra che quelle medesime proposte abbiano il difetto di riprodurre in termini di scelte alternative quasi inconciliabili i problemi dell'Europa e del resto del mondo, e di fornire involontario aiuto alla tesi di coloro i quali tendono, oggi, a configurare, agli occhi degli europei, un'Inghilterra che si sente tuttora estranea e separata dal continente. Del resto, che questo delle revisioni atlantiche sia ormai un tema assai comune, i nostri lettori hanno potuto co,nstatarlo anche leggendo l'~rticolo di Altiero Spinelli. Quella che Spinelli sollecita (e, va detto a suo merito, non da oggi soltanto) è una revisione innanzi tutto politica: si tratta, a suo giudizio di formare un parthership « nel quale l'Europa abbia progressivamente gli stessi diritti e gli stessi doveri 19 Biblioteca Gino Bianco

Vittorio de Caprariis degli Stati Uniti e si senta impegnata a promuovere assieme ad essi la politica della coesistenza». Se si imboccherà una tale strada - argo ... menta Spinelli - ci si accorgerà della nec~ssità di giungere ad una « cogestione euro-americana dell'esistente potere nucleare »: ma occorre riflettere fin d'ora, egli aggiunge, che la strada per arrivare a questa cogestione non è quella del deterrente atomico europeo, suggerita da alcuni adoratori della Machtpolitik. Spinelli, tuttavia non dice in quale modo si possa attingere un tale risultato, e si limita a formulare l'augurio che in Europa possa trionfare lo spirito di Monnet e non quello di De Gaulle, ed in America quello di Kennedy e non quello di Goldwater, • un augurio che troverà facilmente tutti d'accordo (tutti, ovviamente, tranne i gollisti ed i seguaci di Goldwater!). Pure, a noi sembra che sia necessaria qualche chiarificazione. Innanzi tutto, lo spirito di De Gaulle è quello dell'armamento ato,mico nazionale indipendente e non quello che porta al deterrente europeo; e, dunque, se può riuscire utile polemicamente confondere le due posizioni, conviene ammettere che tale confusione non gio-va all'approfondimento delle questioni. In secondo luogo, ci sembra di poter affermare che a Kennedy fu possibile rinnovare in così breve tempo tanta parte della politica estera americana soltanto perché riuscì ad improntare i ragionamenti e le opzioni della sua Amministrazione ad un consapevole realismo politico. Certo, il realismo suo non era quello degli adoratori dello spirito · di potenza, ma l'altro, di chi conosce e sa misurare la forza delle idee e degli ideali; e tuttavia era sempre realismo politico, quello stesso che per anni molti europei hanno desiderato fosse a fondamento della politica estera americana. Ora, non rientrano nella logica di tale realismo, almeno adesso·, né il partnership, né la cogestione nucleare di cui parla Spinelli. Diciamo, anzi, che, seppure i nostri amici americani fossero i più nobili idealisti del mondo, essi non potrebbero mai sentirsi vera1nente partners di quel pasticcio che è oggi l'Europa; e se si sentissero tali, sarebbe veramente un brutto segno per la loro intelligenza ed il loro buon senso! Non ha scritto proprio Rostow che ciò che caratterizza la nuova storia americana è lo stile nazionale, il sentimento degli interessi nazionali e la tradizione democratica? Ebbene, quest'ultima ci è certamente garante che il sentimento degli interessi 11azionali non crescerà mai a sfrenato- nazionalismo sovvertitore; ma la sua esistenza non può significare che i nostri amici americani siano disposti a sacrificare sull'altare del dottrinar~smo della fratellanza universale delle cose che l'interesse nazionale sconsiglia loro di sacrificare. E tra queste cose, è bene non farsi nessuna illusione, è appunto l'idea che Washington debba avere il controllo ultimo delle armi nucleari e dunque il leadership effettivo dell'alleanza. Noi sap20 BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==