Nord e Sud - anno X - n. 47 - novembre 1963

I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Giuseppe Galasso, Le due società - Federico Pica, La finanza delle Regioni a statuto ordinario - Alfredo Capone, La classeZdeologica - Girolamo Cotroneo, L'avve1itura intellettuale di C. L. Becker - Roberto Guidi, Nuova strategia e distensione. e scritti di Zeno Cantoni, Marisa Càssola, Alberto Chimienti, Marcello Fabbri, Raffaello Franchini, Vincenzo Guizzi, Bruno Lauretano, Mario Pacelli, Ester Piancastelli, " Sirio ,, ANNO X - NUOVA SERIE - NOVEMBRE 1963 - N. 47 (108) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Bi_bliotecaginobianco

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NORD -E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO X - NOVEMBRE 1963 - N: 47 (108) DIREZIONE E REDAZIONE: N a p o I i - Via dei Mille, 47 - Telef. 393.346- 393.309 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - Napo 1i - Telef. 393.346- 393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 500 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via dei Mille 47, Napoli Bipliotecaginobianco

SOMMARIO Editoriale [3 J Giuseppe Galasso Le dtle società [ 6] Federico Pica La Finanza delle Regioni a statuto ordinario [23] Raffaello Franchini Zeno Cantoni Vincenzo Guizzi Mario Pacelli Marcello Fabbri Note della Redazione Stato e partito - Malagodi e Magliano - Fiat e Mezzogiorno [ 49] Giornale a più voci Un opportuno promemoria [54] In n1argine alla polemica nucleare [56] L'Università Europea [60] Note per u11a piartificazione democratica [67] Le indicazioni della Fiera del Levante [70] Argomenti « Sirio » Accordi SOFIS - Montecatini e anomalie sicitle [75] Discussioni Roberto Guidi « Nuova strategia» e distensione [84] Girolamo Cotroneo Marisa Càssola Bruno Lauretano Ester Piancastelli Recensioni L'avventura intellettuale di C"'.L. Becker [95] L'ulti1no Moravia [99] Didattica della Storia [ 101] Le forbici monche [107] Saggi Alfredo Capone La classe ideologica [114] Lettere al Direttore Alberto Chimienti Saragat e il CN EN [ 126] Bibliotecaginobianco

Editoriale • Noti sono ancora conosciuti, nel momento in cui scriviamo, né i risultati delle votazioni per il Comitato Centrale, né il testo della mozione autonomista con cui il congresso romano del PSI si è chiuso; e allo stesso modo non sono ancora conosciuti, o sono ancora troppo mal dt!,lineati, i commenti delle altre forze politiche all'andamento e alle conclusioni dell'assise socialista. Qualche prima puntualizzazione di carattere generale ci senzbra, tuttavia, già possibile. Come non rilevare, ad esempio, che nell'articolazione della maggioranza autonomista la saldatura tra la frazione dei « lombardiani » e il resto della corrente appare ancora troppo delicata ed insicura? Ch·e cosa significano i tanti ricami dell'on. Lombardi intorno a problemi che, di per se stessi, non sembrerebbero consentire che prese di posizione chiare ed energiche? Siamo sempre al livello deZie fumose e reticenti elaborazioni di strumenti concettu.ali o siamo al livello, più brutale, ma - da un certo . punto di vista - più realistico, della ricerca di posizioni di potere all'interno e all'esterno del partito? Saremo gli ultimi ad affermare che, nelle istanze avan.zate dai « lombardiani », tutto sia artefatto o infondato. Ma tra il linguaggio involuto e prezioso col quale l'on. Lombardi ha illustrato la posizione gerierale della sua frazione e il linguaggio chiaro e preciso col quale l'on. Giolitti ha illustrato le ragioni per cui il PSI deve accedere ad una politica di misure anticongiunturali, una differenza ci sembra pure da fare. Non scorgere o non denunciare questa differenza sarebbe poco leale e non servirebbe a n·ulla. Ed è, in. fondo, da cose di questo genere che l'opinione ptlbblica può essere maggiormente ttlrbata. Noi non temiamo che i «lombardiani » possano riuscire pericolosi per le loro incerte vedute di politica estera: abbiamo, a questo riguardo, la massima fiducia nei partiti che saranno gli interlocutori del PSI nella prossima maggior.anza di centro-sinistra;. e non temiamo neppure che essi possano far danno sul terreno della « delimitazione della maggioranza »: confidiamo, per questo, nella logica stessa della vita politica, che equilibrismi e artifizi consente nella teoria, ma nella pratica impone prezzi troppo alti a coloro che non sono sufficien3 Bibliotecaginobianco

Editoriale - temente consequenziari e rettilinei. Temiamo, tilttavia, che il condizionamento « lombardiano » della maggioranza at:ttono.niista possa obiettivamente risolversi in itn motivo di permanente incertezza delle prospettive più che dell'azione del centro-sinistra e possa così offrire uno stimolo continuo alle aspirazioni di rivalsa della destra democristiana~ E non ci si venga a dire che da un tale condizionamento viene potenziata la capacità di contrattazione del PSI, perché a questo basta ed è più che sufficiente la massiccia presenza nel PSI di una sinistra che raccoglie quasi il 40% degli iscritti. Ad ogni modo, non è - a nostro avviso - dall'on. Lombardi che il recente congresso socialista ha tratto la stla caratterizzazio1ie e deriva la sua rilevanza nella storia del partito e della vita pubblica italiana, bensì dall'on. Nenni e dalla sua relazione. Nenni si è posto, questa volta, su un piano così alto di riflessione storica, ha sostanziato in maniera così viva della sua personale esperienza la sua attuale impostazione dei _problemi politici italia1ii, Jia cliiamato in gioco un così importante corpo di questioni dottrinarie, ha così felicemente connesso il problen1a storico-politico del socialismo italiano col problema morale di responsabilità che non possono essere evitate, da dare alla vittoria della maggioranza auto·nomista un rilievo che va assai al di là del margi1ie numerico effettivamente riscontrato. E di conseguenza la sconfitta della siriistra assu1ne necessariamerite, i contorni di u11a evidente dimostrazione di impotenza a mettersi in linea con uno sviluppo (quello del socialismo italiano nella società contemporanea) che ha ormai dietro di sé molti decenni di vicende le più varie e agitate e che viene terribilmente immiserito da u1ia astratta preoccupazione di purezza ideologica o dal riflesso condizionato di risentimenti e di antipatie sorti negli ultimi quindici anni di vita italiana. È da sperare che la relazione dell'on. Nerini al 35° congresso del PSI dia presto i suoi frutti sul triplice piano della vita interna del partito, del dibattito ideologico in Italia, dell'azione di governo a cui il PSI si. troverà a partecipare. Siamo assolutamente convinti che quella relazione sia veramente tale da « non spegnere il desiderio profondo di più e di meglio che vive, distorto e non ben cosciente di sé, neZ-massimalismo», secondo l'acuta osservazione di Aldo Garosci nel nostro stesso numero di settembre. Siamo convinti che essa può segnare- u11 punto di riferimento dinanzi al quale il conformismo di tanta (troppa) parte dell'« intelligenza» italiana al mito della superiore validità storica e dottrinaria, oltre che po-litica, del comu1iismo deb/ba finalmente cominciare a cedere. Siamo convinti che, sulla base di essa, il passaggio del socialismo italiano, di· tutto il socialismo italiano ad una partecipazione 4 Bibliotecaginobianco

Editoriale attiva e permanente al potere possa essere operato senza alcuno di quei cedimenti che sono temuti dalla sinistra del PSI e con giovamento reale e inapprezzabile della vita civile e sociale del nostro paese. Ed anche per questo ritorneremo quanto prima s14,lcongresso del PSI e ci sforzeremo di portare il nostro contributo alla chiarificazione e allo sviluppo democratico di una situazione che appare finalmente e irreversibilmente in moto. .s Bibliotecaginobianco

Le due . . ' soc1eta di Giuseppe Galasso : I I ~ L'identificazione tra società o,pulenta e società indt1striale sembra non poter sollevare obiezioni, tanti sono gli argomenti che militano a favore di una siffatta affermazione: in primo luogo, il fatto che solo col p·ervenire dell'industrialismo al suo apogeo l'opulenza è andata diventando un fenomeno diffuso ed evidente; in secondo luogo, il fqtto che l'opulenza presuppone la produzione di massa, che è per definizione una produzione industriale; in terzo luogo, il fatto cl1e il progresso dell'opulenza appare legato ad incrementi dello stesso tipo di quelli che assicurano i processi propulsivi delle società industriali; e così • via. Se, però, la identificazione tra soci~tà opulenta e società. industriale può, nelle sue linee generali, essere accettata, ciò no,n significa tuttavia che la rispettiva pro,blematica sia la medesima. In linea di massima si può osservare che la società opulenta· solleva so1 prattutto· una problematica .di tipo etico-sociale, mentre la società industriale solleva soprattutto una problematica di tipo politico-economico; e si può ancl1e osservare che il solo gruppo di problemi che le due nozioni sembrano avere in comune è quello che scaturisce dalla loro possibilità di essere svolte in senso deterministico. Ciò potrebbe voler dire che l'o,pulenza si afferma in definitiva come un fatto di costume, mentre l'industrialismo si afferma come un fatto strutturale. Ma come è p·ossibile questa dicotomia e quali so1 no le ultime conseguenze di essa? In effetti, quando noi parliamo di « società opulenta », parliamo di una società nella quale il progresso tecnico ha reso possibile la disponibilità dei beni di consumo di ogni tipo in misura tale· da far ritenere come del tutto superata la condizione di sostanziale indigenza e di sostanziale difficoltà nel suo sforzo di sopravvivenza in cui l'umanità è vissuta in ogni tempo fino ai nostri gio,mi. Superata l'indigenza, tolto al lavoro e alla vita il loro ancestrale carattere di lotta p·er l'essenziale, gli sforzi e le attività si rivolgono ad allargare il n1argine del superfluo e si entra così nella civilisation des loisirs. Si afferma spesso che la povertà è una condizione relativa e· che è povero tanto chi ha zero e 6 Bibliotecaginobianco

Le due società desidera uno quanto chi ha mille e desidera milleduecento. Una osservazione del genere è assolutamente banale e fuorviante. Il problema, come sempre, non è quello di unificare e confondere, be·nsì quello di chiarificare e distinguere. Nel caso dell'esempio testè fatto, la povertà di chi ha zero è povertà reale ed obiettiva e postula una assoluta impossibilità di soddisfare ai propri bisogni essenziali. La sensazione ' ) di povertà che in tal c·aso si accompagna al fatto è un dato accessorio rispetto al fenomeno principale e caratterizzante, che resta il motore di ogni eventuale conseguenza che e dalla sensazione e dal fatto potrà scaturire. Inversa è la situazione· di chi ha mille, perché per lui la sensazione prevale sul fatto. In tal caso quella che abbiamo chiamata I (per semplice co,modità e brevità di espressione) sensazio 1 ne, indubbiamente, deriva dalla distanza che c'è tra mille e milleduecento; ma il mille è, altrettanto indubbiamente, un fatto profondamente diverso dallo zero. Ora le sensazioni (e ci si voglia scusare se insistiamo• nel linguaggio approssimativo), pur procedendo dai fatti, hanno una loro logica e una loro forza d'inerzia; possono conservare gli stati d'animo e le motivazioni originati da fatti già sorpassati come possono precedere e anticipare il dec·orso dei fatti; possono dare ai fatti una colorazione emotiva - negativa o positiva - del tutto imprevedibile. Questa sfasatura tra gli uni e le altre dà luogo ad una dialettica intensa di azioni e controreazioni che è uno degli aspetti emi11,enti della vita s9ciale; che spiega come i più bei piani e· le più ragionevoli previsioni siano tante volte smentite da un compo,rtamento impreveduto; e che è all'origine di molti autentici drammi, individuali e collettivi, della - convivenza umana. Alla lunga, però, i fatti finiscono ineluttabilmente col condizionare le sensazioni e col determinare così le vere scansioni tra un'epoca e ·l'altra. Se non si commette l'errore di restring.ere i fatti alle sole relazioni tra gli t1omi11i, e se, invece, si terrà sempre presente che le stesse relazioni tra gli uomini sono perennemente condizionate dalla relazione che vige tra gli uon1ini e la natura, allora apparirà. chiara la svolta rivoluzionaria segnata dall'avvento della società dell'industria e poi dell'opulenza, ossia dal progresso tecnico, degli ultimi due secoli. Perché quel che in questo caso risulta primariamente e radicalmente cambiata è proprio la relazione tra l'uomo e la natura. In una misura senza precedenti e, per il modo, attraverso· un vero salto qualitativo, l'uomo ha reso la sua capacità di produrre relativamente . . indipendente dalla natura. La proporzione sempre crescente onde l'industria chimica va imponendosi contemporaneamente co,me grande industria di base e come industria per il consumo rispetto alle tradizionali industrie metallurgiche e meccaniche è il segno più evidente di questo 7 Bibliotecaginobiarico

Giuseppe Galasso cambiamento, allo• stesso modo che il prevalere delle industrie metallurgiche e meccaniche sulle vecchie industrie tes·sili aveva segnato una svolta decisiva nella prima « rivoluzione industriale ». L'affermazione dell'industria chimica in tutte le sue articolazioni e specializzazioni contradistingue, infatti, proprio il dominio dell'uomo sulla natura in una misura e in un modo che significano la sco.mpa;rsa dell'indigenza. L'uomo della società odierna, nella parte del globo più sviluppata, può ancora sentirsi povero. Ma la povertà dell'uo·mo scandinavo è ben diversa da quella di chi vive nei deserti arabi, o nelle campagne indiane e cinesi, o nelle città dell'Africa nera. Sche·matizzando assai drasticamente, come è necessario. fare in questi casi, la povertà del primo è un fatto senza grande rilievo politico e so•ciale; la p·overtà dei secondi è un formidabile potenziale di sconvolgimenti politici e sociali. Presso il primo la lotta di classe è potenzialn1ente esaurita come motivai psicologico profondo del comportamento collettivo allo stesso modo che i contrasti di religione sono decaduti dalla stessa ft1nzione con l'avvento della reciproca tolleranza e di un regime di libertà civili; p·resso i secondi la lotta di classe, anche nelle sue proiezioni internazionali, è forse ancora lontana dall'aver raggiunto il punto culminante della sua. parabola. L'avvenire della società opulenta è problematico, ~ertamente, ma il piano delle reazioni che ne possb•no scaturire è del tutto diverso da quello tradizionale. Quando, invece, noi parliamo di società industriale, parliamo certamente di qualche cosa di pii1 generale e di più antico• della società opulenta. Nel quadro di una definiizone elementare della società industriale, Raymond Aron (Dix-huit leçons sur la societé industrielle, Paris 1962, pp. 97 segg.) ne indica cinque caratteristiche costitutive: la separazione tra luogo· di lavoro e cerchia famili~re; un modo originale - tecnico· e non setto 1 riale - di divisione del lavoro; la forte accumulazione di capitale; µn calcolo, eco1 nomico• rigoroso; la concentrazione di grandi masse op,eraie sul luogo di lavoro. Anche nel quadro di una definizione elementare crediamo, tuttavia, necessario aggiungere almeno altre due caratteristiche: la schiacciante prevalenza della forza energetica e trasformatrice delle macchine sullo sforzo muscolare dell'uomo e la p·ossibilità (che è insieme necessità)' di produrre in quantità grandissime e crescenti. Questa definizione elementare - la società industriale come contraddistinta dalla presenza determinante di grandi imprese industriali moderne - e quest'insieme di caratteristiche bastano già a far avvertire la diversità di angolazione che sussiste tra la nozione .,.. di società industriale e quella di società op·ulenta. La prima è relativa soprattutto- all'uomo come produttore, la seconda soprattutto all'uomo 8 Bibliotecaginobianco

\ \ Le due società come consumatore; la prima concerne il modo di vita, la seconda il livello di vita; la prima è connessa al potere dell'uomo, la seco11da ai bisogni. Una società industriale può non essere una società opulenta, mentre una società opulenta può essere solo una società indt1striale. Storicamente, poi, è stata la società industriale a partorire dal suo seno e a rendere possibile la società opulenta. È soltanto necessario avvertire, per cogliere in tutte le loro varietà i fenome11i offerti dalla società industriale, che, mentre la grande impresa e la fabbrica rimangono gli emblemi che contraddistinguono la società industriale, nelle attività primarie e in quelle terziarie un profondo adeguamento ai moduli e alle esigenze della società industriale può aver luogo anche persistendo le dimensioni tradizionali degli esercizi cui tali attività sono affidate. Sul fondamento di questa dis!inzione tra società opulenta e società industriale la dicot~mia di cui parlavamo viene chiarita nella sua ragion d'essere. Le conseguenze ne possono essere facilmente intravvedute. Se già la società opulenta pone problemi di razionalizzazione e di organizzazione, è chiaro che problemi dello stesso ordine, ma ad un livello più radicale e su scala illimitata, pone la società industriale e che solo dalla soluzione dei secondi dipende la soluzione dei primi. Nel caso della società industriale i problemi di organizzazione e di razionalizzazione relativi ai fattori tecnici, alle forze produttive e al mercato si pongono di maniera tale che nessuna considerazione isolata ad uno di questi tre elementi, e no,n al loro insieme, può atting.ere una piena e reale validità. Ma una volta colto il nesso tra la realtà industriale e l'insieme di quei tre eleme11ti (un nesso che è più precisamente una vera e propria identità) si può ben dire che nello• stesso tempo si è colta la struttura della società in cui il fenomeno industriale si produce. Ciò non significa, peraltro, che sia stata colta - di qt1esta stessa società - anche l'essenza che la anima e la caratterizza. La struttura esprime una serie di rapporti di forze (tra l'uomo e la natura, per ciò .che riguarda la tecnica e le risorse; tra le forze produttive, per ciò che riguarda il possesso degli strumenti produttivi e la distribuzione dei redditi) che - con una medesima articolazione 1nateriale - possono dar luogo a fenomeni e a ft111zioni diversissimi. E ciò per l'intervento del fattore che è la molla di tutto il processo, la volontà ·- cioè - dell'uomo. È questa che det~rmina la realizzazione 9el progresso tecnico, e quindi la struttura stessa della società industriale; ed è ancora questa che volge alla realizzazione della società opulenta (ma può, o potrebbe, volgere a tutt'altro fine) il funzionamento della struttura industriale. Volontà: dunque scelta, dunque energia realizza9 Bibliotecaginobianco

Giuseppe Galasso trice, dunque impulso, ad affer1narsi e a farsi valere nel mondo; e cioè economia, politica. È solo quando si è obiettivata· in una struttura che la vo1ontà, co·me paga e insieme delusa di sé, si volge al problema della utilizzazione delle forze che essa ha suscitato. Essa entra allora dalla ~fera della produzione in qt1ella del co11sumo, reinterpreta con spirito etico e sociale quel che essa aveva o-perato come schietta forza individua, restando sempre - d'altronde - profondamente morale, perché sempre portatrice di quell'u11ico valore che non si possa 11egare se non per poetica finzio11e: la vita. II Questi brevi, e certo inedaguati, cen11i mirano solo a dimostrare che l'opulenza r10,n è un destino della società industriale e cl1e piuttosto ne è una scelta. Ciò non contraddice al rilievo che la società opulenta si prospetti come la società. alla ql1ale sembra incontestabimente appartenere, per tutto quanto s1 può preveàere, il futuroo Quando, infatti, noi avanziamo tale rilievo non dobbiamo intendere altro se no·n che una scelta decisiv·a verso l'opulenza si è manifestata, come fatto inco1 n- _ testabile ed evidente, nelle società industriali che appaio•n.o oggi in grado di imprimere la pro:pria ìmpro-nta alla civiltà contemporanea. Anche in questo caso -- cioè - il rilievo sociologico, non può essere una interpretazione ed u11a epifania di destini, una filoso,fia della storia e della società; ma - più semplicemente e più costruttivamente - uno sforzo di interpretazio·ne di ciò che è in corso•, uno sforzo non rimesso, per ragioni di p·o·ssibilità e di co-mpetenza, all'approccio storico, ma ad una diversa sistematica (quella sociologica, app·unto) elaborata con metodi e criteri suoi propri e, per forza di cose, rapidamente mutevoli nel tempo. Se ci poniamo d_a questo punto di vista, l'asseg11are alla società 01 pulenta il prossimo avvenire apparirà assai più gravido di conseguenze prossime e meno prossime di quanto sarebbe un pregiudiziale riconoscimento, dell'opulenza come destino della società industriale. E Ia maggiore importanza nasce da ciò : che 11oi veniamo in possesso così di un elemento/ co·ncreto di orienta1nento anche risp·etto· ad avvenimenti e a fatti che giustamente riluttano ad essere inquadrati nello sche1na dell'opulenza predestinata, mentre docilmente e duttilmente si piegano ad essere inseriti nel quadro di una visione non dogmatica e preco·ncetta. Si guardi, ad esempio, alla posizio,ne dell'ideqlogia comunista su questo aspetto così imp,ortante della civiltà contemporanea. La p-osizione comunista è di -netta e recisa co,ndanna e di diffidente ripulsa 10 Bibliotecaginobianco

" Le due società verso l'opulenza promessa od offerta dal sistema capitalistico e dalla società borghese. Una tale opulenza, se fosse accettata, significherebbe per la classe eletta, il proletariato o•peraio, ciò che il biblico piatto di lenticchie significò per Esaù, la fatale rinunzia, cioè, a costituirsi ed operare come promoto·re e realizzatore di una società incomparabil- , \ mente migliore. Inoltre, l'opulenza è .relativa in tal caso soltanto ad alcuni aspetti, e nemmeno dei più importanti, della vita sociale; per il resto essa no11 fa che sanzionare un regime odioso di privilegi, per gli uni, e di inferiorità culturale e materiale, per gli altri, sicché essa finisce con l'agire come un autentico fattore di corruzione po1 litica e morale. L'opulenza capitalistica e borghese trova, tuttavia, nel suo stesso sviluppo, le ragio11i della sua autodistruzione ed è essa stessa a fomentare e ingigantire le contraddizioni del sistema donde nasce. La sua sostituzio.ne con l'opttlenza resa possibile dall'avvento di una società comunista dimostrerà, se pur ve ne fosse bisogno, cl1e dietro una facciata attraente il vecchio sistema nascondeva il marcio e l'oppressio·ne. Anche la posizione comu11ista conclude, qt1indi, all'affermazio,ne dell'opulenza come destino del mondo contemporaneo; solo, che essa rinvia l'epifania di questo destino all'avvenire e 11e costituisce depositari ed esecutori il partito comunista e le sue gerarchie. Fin qui nessuna differenza sussiste tra le varie osservanze co1nuniste. Ma i recenti contrasti russo-cinesi hanno messo l'accento anche su questo problema e ~n po' dovunque l'interpretazione secondo la quale, tra burro e cannoni, i russi propenderebbero per il primo e i cinesi per i secondi, è diventata corrente. Ora, come bisogna interpretare questo orientamento diverso dei due paesi che danno all'ideologia comunista le massime espressioni? Se si trattasse soltanto di dissensi tra paesi che lt1ngo il corso di un'evoluzione sostanzialmente identica - la trasfor1nazione, cioè, di arretrate società agricole in 1noderne società industriali attra,- verso la svolta rivoluzionaria e la dittatura realizzate dal partito comunista - si trovano impegnati in fasi diverse della stessa impresa, è chiaro .che i contrasti perderebbero gran parte della lo1 ro sostanza ideologica e si ridurrebbero ad un mero conflitto politico di potenze aventi interessi diversi. In questo caso, infatti, la posizio,ne attuale della Cina sarebbe ad u11 dipresso quella della Russia intorno al 1930. Uno sforzo di buona volontà da parte del paese che alcuni decenni ·prima ha affrontato difficoltà dello ste~so genere, e niente aff~tto ~inori, dovrebbe consentire di ridurre notevolmente le distanze sul piano ideologico. In fondo, la dottrina dell'accerchiamento capitalistico e il rifiuto di professare una dottrina di coesistenza pacifica no·n impedirono alla Russia di quegli anni di attuare la sua ·trasformazione i11 11 Bibliotecaginobianco .

Giuseppe Galasso potenza industriale anche mercè di attivi scambi _economici con le potenze capitalistiche, 11é di allearsi con questa: o quella potenza capitalistica. Ma, d'altra part~, chi si se11tirebbe di affermare che i contrasti russo-cinesi di oggi sono· di natura meramente politica, riguardano solo un conflitto di potenza tra due paesi che già se11tono in moto la mac..: china delle rivendicazioni territo·riali dell'uno a danno dell'altro? L'impressione che quei contrasti abbiano u11a natura più generale e coinvolgano anche - attualmente o pote11zialmente - un complesso di questio-ni di primaria importanza per la definizione della dottrina comu11ista è, invece, anch'essa corrente ed è certamente più giusta. E quando si cerca il fo·ndamento discriminante delle due posizioni in contrasto nel mo,ndo comunista no·n si può fare a meno di pensare che esso è offerto· in maniera prepo11derante e decisiva da un atteggiamento riguardo- ai problemi dell'ind11stria e della società industriale che appare già oggi distinto e destinato ad ulteriori e più radicali differenziazioni. Solo se si co·glie e si comprende bene questo punto è possibile liberarsi dalla suggestio11e di luo1ghi comuni clamorosi, ma infondati, co,me quello· secondo il qt1ale i cinesi sarebbero fat1tori di una corsa suicida alla guerra nucleare: l11ogo comune che la lettura della documentazione ufficiale cinese sulla polemica famosa basta a dissolvere, dimostrando che su questo· punto la politica di quel paese è singolarmente vicina, dall'altra parte della barricata, alla politica che Poster Dulles (peraltro assai più. verbalmente che coi fatti) sostenne per l'Occidente in anni ancora no1 n troppo lontani. Divergenza, dunque, cl1e è già aspro contrasto, sui problemi dell'industria e del1a so·cietà indt1stri0Je. Nella sostanza la Cina è ferma, su questo problema, ai punti che la dottrina comunista - sviluppando secondo le sue proprie esigenze le note tesi marxiane - venne faticosamente fissando nel primo trentennio di questo secolo e che costituirono il corpus icleologico della II Internazionale. La collettivizzazione integrale a tutti i costi, il predo1ninio della quantità sulla qualità, la sottovalutazione o il rifiuto di 01 gni logica economica relativa ai problemi di costo o di finanziamento, un particolare modo di assoggettare l'agricoltura all'industria e la campagna alla città, insieme a molti altri elementi e - so,prattutto e innanzitutto - alla convinta professio·ne di un egalitarismo assolutamente livellatore (tra gli individui, tra i lavo1 ri, tra i ·bisogni e perfino le aspirazioni) caratterizzavano quella dottrina. Al termine di questo sforzo disumano veniva prospettata la società senza classi, preconizzata da Marx, caratterizzata dalla fine dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo• e dalla possibilità di realizzare il massimo sviluppo di cui la personalità umana sia suscettibile. Ma la fisionomia 12 Bibliotecaginobianco

Le due società assunta dalla dottrina nei primi decenni di questo secolo e, soprattutto, le prime fasi della realizzazione di essa mostravano, anche la tendenza verso un governo della società futura riservato ai « filosofi », che la milizia rivoluzionaria e l'ascesi ideolo·gica venivano selezionando . .Così la soluzione finale si pro 1 spettava come più vicina all'utopia platonica che a quella marxiana, lo storicismo radicale si concludeva con un rifiuto della storia e la dialettica della lotta di classe con una lo·gica della assoluta identità del bene con se stesso. L'adesione dei cinesi a questa linea ideologica appare piena e dà ragione a coloro i quali opinarono assai per tempo che una dottrina come qt1ella leninista avrebbe trovato un terreno assai più congeniale ad essa in culture e in civiltà in cui le tradizio,ni di libertà po1 litica e di individualismo, fossero minori. Ma si può ormai dire la stessa cosa per la Russia? Qui già la piattafom1a ideologica di partenza é:ra assai meno omogenea di quanto sembra in Cina e le lotte di potere e di dottrina che si ebbero in Russia fino alla definitiva affermazione della dittatura staliniana furono inco,mparabilmente più intense e sentite di quelle poche di cui si ha notizia dalla Cina da quando il partito comunista vi ha preso il potere. La stessa dittatura staliniana ha operato, per molti versi, come un potente fattore di snaturamento della matrice ideologica originaria e l1a impresso al comunismo realizzato i11 Russia una fisionomia più vicina agli aspetti tradizionali di alcune società europee di quanto• forse il dittatore stesso desiderasse. 111.oltre, l'esperienza ha dimostrato che questo comunismo così realizzato accentt1a e promuove la diversifica- - zione sociale assai più di quanto agli i1uzi si credesse possibile: secondo tutto quel che ne appare la società russa di oggi è, in atto o in potenza, più articolata e con minori radicali opposizioni di blocchi 01nogenei che alla vigilia della rivoluzio,ne. Nonostante tutte le pressio·ni alle quali so1 no state sottoposte, le classi rurali sembrano aver superato il contraccolpo dell'egemo11ia comunista, dimostrandosi alla lunga come un fattore di cui il potere politico ed economico deve fare un conto assai maggio 1 re di quanto sembrava lecito pensare dopo la grande crociata staliniana per la collettivizzazione; e la loro resistenza non appare dovuta a particolari errori di impostazione della politica che mirava a piegarle, come è accaduto in Cina per le « comuni », bensì ad una prova reale e spontanea di vitalità e di forza rispetto al potere dello Stato, sicché il loro ruolo nel processo ~i adattamento e di tra~formazione del comunismo russo sarà per lo storico di domani un problema di primaria importanza. A loro volta, i fattori economici, la logica dei costi e dei profitti, hanno trovato anch'essi, alla lunga, nel modo eome il comunismo è stato realizzato in. Russia, una possibilità di affermarsi 13 Bibliotecaginobianco

Giuseppe Galasso come ulteriori elementi di disgregazione del modulo ideologico originario. E infine, la cultura del mondo· occidentale, apparentemente divisa e incerta, ha tuttavia mostrato una sorprendente capacità di imporre a quella comunista di Russia le ragioni delle sue antiche tradizioni; e già o·ggi si può affermare che essa ha dato assai più di quanto abbia· ricevuto e che essa promette di dare nel futuro ancora più. È solo· se si tiene presente l'insien1e di questi complessi elementi (che non si pretende siano tutti quelli da considerare, ma certo tra i principali) che si può capire la natura profonda e, a quel che appare, irriversibile della svolta che a poco a poco la società russa è. venuta maturando, dopo la rivoluzione, rispetto all'originaria dottrina comunista. Oggi la società russa, si dice, attende che anche per essa scocchi l'ora dell'opulenza; essa la affretta impaziente; adatta la sua ideologia alla bisogna; promette di andare per il futuro. verso, una liberalizzazio,ne, magari sui generis, delle sue istituzioni e della sua vita civile. Tutto questo è esatto o, almeno, è ragionevole pensare che lo sia. Ma tutto questo non è il risultato inevitabile e automatico del processo di industrializzazione attraversato dalla Russia negli ultimi decenni. Neppure in questo caso, si può ritenere che l'attesa opulenza debba fatalmente caratterizzare il secondo o terzo tempo di una rivo1 luzJone industriale. Tutto ciò è, invece, il frutto di ·un più lungo e sostanziale processo, è la nota originale della storia russa co,ntemporanea. La società russa - tale appare per ora il senso del. processo in corso - si va dimostrando alla lunga più forte della volontà politica co,munista di trasformazio 1ne ìntegrale; essa subisce la pressione del potere politico, si lascia plasmare per più versi, ma nello stesso tempo reagisce, impone certe sue tradizio,ni e certe sue preferenze, dimostra una volta di più che nella storia nessun demiurgo (uomo o chiesa o partito) può pretendere di dettare una sua legge totale. Ed è qui anche il_ clou della polemica con la Cina, non sulla necessità o auspicabilità dell'olocausto nucleare. L'ortodossia cinese - anche se il comunismo di osservanza moscovita preferisce chiudere gli occhi dinanzi alla realtà - non concerne in primo luogo le relazioni con le potenze capitaliste, bensì precisamente il tipo di società comunista da realizzare. I cinesi - e nelle cose che li riguardano essi sono proba- . bilmente i giudici miglio,ri - ritengo·no· più utile, oltre che possibile, l'instaurazione di una società comunista secondo. la fisiono·mia originaria della dottrina; e vedono (non tanto nelle relazioni che essa tende ad avviare col mondo capitalistico·, quanto nella fj.sionomia che essa tende ad assumere) un chiaro fenomeno di re-imborghesimento e, se è lecito dir. così, di ri-occidentalizzazione della società russa. E se 14 Bibliotecaginobianco

Le due società essi annettono tanta importanza alla lotta contro lo scisma jugoslavo, non è perché abbiano una particolare considerazione della forza di espansione e di influenza del corp.unismo adriatico, bensì perché vedono in esso il paradigma dell'involuzione comunista, 1a prova del risultato I a cui conduce la cedevolezza dinanzi ai miti borghesi dell'individualismo e dell'o,pulenza. Gli sviluppi più recenti del pensiero comunista nei paesi europei danno, del resto, ragione ad essi. Si è potuto di recente leggere nei maggiori giornali europei il resoconto di quanto ad esempio viene sostenuto in un'opera dell'economista polacco Stefano Kurowski. Il comunismo - sostiene Kuro,wski - ha ben poco· a che vedere con lo sviluppo economico, fondato dappertutto sull' « unità tecnica del mondo»; « non diversamente da quello socialista, anche il sistema capitalistico tende verso il progresso tecnico »; co11frontando lo sviluppo dell'industria siderurgica~ negli U.S.A., negli U.R.S.S. e in Giappone, si ritrovano curve analoghe; i tassi di sviluppo sono· tanto più elevati quanto più basso è il livello della produzione pro capite; e, finalmente, « la tendenza sovietica allo sviluppo è una semplice continuazione della tendenza prerivoluzionaria ». Di conseguenza, la superiorità del comunismo sul capitalismo può concepirsi solo dal punto di vista politico e sociale, non dal punto di vista dell'economia. Un discorso di questo genere - che certo non viene ancora accettato, ma può già essére fatto in un paese comunista d'Europ,a - deve apparire agli occhi dei comunisti cinesi come il segno evidente di una completa inversione ideologica e politica. Essi non potrebbero mai conce- -dere che economia capitalistica ed economia socialista possano, produrre ad un dipresso i medesimi effetti per tutto ciò .che concerne la tecnica e lo sviluppo. Una volta concesso ciò, il passo ulteriore (anche un regime politico e sociale ispirato ad un riformismo democratico può avere gli stessi effetti rinnovatori di un regime comunista) diventa questione di tempo o di coerenza o di possibilità. E così il contrasto russocinese, pur tanto fomentato e aggravato da divergenze d1 tattica politica, da conflitti territoriali e di potenza, da diversità di interessi economici e da opposizioni di carattere nazionale e razziale, non smarrisce, e non può - allo stato dei fatti - smarrire, la sua ben precisa ed evidente radice ideologica e culturale, o, come sarebbe meglio dire, etico-politica_ III A suo modo, e nelle forme ad esso consentite dalle sue condizioni storiche e politiche, il mondo comunista ha, dunque, affrontato a fondo il problema delle scelte che alla società industriale s1 prospettano nel 15 Bibliotecaginobianco

Giuseppe Galasso momento in cui essa perviene, o è alla vigilia di pervenire, alla maturità. La reticenza degli interlocutori e la frequente oscurità del discorso non devono ingannare sulla sostanza del problema e sulla serietà di esso. Che lo stesso problema, in forme ovviamente diverse, sia stato posto anche nel mondo occidentale è, d'altronde, una nuova prova della pratica inevitabilità della discussior1e nella civiltà co1 ntempora11ea; ed è, forse, proprio questa inevitabilità a suggerire la diffusa, .ma infondata, convinzione che la società industriale attraversi ovunque le stesse fasi e si tro,vi ovunque di fronte agli stessi problemi. In realtà, a differenziare in ogni caso le situazioni singole fra loro,, interverranno i termini diversi in cui il medesimo problerr1a si pone qua e là. E di problemi di cui siano diversi i termini si potrà dire, veramente, che sono gli stessi? Nel mondo occidentale il proble1na che alla vigilia o all'indomani dell'avvento di una società opulenta sembra far premio su tutti gli altri è certamente il problema della pianificazione, che assai spesso ci si illude di evitare ricorrendo ad altri termini o a ·perifrasi: programmazione, economia co·ncertata, economia coordinata etc. Nel mondo comunista, invece, il problema è, nelle stesse circostanze, quello, delle relazioni tra politica ed economia. Sembrerebbe che, in fo,ndo, una grande differenza non ci sia. In realtà, la differenza è profo·nda e riflette, ovviamente, la grande disparità di situazioni che noi sintetizziamo nell'antitesi tra mondo occidentale e mondo comunista. Il problema occidentale della pianificazione o di un qualsiasi sforzo di coordinamento tra le iniziative economiche possibili o in atto è un problema, essenzialmente, di razioinalizzazione, di efficienza, di opportunità politica e sociale. Ciò - beninteso - non lo rende affatto meno grave, ma ne circoscrive piuttosto rigorosamente i termini. Si tratta di un problema che, o,ve non interferiscano fattori esterni ed eccezionali, può maturare ~entamente all'interno di un determinato sistema economico e politico-sociale; subire soluzioni diversissime, più o meno estese, più o-meno definitive, più o meno organicl1e; e, in ultima analisi, subire la logica del sistema nel quale esso nasce e dal quale mutua i suoi termini, anche se il sistema stesso debba subire i11novazioni, modifiche e sviluppi d'ogni genere, e magari di grande rilievo, in seguito all'adozione di una qualsiasi tecnica di pianificazione. Ben diverso risulta, invece, nel mo·mento in cui si pone, il problema comunista dei rapporti tra politica ed economia, perché qui non è in gioco questa o quella articolazione del sistema, bensì il sistema stesso nel suo presupposto che il superamento della società capitalistica implichi un parallelo superamento di ogni conflitto tra i modelli 16 Bibliotecaginobianco

Le due società razionali e il concreto comportamento economico e sociale. Nella società comunista ciò co1 ntrassegna la paradossale scoperta che esiste una logica economica indipendente da quella politica; e che esistono remore sociali eh~ si frappongo,no all'azione del politico e determinano corsi spontanei e impreveduti dello sviluppo sociale. Si scopre alla fine che non è l'avvento dell'industria ad imporre alla società russa determinati moduli di comportamento e di sviluppo, ma è piuttosto la società russa ad atteggiare la società industriale secondo i suoi fini e le sue esigenze particolari; così come già si scoprl che non era la collettivizzazione a modellare e a determinare il inondo rurale russo, ma era questo mondo rurale a determinare, pur recependo la collettivizzazione e adattandovisi, la fisionomia dell'agricoltt1ra russa. Questa diversità di problen1i, sotto un'apparenza che è talvolta, esternamente, simile o eguale, 11.ondev~ sorprendere e deve anzi costituire un canone di interpretazione. Lo si vede ancor meglio se ci si rivolge ad altri problemi. IV Le complesse esigenze dalle quali nasce lo stimolo alla pianificazione (o ad una qualsiasi forma di coordinamento e di selezio·ni fra le varie possibili scelte economiche) nelle società di tipo occidentali si possono considerare ormai sufficientemente chiarite. A nostro avviso, esse sono assai bene illustrate - ad esempio• - nelle o·pere di Galbraith, nonostante le critiche e le obiezioni sollevate contro questo autore, e sono assai bene sintetizzate nelle frasi conclusive di The affluent society, che anche perciò vale la pena di ricordare e rileggere: « Le nostre speranze di sopravvivenza, di sicurezza e di soddisfazione, dipendono dalla soluzione che avremo dato al problema della destinazione delle risorse a favore dei bisogni più urgenti. Ammobiliare una camera vuota è una cosa, continuare ad accatastare mobili fino alle cantine è un'altra. Se l'uomo non fosse riuscito a risolvere il problema della produzione, egli sarebbe rimasto in quelle dolorose co,ndizioni di miseria che sono il retaggio più inveterato dell'umanità. Ma se egli non si accorgesse di aver risolto tale problema, e quindi non si rivolgesse al prossimo compito che l'attende, si troverebbe di fronte ad un altrettanto tragico destino». Non ci sembra perciò il caso di insistere su questo punto. Ma: è possibile una pianificazione democratica? e quali sono gli elementi e le caratteristiche per cui essa si distinguerebbe da quella autoritaria e totalitaria che è in vigore nei paesi retti a regime comunista? Benin17 Bibliotecaginobianco

• Giuseppe <Ja_lasso teso, no·n si vuole, con questi interrogativi, affrontare il lato tecnicoeconomico del problema, che ·è una questione di · economia ap•plicata da rimettere alla competenza e alle discussioni degli specialisti, bensì soltanto il lato politico e sociale. Ciò precisato, ci sembra che almeno da due punti di vista, nonostante le o-biettive difficoltà offerte dal problema, un mo-dulo della pianificazione democratica si possa prospettare, almeno come presupposto di ulteriori, più particolareggiate definizio·ni. Il primo punto di vista concerne il metodo della pia11ificazio·ne. Comunque la si voglia intendere, la pianificazione si risolve sempre in una azione di coordinamento delle attività pro·duttive, e in genere di tutti i setto,ri della vita economica, in vista di fini che solitamente, pur partendo 1 da considerazioni di mera economicità, attengono tuttavia a complesse esigenze di equilibrio o di sviluppo della vita e della coscienza sociale. Il carattere differenziale di un'azione pianificatrice nasce, invece, dalla eventuale presenza di pregiudiziali dottrinarie. Si vuol dare attuazio•ne ad un determinato vangelo di palingenesi politica o sociale? si esibisce una qualsiasi formula o teoria come interpretazione e soluzione dei problemi · sociali del te1npo nostro e di quello futuro? In caso affermativo l'azione pianificatrice riuscirà sicuramente totalitaria e dogmatica; presupporrà o avrà per involo)J.taria co11seguenza una rivoluzio·ne violenta ed una dittatura; aspirerà ad essere definitiva e a non consentire possibilità di ripiego e di revisione. La pianificazione democratica dev'essere, al contrario, tutta empirica e· sperimentale; i dati che ne formano oggetto debbono essere il frutto dell'analisi concreta e attuale, di ordine socio-economico e politico, di una particolare realtà; la possibilità di ripieghi e di revisioni deve rimanere sempre aperta; risolti alcuni problemi o falliti alcuni tentativi, si passa del tutto naturalmente ad altri tipi di soluzioni. Insomma, la pianificazione, anche la più ampia possibile, rimane - se è democratica - una tec~ica che può essere ottima in alcuni periodi o in alcuni settori e può, invece, essere assai meno efficace in altri periodi o in altri settori; non si risolve mai in 11na istituzione che contraddistingua i11 via di principio la prassi e le articolazioni del regime. Rispetto ad essa l'atteggiamento e la posizione dell'uomo politico democratico non sono né di natura classista né di natura interclassista (il che significherebbe poi o un classismo di tipo particolare o una concezione meccanica e poco politicizzata dei problemi sociali); ma sono piuttosto l'atteggiamento e la posizio11e di chi aspira al tipo di mediazione politica proprio di una classe dirigente che sappia essere classe generale, nell'ambito di una società che abbia,,. maturato determinati problemi .ed espress.o le forze politiche e sociali necessarie ad affron18 Bibliotecaginobianco

Le due società tarli. E, come è ovvio, nel caso di una classe dirigente democratica il tipo di mediazione politica resta definito in senso positivo solo se riescono fecondamente congiunte la vitalità e la robustezza delle libere I istitµ.zioni e la sensibilità e la devozione all'interesse generale con la larga partecipazione popolare alla vita pubblica e con la diffusione del benessere e della coscienza civile consentita da una libera so·cietà moderna. La pianificazione democratica - sembrerebbe, dunque, di poter concludere - è caratterizzata, da un lato, dall'assenza di spirito dottrinario e, dall'altro·, dal tipo di mediazione politica proprio della classe dirigente che se ne fa portatrice. Il seco1 ndo punto· di vista concerne i fini della pianificazione. Dopo quanto si è detto è chiaro che i fini di una pianificazione democratica non possono che essere dedotti in relazione alle contraddizioni e alle tensioni di una società determinata in' una determinata congiuntura storica. Altra sarebbe la questione se principale intento del pianificatore fosse quello di un livellamento delle condizioni tale da costituire una rapida e facile scorciatoia verso l'instaurazione della « eguaglianza » o della « giustizia » sociale. È perfettamente inutile sottolineare quale elementare e poco attraente concezione della giustizia e dell'eguaglianza sia quella che può stare dietro ad obiettivi di tal genere, che pure esprimono lo spirito dominante in ·molti ambienti, tanto ostili come favorevoli alle iniziative pianificatrici. Nel caso di una pianificazione democratica, ridimensionamenti ed equilibri della struttura sociale sono tutt'altro che assenti dal quadro dei fini ai quali l'azione pianificatrice viene ordinata, ed anzi vi stanno o vi possono stare in primissimo piano; ma essi non sono un prius rispetto ad un più complesso sforzo dì potenziamento e di sviluppo dì tutta la vita sociale, non sono, un obiettivo isolato e fine a se stesso: sono invece - piuttosto - il frutto spontaneo di un generale ammodernamento, di una generale elevazio11e della vita sociale. L'equilibrio che così si ottiene non nasce dal livellamento e dalla soppressione delle differenze, che sarebbe obiettivamente opera di impoverimento e di deterioramento del tessuto sociale; nasce, invece, dalla moltiplicazione e dalla differenziazione qu~nto più possibile spinte dei gradi intermedi su un pia110 assai più elevato sia dal punto di vista tecnico-economico che dal punto di vista etico-politico. Le spac-- cature frontali e le poche rigide articolazioni di una società arretrata e dominata dal privilegio dovrebbero essere egualmente lontane da una società de1nocratica che l'indistinto grigiore di una società piattamente e conformisticamente egalitaria. 19 Bibliqtecaginobianco

Giuseppe Galasso V Alcune esperienze certa1nente n.on tutte felici, ma ancor più certamente di straordinario rilievo e importanza - anglosassoni e scan- .d. inave hanno mostrato nella pratica la possibilità di inserire il meto,do e l'azione pianificatrice, in misura più o meno larga, nel contesto di una società democratica; e anche perciò, oltre che per le deduzioni precedentemente svolte, un'ulteriore verifica teorica di tale possibilità non è necessaria. È vero, tuttavia, che la prassi pianificatrice è destinata fatalmente a corrompere la fisionomia delle società occidentali fino ad annullare la maggior parte dei caratteri che finora le distinguono dalle società comuniste? Ed è lecito, d'altra parte, attendersi che un processo inverso, in dipendenza dallo sviluppo industriale, porti le società comuniste a rassomigliare sempre più alle società occidentali, di mo·do che si possa già ora ipotizzare una società del futuro virtuosamente lontana dalla rigida fisionomia attuale dell'uno e dell'altro sistema? Quest~ modo di vedere e di prospettare le cose non è necessariamente semplicistico, sebbene sia fortemente tinto di una fiducia nelle facili e spontanee armonizzazioni del corso storico da c_ui sarà prudente tenersi quanto più possibile lontani. Nel caso specifico quel che appare più dubbio è che l'adozione di una medesima tecnica o di una tecnica affine di organizzazione dei· fatti economici possa determinare un simultaneo ravvicinamento· di tutti gli altri elementi istituzionali e genetici da cui un organismo sociale risulta. La sperequazione tra la causa supposta e gli effetti sembra chiara. Ma ancor meno convincente e più insidioso appare il presupposto economicistico che sta dietro l'argomentazione e che è doppiamente deterministico : in quanto suppone una determinazione della vita associata da parte dell'organizzazione economica della società e in quanto suppone che lo svolgimento di tale organizzazione possa essere determinato a priori. L'esperienza insegi1a, invece, e precisamente nel caso del massimo sforzo di riorganizzazione economica di una società tentato nel mondo contemporaneo, ossia in Russia, che la profonda dinamica della vita sociale possiede tanta forza da poter assimilare e modellare su se stessa e sulle proprie esigenze anche uno sforzo di tale ampiezza e intensità. E quello che si dice del fattore economico si potrebbe dire, naturalmente, di ogni altro fattore della vita associata, all'esaltazione del quale si volesse sacrificare la complessa codeterminazione dei più vari fattori donde quella vita ---trae le sue ragioni e deriva la sua fisionomia. No-n bisogna di1nenticare che, come si è detto, 20 Bibliotecaginobianco

Le due società non è lo sviluppo economico a porre la so-cietà comunista russa dinanzi a certi problemi, non è la problematica di un'astratta e ipotetica società industriale a determinare i problemi concreti e molteplici della società comunista di oggi; ma è invece proprio il complesso sviluppo della società russa a porre dinanzi ad essa determinati problemi di sviluppo - economico e a dare concretezza e realtà ai problemi di quella determinata società industriale. E queste affermazioni possono,, certo, essere rovesciate per espediente didascalico, o per artificio dialettico, ma la loro validità permane, e ritorna ogni volta che ci si voglia dar conto in maniera ampia e concreta deì fenomeni di fronte ai quali ci troiViamo, perché solo sulla loro base è possibile sfuggire alle sollecitazio-ni di una modellistica storica e sociale, i cui schemi, dedotti da indebite e generiche generalizzazioni, sono poi puntualmente smentite dallo sviluppo reale. Reciprocamente, non sono lo sviluppo economico e l'avvento della società opulenta a determinare i problemi concreti delle società industriali dell'Occidente, ma è precisamente il modo- come queste società hanno- vissuto il loro sviluppo economico· a prospettare ad esse in un determinato contesto i problemi della società opulenta. Se ci si deve attenere all'organizzazione della vita economica e alla correlativa dinamica sociale, le differenze tra le società industriali dell'Occidente e la società industriale comunista quale oggi appare i11 Russia sembrerebbero destinate piuttosto ad accrescersi che a ridursi. La formazione di nuovi ceti, l'accresciuta mobilità sociale, la reintroduzione di criteri e di pratiche « capitalistici », tutto ciò che, insomma, r0mpe e modifica il modello e le aspirazioni comunistiche sotto la spinta di un giovane ed esuberante società russa, sembra andare piuttosto nel senso di una vita sociale imprevedibilmente e complessamente organizzata; mentre la diffusione della proprietà e dell'azione pubblica nella vita eco-nomica della società occidentale non sembra destinata a modificare il fondamento individualistico di una tradizione ormai retta da molti secoli di sto.ria. Borghesia e capitalismo, proletariato e collettivismo appaiono come alternative sempre meno in grado di esaurire l'originalità e la molteplicità di cui lo sviluppo sociale in Occidente e nel mondo comunista ha fatto e fa prova. Bene ha fatto· perciò Aron, nel libro già citato, a ricordare che la maggior parte delle ideologie pol_itiche e sociali a cui quelle alternative si riportano risale alla metà del secolo scorso e per questo solo fatto qùelle ideologie meriterebbero di essere profondamente rivedute e ripensate e di essere, ogni volta che fosse necessario, abbandonate, prima di essere incautamente usate a profetizzare il futuro oltre che ad interpretare il passato·. Quelle alternative sono esse stesse il frutto di possibilità che in determinati 21 Biblio.tecaginobianco

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