Nord e Sud - anno X - n. 40 - aprile 1963

.. Rivista mensile diretta da Francesco Compagna La Redazione, L'Eitropa tra De Gaulle e Kenr1cdy - Clemente Maglietta, L'i1zsidiadella "qualifica,, - Rosellina Balbi, Politique jamais - Antonio Carbonaro, Il ruolo del sociologo - Calogero Muscarà, Venezia tra laguna e terraferma. e scritti di Francesco Coscia, Gerolamo Cotro1;eo, Cesare De Seta, Augusto Graziani, Mario Pacelli, Renato Perrone Capano, Rocco Palestra, Giuseppe Sacco. ANNO X - NUOVA SERIE - APR.ILE 1963 - N. 40 (ror) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Bibliotecaginobianco

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NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO X - APRILE 1963 - N. 40 (101) DIREZIONE E REDAZIONE: Napo 1 i - Via dei Mille, 47 - Telef. 393.346 - 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - Napo I i - Telef. 393.346 - 393.347 Una copia L. 400 - Estero L. 500 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 4.000, semestrale L. 2.200 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via dei Mille 47, Napoli .. -Bibl.iotecaginobianco

SOMMARIO Editoriale [3 J La Redazio11e L'Europa tra De Gaulle e Kennedy [6] Clemente Maglietta Rocco Palestra Mario Pacelli Rosellina Balbi Giuseppe Sacco .Note della Redazione Le liste delle destre e della D.C. - Le liste di sinistra - Le candidature per il Senato [ 42] Giornale a più voci L'i11sidia della « qualifica » [ 47] Rimboschimenti, speri1nentazioni, enti locali [49] Piani regolatori e aree fabbricabili I 53 J Il « nianif es to del sesso » [ 58] Sttldenti a Parigi [ 61] Paesi e città Calogero Muscarà V ene zia fra laguna e terraferma [ 66] Giornali e riviste Rosellina Balbi Politiqite jamais [93] Antonio Carbonaro Augusto Graziani Girolamo Cotroneo R. Perrone Capano Cesare De Seta Recensioni Il ritolo del sociologo [ 103] La Grecia e la «strategia» dello sviluppo [108] I filosofi e le rnacchine [ 111] I_je « norzimestri catacombe » della « città libera» [116] Uomo, comitnità, urbanistica [121] .Lettere al Direttore Francesco Coscia « Piano Verde»~ NJezzogiorrzo [127] Bibliotecagino~ianco.

Editoriale Il dizionario della lotta politica in Italia può già contare su un'altra formula: il centro-sinistra « pulito ». È un'immagine che richiama alla mente una scritta che fa bella mostra di sé su alcuni locali della Svizzera puritana: Alkoolfrei, liberi, verrebbe voglia di tradurre, dall'infamia dell'alcool! Il centro-sinistra pulito sarebbe un governo aperto a sinistra ma piLro dall'infamia dei voti socialisti: tutto l'arcaismo e la subdola ma sprovveduta astuzia dei nostri conservatori è in questa singolare escogitazione, che non pare trovare alcun riscontro nelle realtà politiche attuali. E in essa v'è, altresì, tutta la nostalgia centrista che occupa l'animo e la mente di questi conservatori, i quali, manco a dirlo, furono avversi al centrismo quando esso era una formula politica dinamica, e ne divennero ostinati sostenitori da quando l'involuzione liberale la ridusse ad una stanca prassi immobilistica. È fin troppo evidente, infatti, il gioco che si nasconde dietro l'improvvisa conversione ad una politica sociale di quei giornali che avversarono con protervo estremismo l'attuale governo di centro-sinistra: togliere all'apertura a sinistra la punta socialista, per degradarla lentamente anch'essa ad una logorante pratica amministrativa. - Su che cosa contino codesti i1-1ventori e sostenitori del centrosinistra « pulito » è allo stato dei fatti alquanto difficile dire. Sulla Democrazia Cristiana, o meglio sulla pressione della destra democristiana e dei dorotei? Ma è facile osservare che la destra democristiana non è il partito, non è la direzione della DC, non è l'on. Moro. Il quale on. Moro, per parte sua, nel discorso di apertura della campagna elettorale a Roma, pur con le cautele che gli si conoscono, ha ribadita la prospettiva di sviluppo politico uscita dal congresso di Napoli ed espressa nel governo Fanfani. J\Ja la cosa più importante da tener presente per quel che riguarda la DC è un'altra: l'attuale ceto dirigente democristiano impegnato nella politica che l'on. J\1.oro,come s'è appena detto, ha confermato a Roma, non ha alcun interesse ad insistere in questa politica senza i socialisti, perché finirebbe con l'avere, dal punto di vista del mero calcolo di partito, tutti i danni dell'operazione, senza il vantaggio dell'isolamento comunista. E questo sarebbe veramente un singolare calcolo per chi ha a cuore, per destinazione del suo ufficio, co1n'è il caso dell' on. Moro, le fortune del partito. D'altra 3 Bibl.iotecaginobianco

Editoriale parte, resta da provare che, come sogna la destra, i partners naturali di questo centro sinistra « pulito », ossia i repubblicani ed i socialdemocratici sarebbero più arrendevoli in assenza dei .socialisti: la logica politica dovrebbe far supporre, invece, che, qualora fossero disposti, ac!, accettare una simile transazione, repubblicani e socialdemocratici aumenterebbero il loro prezzo invece di diminuirlo! E qui tocchiamo il fondo del problema. L'asso che il conservatorismo italiano crede di tenere nella manica è la socialdemocrazia: di qui le blandizie all'on. Saragat ed al suo partito e l'improvviso interesse alle fortune elettorali del PSDI e lo scoperto appoggio che viene fornito a questo insieme al partito liberale. È la scomniessa sulle mezze ali. Pure a noi sembra che sia una scommessa avventurosa, che muove da un'interpretazione affatto erronea della politica socialdemocratica e dal rilancio elettorale che l'on. Saragat sta facendo del suo partito. « Il PSDI - ha detto esplicitan1ente Saragat a Latina - pone la candidatura ad un suo maggiore peso nella vita del paese, non già per escludere dalla futura maggioranza forze che si orientano verso la democrazia, ma, al contrario, per incoraggiarle a proseguire la marcia nella direzione giusta e per fissarle, in modo definitivo, ad un impegno di solidarietà, tanto nella politica interna, quanto nella politica estera »." Da queste parole si deduce non solo e non tanto che la socialdemocrazia non è disponibile per il centro-sinistra «pulito», ma anche che la politica dell'on~ Saragat ha assai più aria di quanto non sospettino i nostri conservatori.· , Quando costoro pensano cl1e Saragat voglia più voti per riuscire da. solo là dove oggi c'è bisogno anche dei voti socialisti, essi immeschiniscono una politica assai più ambiziosa, ragionano come ragionavano quei socialisti che dieci o dodici anni fa non comprendevano la politica di regime democratico della socialdemocrazia e la -riducevano a questione di « poltrone » n1inisteriali. In realtà la politica dell'on. Saragat mira fin d'ora a costituire un nuovo equilibrio di forze politiche in Italia, un equilibrio che prevede a scadenza non troppo lontana la formazione di una grande forza socialista e democratica, laburista, riel nostro paese, e che a scadenza più lontana, riassorbendosi le escrescenze di destra e ridimensionandosi il Partito Comunista, possa costituire una reale alternativa democratica. Come si vede è una politica assai più ambiziosa di quanto sospettino i conservatori, che anticipa e insieme sconta alcuni mutamenti di fondo della società italiana e le conseguenze che tali mutamenti avranno sulle forze politiche del paese; è, se si vuole misurarla col bilancino della miopia, tipico della destra, una politica troppo tesa verso l'avvenire, ma non è certo una politica a breve scadenza. E muovendo da tali premesse, 4 Bibliotecaginobianco.

Editoriale se v'è una logica nelle cose politicl1e ( e noi crediamo fermamente che vi sia), questa logica esclude il diseg110 conservatore, cancella e non può non cancellare il centro-sinistra « pulito ». Il successo della politica di cui l'on. Saragat ha disegnato le prospettive generali, non passa soltanto attraverso il rafforzamento elettorale della socialdemocrazia, ma anche ed anzi soprattutto attraverso l'approfondimento dell'esperienza del centro-sinistra fino al governo coi socialisti. Qz-lesto processo di approfondimento è la premessa necessaria ed indispensabile al movimento socialista democratico ed unitario, al gra,zde disegno laburista che l'on. Saragat sembra avere in mente. È per questa ragione che la socialde,nocrazia non può (a meno di non voler essere scavalcata dai repubblicani e forse anche da certe correnti democristiane, e soprattutto a meno di non voler degradare la sua stessa politica fino ad una sorta di suicidio) essere disponibile per un piano così miserevole qual' è quello del centro-sinistra « pillito »; è per questa ragione che la scommessa dei conservatori dovrebbe essere già perduta. 5 Bibliotecaginobianco

L'Europa tra De Gaulle e Kennedy a cura della Redazione L'attuale situazione internazionale è delle più confuse e contraddittorie di questo dopoguerra; e sarebbe alquanto avventuroso affermare che il dibattito intorno ad essa è stato ed è sempre, o anche soltanto il più spesso, un dibattito chiarificatore delle reali dimensioni dei problemi. Gli avvenimenti si sono susseguiti e quasi inseguiti con una rapidità a cui no•n eravamo più abituati dagli anni tra il '47 ed il '50. Gravissima tensione nei Caraibi, incontro anglo-americano alle Bahamas e conseguente crisi di ridimensionamento della potenza nt1cleare inglese, rifiuto francese di partecipare a quella sorta di direttorio a tre dell'alleanza atlantica di cui in questo stesso incontro delle Bahamas· s'era tentato di gettare le basi, radicale opposizione della Francia all'ingresso della Gran Bretagna nel MEC con lo strascic.o di gravi polemiche tra i paesi del Mercato Comune, accordo franco-tedesco di Parigi, aggressione cinese all'India, incrinature e minacce di frattura nel sistema sovietico e soprattutto tra la Russia e la· Cina: tutto ciò ha profondamente alterato i dati della situazione quali si presentavano, anche ai più attenti osservatori, agli inizii di ottobre dell'anno scorso. E, d'altra parte, il profilarsi di una crisi delle più gravi che mai vi siano state nell'alleanza occidentale, lo scontro di strategie politiche . e militari contrapposte all'interno di questa medesima alleanza, la molteplicità dei fini a volte tra loro contraddittorii perseguiti dai maggiori paesi occidentali ed il sovrapporsi di esigenze di rinnova1nento dell'assetto internazionale e di giustificate apprensioni per la difesa dei regimi democratici sul vecchio continente dall'insidia autoritaria, non hanno giovato affatto alla chiarezza ed anzi hanno, se possibile, accresciuto ulteriormente la confusione. Talché ci sembra che la prima cosa da fare sia quella di avviare una pacata chiarificazione dei temi maggiori del dibattito, poiché solo da essa può derivare qualche luce sull'azione migliore che la sinistra democratica ed europeista italiana può svolgere nell'attuale congiuntura internazionale ed interna. Non v'è dubbio che il punto di partenza forzato per ogni discorso sulla situazione internazionale e sulle prospettive d'azione della sinistra democratica ed europeista resta la sfida di De Gaulle. E vorremmo 6 Bibliotecaginobianco.

L'Europa tra De Gaulle e Kennedy avvertire qui che non ci sembra che i pericoli impliciti in questa sfida siano stati misurati nella loro reale portata non solo e non tanto da parte di quella destra italiana sui cui veri scopi si è detto nel numero scorso di « Nord e Sud », ma anche ed anzi soprattutto da parte della stessa opinione di sinistra de1nocratica, che è l'avversario 11aturale dei disegni gollisti. I rischi che derivano non solo alle nostre aspirazioni di europeisti e di federalisti, ma all'Europa stessa da questi disegni sono assai maggiori di quanto di solito non si creda, proprio perché la politica di De Gaulle non è assimilabile a quella dei Mussolini o degli Hitler o dei Franco né sul piano interno né su quello internazionale. Il regime che il generale-presidente tenta di imporre al suo paese non è un regime totalitario nel senso tradizionale del termine, ma è un autoritarismo conservatore ed innovatore insieme, che fa tesoro di alcune insufficienze della repubblica parlamentare di tipo tradizionale e che si pone i problemi dei nuovi compiti di direzione dello stato e dell'esigenza di stabilità ed efficienza dei supremi organi direttivi dello stato stesso nelle società complesse del nostro secolo; è un autoritarismo che ha al suo servizio una delle classi amministratrici più efficienti e preparate e moderne di tutta l'Europa, che ha compreso come la linea divisoria tra tecnocrazia e politica sia divenuta nel secolo ventesimo assai più fluida di quanto non fosse in passato e che cerca di prevalersi di questi dati di fatto che lo favoriscono nel momento in cui le opposizioni appaiono disordinate ed incerte. Esso perciò non distrugge e non ha bisogno di distruggere tutte le libertà, . ma soltanto illanguidisce e depotenzia il sistema della de1nocrazia politica svirilizzando le forze di contestazione al suo interno; non ha bisogno di cancellare completamente il sistema dei diritti civili, ma può limitarsi a rendere sempre più difficile la formazione e la circolazione della classe dirigente politica propriamente detta senza porre in pericolo quel complesso di minuti privilegi individt1ali che i francesi usano chiamare le loro « petites libertés ». Per tutto questo, combattere il gollismo come fosse puramente e semplicemente una variante del fascismo equivale a fallire il bersaglio, come hanno potuto constatare a loro spese le forze della sinistra democratica francese. Ed un analogo ragionamento può e deve essere fatto, come vedremo subito, anche per quel che riguarda la politica estera. Com'è noto, le assunzioni fondamentali di tutta la nuova strategia politica e militare gollista consistono in una sfiducia abbastanza profonda e sincera nella credibilità della ritorsione atomica americana come risposta ad un attacco anche soltanto convenzionale contro l'Et1ropa ed in una valutazione dell'attuale rapporto di forze nel mondo e delle 7 Bibliotecaginobianco

La Redazione prospettive di nuova azione concreta che le modifiche intervenute in tale rapporto sembrano schiudere per quei paesi dell'Europa continentale, che hanno superato la miseria del dopogt1erra ed hanno conosciuto negli ultimi anni una spettacolare crescita economica. Da entrambe queste assunzioni la Francia gollista ha dedotto con rigore· cartesiano la necessità di un armamento nucleare nazionale come il solo mezzo atto a restaurare la credibilità di una ritorsio11e atomica in conseguenza di un attacco sovietico sul vecchio continente; e insieme come lo strumento necessario per sfruttare pienamente le nuove possibilità di azione internazionale della Francia stessa. E qui conyiene affrontare brevemente agli aspetti puramente militari del problema della farce de frappe francese, poiché 11na loro considerazione non è irrilevante ai fini della nostra analisi. Si è detto più volte che la forza nucleare di cui sarà dotata la Francia è quasi ridicola: e in effetti, se è vero che non bisogna sottovalutare la tecnologia francese che è tra le più avanzate d'Europa, che non bisogna dimenticare che se l'accordo Bonn-Parigi si consolida i francesi potranno contare quasi certamente sulla collaborazione tecnica e finanziaria tedesca, che i medesimi francesi hanno già prodotto un prototipo di missile medio e che, finalmente, la Francia è di tutti i paesi del MEC il solo ad avere in costruzione uno stabilimento cosiddetto di separazione isotopica, ossia per la produzione di uranio forten1e11te arricchito, il quale le dovrebbe consentire per il 1966 di avere a sua disposizione una notevole quantità di uranio arricchito al novanta per cento o più (per le bombe H) e parecchio tempo prima quello arricchito al venti per cento (che è, a quel che sembra, il livello di arricchimento necessario pei sottomarini atomici: attualmente Parigi possiede una piccola quantità di uranio arricchito al venti per cento cedutole dagli Stati lJniti, ma, per gli accordi di cessione, non può sperimentare cl1e su terra i reattori che adoperano questo tipo di uranio); se è vero tutto ciò, è vero anche che la forza atomica francese, che dovrebbe essere pronta per la fine del '63 o la metà del '64, consisterebbe soltanto di un centinaio di bombe A di potenza tripla di quella di Hiroshima (e, dunque, siamo ancora loJntanissimi da un solo megatone), trasportate dai Mirages IV, sul cui numero non si hanno cifre sicure, ma di cui è certo che hanno bisogno di essere riforniti in volo dai 10 CK-135 americani, cl1e sarebbero, tuttavia, già stati acquistati (tre?) negli Stati Uniti; ed è vero, altresì, che solo tra il 1968 ed il 1970 Parigi dovrebbe avere pronti da uno a tre (anche qui le cifre sono incerte) sottomarini atomici armati di missili con testate nucleari. Ora, quando si paragona questo arsenale atomico francese non solo e no11 tanto alle quaranta-cinquantamila 8 Bibliotecaginobianco.

.. L'Europa tra De Gaulle e Kennedy testate nucleari americane, ma anche ed anzi soprattutto al complesso apparato nucleare difensivo ed offensivo degli Stati Uniti, viene spontaneo il sorriso. Né ha gran valore ciò che è stato affermato da molti, che, cioè, De Gaulle tenderebbe a creare un detonatore del sistema nucleare americano piuttosto che un sistema nucleare in proprio: come si è osservato in questa stessa rivista ( « Nord e Sud», settembre 1962), il detonatore francese non elimina la scommessa sull'intervento degli Stati Uniti, ma soltanto la sposta nel tempo e, semmai, la rende più aleatoria. Se, per ipotesi, la Francia fosse attaccata con armi convenzionali e replicasse con le armi aton1iche e gli attaccanti, a loro volta, rispondessero con armi nucleari a questa replica, distruggendo Strasburgo e Parigi, come si p11ò supporre un intervento americano che mettesse a repentaglio Detroit, New York e Cl1icago quando, per così, dire, i buoi fossero già scappati? È più probabile che gli americani rischino la distruzione delle loro città prima che siano state distrutte le città europee che dopo! Del resto, lo stesso generale Gallois, che passa per la più forte testa strategica francese della guerra nucleare e per uno dei più ascoltati consiglieri dell'Eliseo in questa materia, ha respinto la cosiddetta teoria del detonatore: « non è sicuro - si legge nel suo libro Stratégie de l'age nu.cléaire - che il piccolo arsenale atomico dei popoli meno ricchi possa effettivamente adempiere al ruolo di una miccia che faccia esplodere il barile di polvere dei Grandi ». Ma il ragionamento strategico francese è alquanto più complesso di q11anto non lascino supporre i dati e le critiche che abbiamo appena riferite. Per quanto l'espressione farce de frappe sia stata usata all'inizio da De Gaulle in persona, essa è considerata impropria dagli esperti, e questi, seguiti adesso dallo stesso generale-presidente, preferiscono parlare di farce de dissuasion, ossia di una forza atomica che non dovrebbe mai servire per un attacco di rottura, ma che dovrebbe soltanto scoraggiare un'aggressione, convenzionale od atomica che sia, col suggerire, con la sua sola esistenza, all' attaccante eventuale la persuasione cl1e questa forza atomica gli sarebbe scatenata addosso il giorno stesso del suo attacco. E, aggiungono gli esperti francesi, questo tipo di f ore e de dissuasion non può e non deve essere giudicata in numeri assoluti, ma in numeri relativi : l'importanza di una forza di dissuasione atomica necessaria ad un paese è proporzionale all'importanza che la conquista di questo paese può avere per il nemico eventuale. La f ore e de dissuasion francese è di certo enormemente inferiore alla forza atomica sovietica, ma i sovietici possono distruggere la Francia solo una volta, e dunque la loro superiorità, per schiacciante che sia resta sempre relativa. E d'altra parte l'Unione Sovietica 9 Bibliotecaginobianco

La Redazione non può non calcolare il prezzo della Franci~: il che vuol dire che quest'ultima, se è in grado di distrt1ggere, poniamo, il dieci per cento deìle città russe, possiede una capacità di dissuasione pari a quella americana, perché la Francia non vale per il Cremlino il dieci per cento di distruzione del proprio territorio. Qua11do si obietta - dicono· i sostenitori francesi dell'arman1ento atomico nazionale - che i nostri Mirages IV volano solo a Mach 2, mentre i più recenti bombardieri americani e russi volano a Mach 3, o che i russi l1anno perfezionato i loro missili terra-aria, talché non tutti i nostri Mirages passeranno lo sbarramento difensivo sovietico, non si tiene conto che noi non abbiamo bisogno di distruggere tutta la forza atomica dell'URSS o tutta l'Unione Sovietica, ma che ci basta poterne distruggere il dieci per cento per rendere troppo caro il prezzo della conquista della Francia. In apparenza il ragionamento è impeccabilmente rigoroso. Il suo difetto principale, tuttavia, è che esso suppone una sorta di tacito accordo tra Francia e Russia, in base al quale quest'ultima attaccherà l'altra solo con le armi convenzionali, dandole, perciò, il loisir di replicare con le armi atomiche! Vogliamo dire che, se l'attaccante eventuale avesse veramente un'enorme superiorità sulla Francia, esso potrebbe rovesciare una parte della sua first strike capabi.Zity (forza di primo attacco) non già sulle città francesi, ma sui mezzi di distruzione atomica della Francia stessa, e annientarli completamente: dopo di che Parigi sarebbe alla mercé dell'attaccante o ... della difesa americana. Questa ipotesi, che è affatto assurda per potenze nucleari del livello degli Stati Uniti o dell'Unione Sovietica (nessuna delle quali, a quanto sembra, avrebbe la possibilità di distruggere interamente la capacità di ritorsione dell'altra, la cosiddetta second strike capability ), è, invece, prefettamente valida quando si con~iderano due potenze atomiche tra le quali vi sia una forte sperequazione, com'è, appunto, il caso della Francia · rispetto all'U.nione Sovietica. Fino a quando la Francia, dunque, non avrà una forza di dissuasione praticamente invulnerabile, essa non avrà pratican1ente nessu11a forza di dissuasione, e dipenderà dalla difesa americana. D'altra parte, quando, i11torno al 1970, i francesi avranno i loro sottomarini atomici o dei missili profondamente interrati (che sono, oggi, le armi atomiche considerate quasi_ invulnerabili), probabilmente i russi avranno sviluppati sistemi di detezione anti-sommergibile e testate nucleari capaci di distruggere in profondità le installazioni sotterranee, e la invulnerabilità sarà garantita da altre scoperte e perfezionamenti tecnici. E qui viene immediatamente in discussio,ne la possibilità per quelli che lo stesso Gallois chiamava i « popoli meno ricchi » di gareggiare realmente con i 10 Bibliotecaginobianco.

L'Europa tra De Gaulle e Kennedy « grandi »; e poiché questa è una possibilità che bisogna escludere per evidenti ragioni, è perfettamente inutile discuterla qui: anche non considerando il fatto che oggi esiste un divario enorme tra il grado di sviluppo americano o sovietico in questo settore e quello francese, talché per la Francia non si tratterebbe soltanto di gareggiare con i due « grandi », ma prima di raggiungerli e poi di gareggiare con loro, anche astraendo da questa considerazione, si può escludere tranquillamente cl1e la Francia stessa o qualsiasi altro paese europeo abbia, isolatamente la capacità economica e tecnologica di gareggiare co11 gli Stati Uniti o con l'Unione Sovietica. Del resto, il governo di Parigi ne è perfettamente consapevole: « noi siamo i primi - affermava testualmente alla Camera dei deputati francese il 13 giugno dell'anno scorso Couve de Mourville - noi sia1no i primi a sapere che lo, sforzo compiuto dalla Francia in materia atomica non sarebbe sufficiente a garantire la nostra sicurezza e quella della costruzione europea. Tra i diversi fattori, il nazionale, l'europeo e l'americano, v'è un nuovo equilibrio da stabilire ». Dall'analisi, se si vuole sommaria, che abbiamo fatta fin qt1i possiamo già trarre una prima conclusione: ed è che, se anche la sfiducia francese nella credibilità del deterrente americano fosse perfettamente giustificata, resterebbe, tuttavia, il fatto che la soluzione gollista del quesito posto da quella sfiducia, ossia l'armamento . atomico nazionale, è, sul piano militare, una non-soluzione. E quando Couve de Mourville accenna alla necessità di un nuovo equilibrio da stabilire tra i fattori nazionale, europeo ed americano, egli pone un problema politico prima che militare, il quale va considerato come ' un problema politico, e basta. Pure, prima di affrontare gli aspetti più propriamente politici della nuova strategia gollista con viene chiedersi se la sfiducia sulla credibilità di una risposta atomica americana in caso di attacco all'Europa sia veramente giustificata. E qui bisogna avere l'onestà di a1nmettere che su questo problema il dubbio non è soltanto frutto di menti annebbiate. Vi sono state in passato dichiarazioni di alti esponenti politici e militari statunitensi (Christian Herter, ad esempio, nel momento- in cui era Segretario di Stato, o il generale Taylor, che è attualmente capo degli stati maggiori congiunti), cl1e hanno autorizzato preoccupazioni del genere; e, d'altra parte, la stessa più recente evoluzione delle dottrine strategiche americane (un'evoluzione che si manifesta anche nel mutamento di significato di certe parole: l'arma nucleare, che nella vecchia strategia della massive retaliation, era la « lancia », è diventata adesso lo « scudo »; e, per converso, le ar1ni convenzionali, che prima erano definite lo « scudo », sono state promosse ora alla funzione di 11 Bibliotecaginobianco

La Redazione « lancia ») questa evoluzione è parsa giustificar~ i so~petti di parecchi osservatori politici non sospettabili di simpatia golliste. E, finalmente, non bisogna dimenticare di mettere nel co,nto quello che potremmo chiamare un riflesso spontaneo europeo: è probabile che siano in molti sul vecchio continente a fare un ragionamento perfettamente· conforme al vecchio individualismo e, se si vuole, egoismo nazionale d'Europa ed a pensare che se fossero al posto degli americani lascerebbero distruggere cento volte Roma o Parigi o Bruxelles piuttosto che mettere a repentaglio la metà delle città degli Stati Uniti! È nota la risposta americana a questi dubbii e sospetti: i francesi - ha ripetuto ancora recentemente il presidente Kennedy - possono avanzare mille ragioni per le quali preferiscono costituire un armamento nucleare indipendente, ma nulla li autorizza a dare proprio la ragione che danno, che, cioè, non sono sicuri della protezione degli Stati Uniti. Ovviamente, su una questione del genere non vi possono essere risposte decisive e certezze assolute; ma le certezze assolute non si danno mai in politica, e meno che mai in politica estera. E pertanto, senza evocare qui, come pure si potrebbe fare, tutto ciò che negli ultimi diciotto anni gli Stati Uniti hanno dato all'Europa e che molti europei hanno qualche tendenza a dimenticare troppo spesso (ma si sa che la riconoscenza non è tra le virtù preferite dai politici!), basterà osservare che vi sono ancora parecchie divisioni americane stazionate sul vecchio continente e che pertanto un intervento americano ci è garantito, se non dall'esatto calcolo che difendendo l'Europa Washington difende se stessa, almeno dalla necessità in cui si trovano i dirigenti della Casa Bianca di assicurare la salvezza dei loro soldati: « Fino a quando le divisioni americane saranno stazionate al centro del vecchio continente - scriveva Raymond Aron nel «Figaro» del 13 agosto 1962 - sono convinto che i russi no11 prenderanno sul serio le affermazioni di coloro i quali annunciano la fine delle alleanze nell'era atomica ... Un ritorno in patria di queste divisioni non è né inevitabile né probabile; ma v'è una politica, francese o europea, che finirebbe col renderlo probabile ». L'allusione è qui evidente: giustamente Aron ritiene che una politica del tipo di quella gollista possa alla lunga indurre gli americani a ritirarsi dall'Europa, E dobbiamo dire con tutta francl1ezza che un tale timore non è, come molti. pensano, affatto infondato. In Europa s'è diffusa l'idea che gli Stati Uniti siano troppo interessati all'equilibrio di potenza nel mondo per poter commettere l'errore grossolano di abbandonare il vecchio continente: questa è una valutazione senza dubbio in gran parte esatta, che, però, non tiene conto della data relativamente recente in cui gli americani hanno risolutamente voltato le spalle all'isolazionismo. Sono 12 Bibliotecaginobianco

L'Europa tra De Gaulle e Kennedy solo venticinque anni che ciò è accaduto; e per quanto siano stati anni intensi e decisivi per le sorti dell'Europa e per quelle stesse degli Stati Uniti, un minimo di riflessione storica e di conoscenza del passato americano (e quindi della durata della tradizione isolazionistica) dovrebbe ammonire che è, a dir poco, avventuroso rischiare tutta una politica su una previsione del genere. Nei decenni a cavaliere tra i due secoli, dal momento che si viaggiava senza passaporti per l'Europa, s'era formata l'illusione che il vecchio continente fosse un tutto unitario e che perciò vi sarebbe stata sempre la pace; e invece vi fu la guerra. Dobbiamo evitare di commettere lo stesso errore: non dobbiamo credere che, se il viaggio degli americani in Europa è diventato una sorta di abitudine nazionale, si possa per questo essere al sicuro da ogni mutamento nella temperie internazionalistica degli Stati Uniti! Certo, attualmente, in entrambi i partiti americani la grande maggioranza della classe dirigente è ben consapevole dei doveri e degli impegni mondiali del paese; ma, se si va oltre le apparenze, si vede subito che sull'interpretazione di tali doveri ed impegni questa stessa classe dirigente è divisa e che il gruppo delI'Europe fìrst è oggi assai più debole di dieci o dodici anni or sono; e sì vede, altresì, che dietro il velo di ceto dirigente v'è un'opinione anch'essa divisa e comunque corriva a sentire piuttosto certi problemi che altri. Non diciamo che allo stato delle cose siano prevedibili bruschi capovolgimenti di direzione nella politica estera americana, ma, più semplicemente, che muovere dalla certezza che non vi saranno è commettere un grave errore: le , certezze assolute, come abbiamo già ricordato, non si danno mai in politica. Né va sottovalutato che una rifioritura di accesi nazionalismi sul vecchio continente, il diffondersi di un'amara diffidenza nei confronti degli Stati Uniti e lo scatenamento di sentimenti xenofobi del genere di quello che si sta verificando in Francia (e nel quale entra per una parte anche la vecchia componente neutralistica), tutte queste cose agevolano un distacco americano dall'Europa; e l'agevoleranno ancora più facilmente negli anni a venire, quando il rapido progresso della tecnica missilistica americana farebbe apparire tale distacco molto meno pericoloso per gli Stati Uniti stessi di quanto non sarebbe apparso, poniamo, due anni or sono. Coperti dai missili intercontinentali sempre più numerosi e dai sottomarini armati di Polaris, gli americani possono staccarsi fisicamente dall'Europa, portare via le loro divisioni, pur restando convinti che in caso di necessità garantirebbero di lontano la sicurezza del vecchio continente: si metterebbe in movimento, a questo modo, il mecca11ismo per il quale dal distacco fisico si passa a quello psicologico, e da questo si trascorre al disimpegno 13 Bib·liotecaginobianco

La Redazione politico. Non diciamo che oggi vi siano le pren;1esse di un processo di questo tipo, ma soltanto che una certa politica francese o europea sembra aspirare a porle. Uno dei doveri elementari degli uomini di stato europei è di avere coscienza di tale fatto, e di non pensare troppo. semplicisticamente alla presenza americana sul vecchio continente come ad un dato naturale ed immobile. Queste considerazioni ci portano al cuore della questione politica. In realtà, si è detto, l'esigenza di garantire una difesa nucleare autonoma dell'Europa (o della Francia) in conseguenza del nuovo senso di sfiducia nella credibilità della replica atomica americana ad un attacco sul vecchio continente, non è che u110 degli elementi, e forse neppure il più importante, della nuova strategia gollista, che è una strategia soprattutto politica. De Gaulle, si argomenta (ed abbiamo citato di sopra un'esplicita affermazione in propo,sito del suo ministro- degli esteri), sa benissimo che un'autentica difesa della Francia o dell'Europa, almeno per i prossimi quindici o venti anni, non può farsi senza gli Stati Uniti; e pertanto ciò che egli vuole oggi non è soltanto costituire un nucleo intorno al quale si possano a lunga scadenza condensare le strutture militari di un'autonoma difesa europea, ma anche ed anzi soprattutto alterare sostanzialmente l'equilibrio esistente in seno all'alleanza occidentale e che è fondato sul più o meno esplicito riconoscimento del leadership americano, per sostituirlo cori un altro equilibrio, nel quale il ruolo della Francia sia, politicamente, quasi pari, se non del tutto pari, a quello degli Stati Uniti. Questa è t1na interpretazione esatta della politica gollista, che potrebbe anche essere sintetizzata con brutale realismo nella frase seguente: la farce de dissuasion serve oggi non già ad imporre rispetto all'Unio,ne Sovietica, ma a dare peso alla volontà politica francese nei confronti degli -Stati Uniti. Voi dite - tale è il ragionamento molto semplice del generale-presidente rivolto agli americani·_ voi dite che la nostra è u11'alleanza di pari, ma nel mondo di o,ggi sono veramente pari soltanto i paesi i quali dispongono dell'arma suprema: per questo vi abbiamo chiesto di costituire un direttorio supremo a tre dell'alleanza, che ci avrebbe consentito di controllare effettivamente l'arma suprema; e poiché voi l'avete negato, noi abbiamo cominciato a costituire in proprio la nostra arma suprema, e quando l'avremo saremo veramente pari, e perciò dovrete tenere conto delle nostre idee come di quelle di pari; nel frattempo ci comporteremo come se fossimo uguali e faremo tutto ciò che può agevolare il raggiungimento del nostro fine ultimo, mentre voi sarete costretti a difenderci, anche vostro malgrado. « Gli Stati Uniti - ha scritto· recentemente Lippmann - devono tenere sotto il loro ombrello 14 Bibliotecaginobianco .

L'Europa tra De Gaulle e Kennedy [nucleare J il generale, mentre egli si costruisce una sottospecie di forza atomica»! A questo ragionamento Washington ha opposto, purtroppo, una serie di risposte sbagliate o meramente negative: ha detto, ad esempio, che la proliferazione degli armamenti atomici nazionali costituiva un pericolo gravissimo da evitare ad ogni costo, e lo stesso Aron, che non ha certo simpatia alcuna per la politica estera gollista, ha dovuto scrivere che « né il generale De Gaulle né alcun altro governo francese potranno ammettere mai la tesi ufficiale di Washington, secondo la quale la proliferazione delle armi atomiche diventa pericolosa quando queste passano la Manica e non quando attraversano l'Atlantico» ( « Figaro », 12-13 maggio 1962); oppure ha obiettato che la Francia da sola non avrebbe mai potuto costruire t1n effettivo deterrente nucleare, il che era, senza dubbio alcuno, esatto, ma non serviva a fare avanzare di un passo la soluzione del problema politico; o ancora ha tentato di fare accettare in sede NATO le nuove eleborazioni strategiche del Pentagono (su cui avremo occasione di fermarci più avanti), che potevano essere ragionevolissime ed anzi addirittura perfette, ma che non tenevano conto del semplice fatto che l'esistenza materiale di un armamento atomico francese in via di costruzione e l'impegno gollista in funzione di tale armamento rendevano praticamente inoperanti quelle elaborazioni; o, finalmente, ha tentato di forzare un nuovo allineamento politico in Europa sostenendo l'ingresso dell'Inghilterra nel Mercato Comune, e non abbiamo bisogno di ricordare qui quale successo abbia avuto tale tentativo. Grazie a questa relativa passività di Washington ~d alle altre contraddizioni della politica americana, Parigi ha potuto realizzare il patto franco-tedesco (che ha portato ad un sia pure parziale allineamento di Bonn sulle posizioni francesi); e soprattutto si è potuta prevalere del fatto che nessuna concreta politica era contrapposta alla sua. Siamo giunti così alla situazione di crisi attuale, nella quale, piaccia o non piaccia (ed a noi, non piace affatto), chi ha l'iniziativa e conduce il gioco politico in Europa è proprio il generale-presidente. A questo punto bisogna cercare di rispondere con la massima chiarezza possibile ad una domanda fondamentale: che cosa vuole veramente De Gaulle e che cosa significa ciò che egli vuole e quali sono le prevedibili conseguenze della sua politica? Certo, non è facile, neppure per gli u~mini che oggi governano la Francia, rispondere a tale quesito; e nulla illustra questa difficoltà meglio di un rapido scambio di battute al parlamento francese tra il ministro degli esteri ed un oppositore: « Couve de Mourville: Ciò che vorremmo porre in essere è un processo evolutivo ... - Lecaunet: Evolutivo verso cosa? - Couve de Mourville: Non lo so affatto; molto bravo sarebbe colui che potesse predire che 15 Bibliotecaginobianco

La Redazione cosa sarà l'Europa tra vent'anni ... ». Quest~ affe~mazione, veramente singolare per un ministro degli esteri, mostra che il governo francese non sa quello che vuole o che non sa quello che vuole De Gaulle! Comunque ciò sia, il grand dessin gollista è tutto nelle due formule da lui sovente adoperate: quella dell'« Europa dall'Atlantico agli Urali» e l'altra che ciò che vuole la Francia è « una costruzione assolutamente europea ». Queste formule illustrano due facce della stessa questione o, per dir meglio, di una stessa realtà: la realtà dell'Europa di qui a vent'anni come De Gaulle la vede e la vuole e come Couve de Mourville ' . non sapeva o non voleva dire. Il generale-presidente ritiene che l'alleggerimento della tensione tra i due blocchi consente senza troppi rischi una revisione dell'equilibrio all'interno del blocco occidentale ed una revisione dello status di alcune delle potenze partecipanti di tale blocco ed innanzi tutto della Francia. Quando fosse avviato questo duplice e complice processo di allentamento del leadership americano e di rafforzamento di alcuni paesi europei mercè della costituzione della forza atomica francese ci si avvierebbe verso una crescita di potenza dell'Europa occidentale tale che questa potrebbe da sola, e dunque senza alcun aiuto degli Stati Uniti, fare da contrappeso all'Unione Sovietica. L'Europa dall'Atlantico agli Urali troverebbe, così, in se medesima il suo equilibrio, la funzione che hanno svolta gli americani finora di supporto di tale equilibrio tramonterebbe definitivamente e l'Europa stessa potrebbe trattare veramente da pari a pari con gli Stati Uniti o con l'Unione Sovietica, imporre ad entrambe le sue valutazioni ed i suoi punti di vista e riprenderebbe il ruolo mondiale che fu proprio di essa nell'Ottocento e nei primi due o tre decenni del Novecento. Ma sbaglierebbe chi credesse che in questo disegno vi sia una qualsiasi concessione ai principi federalistici: e non solo e non tanto per la sfiducia del generale-presidente in quelli che egli chiamerebbe i machins di tipo federalistico o per il suo sentimento della grandezza e dell'individualità della patria francese, ma perché la soluzione federalistica è in manifesta contraddizione con la premessa o pretesa gollista che la « costruzione assolutamente europea » deve essere guidata dalla Francia. De Gaulle sa benissimo che la Francia da sola anche armata atomicamente non riuscirebbe ad equilibrare m~i nulla né sul continente né nel mondo, e che pertanto essa deve raggruppare intorno a sé gli altri paesi del continente che già le sono legati da accordi economici, i paesi del Mercato Comune; ma sa anche che questo raggruppamento intorno alla Francia può avere solo la forma del consorzio,, perché in qualsiasi altra strutturazione politica la Francia stessa sarebbe sommersa. In effetti, Parigi, se ha bisogno 16 Bibliotecaginobianco .

L'Europa tra De Gaulle e Kennedy della compattezza dei paesi consorziati per pesare nei confronti di Washington o di Mosca, si trova anche nella necessità assoluta di evitare che la compattezza tra i paesi consorziati medesimi divenga un fatto permanente che derivi da altro che non siano negoziati diplo-· matici ed accordi da governo a governo, proprio per non perdere la sua funzione di paese-guida. Di qui appunto la risoluta opposizione ad ogni processo veramente integrativo e la decisione di costruire la farce de dissuasian e di tenerla solo per sé: « non sarebbe facile - dichiarò Couve de Mot1rville il 4 dicembre 1962 - trovare alternative ai sistemi di armamenti nucleari pt1ramente nazionali, che oggi sono i soli ad esistere ». L'alternativa, in verità, vi sarebbe, ed è fin troppo evidente: quella federalisa. E il fatto stesso di negarne aprioristicamente l'esistenza è freudianamente rilevatore. Nella misL1ra in cui la compattezza del consorzio voluto da De Gaulle fosse veramente tale, nella misura, cioè, in cui essa fosse causa e conseguenza i11sieme di un processo integrativo che si evolvesse coerentemente, il consorzio distruggerebbe se stesso e diverrebbe una federazione, l'Europa di De Gaulle cesserebbe rapidamente di essere l'Europa di De Gaulle. Ed è proprio quello che a Parigi si vuole evitare. La « costruzione assolutame11te europea » del disegno gollista non sarà mai, dunque, una costruzione veramente europea, e per il fatto stesso di non essere tale avvierebbe inesorabilmente l'Europa verso una progressiva balcanizzazione. Ogni paese partecipante del consorzio avrebbe i suoi problemi e le sue difficoltà; e quando i problemi e le difficoltà nazionali fossero semplicemente giustapposti gli uni agli altri e non fusi insieme in modo da diventare problemi e difficoltà comu11i e da essere risolti sul piano interno alla comunità, essi aumenterebbero in proporzione geometrica e renderebbero pressoché impossibile la vita del consorzio stesso. La Francia, anche arroccata all'ombra della sua farce de dissuasian, non potrebbe mai tenere la Germania federale, sia per il dinamismo di questa, sia perché v'è un limite 110n solo alla protezione di Parigi, ma anche a ciò che Parigi può dare a Bonn. In un'Europa continentale tenuta insieme dai radi vincoli consortili basterebbe che l'Unione Sovietica facesse una politica solo un pò più aperta verso la Repubblica Federale e le forze per così dire nazionalneutralistiche, che ardono sotto la cenere dell'occidentalismo, verrebbero alla luce del giorno. Non possia1no giudicare il domani dall'oggi: se Krusciov ha rinunciato negli ultimi mesi a picchiare sul tasto delle divisioni occidentali ed ha lasciato che Bonn si stringesse a Parigi, l'ha fatto perché nel momento in cui la tensione coi cinesi diventava più forte non poteva correre rischi nella Germania orientale; ma il 17 Bibliotecaginobianco

La Redazione giorno in cui la querelle cinese fosse risolta, M~sca potrebbe assai agevolmente spaccare il consorzio gollista facendo crollare il pilastro tedesco. E cos'è un'Europa nella quale la Francia gioca alla grande potenza, l'Inghilterra è praticamente esclusa dal continente e la Germania federale tenta una politica pendolare tra Est ed Ovest inseguendo il miraggio dell'unificazione, cos'è quest'Europa se no,n un'Europa balcanizzata? Se si riflette attentamente sulle complessità della situazione internazionale e sulla logica dell'evoluzione politica in Euro,pa nel quadro del disegno gollista, si comprende che questo non riempje affatto il vuoto di potenza che v'è oggi nel vecchio continente ma lo esaspera, liberando definitivamente quelle potenzialità particolaristiche e centrifughe che finora, in Francia come in Germania, in Italia come in Inghilterra, sono state tenute a freno dall'atlantismo e dall'europeismo. Ecco perché, come dicevamo prima, anche prescindendo dall'autoritarismo che caratterizza in politica interna il gollismo, a noi la politica estera della Francia di oggi non piace affatto. Qualcuno dirà, forse, che la nostra è una previsione eccessivamente pessimistica: eppure nessuno riuscirà mai a cavarci dalle mente che anche coloro i quali nel 1934 o nel 1935 previdero la guerra nazista furo-no accusati di pessimismo. La prospettiva di un'Euro-pa balcanizzata, che a nostro giudizio è la conseguenza estrema dell'attuale politica francese, è una prospettiva agghiacciante non solo per gli europeisti, ma più semplicemente per gli europei : allora no·n vi saranno alternative alle disperate convulsioni, alla febbrile ricerca di alleanze e di contrassicurazioni fuori dell'area propria dell'Europa occidentale, al depotenziamento progressivo; e allora veramente le vecchie potenze europee diverranno satelliti. E per quel che ci riguarda dobbiamo dire francamente che questa prospettiva è tanto più preoccupante in quanto, se non si reagisce tempestiva1nente e nel mo1do giusto,- essa si verificherà veramente, perfino più- rapidamente di quanto di solito non si creda. Coloro i quali vanno dicendo cl1e dopo tutto non bisogna esagerare sui danni che ha prodotti e sta producendo il gollismo, che De Gaulle è vecchio ed è mortale come tutti gli esseri umani, che lo stesso Adenauer sarà al governo ancora per pochi mesi soltanto, che· 1e forze di recupero in Occidente esistono, quelli che vanno dicendo queste e si~ili cose sbagliano. Contare sull'età veneranda di questo o quell'uomo politico per trionfarne è come rinunciare a fare politica; pensare che soltanto il rispetto. per Adenauer abbia indotto la classe dirigente tedesca ad accettare l'accordo Parigi-Bonn vuol dire non avere la percezione esatta dei reali interessi che hanno portato a quell'accordo e non avere insieme approfondito le difficoltà della successione ad 18 Bibliotecaginobianco .

L'Europa tra De Gaulle e Kennedy Adenauer; credere che le forze di recupero dell'Occidente possano agire spontaneamente significa non rendersi conto che la politica è sempre una dura battaglia, nella quale non v'è posto per i sogni del pigro. Il disegno gollista può trionfare perché è una politica, una pessima politica, ma una politica, alla quale non si è contrapposto ancora nessun piano concreto. Già nell'editoriale di « Nord e Sud » dello scorso ottobre abbia1no insistito su tale punto denunciando il vuoto che s'era venuto a creare e mostrandone tutta la pericolosità: « se questo stato di cose - scrivemmo allora - dovesse durare ancora un pò di tempo, si può essere sicuri che la concezione strategica e politica di De Gaulle finirà col trionfare, poiché egli continuerà ad essere il solo che propugna qualcosa di concreto nel silenzio o nello smarrimento degli altri ». Dopo di allora v'è stata la co11ferenza-stampa del 14 gennaio, il veto all'ingresso dell'Inghilterra nel MEC e il rifiuto francese di prendere anche solo in qualche considerazione le offerte fatte da Kennedy dopo Nassau o il progetto di un armamento multilaterale della NATO. Il disegno gollista può trionfare, dunque, perché, fino a quando i partners europei della Francia non faranno nulla, la posizione della Francia sarà fortissima: « al momento dell'esplosiva conferenza-stampa del 14 gennaio - ha scritto Walter Lippmann nel « Newsweek » del 18 marzo - si poteva supporre che gli altri cinque membri della comunità economica europea avrebbero resistito· al veto francese. Ed essi avrebbero anche voluto farlo. Ma due mesi sono trascorsi, ed è diventato evidente che la Francia gollista è un potere politico più forte di tutti gli altri cinque membri della comunità ». Lippmann ha ragione ed ha torto insieme: la Francia non è affatto un potere politico più forte del club dei cinque, più l'Inghilterra, più gli Stati Uniti; lo diventa quando i cinque e l'Inghilterra e gli Stati Uniti non fanno nulla. Il disegno gollista può trionfare perché, per quanto calamitose ne siano le estreme conseguenze, esso non appare immediatamente troppo pericoloso, come dimostra il fatto stesso che molti pensano e dico1 no che i danni che si sono avuti finora non sono stati enormi (si legga, per ulteriore riprova, la conclusione del discorso di Acheson all'Università di California del 13 marzo). In realtà, come in politica interna la sfida gollista ha potuto contare sulla suggestione del rinnovamento e dell'efficacia e insieme sulle forze conservatrici le quali sacrificavano senza rimpianto la democrazia politica contro lo promessa dell'efficacité; così in politica estera essa può sfruttare le stesse vaghe ma profonde istanze di rinnovamento e le tendenze conservatrici inerenti al sistema occidentale, le tendenze olandesi o belghe o inglesi o tedesche o italiane disposte ad accettare mutamenti 19 Bibliotecaginobianco

La Redazione particolari che in apparenza non compromett~110 l'essenziale, il riflesso empirico americ~no che porta l'amministrazione attualmente al potere ad accettare le realtà quali sono quando troppo penoso e faticoso, ed incerto appaia lo sforzo necessario per mutarle. La sfida gollista può, finalmente, sfruttare il risentimento anti-americano che v'è ancora nel vecchio continente e che il neutralismo ed il comunismo hanno pazientemente coltivato in tutti questi anni, l'ambizione di alcuni settori della classe dirigente europea i quali sentono il divario tra il potere economico dei paesi del MEC ed il loro peso politico e s'illudono che il gollismo consenta di colmarlo, il rifiuto diffuso per ogni dove in Europa di adattarsi al mutamento dei rapporti di potenza nel mondo, l'orgoglio della crescita economica che spinge molti europei di oggi a considerare gli Stati Uniti quasi un paese economicamente al tramonto, il sentimento di quanti sentono che l'Europa ha rappresentato una grande civiltà e temono che insieme al tracollo politico del vecchio continente non abbiano a tramontare anche le sue espressioni di civiltà. Tutte queste cose esistono, e De Gaulle sa bene che esistono e si dispone a sfruttarle ed anzi le sta già sfruttando: e sono cose importanti, che consentono di costruire una politica, che la sorreggono negli ani1ni degli uomini prima ancora che nelle strutture di potere. E De Gaulle sa benissimo, proprio come i suoi avversari, che anch'egli è mortale: pertanto ciò che egli sta tentando di fare oggi è di creare qualcosa che renderà difficilissimo, se non impossibile, domani ricominciare da capo, fare come se l'esperienza gollista non vi fosse stata. Non è esatto quello che si ode ripetere da più parti, che, cioè, la Francia possa oggi impedire che si facciano certe cose, ma non fare nulla o quasi nulla di positivo e di costruttivo: proprio impedendo che si facciano certe cose, ad esempio che sia spinto avanti il processo integrativo, essa, in sostanza, pone le premesse di un altro assetto europeo, quello che abbiamo descritto di sopra nelle sue linee generali e nelle sue tragiche conseguenze. Per tutto questo la sfida gollista è tremenda; per tutto questo essa può riuscire vittoriosa; per tutto questo va contrastata senza perdere altro tempo prezioso e nel modo giusto, con animo risoluto a dar battaglia senza quartiere. · Guardiamo adesso rapidamente l'altra faccia del problema, la politica americana, la strategia politica e militare della nuova amministrazione. E cominciamo col ricordare alcune cose che paiono impopolari oggi in Europa: gli europei devono agli Stati Uniti la sconfitta del nazismo, il piano Marshall che ha evitato loro il collasso economico e politico nel dopoguerra, la difesa dell'Europa occidentalé negli anni 20 Bibliotecaginobianco

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