Nord e Sud - anno IX - n. 26 - febbraio 1962

\ . Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Giuseppe Ciranna, Le retroguardie Antonio Ghirelli, La rottura del!' unanimità nel Comitato Centrale del P. C. I. - Luigi Mazzillo, Le regio1ii• periferiche d'Europa - Mario Di Bartolomei, . . Dopo la Conferenza agricola - Maria Luisa La Malf a, Orientamenti politici della " Tribuna " e scritti di Renato De Fusco, Laura Fabbri, Raffaello Franchini, Federico Frascani, Mirella .... Galdenzi, Aldo Garosci, Enzo Golino, Giovanni Iannettone, Gennaro Magliulo, Antonio Palermo, Ester Pian castelli, Nicola T ranf aglia, ' .. Antonio Vitiello · ANNO IX - NUOVA SERIE - FEBBRAIO 1962 - N. 26 (87) ~ EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIA NE - NAPOLI Bib iotecaginobianco

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I NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO IX - FEBBRAIO 1962 - N. 26 (87) DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via G. Carducci, 19 - Telef. 392.918 A1nministrazione~ Distribuzione e Pubblicità : EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Roma, n. 406 - Napoli - Telef. 312.540- 313.568 Una copia L. 300 - Estero L. 360 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 3.300, semestrale L. 1.700 - Estero annuale L. 4.000, semestrale L. 2.200 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585-, Edizioni Scientifiche Italiane - Via Roma 406, Napoli Bibliotecaginobianco

SOMMARIO .,, Giuseppe Ciranna Luigi Mazzillo Federico Frascani Laura Fabbri Renato De Fusco Enzo Golino Gennaro Magliulo Editoriale [3] Le retroguardie [5] Le regioni periferiche d'Europa [15] Note della Redazione La Francia al bivio - Alicata e De Martino - I « cani sciolti » bussano alle porte [24] Giornale a più voci Il divorzio all'italiana [30] Il sonno di Matera [33] L'in,dustrializzazione del Napoletano [37] Le feste e le destre [ 40] Teatro: cronaca di un convegno [ 42] Inchieste Antonio Ghirelli La rottura dell'unanimità nel Comitato Centrale del P.C.I. [ 45] Argomenti Mario Di Bartolomei Dopo la Conferenza agricola [71] Antonio Palermo Raffaello Franchini Nicola Tranfaglia Ester Pia11castelli In corsivo [80] Recensioni Il segreto (Anonimo Triestino) [84] Il diario di un filosofo (E. Paci) [87] La mobilità sociale negli Stati Uniti (V. Packard) [90] Il risparmio e_ lo sviluppo economico (G. Fuà) [93] Giornali e riviste Maria Luisa La Malfa Orientamenti politici della «Tribuna» (I) [98] Lettere al Direttore Aldo Garosci Giovanni Amendola [ 123] Bibliotecaginobianco Cronaca Libraria a cura di Mirella Galdenzi, Giovanni Iannettone, Antonio Vitiello [125]

Editoriale E stato proprio il « Corriere della Sera » ad affermare che, se si deve fare il governo di centro-sinistra, la questione principale non è di inserire i socialisti nella maggioranza, ma è quella dei « pesi e contrappesi » che sono necessari per attenuare le preocçupazioni che derivano da -questo inserimento. Ed Enzo Forcella, sul « Giorno » del 23 gennaio, ha rilevato che « non si tratta più di decidere sulla etichetta della bottiglia, ma di sapere con chiarezza che cosa ci si vuole mettere dentro ». A giudicare, infatti, dal discorso del « Corriere della Sera », · sembrerebbe che taluni ambienti si siano rassegnati a subire l'apertura a sinistra, ma cercano di renderla indolore, di svuotarla del suo contenuto politico. Non si può naturalmente essere sicuri di questo, non si può dormire fra due guanciali ritenendo che oramai i più, tra gli avversari dell'apertura a sinistra, si siano rassegnati a subirla. Ci sono ancora forze rilevanti e influenti gruppi di pressione che faranno tutto quello che è possibile fare per mandare a rnonte l'incontro fra democristiani e socialisti; e lo stesso « Corriere della Sera» è tutt'altro che rassegnato. Ma Forcella ha ragione in questo senso: che si è delineata con chiarezza una seconda linea sulla quale si attesteranno tutti gli avversari dell'apertura a sinistra nel momento in cui questa fosse veramente sul punto di realizzarsi in un governo; ed è appunto la linea dei « pesi e contrappesi », del contenuto della « bottiglia » sulla quale è applicata l'etichetta dell'apertura a sinistra. Senonché i fautori dell'apertura a sinistra devono porre anch'essi il problema dei « pesi » e dei « contrappesi »; e noi in particolare sen~ tiamo che si deve porre il problema del contenuto meridionalista della « bottiglia ». Ora questo contenuto non consiste ta1zto in questioni di indirizzo e di esecuzione della politica economica in generale e della spesa· straordinaria nel Mezzogiorno in particolare; ma consiste principalmente e preminentemente in una questione di quadri, in una questione di « pesi e contrappesi » che si risolve in una questione di « nomi da mettere a questo o a quel posto », non « per rendere il più possibile la svolta indolore », come sembra pretendere il « Corriere della Sera », 3 Bibliotecaginobianco

Editoriale ma per rendere efficace la svolta anche e soprattutto nel Mezzogiorno, teatro tradizionale delle manovre trasformiste e politicamente degradato dalle apertura a destra, che dopo il 1952 hanno costituito la regola e non la eccezione, da Roma a Palermo, delle maggioranze politicoamministrative meridionali. Per creare un nuovo clima politico nel Mezzogiorno, omogeneo con la politica d'intervento economico e sociale, è indispensabile anche e soprattutto riprendere in esame, e modificare, la struttura del potere e le situazioni di sottogoverno; è irzdispensabile iLna rivoluzione di quadri a vari livelli. In primo luogo elevano essere liquidate tutte le aperture a destra. In secondo luogo le leve della politica meridionalista devono essere trasferite dalle mani dei fautori delle. aperture a destra, che attualmente ne detengono il corztrollo, alle mani di convinti fautori dell'apertura a sinistra, o quanto meno a uomini che credano nell'industrializzazione e negli strumenti cui è possibile e necessario fare ricorso per avviare lo sviluppo del Mezzogiorno in un tempo breve. Tanto per fare degli esempi, pensiamo ai tradizionali banchi meridionali, agli istituti speciali di credito per l'industrializzazione, alle Camere di com1nercio, ai Consorzi per le aree industriali. In terzo litogo si devono mettere alla direzione dei giornali meridionali che appartengono ad enti pubblici uomini giovani, che abbiano una visione moderna del giornalismo e che siano vergini di precedenti fascisti, che possano vantare anzi precedenti antifascisti. Lasciare i giornali meridionali come sono significherebbe lasciar diffondere contro l'apertura a sinistra i consueti umori reazionari e accreditare stereotipate formule liberiste, con l'etichetta magari delle correnti democristiane che si oppongono all'apertura; quegli umori e quelle formule che hanno avuto una loro parte nell'origine e nell'espansione di fenomeni politici deteriori, omogenei con le tradizioni del giornalismo meridionale, le cui radici devono essere estirpate perché già troppo male hanno fatto al costume civile e politico delle nostre regioni, del che sono convinti ormai gli esponenti stessi delle nuove leve di questo giornalismo. E infine, i rap .. presentanti del potere esecutivo a tutti i livelli. Rifacendoci ad una vecchia e sacrosanta battaglia di Salvemini, diremo anche noi che il Sud deve essere terra di missione e non luogo di confino. I migliori, cioè, devono essere mandati quaggiù a servire la democrazia e non a condizionarne gli sviluppi, come sempre è stato dal tempo dei prefetti di Giolitti a quello dei commissari straordinari di Scelba. Non vorremmo che i fautori dell'apertura a sinistra sottovalutassero queste esigenze, in1portanti a nostro giudizio almeno quanto la stessa nazionalizzazione delle fonti • di energia. 4 . Bibliotecaginobianco

I Le retroguardie di Giuseppe Ciranna I Nell'ultimo· « messaggio sullo stato dell'Unione» rivolto al Congresso americano dal Presidente Kennedy c'è un punto che merita attenta considerazione e che invita a riflettere non solo sui casi dell'America: è il punto in cui il giovane leader del paese sul quale gravano le maggiori responsabilità della direzione politica dell'Occidente - e sul quale, in definitiva, si fa ricàdere il passivo che in detta direzione si manifesta - ha lasciato capire di aver individuato la matrice delle incertezze, delle insufficienze, delle contraddizioni .della condotta politica americana nei tre lustri trascorsi. Tale matrice andrebbe ricercata nella incapacità - psicologica prima ancora che pratica - delle classi dirigenti di adeguare l'azione politica al ritmo di crescita della società, di saper rispondere in maniera soddisfacente ai fermenti, alle aspirazioni che vanno maturando dappertutto, nel vecchio e nel nuovo mondo, tra i paesi di antica civiltà liberale e tra quelli che sono appena nati come stati indipendenti. I popoli, o, meglio, le società, si muovono, si potrebbe dire con un'immagine retorica, e il mondo politico sta fermo. Con i risultati che ci stanno innanzi e che tutti possiamo valutare: ha scritto il « New York Times », commentando il messaggio presidenziale, che il « corso degli eventi è stato rapidissimo, e che il tempo non è stato amico » dell'America negli ultimi anni. Il tempo non è amico nemmeno delle classi dirigenti europee che messe di fronte alla necessità di scegliere tra l'antico e il nuovo, tra il passato e l'avvenire, rinviano, se non rifiutano addirittura, tale scelta. E poiché certi fenomeni che interessano il corpo sociale sono irreversibili, si manifestano nonostante tutto e contro i desideri di chi ha paura delle novità, e spingono a nuove soluzioni, a nuovi equilibri politici, ecco le stesse classi dirigenti - o, meglio, quella parte di esse che influenza in maniera determinante le decisioni a tutti i livelli - impegnarsi con sempre maggiore ostinazione in un'azione frenante. L'odierna realtà europea è dominata, caratterizzata da questa azione di retroguardia, còsì possiamo definirla, di quei gruppi e di quelle forze politiche e sociali che paventano ogni mutamento delle strutture etiche, politiche ed economiche della società, anche a costo 5 Bibliotecaginobianco '

Giuseppe Ciranna di contraddirsi, anche a costo di contraddire il corso degli eventi cui accennava il « New York Times ». Il quadro della situazione politica odierna di molti paesi europe_i ha singolari e preoccupanti analogie con quello che della situazione ·francese tracciava Herbert Liithy qualche anno fa: tali paesi sembrano fermi al punto morto della indecisione dei pubblici poteri di fronte a problemi che esigono soluzioni coraggiose e sovvertitrici dei vecchi schemi mentali e di antiche posizioni di privilegio; essi sembrano para ... lizzati dalla confusione e dall'assenza di volontà dei partiti e della classe politica, la quale più che dominare si lascia trascinare dagli eventi, dal corso delle cose. In questi paesi sono in numero sempre più considerevole coloro che mostrano di intuire, di rendersi conto . . ' che qualcosa, anzi troppe cose non vanno, non possono nmanere cosi come sono e devono perciò essere modificate, a cominciare dai quadri che sono al vertice delle strutture politiche e dalle strutture politiche stesse, le quali esigono un radicale rinnovamento: ma pochi sembrano disposti a impegnarsi fino in fondo su questa strada. La storia di molti paesi europei negli ultimi anni è la storia delle occasioni perdute per il contrasto insorto tra la coscienza, l'aspirazione a nuovi e più razionali equilibri politici e sociali e l'inerzia, il rifiuto delle classi dirigenti a rendersi interpreti della volontà di rinnovamento che è maturata in larghi strati popolari; rria è anche la storia della resa sistematica della pubblica opinione, o se si preferisce della sua sconfitta. Perché un dato emerge con tutta evidenza se ci si volge indietro a considerare gli avvenimenti degli ultimi lustri, il mondo degli anni cinquanta e la realtà che ci circonda: malgrado le vicende grandiose che hanno dominato la vita internazionale e la vita interna di molti paesi europei ed extraeuropei e malgrado le trasformazioni profonde della società provocate dalle conquiste della tecnica e sollecitate dal sempre crescente diffondersi dei benefici della produttività che rimescola ceti e classi sociali, gli assetti politici e le istituzioni non hanno subìto modifiche sostanziali; e anche quando istituti innovatori sono stati introdotti nei rapporti fra gli stati, lo spirito con cui le classi dirigen_ti si sono decise a secondare ed accogliere tali innovazioni è stato di rassegnazione. In sostanza la crisi di cui tanto si discorre, la precarietà delle situazioni interne di molti stati europei - i quali pure attraversano una fase di benessere economico quale mai conobbero nella loro lunga storia - hanno origine e si identificano con l'inadeguatezza delle forme e degli equilibri politici, rimasti spaventosamente arretrati. Sicché tutto viene posto ormai in discussione: dalle posizioni di potere dei gruppi e dei ceti che esprimono lo spirito, la volontà, gli interessi 6 Bibliotecaginobianco

Le retroguardie della conservazione, agli assetti interni dei vari stati, agli organi del potere pubblico, alla macchina amministrativa dello Stato; e tuttavia tutto resta apparentemente fermo, tutto si logora senza rinnovarsi, tutto continua ciò nonostante a resistere all'urto della insoddisfazione pubblica. Il caso dell'Italia può essere· sufficiente a darci una idea precisa del fenomeno di cui qui si discorre : è il caso di un paese il quale da otto anni è immobilizzato per la paura di imboccare una strada che dovrebbe prima o poi portare ad un nuovo equilibrio politico, più rispondente alle aspirazioni popolari e alle esigenze di una società come la nostra trasformatasi con ritmo vertiginoso in un decennio fino al punto da presentare ora un volto appena riconoscibile a chi abbia il solo ricordo dell'Italia degli anni quaranta. Qui, nel nostro paese, non sono mancate e non mancano le voci, le aspirazioni al rinnovamento; ma esse sono state ignorate o frustrate nell'azione pratica; sicché ci siamo fatti cogliere, come società, alle soglie degli anni sessanta, in una fase, in uno stadio di crescita troppo avanzato rispetto alla capacità, alla volontà e ai programmi della classe politica, soprattutto di quella parte della classe politica che milita nelle file democristiane ed è la sola che può prendere decisioni capaci di modificare sostanzialmente l'attuale stato delle cose, almeno per ora e per i prossimi anni. Ma situazioni, problemi analoghi si riscontrano anche altrove. Sarà compito dello storico futuro cercare di individuare perché ciò sia accaduto, perché questa inerzia della politica di fronte al corso delle cose, cioè - potremmo dire altrimenti e più chiaramente - al cammino della società; e certo bisognerà pure spiegarsi, un giorno, tutto questo e poter dire perché la sollecitazione delle forze nuove liberate dal mutamento della realtà sociale non è stata sufficiente a provocare, in tanti anni, un progresso sostanziale delle forme e degli equilibri politici; dire perché - per limitarci all'esempio italiano - resiste lo Stato accentratore, restano dominanti gli interessi di gruppi ristretti, perché il potere politico continua a rimanere sensibile alla volontà delle oligarchie economiche, perché l'amministrazione pubblica, l'apparato burocratico e tutto l'ordinamento che regola la nostra vita associata malgrado abbisognino di rimaneggiamenti profondi restano intangibili, presid:i di privilegi più che organi al servizio dell'intera collettività. E bisognerà mettere in chiaro la logica per cui mentre i più, organizzati o meno nei partiti, prell?-ono per una soluzione progressista dei problemi dello Stato e della società, in quasi tutti i paesi dell'Occidente essi debbono cedere alla soluzione moderata, vale a dire al mantenimento attuale delle cose_ che giova solo a quei ceti i quali sono riusciti 7 -- Bibliotecaginobianco

Giuseppe Ciranna ad assicurarsi una somma di privilegi che non si riesce più a scalfire. Tutto ciò, dicevamo, sarà compito dello storico futuro. In sede di analisi politica, ci si deve limitare ad alcune considerazioni suggerite dall'osservazione dei fatti che si svolgono sotto i nostri occhi e di cui siamo protagonisti e spettatori più o meno consapevoli. La prima considerazione riguarda una spiegazione bell'è pronta, che sentiamo ripetere tutti i giorni, e della quale sappiamo bene la paternità ideologica e politica: nel contrasto tra le aspirazioni delle masse popolari che desiderano un rinnovamento politico e sociale e la resistenza della conservazione economica finirebbero fatalmente per prevalere, almeno nella situazione presente dell'Europa e di tutto l'Oc- · cidente, l'egoismo e la volontà dei ceti abbienti e privilegiati, dei detentori delle leve del potere che deriva dal controllo delle fonti della ricchezza nazionale. Questa è una spiegazione che non soddisfa. Se così fosse, se a sbarrare la via per migliori equilibri politico-istituzionali degli stati democratici dell'Europa e per l'adattamento degli stessi alle mutate esigenze della società fossero solo i ceti e le classi dominanti nel sistema « capitalista » o, se si preferisce, « neocapitalista », il problema del superamento dell'impasse attuale sarebbe facile da risolvere. La verità è piuttosto un'altra, ed è molto più complessa, perché chiama in causa molti altri fattori oltre al puro e semplice contrasto economico tra le classi. La verità è che gli uomini contano non solo per la loro collocazione diciamo così « economica » ma per i loro convincimenti morali, per i loro atteggiamenti, per le loro opinioni, per la loro struttura mentale; sicché, ad irrigidire le strutture politiche, ad assicurare il successo dell'azione frenante di cui si diceva sopra, a mantenere la situazione interna di molti stati europei nel punto morto della indecisione e della paralisi politica (il problema è circoscritto, è tutto qui), contribuiscono anche remore psicologiche, anche la ormai dimostrata incapacità di molti che hanno influenza politica e sociale ad adattarsi ai ritmi della vita moderna, contribuisce la sclerosi dei gangli politici e sociali: e contribuiscono, soprattutto, certe forze emergenti dalla stessa crescita della società, la sempre minore adattabilità del sistema politico, così come è oggi, alle nuove esigenze e ai nuovi bisogni. Qui non è il caso di entrare nei dettagli; ma ·c'è un punto su cui vale la pena di soffermarsi perché è il punto che a nostro giudizio contiene la chiave che spiega tutto il resto. Accennando infatti alla sclerosi dei gangli politici abbiamo implicitamente fatto riferimento al problema dei rapporti tra le vecchie e ancora persistenti strutture po8 BibliotecaGino Bianco

Le retroguardie tiche e le forme in cui si articola il potere nella società contemporanea. Non v'è dubbio che oggi i poteri reali in una società politica siano cresciuti di numero, accanto e in contrasto molto spesso con i poteri tradizionali e legali. Non ci si deve nemmeno nascondere, pero, che la moltiplicazione dei poteri reali al di fuori del quadro delle istituzioni tradizionali, cioè la crescita dei gruppi di interesse e dei gruppi di pressione, non ha nello stesso tempo comportato - come era necessario - un adeguato adattamento delle istituzioni politiche tradizionali - ufficiali e non - alla nuova situazione, alla nuova realtà. In sostanza, tanto l'organizzazione dei pubblici poteri, quanto il sistema dei partiti hanno continuato a camminare sui vecchi binari come se nulla fosse successo, mentre in realtà negli ultimi lustri sia il processo di decisione dei pubblici poteri sia il gioco interno delle organizzazioni politiche - che viene ancora mitizzato semplicisticamente come confronto leale delle opinioni delle maggioranze e delle minoranze - risultavano via via alterati per l'influenza di molti fattori che prima contavano ben poco, o non contavano affatto, o non si erano ancora configurati: ad esempio, le mutate dimensioni delle imprese industriali, dei potentati economici, delle organizzazioni di categoria, insomma i nuovi poteri entrati nella competizione e che hanno contribuito a mutare anche la fisionomia dei partiti politici (soprattutto di quelli che vengono definiti di massa) e interferiscono continuamente, con mezzi leciti o illeciti, nel governo della cosa pubblica. Senonché - è doveroso osservare a questo punto, limitando ovviamente il nostro discorso al problema dei partiti - la classe politica si è fatta sorprendere impreparata dalla nuova realtà; quel che è peggio, oltre a non sapere escogitare nuovi strumenti per far fronte alla situazione, è rimasta ·irretita nelle formule che ripete stancamente anche quando vengono contraddette nei fatti. E in una società in cui i vari corpi si definiscono in maniera sempre più precisa e tendono naturalmente all'autoconservazione, la classe politica ha mostrato di tenere alla propria conservazione più che alla rispondenza alle esigenze della società. Ne deriva una sclerosi della volontà, che porta alla sclerosi delle istituzioni politiche; l'arresto di ogni possibilità, di ogni volontà di rinnovamento, ancorché largamente condivisa da larghi strati popolari, di fronte al diaframma rappresentato appunto dalla classe politica, la quale guarda al passato perché ha perduto la capacità del rischio e la fantasia creatrice; ne deriva il fenomeno da tutti deprecato dei partiti lacerati da profondi contrasti interni, così gravi da rendere incomprensibile la ragione per cui correnti così distanti per ideologie, e per interessi, continuano a convivere insieme, sicché i par9 BibliotecaGino Bianco

Giuseppe Ciranna titi restano immobili, monolitici soltanto nella volo.ntà di autoconservarsi; ne deriva infine il fenomeno della « colonizzazione » dei partiti (è il termine che a nostro parere lo definisce meglio) da parte dei gruppi di interesse, di cui per l'Italia resta un esempio insigne e insu..: perato nell'assunzione di Malagodi alla segreteria del Partito liberale (e si può ricordare anche, a questo proposito, un più recente analogo tentativo esperito dagli stessi gruppi, e fortunatame11te fallito nei confronti del Partito Repubblicano). Il problema, abbiamo detto, è generale, è della società politica moderna, in Italia e all'estero. È il problema di fronte al quale ci dobbiamo misurare un po' tutti, negli anni sessanta; è un problema che riguarda paesi in cui le istituzioni democratiche sono antiche e consolidate da una lunga tradizione, e paesi come il nostro, usciti da poco da una lunga parentesi totalitaria. Abbiamo detto, all'inizio, degli Stati Uniti d'America; anche nella più efficiente democrazia dell'Occidente si è dovuto constatare negli ultimi anni quanta poca duttilità e flessibilità avessero le classi politiche, irrigidite negli schemi delle frasi fatte, dei luoghi comuni che hanno cessato da tempo di avere ogni corrispondenza con le cose, perché nati magari dall'esperienza sono stati poi logorati dal tempo. E le stesse difficoltà che ha incontrato sul piano dell'azione governativa il Presidente Kennedy nel primo anno di mandato presidenziale provano quanto sia difficile anche per la classe politica americana, certamente la più aperta delle classi politiche democratiche, adattarsi alle mutate situazioni che riflettono profondi rivolgimenti interni della società. Ed abbiamo accennato anche alla Francia: è il paese sulla cui esperienza tutti dovrebbero meditare, perché è il paese dove il contrasto tra l'antico e il nuovo è scoppiato da tempo in maniera drammatica, e dove il fenomeno di cui qui si discorre è venuto prima che altrove in luce: perché la Francia anticipa sempre i mutamenti della coscienza politica e sociale europea. Nessuno potrebbe oggi affermare che la società francese sia una società in declino, irrigidita in strutture anchilosate, perché l'insieme dei fenomeni che caratterizzano la vita francese di questi anni e che si riassumono nella mobilità sociale e nella modernizzazione ed efficienza dell'apparato produttivo (malgrado tutto quel che di vecchio continua a coesistere soprattutto in questo campo) starebbe lì a smentirlo. Nello stesso tempo, però, la Francia è pur sempre il paese che negli ultimi anni ha fatto registrare la più stridente contraddizione tra la modernità e il vigore del suo slancio di rinnovamento sul piano economico e sociale e la vecchiezza delle istituzioni politiche, la sclerosi e la mancanza di 10 Bibliotecaginobianco

Le retroguardie audacia della classe politica (travolta, poi, ingloriosamente, per lasciare il campo al caos e all'avventura). E potremmo continuare il discorso passando a considerare la situazione di altri paesi europei. Chi più, chi meno, essi presentano gli stessi problemi, le stesse contraddizioni, la stessa inadeguatezza della classe politica: basta del resto ricordare quante difficoltà si devono ' quotidianamente affrontare, nei vari parlamenti nazionali, per fare accettare quell'idea rivoluzionaria che è l'unificazione economica e politica dell'Europa, rivelatasi il solo strumento che può promuovere nuovi equilibri modificando gli assetti interni degli stati aderenti alle nuove istituzioni europee, e garantendo la collettività dal prepotere dei sindacati di interessi privati inseriti oggi saldamente nel sistema dei privilegi e dei monopoli esistenti sul piano nazionale. Ma, trovandoci di fronte ad un fenomeno così generalizzato, varrebbe la pena di ricercare, se è possibile, le cause. Cosa estremamente difficile, e che richiederebbe comunque altro impegno e ben altro spazio. Ma almeno una delle tante cause che sono all'origine della sfasatura tra ritmo di crescita della società e azione politica dei partiti, azione parlamentare e azione di governo, ci viene suggerita, ancora una volta, dall'esempio italiano. Come abbiamo già detto ci sembra che uno dei tratti caratteristici della vita pubblica italiana sia il ritardo con cui la classe politica prenda consapevolezza dei problemi reali del paese e del ritmo, della direzione di movimento della società: è un fatto che la realtà ha preceduto negli ultimi anni tutte le previsioni e ha sconvolto tutti i calcoli della maggior parte dei dirigenti politici; e di ciò hanno sofferto l'azione di governo e l'azione parlamentare, ha sofferto soprattutto il corpo sociale. « Il Paese cresce ed i partiti rischiano di non stargli dietro; i problemi sono mutati e le soluzioni prospettate dai partiti tendono a non mutare; le aspirazioni popolari evolvono e le promesse dei programmi politici restano allo antico, matenendosi collegate al culto dei pionieri più di quanto questi tollerebbero se tornassero a vivere »: così si è espresso l'on. Fanfani nel discorso pronunciato al congresso del San Carlo. E francamente non gli si può dar torto. Non sappiamo quel che direbbero di ciò i « pionieri », ma sappiamo che i n~stri governanti, i nostri uomini politici nella stragrande maggioranza non hanno proceduto alla cieca negli ultimi anni, ma si sono affidati ad ipotesi che ritenevanò attendibili e alla presunta conoscenza degli uomini e delle cose; e sappiamo anche che non solo i più cauti, i più prudenti fra essi, ma anche i più spregiudicati (salvo naturalmente 11 Bibliotecaginobianco

• Giuseppe Ciranna qualche rara eccezione) sono stati smentiti dai fatti che si sono spinti, potremmo dire, molto al di là delle previsioni. Ne consegue la regola che vuole che in Italia si governi affrontando i. problemi dell'oggi e dell'avvenire con la mente rivolta al passato. Sicché sono bastati appena pochi anni per rivelare le insufficienze di piani e di programmi che avrebbero dovuto proiettarsi nell'avvenire. L'esempio del Piano Vanoni, mai accettato completamente perché ritenuto troppo ardito, eppure superato ben presto dalla realtà, definisce meglio di ogni altro lo spirito con cui la classe dirigente affronta i pr~ blemi del paese; accanto ad esso sta l'esempio della politica agricola, sta l'esempio di taluni aspetti della riforma agraria, che l'hanno fatta nascere già vecchia, con soluzioni previste su misura per una società rurale che esisteva solo nella mitizzazione dei nostalgici della civiltà contadina; sta il piano verde, nato come tentativo di salvare strutture politiche e sindacali del mondo rurale che già vacillano sotto i colpi del fenomeno dell'esodo che sta sconvolgendo le campagne italiane; e sta, anche se non sembra che ce ne sia ancora piena coscienza, lo stesso recente piano della scuola. La verità è che resistono più del lecito schemi mentali sorpassati, che tali schemi trovano il conforto di un atteggiamento degli ambienti culturali. meno coraggioso ancora di quello dei politici ( è di tutti i giorni la polemica aperta o sottintesa contro la cosiddetta civiltà di massa, contro i pericoli della « massificazione », e così via). Tali schemi mentali non paralizzano soltanto la volontà, l'azione degli ambienti e delle forze politiche democratiche: tengono prigionieri i movimenti, le forze, i partiti che per definizione dovrebbero essere « progressisti »: si guardi alle tesi e all'azione del Partito comunista in Italia, per esempio, e all'ostinazione con cui è rimasto abbarbicato a formule vecchie, mentre la realtà del paese mutava rapidamente, e il Mezzogiorno camminava su binari diversi da quelli previsti da Gramsci e dai suoi esegeti, e gli operai del Nord apprendevano a fare da sé nella lotta sindacale. Si ha l'impressione, insomma, che i partiti, i movimenti, le classi politiche si siano rassegnati al ruolo di retroguardia della società. Il problema meriterebbe una approfondita indagine, un'analisi spregiudicata e non preconcetta, perché il fenomeno non è tipico ed esclusivo del mondo occidentale, né riguarda, come abbiamo visto, soltanto i movimenti che si usa definire conservatori o comunque « borghesi ». A diversi livelli e a diversi ritmi è un fenomeno che si riscontra anche nel mondo comunista. A quel che si può giudicare dalle informazioni 12 Bibliotecaginobianco

I Le retroguardie di cui si dispone in Occidente, e soprattutto da una considerazione non superficiale dei motivi di contrasto venuti alla luce nel cors.o del recente congresso del PCUS, o, meglio ancora, dai sintomi di disagio, di inquietitudine, di insofferenza che serpeggiano nella società sovietica e che non possono più essere nascosti, anche le società dell'area comunista, a cominciare da quellà che senza dubbio si trova nello stadio più avanzato di sviluppo, vanno maturando esigenze di più libere articolazioni, di più alti e soddisfacenti livelli di vita, di maggiore circolazione di idee. Ebbene, di fronte all'urgenza di questi bisogni, in che modo risponde la classe politica? In che modo e in che misura cerca di interpretare, di fare proprie, sente il dovere e la necessità di garantire tali esigenze con le istituzioni, e di ammetterne il diritto alla libera espressione? La classe dirigente sovietica risponde minimizzandole, o facendo finta di ignorarle, oppure deformandone il significato; e frattanto mette og11i impegno a consumarsi nella lotta per il potere. Essa co11tinua a discutere di « leninismo » e di « stalinismo », di « culto della personalità », di « dogmatismo » e via dicendo, continua cioè a riproporsi i termini consueti di un dibattito che poteva essere attuale, al più, dieci anni fa. C'è, dunque, anche nel mondo comunista un contrasto tra ritmo. di sviluppo della società e la struttura politica, che non ha trovato la capacità, la forza di rinnovarsi, di adeguarsi alle nuove esigenze. E, quel che a noi preme di rilevare, anche nel mo_ndo comunista, negli ultimi anni, il Partito, rivoluzionario per definizione, ha svolto un ruolo di retroguardia, si è impegnato e si impegna tuttora in un'azione frenante: anche la classe politica sovietica sembra, insomma, più preoccupata della sua autoconservazione che di corrispondere ai bisogni delle masse, con cui perde ogni giorno di più il contatto. Torniamo, per concludere, alla situazione italiana. Abbiamo detto sopra che l'Italia è rimasta ferma otto anni prima di prendere una decisione che era matura nella coscienza popolare e che l'interesse del paese reclamava. Oggi la situazione sembra che si voglia mettere in movimento. Ma gli ultimi otto anni devono averci appreso molte cose; devono averci insegnato che, nella realtà del mondo odierno, non basta la volontà dei più, anche se democraticamente espressa, a far avanzare le cose. In Italia, a far segnare il passo, è bastato che prevalesse, sul" l'interesse dei più, la logica interna di autoconservazione della classe dirigente del partito di maggioranza. Anche questo, anche la possibilità di fenomeni del genere, sono la conseguenza dello sviluppo della società, a cui non si è accompagnato un adeguamento delle forme politico13 Bibli9tecaginobianco

Giuseppe Ciranna istituzionali. Nei partiti si dà, cioè, la possibilità che i gruppi dirigenti si frantumino in gruppi di potere e riconoscano solidarietà diverse, anche nel genere, da quella che imporrebbe la scelta ideologica, il cosiddetto programma del partito; e a determinare gli indirizzi dell'attività statale acquistano sempre maggiore peso gruppi di potere che non hanno definizione ufficiale. Tenendo presenti queste osservazioni, forse si potrebbe tentare di definire il volto, il significato e la natura di quel fenomeno che è stato chiamato « doroteismo » e che ha rappresentato negli ultimi anni l'ostacolo maggiore messo sulla strada della Democrazia cristiana verso l'incontro con altre forze politiche, alla ricerca di diversi equilibri più confacenti alle esigenze della nostra società. Comunque, il partito di maggioranza, nell'ultimo congresso del San Carlo, ha dimostrato di voler cominciare un processo autocritico, ha voluto riaffermare - e il merito va soprattutto al segretario politico - la preminenza dei valori ideologici: questa è forse la strada che può far uscire i partiti dalla stasi, dalla paralisi di cui qui si è detto, e far loro abbandonare il ruolo di retroguardia. Ma tutto questo non può bastare. Il centro-sinistra, come operazione politica che deve rinnovare le strutture politiche del paese (ma il problema, giova ancora una volta ripetere, non è solo italiano), non ha soltanto nemici éontro di sé, ma li ha, potremmo dire, in sé, nella realtà odierna del rapporto tra classe politica e realtà sociale. Potrà superare la prova cui è da oggi chiamato se saprà ripensare le proprie ragioni in termini moderni, se saprà cioè collegarsi, anticipandole, alle esigenze della società, contrariamente a quel che è avvenuto fino a questo momento. GIUSEPPE CIRANNA 14 BibliotecaGino Bianco

Le regioni periferiche d'Europa di Luigi Mazzillo Della « Conferenza sulle economie regionali » indetta dalla Commissione della Comunità Economica Europea e svoltasi a Bruxelles dal 6 all'8 dicembre 1961 la stampa italiana - salvo poche eccezioni - si è occupata poco o niente. Quasi l'argomento fosse di quelli che vanno sottaciuti o addirittura ignorati. Ben maggiore è stata, invece, l'attenzione che all'avvenimento hanno dedicato i giornali degli altri paesi del MEC. Un'altra dimostrazione, questa, della scarsa attitudine dei centri di formazione dell'opinione pubblica in Italia a cogliere l'importanza di certi eventi, a discernere fra cose che meritano un rilievo e cose che invece un rilievo non meritano. A nostro avviso questa assenza e questo disinteresse sono ancora più gravi ed appariscenti se messi a confronto col ruolo che la delegazione degli esperti italiani ha svolto nel corso della « Conferenza». La prima impressione, infatti, che si può ricavare dall'andamento della discussione è proprio quella di una funzione di avanguardia degli italiani nell'ambito della Comunità. Si può dire che, almeno in questa occasione, siano stati propri gli esperti italiani ad avviare un discorso sulla politica di sviluppo regionale a livello comunitario, seguiti, in parte, dai francesi ed osteggiati nettamente da tedeschi e da olandesi. Lo stesso Marjolin, vice-presidente della Commissione della CEE, è sembrato ~ver compreso quali fossero gli umori dell'assemblea per la quale egli ha svolto la sua relazione introduttiva, piuttosto diplomatica nel tono e prudente nell'analisi e nei suggerimenti. La Commissione della CEE è indubbiamente convinta che i problemi di sottosviluppo regionale dei sei paesi si possono risolvere soltanto a livello europeo, specialmente in una realtà in movimento qual'è quella dell'area del MEC, sotto lo stimolo della crescente liberalizzazione degli scambi ed integrazione delle economie nazionali. Ma l'élite dirigente comunitaria - poiché di una vera e propria élite si tratta ormai - è anche consapevole delle remore di natura più disparata che sopravvivono al nazionalismo ed all'autarchia che ci lasciamo alle spalle. Non si può poi negare che esistano resistenze fortissime da parte dei «monopoli» del MEC all'introduzione di una serie di misure che lS BibliotecaGino Bianco

• Luigi !vJ. azzillo comporterebbero inevitabilmente un sia pur relativo condizionamento delle loro decisioni. È significativo, per esempio, che il vice-presidente della Philips, sig. Tromp, ha teorizzato in sede di « Conferenza » il d~- . vere di non ingerenza dei governi - ed a maggior ragione della Comunità - in quelle decisioni cl1e competono, a suo giudizio, esclusivamente alla classe imprenditoriale. Né si può dire cl1e i governi dei sei paesi siano, 11ella maggioranza, di orientamento meno liberista: basta scorrere la lista delle persone che componevano le varie delegazioni per notare come ci si fosse preoccupati della presenza di numerosi funzionari, studiosi e industriali, ma come di sindacalisti ce ne fossero solo tra gli italiani, ed in numero di tre, di cui, poi, soltanto uno presente effettivamente. Sono queste le varie ragioni che facevano dubitare all'inizio sull'esito della « Conferenza » e so110 anche queste le ragioni che avevano consigliato a Marjolin la prudenza iniziale. Lo svolgimento dei lavori ha permesso di superare questo impasse di partenza? Le conclusioni sono state tali da giustificare un certo ottimismo sulla possibilità di un discorso e di un intervento a livello comunitario nelle aree meno prospere della « piccola Europa »? È obiettivamente difficile un excitrS!A,S completo sulle varie tesi sostenute nelle 20 relazioni e nei numerosi interventi, che, d'altra parte, si sono svolti in due assemblee diverse, essendosi organizzato il dibattito in due commissioni che si sono occupate di argomenti diversi. Solo alla fine, prima della relazione conclusiva di Marjolin, si è avuto un breve dibattito in seduta plenaria. Tenteremo, comunque, di dar conto di ciò che più può interessare ai fir1i di un bilancio obiettivo della « Conferenza », bilancio che, ovviamente, non può non essere piuttosto som1nario ed anche approssimativo. Ma quel che più conta in queste occasioni non è tanto la messe delle nuove cognizioni e dei nuovi suggerimenti che .vengono dati i11 ordine all'attuazione di un certo scopo. Conta molto di. più, invece, il fatto che si sia constatato o meno un orientamento generale favorevole all'adozione di una certa politica. Un bilancio di questo genere è senz'altro possibile farlo. Abbiamo già accennato alla fisiono1nia dell'assemblea: burocrati, uomini d'affari, studiosi, qualche uomo politico ed i membri della Commissione del MEC. Tutta gente in grande maggioranza poco disposta a dar vita ad un dibattito politico che comportasse l'assunzione di certe responsabilità che è sempre comodo o almeno prudente non assumersi. Perciò nella fase d'apertura della « Gonferenza » si andò avanti quasi 16 I ' Bibliotecaginobianco

Le regioni periferiche d'Europa senza scosse, tra relazioni puramente descrittive, espositive o pedagogiche ed interventi quasi solo informativi, anche quando si affrontarono temi come i « programmi di azione regionale », la « collaborazione dell'iniziativa pubblica e privata per lo sviluppo di un polo industriale » e gli « aspetti dello sviluppo di una impresa nell'ambito dello sviluppo regionale ». Veramente per ognuno di questi argomenti veniva presentato un caso concreto, su cui i relatori facevano del loro meglio per dir tutto, naturalmente da un punto di vista informativo. Erano queste esperienze illustrate più o meno abbondantemente che avrebbero dovuto poi dare l'occasione per l'avvio di un certo discorso di fondo sui problemi, sugli insegnamenti e sulle prospettive di carattere più generale. In realtà coloro che intervenivano nel dibattito restavano un pò nella scia dei relatori, chiedevano delucidazioni su aspetti tecnici marginali, su quel caso specifico esaminato, e si fermavano lì, senza travalicare i limiti della disquisizione accademica. Fu nella seconda giornata della « Conferenza » cl1e il tono del dibattito si elevò, e si ebbe un « aggiustamento di tiro » nei vari interventi; e ciò; come abbiamo già anticipato, in gran parte per merito della delegazione italiana. La tesi fino allora adombrata e cl1e sembrava avesse successo era quella che in Italia si è usi chiamare tesi del « tempo lungo ». Si era detto in altri termini: i governi, ed a maggior ràgione la Comunità, non possono intervenire direttamente r1elle regioni « critiche », perché la concorrenza è sacra, perché, se il governo prende il posto degli industriali, si provoca un turbamento che scoraggia gli imprenditori invece di portare a nuovi equilibri, e così via. E si era anche detto: i governi debbono mettere sù le infrastrutture, pensare alla qualificazione ed alla riqualificazione della manodopera, collaborare con gli imprenditori (accettarne, cioè, i suggerimenti), perché in tal modo si assicurerebbe un clima di reciproca fiducia tale da incoraggiare tante nuove iniziative. Collaborare come, exempli gratia, avveniva per la « Conferenza » in corso. Che si creassero, quindi, nelle regioni poco prospere, le strade , i servizi sociali più necessari ed anche i cinematografi, i circoli, e così via; e, una volta che fosse stato possibile trovare la manodopera idonea, col tempo e l'aiuto e la garanzia dei pubblici poteri, gli industriali avrebbero « decentrato » i loro stabilimenti (avrebbero, cioè, creato delle succursali ove se ne presentasse il vantaggio). Con queste nuove imprese si sarebbero aperte nel tempo delle possibilità assolutamente nuove, sia sotto l'aspetto dell'espansione economica, sia sotto l'aspetto dell'assorbimento di manodopera. Ma che ci si ricordasse che non bisognava aver fretta: è !°'esempio che dà i migliori frutti, anche per quanto riguarda gli uomini, perché gli uni sono 17 Bibliotecaginobianco I

Luigi Mazzillo portati naturalmente ad imitare appunto l'esempio degli altri (è una vecchia regola convalidata dall'esperienza, che sarebbe stata confermata, assicuravano, anche in questo caso). La tesi, sostanzialmente, oltre ad essere vecchia e tendenziosa, è anche errata, poiché sanno tutti che finora è stata proprio la rinuncia dei governi ad intervenire direttamente almeno nelle aree « critiche » ad accentuare gli squilibri fra regione e regione e fra settore e settore (come, per altri versi, è accaduto per la distribuzioné del reddito e della ricchezza fra classe e classe). Le strozzature, nel sottosviluppo regionale, si sono avute proprio per i difetti dell'economia di mercato nella quale operano i cosiddetti « fattori comulativi », fattori, cioè, di richiamo della prosperità nelle aree già prospere. In Italia si è orrpai convinti di questa verità: ne è dimostrazione il fatto che quasi nessuno più da noi si dichiara apertamente contrario ad un intervento pianificatore dello Stato: i contrasti vertono piuttosto sul quantum, sulle caratteristiche della programmazione (indicativa o precettiva), ma in linea di principio si è tutti d'accordo sulla necessità di un intervento per modificare l'andamento delle scelte e dei consumi, sia pubblici che privati. Ricollegandosi a questo tipo di discorso Franco Simoncini, Alessandro Molinari, Giuseppe De Rita ed il Ministro Pastore diedero · una vigorosa sterzata alla barra della discussione, fracassando un pò il castello di piccole e fragili mattonelle fino ad allora edificato. I relatori e gli intervenuti avevano suggerito le infrastrutture e la qualificazione professionale: l'Italia questo lo aveva fatto e lo sta facendo, osservò Pastore, ma senza ottenere il risultato di giungere al rìequilibrìo fra regione e regione. Finora, sottolineò Simoncini, ci si è affidati anche in Italia al « tempo lungo », all'automatismo di mercato; ma oggi, considerando i limiti dei successi ottenuti per mezzo di una tale politica, ci si è convinti che occorre operare nel « tempo breve », in una economia, cioè, che sia diretta o almeno orientata dai pubblici poteri. Ma l'eliminazione delle depressioni regionali, osservava Molinari, non po-- teva essere più compito esclusivo degli Stati, così come aveva ritenuto di poter affermare Marjolin nel suo discorso introduttivo. Il MEC rende impossibile ormai qualsiasi politica autarchica anche se limitata ad una sola regione o ad un gr1..1ppo di regioni, per cui anche i problemi di dislivello regionale debbono essere risolti a livello comunitario. Partendo, ovviamente, da uno schema formulato in termini conoscitivi e previsionali, come aveva già sostenuto Simoncini, dato che non siamo ancora di fronte ad un potere comunitario forte e indipendente dai . governi. La discussione venne così ad incentrarsi sul grande tema del sotto18 Bibliotecaginobianco

Le regioni periferiche d'Europa sviluppo regionale come strozzatura non solo nazionale, ma anche comunitaria, con l'implicita conseguenza di ritenere necessaria l'integrazione dei piani di sviluppo regionale non solo nel contesto di un piano nazionale, ma anche nel contesto di un « piano » comunitario. Operativo i] primo, poiché - come ha testualmente osservato Pastore - « in un non lontano passato aver ignorato queste cose è stato per noi motivo di profonda delusione »; almeno orientativo, dapprincipio, il secondo, cl1e rappresenti per la Comunità il primo modo di proporsi direttamente il problema delle regioni arretrate che, come tali, influiscono negativamente anche su quelle di avanguardia. Grazie a questa corag- , giosa impostazione del problema, è stato possibile far dire alla « Conferenza » altre cose pure esse di un certo rilievo e, sotto qualche aspetto, abbastanza rivoluzionarie. Si è così insistito sul fatto che non sono sufficienti la buona volontà e la forza di persuasione per giungere al riequilibrio regionale, ma che bisogna mettere almeno in moto un meccanismo di incentivi e disincentivi per arrivare a un decentramento delle industrie dalle regioni sovraindustrializzate - ed afflitte perciò da problemi di ipersviluppo - verso regioni povere di attività imprenditoriali, ma ricche di uomini. La discussione su questa politica di sviluppo regioI1ale concertata a livello comunitario ha spinto altri ad affrontare i problemi istituzionali che ne conseguono e che molti hanno suggerito di risolvere attraverso un rafforzamento dei poteri della Commissione. Chiara è stata poi anche l'affermazione del principio essenziale che per poter realizzare la pianificazione regionale bisogna chiedere l'adesione delle popolazioni al piano. Poiché si tratta, in fondo, del principio democratico ·applicato alla vita economica. E poi anche percl1é una popolazione che venga associata alla elaborazione del programma economico svolgerà un ruolo attivo nell'esecuzione di questo programma; invece di subirlo, lo animerà. Sono queste ed altre considerazioni che hanno dato un tono diverso al dibattito ed una fisionomia diversa all'assemblea: cosa che ha poi permesso a Marjolin di esprimere la speranza che possa nascere e prosperare l'Europa « non dei tecnocrati e dei capitalisti, ma l'Europa sociale dei lavoratori ». La risposta al primo quesito che ci siamo posti - se, cioè, lo svolgimento dei lavori abbia permesso di superare un impasse di partenza che rischiava di ridurre tutto il dibattito ad una disquisizione accademica può essere, dunque --:- almeno in parte - positiva. Per dare una risposta al secondo quesito - se, cioè, le conclusioni siano state tali da giustificare un certo ottimismo sulla possibilità di 19 Bibliotecaginqbianco

• Luigi Mazzillo un discorso e di un intervento a livello comunitario nelle aree meno prospere della « piccola Europa » - dobbia1no ricordare sommariamente quali fossero gli obiettivi della « Conferenza » e riferire altret- ·tanto sommariamente sul bilancio che dei tre giorni di discussione ha steso Robert Marjolin nella sua replica finale. Gli obiettivi erano tutti piuttosto limitati: si riducevano in realtà al minimo, anzi a quelle cose che necessariamente si debbono accompagnare ad incontri del genere. Ci si era proposto, così, di stabilire diretti contatti fra le personalità che, in ciascuno dei sei paesi, sono responsabili dell'elaborazione e della realizzazione dello politica regionale; trarre, in maniera chiara e precisa, gli insegnamenti derivanti dagli sforzi compiuti nei sei paesi per addivenire ad uno sviluppo più armonico delle grandi regioni che compongono ciascuna delle economie nazionali; mettere in luce gli aspetti di comune interesse dei problemi regionali (ivi compresa l'incidenza del Mercato Comune su questi problemi e sulle loro possibili soluzioni); chiarire ai governi ed alla Commissione le linee di azione in materia di politica regionale ed esaminare il concorso cl1e la Commissione potrebbe apportare agli Stati membri in questo campo. Come si vede, gli scopi ufficiali della « Conferenza » si limitavano ad una semplice rassegna delle politiche di sviluppo regionale messe finora in atto nei sei paesi della Comunità Economica Europea. Il primo obiettivo è stato certamente raggiunto: oltre ad essersi stabiliti dei contatti diretti fra i responsabili delle politiche regionali di sviluppo dei sei paesi, si è anche stabilita una certa reciproca . comprensione. Ma già sul secondo obiettivo la valutazione non può essere altrettanto positiva, se la più importante conclusione che Marjolin ha creduto di poter ricavare a questo proposito è stata quella di dover preparare un questionario per chiedere ai vari governi cosa hanno fatto sinora in questo campo. Si è constatato, comunque, un interesse generale per i problemi delle regioni depresse ed un orientan1ento pure generale a voler giungere ad una progressiva omogeneizzazione delle economie nazionali e dell'economia comunitaria nel suo insieme. È stata posta anche in rilievo l'assoluta diversità che esiste nell'ambito del MEC fra regione e regione, per cui occorre una adeguata articolazione delle politiche regionali di sviluppo. È proprio questa la particolarità del nostro continente: la sua strutturazione in numerose regioni economiche che, per lo più, non coincidono con le corrispondenti regioni politiche. A questa caratteristica diversità· delle regioni bisogna aggiungere 20 Bibliotecaginobianco

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