Nord e Sud - anno - VIII - n. 22 - ottobre 1961

Rivista mensile diretta da Fr~ncesco Compagna CARLO TURCO, Una « centrale )) dell'industrializzazione FRANCESCO COMPAGNA, Dopo i primi anni di esodo rurale CESARE MANNUCCI, La ricerca sociale e la RAI -TV SA:NDRO PETRICCIONE, L'I.R.I. a Napoli VITTORIO DE CAPRARIIS, Profilo di Alexis de Tocque-r;ille e scritti ,di FEDERICO Gozzr, CARLO MAGGI, LUIGI MAZZILLO, ·GAETANO ORLANDI, STEFANO RoooTÀ ANNO VIII . NUOVA SERIE · OTTOBRE 1961 • N. 22 (83) • • I • I • - w \ 1 • • f 1 I • • w • ' '• •• • : < , > '• • • , • , ,. • ~ • •: '• • • EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE • NAPOLI Bibliotecaginobianco

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I I I NORD ESUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna I Bibliotecaginobianco

SOMMARIO Editoriale [3] NOTE E RELAZIONI Francesco Compagna Dopo i primi anrii di esodo rurale [6] Cesare Mannucci La ricerca sociale e i policy-makers della Ra- . cliotelev-isione italiana [ 17] PROPOSTE E COMMENTI Carlo Turco Una « ceritrale » delf iridustrializzaziorie [ 30] GIORNALE A Più VOCI N.d.R. Bari e Napoli [51] Gaetano Orlandi Gli aiuti sovietici ai paesi in fase cli sviluppo [53] Carlo Maggi Il convegno· nazionale di pianificazione rurale [57] Sandro Petriccione L'l.R.I. e l'area napoletana di ulteriore iriclu-, strializzaziorie [ 62] Stefano Rodotà Cronaca delle istituziorti [ 67] Federico Gozzi Pregiu,clizi antiamericani SAGGI Vittorio de Capra·riis Profilo di Alexis de Tocqueville [77] RECENSIONI . Luigi Mazzillo I grandi problemi [ 125] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telef. 392.918 Ahbonan1enti, distribuzione e pubblicità: [73] Una copia L. ~00 • Estero L. !60 Abbonamenti Sostenitore L. 20.000 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1. 700 Estero annuale L. 4.001 semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti 11ul C.C.P. 6.19585 intestato • Ed. Scientifiche Italiane S.p.A. Via Roma. 406 Napoli EDIZIONI SCJENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Ro1na, n. 406 - Napoli - telef. 312.540 - 313.568 Bibliotecag1nobianco

• Editoriale « Il Corriere clella Sera >> e altri quotidiani italiani hanno dato grande rilievo a un « pro·getto Pella >> sulle nuove competenze del Ministero del Bilancio e sulla trasformazione del CIR in Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Economico e Sociale (CISES) con il compito di coordinare i piani settoriali e regionali. È evidente che il « pro·getto Pella >>, se è soddisfacente per gli economisti che scrivono sui grandi giornali indipendenti, fautori della « convergenza >>. centrista, e per i liberisti del PLI e della destra clemocristiana, non può essere considerato una soluzione accettabile dai fautori di un governo· d'i centro-sinistra, che, come ha scritto Adolfo Battaglia sul « Monda >> del 3 ottobre, deve essere « il governo del piano >>. · Quali soluzioni la sinistra democratica dovrebbe patrocinare in vista clella formazione di una maggioranza di centro-,sinistra? Giustamente Adolfo Battaglia, nelt'articolo citato, ha rilevato che « non si tratta soltanto di attuare una certa politica economica che le forze della coriservazione impediscono oggi di realizzare >>. C'è anche un problema di strumenti per attuare questa politica: « ogni grande politica ha necessariamente bisogno di essere, prima, un assetto istituzionale, una ~cassa legislativa, un fatto di riordinamento della struttura dello Stato >>. E non sarà certamente con i comitati di economisti presieduti da Papi, nè con i progetti' di riforma del Ministero del Bilartcio e del CIR proposti da Pella, che il problema degli strumenti sarà risolto: si tratta di comitati è progetti che aggirano, non affrontano, e anzi aggirano per non affrontare, le questioni che si devono risolvere. A nostro giudizio, ta"liquestioni sono essenzialmente due: l'una, specifica, relativa al problema degli interventi straordinari nel Mezzogiorno; . f' altra, di ordine più generale, relativa al coordinamento della politica economica italiana. 3 Biblìotecaginobianco

Per quanto riguarda la prinia questione, è sembrato a qitalcuno che la Cassa per il Mezzogiorno ha fatto il suo tempo e che deve essere sostituita da una variante italia·na della TV A ameriçana. Ma, per molti aspetti, la Cassa è proprio una variante italiana della TV A americana; e allora il problema che si pone non è quello di creare un doppione clella Cassa o un organo riuovo che siibentri al vecchio (che, a riostro_ giudizio, non lia fatto il suo tempo ed è un organo che fra molte difficoltà ha funzionato bene, a differeriza di tanti altri) solo per il gusto cli cambiare; 1na è quello di veclere se alla Cassa devono essere assegnati compiti riuovi e se, per altri aspetti, non si è fatto ancora ciò che si poteva fare nel predisporre gli strumenti dell'industrializzazione. Relativamente a qitest'ultimo punto, non ci resta che rinviare i lettori all'articolo cli Carlo Turco che si legge più avanti in questo fascicolo di « Nord e Sucl )> e che propone il modo più efficace di clare vita a una vera e propria « centrale dell'industrializzazione >) secondo quanto è stato deciso ed anriunziato nei giorni scorsi dall' on. Pastore. Per quanto concerne, invece, i riuovi compiti della Cassa, vedrenio più avariti come essi possono essere definiti solo iri itn quadro più ampio; lo ,ceclre1no, cioè, dopo aver affroritato l'altra questiorie, quella clel coordinamento, che è la più difficile e la più cliscttssa. Si sono lette a questo proposito considerazioni molto interessanti proprio in un, eclitoriale della rivista che è vicina all'on. Pastore e alle correnti di siriistra della DC (« Il nuovo osservatore)> del 10 sette1ribre 1961). Eviclentemente l' on. Pastore ha potuto fare tesoro clella sua esperienza di Presidente del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno e P'UÒ ora trarrie conclusioni utili per i fautori clella maggioranza di centro - sinistra, fra i quali con, l'editoriale citato - ponendo il problenia delle << forze omogenee per le quali non esistono remore, neppure tacite, alle scelte più coraggiose >>- si è venuto lui stesso ad allineare. Ora, per qitanto riguarda il coordinaniento, l'esempio del Comitato · dei Ministri per il Mezzogiorno, che doveva coordinare interventi ordi- ' nari e interventi straorclinari nel Mezzogiorno, è veramente significativo: lo stritrnento predisposto nari ha funzionato come doveva funzio- . nare perchè se ne è minata l'efficacia costituendo una « pletora >) di . altri comitati i1iterministeriali, spesso soltanto per far fronte a esigenze ~ i « occasionali )); onde incertezze, contrasti, confusione di conipetenze. ! Ma c'è anche un'altra co1isiderazione da fare: i programmi ministeriali, ; :. per essere coordinati, do,crebbero essere sottoposti, prima dell'approvai zione finale, e per ogni esercizio finanziario, a un tempestivo e appro4 f Bibliotecaginobianco

fondito esame da parte del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno; . e proprio questo non è mai avvenuto, ed è imp·ossibile che avvenga fino a quanclo non avremo un piano generale di sviluppo, che costituisca il f andamento comune di tutti i programmi settoriali.· E perciò - è la conclusione. cui perviene « Il nuovo osservatore >>-:- non, si può rinviare « una coraggiosa riforma dell'impostazione della spesa p-ubblica e degli attuali organi istituzionalmente prep·osti alla politica di sviluppo>>. In primo luogo, è necessaria, dunque, una trasfor- · . mazione del Ministero del Bilancio in Ministero per la predis1)o,.,~fzione ~ . e jl ~ory,_troldloel programma generale di s:12iluupos:ia per la « difficoltà di conciliare le resporisabilità di ' difesa ' del bilancio con i compiti di generale programmazione e controllo dello sviluppo economico del paese )); sia perchè « è certamente evidente ... il diverso clima culturale e politico nel quale fu concepito e attuato il Ministero del Bilancio, rispetto ai compiti di elaboraziorie di un piano generale di sviluppo, così come l'attuale situazione economica e sociale richiederebbe >>. Certi compiti specifici che il Ministero del Bilancio esercita oggi a mezzadria col Ministero del Tesoro, possono essere restituiti a quest'ultimo, contrariame·nte ad alcune proposte del « progetto Pella >> (fusione dei Ministeri del Tesoro e delle Finanze, Ragioneria Generale dello Stato al'~ Ministero del Bilancio). . « Il nuovo osservatore )) suggerisce p·oi una « utile intesa )) con la p_roposta dell' on. La Malfa circa la trasformazione clei compiti della Cassa per il Mezzogiorno, la c1uale, del nuovo Ministero della programmazione e dello sviluppo, dovrebbe diventare il principale ~~.§1.!Y!!!..e~to tecnico )). E quanto ai diversi, troppi comitati interministeriali, si tratterebbe di assorbirli in un solo comitato, sotto la direzione del Ministro per la programmazione e lo sviluppo. Siamo lontani, come si vede, clal « progetto Pella )), rispetto al quale questo « proget~o Pastore>> -,ci sia consentito chiamarlo così - ci sembra, da un punto di vista meridionalistico, assai più raccomandabile (ma nel Mezzogiorno nessu.1io se ne è accorto, naturalmente, e non v'è stata . ancora una presa di posiziorie della stampa o di uomini politici a questo·· proposito). E soprattutto ci sembra che questa sia una base utile di discussione per cercare la piattaforma della sinistra democratica ai fini dei negoziati che dovrebbero approdare alla formazione di una maggioranza di centro-sinistra capace cli esprimere « il governo del piario >>. 5 Bibliotecaginobianco

NOTE E RELAZIONI * a Dopo • • • 1 pr1m1 • anni di esodo rurale di Francesco Compagna Quali problemi si pongono nelle zone di partenza delle migrazioni i11terne? E quali articolazioni dell'intervento pubblico si richiedono per affrontare e risolvere tali problemi? Su queste domande si basa la nostra relazione. Diciamo subito, però, che solo alla prima di esse si può rispondere con una certa precisio11e;per la seconda ci si dovrà contentare di indicazioni generiche. È vero che la letteratura sulle migrazioni interne è piuttosto ricca e che molti buoni studi sono stati pubblicati negli ultimi ann.i; ma è anche vero che tali studi l1anno avt1to per oggetto i problemi che si pongono * Nel corso di questo anno il Centro Studi cc Nord e Sud » è stato incaricato cli preparare una serie di relazioni per vari congressi e convegni. Cominciamo cla questo numero a pubblicare tali relazioni e indicheremo di volta in volta l'occasione per la quale esse sono state preparate. Questa, di Francesco Compagna, sulle «zone di fuga » delle migrazioni interne dal Sud al Nord è stata preparata per il C 011vegno cli Saint Vincent, organizzato dal Centro di Difesa e Prevenzione sociale e dedicata al tema: cc squilibri regionali e articolazione dell'intervento pubblico ». L'altra, che segue, di Cesare Mannucci, fa parte di un gruppo di tre relazioni con le quali il Centro Studi cc Nord e Sud » contribuisce al convegno che l'Associazione Italiana di Scienze Sociali terrà in novembre ad Ancona in preparazione al V Congresso Mondiale di Sociologia che si terrà a sua volta a Washington nel 1962 sul tema: cc ' policy makers ' e ricerche sociali ». Le tre relazioni del Centro Studi « Nord e Sud» esamin~.no questo tema nel quadro dei problemi di formazione dell'opinione pubblica. La relazione di M annucci è dedicata ai policy makers della radiotelevisione. Pubblichererno nei prossimi numeri le altre due relazioni del Centro Studi « Nord e Sud >> per il convegno di Ancona: quelle di Nicola Tranf aglia e di Orazio Gaviali> rispettivamente dedicate ai rapp01ti fra centri di decisione e ricerche sociali nell'ambito dell'attività giornalist-ica e del cinematografo. (N.d.R.). 6 Bibliotecaginobianco

nelle zone di attrazione più che i problemi delle zone di partenza, i problemi •delle banlieues e delle bidonvilles nell'Italia set~entrionale più cl1e i problemi dei « paesi » e delle campagne drenate dai « treni del sole » e dalle cc frecce del sud ». Vediamo, comunque, se è possibile · dire intanto qt1alcosa di preciso relativamente a questi cc paesi » e a queste campagne sulla base delle in,dicazioni che si possono .ricavare dagli studi e dalle inchieste sulle migrazioni interne che sono state pubblicate in questi annì. Vediamo, cioè, di definire anzitutto quali sono le principali cc zone di fuga » . Nello studio di Corrado Barberis sulle migrazioni rurali (Feltrinelli, 1961) si legge: « ad espellere i p-ropri figli e a spingerli al Nord sono - Sicilia a parte - le zone dell'Appennino meridionale: quelle tra il Fortore, nei suoi due versanti, molisano e pugliese, e il Cilento ». Da una inchiesta di Bruno Romani sul cc Messaggero » nel 19i57 - inchiesta che ebbe un po' il merito di ,dare il via alle ricerche sulle migrazioni i11terne, un merito che spesso i giornalisti possono. vantare e che non sempre gli studiosi non giornalisti sono disposti a riconosce!e - risultava d'altra parte che le provincie di Foggia e di Bari cc cla sole contribuiscono con circa il 40%all'immigrazione meridionale a Mi- . lano » e che anche a Torino prevalgono i pugliesi. E quando si è parlato, per le zone di attrazione delle migrazioni interne, di cc colonie prevale11ti » e cc colonie minori », sempre. cc geograficamente localizzabili » per effetto di quelle cc catene » che uniscono gli stessi luoghi di destinazione con gli stessi luoghi di provenienza, si è fatto resempio di Ruvo, di Canosa, di Andria, di tipiche « città contadine » de.Ile Puglie, cioè, dalle quali sono partiti gran parte degli immigrati venuti a Milano negli anni cinquanta. Possiamo dire, dunque, che tipiche e principali zone di partenza delle migrazioni interne dal Sud al Nord sono quelle del cc latifondo contadino » cui fa riferimento Barberis nel saggio che abbiamo citato; ma non si deve din1enticare che altre correnti partono dalle cc città contadine » delle Puglie e non soltanto .delle Puglie. Se ne dovrebbe dedurre che queste due realtà meridionali (l'uno e l'altra, il cc latifondo contadino » e la cc città contadina », hanno ispirato pagine bellissime dei classici .della letteratura meridionalista) si vengono modificando in co~seguenza della decongestione del tessuto demografico provocato dalle migrazioni. E po.ichè si è sempre .detto che i problemi del « latifond9 contadino » e delle cc città contadine » erano difficilmente risolvibili, se non addiritt11ra insolubili, proprio a causa dei loro aspetti demografici, 7 Bibliotecaginobianco ) .

si dovrebbe anche rite11ere cl1e oggi questi problemi sono più facilmente risolvibili di ql).anto 110nlo fassero ieri, e che quindi proprio questo è il 1nomento dell'intervento pl1bblico$ __ , Giova aggiungere che altre realtà meridionali - quelle alberate a cultura intensiva che pure presentano aspetti di congestione demografica (la Campania felix o la Terra di Bari), per esempio, o la cc polpa » recentemente liberata dalla malaria e intorno alla quale ha operato la riforma agraria - pure sono zo11e di partenza delle migrazioni. Ma i loro problemi non sono così direttamente connessi alle migrazioni - al salasso - come quelli del « latifondo contadino » e delle cc città contadine », le quali, del resto, si trovano proprio disseminate nella parte pugliese della « polpa » di cui dicevamo e anche altrove; ~nde parlando di esse, si parla in fondo delle varie zone, e realtà, in Clli esse si sono formate. Se « latifondo contadino » e cc città contadine » sono la realtà meridionali più direttamente interessate dalle migrazioni, e costituiscono le principali « zone di fuga », volgiamo dunque la nostra attenzione prima sull'uno e poi sulle altre. Prendiamo naturalmente le mosse dalla definizione· di cc latifondo contadino » che fl1 data da Rossi Daria a Bari nel 1945, in una relazione tenuta al convegno di studi sui problemi del Mezzogiorno organizzato dal Partito .d'Azione. Fl1 quella l'occasione in cui fu lanciata la formula del « latifondo contadino », la cc realtà agricola più vasta e caratteristica del Mezzogiorno », -della quale fanno parte cc tutte le terre interne, montane e collinari ». Qui, diceva Rossi Daria a qt1el convegno, « il contadino è un uomo alla continua ricerca di terra; dove e come , la trova, la coltiva, mette11do così insieme un certo numero di appezzamenti diversi e staccati, di proprietà sua e di altri, un anno questi e un altro altri parte attorno al paese, nella corona intensiva, parte in valle, perchè sian terre più frescl1e, parte al monte, perchè, se la stagione va diversamente, producono meglio, parte altrove, perchè solo altrove riesce a trovarne ». Di qui la -dispersione e la precarietà delle imprese contadine, di qt1i la messa a cultura di terre che non hanno cc vocazione colturale », di qui la estrema polverizzazione fon-diaria, il min.ifund di cui parlava il povero Scotellaro. Ma sono tutti fenomeni, questi, nei confronti dei quali le partenze degli ultimi dieci anni devono avere esercitato un'influenza rilevante, nel senso di recare un certo sollievo alle zone del cc latifondo contadino », se non addirittura nel senso di 8 Bibliotecaginobianco

.. consentire oggi la soluzio11e di problemi dei quali ieri non era proprio possibile intravedere una soluzione. Questa è la prima i11dicazione generica che è possibile fornire in questa sede. Ma si può an,dare ancl1e oltre. È dalle zone del cc latifondo contadino » che sono partiti Rocco e i suoi fratelli; e noi sappiamo cosa è avvenuto di loro a Milano. Ma 110n sappiamo cosa è avvenuto del cc fazzoletto » di terra cl1e essi l1anno ven,duto prima di partire per pagarsi il viaggio a Milano; non sappiamo cosa è avvenuto dei tanti spezzoni di terra che sono stati venduti dai tanti partenti; non sappiamo in quale misura sono stati restituiti al bosco e al pascolo, se qt1esta era la loro cc vera vocazio11e », nè sappiamo in quale misura, grazie alle partenze, è diminuita la fame di terra e si sono attenuati i fenomeni di cui dicevamo, tipici del cc latifondo contadino », la dispersione e la precarietà delle imprese, la polverizzazione fondiaria, la sottoccupazione. Noi dobbiamo sapere tutto questo e soprattutto dobbiamo sapere come si può intervenire per avviare e per facilitare quel processo di riordinamento fondiario che se1nbrava impossibile ieri e che potrebbe essere diventato possibile oggi perchè si è alleggerita la pressione demografica. Abbiamo sempre detto cl1e l'aspetto positivo delle migrazioni interne dal Sud al Nord era appt1nto costitt1ito da questa possibilità di alleggerimento demografico, dalla prospettiva di consentire una respirazione meno asfittica alle regioni del Mezzogiorno dove erano state stivate eccezionali eccedenze demografiche. Ora è venuto il momento di intervenire per verificare e valorizzare le conseguenze positive delle partenze. Guai se qt1esta occasione dovesse andare perduta per assenza o carenza di interventi, percl1è non sappiamo, cioè, dove e come inter- • venire. Che vi siano possibilità nuove di rior,dinamento fo11diario nelle zone di « latifondo contadino » risulta anche dal citato studio di Barberis stille migrazioni rurali. Ivi si trova infatti un accenno alle cc vendite di migranti », alle cc cessioni, anche ad affini, delle terre possedute » : vendite e cessioni che cc han110 di volta in volta facilitato il consolidamento . dell'esistente impresa coltivatrice, o la formazione di nuove ». È un accenno interessante, e altri se ne trovano, probabilmente, in alcune delle relazioni e delle monografie che sono state presentate e discusse (nei giorni in cui scriviamo) alla Conferenza agraria. Ora si tratta di avviare t1n'inchiesta anzitutto per accertare se le partenze hanno liberato un certo numero di terre (pare che spesso i partenti affidino per proct1ra la poca terra che lasciano· al paese a coloro i quali prestano i cc soldi » 9 Bibliotecaginobianco

per il viaggio); e in caso positivo si tratta di poter accertare quarite e quali siano le cc st1perfici liberate dalle migrazioni nei comprensori di esuberanza demografica », nelle varie zone di cc latifondo contadino », cioè, e -di accertare quante e quali superfici saranno presumibilmente liberate nei prossi1ni anni. Da questo accertamento sarà agevole dedurre · poi fino a che punto sia già possibile, e magari urgente, avviare interve11ti pubblici per asseco11dare e accelerare un processo di riordinamento fondiario, con procedure semplici ed efficaci ai fini di una maggiore produttività. Nelle zone di cc latifondo contadino » l'intervento pubblico dovrebbe dunque a1ticolarsi in due tempi: in u11aprima fase, accertamento delle varie situazioni e delle possibilità che si sono create o che si possono creare; in una secon-da fase, immecliatamente successiva, riordinamento fondiario (e qui sarebbe di grande utilità poter aggit1ngere, alle superfici che si sono rese disponibili per le partenze dei conta,dini, quelle superfici di proprietà parassitaria piccolo-borghese - nelle quali predomina il contratto di affitto e che sono le meno idonee ad affrontare problemi di trasformazione fondiaria - che è auspicabile siano vendute e che lo Stato deve incoraggiare a ven,dere). Per la prima fase, utile strumento d'intervento è s_enz'altro l'INEA, che, a quanto ci risulta, ha già iniziato certi suoi accertamenti in Abruzzo relativamente ai problemi che ci interessano. Occorre, però, fornirgli i mezzi perchè ppssa estendere l'area -dei suoi accertamenti, affinarne i metodi, accelerarne i tempi. Per la seconda fase l'esperienza acquisita degli Enti di riforma fondiaria in Puglia, Basilicata e Calabria (ma a che punto siamo con la crisi dell'Ente Sila?) è tale che si consiglia di non ricorrere alla creazione di nuovi strumenti, ma di affidare i compiti relativi al riordinamento fondiario nelle zone di cc latifondo conta,dino » proprio agli Enti di riforma, anche se le dette zone sono fuori -del perimetro dei grandi comprensori su cui si esercita la loro compete11za. E a questo punto, naturalmente, è lecito domandarsi se i tempi di attuazione del cc piano verde », e le modalità stesse di qt1esto piano, oltre i fini che esso si propone, siano stati coordinati e siano coordinabili con i tempi indicati p~r una efficace articolazione dell'intervento pubblico nelle zone di « latifondo contadino » allo scopo di avviare il processo di riordinamento fondiario e l'indispensabile assistenza tecnica per una migliore scelta degli ordinamenti colturali, scelta cl1e del rior,dinamento fondiario è un aspetto fondamentale. 10 I Bibliotecaginobianco

Questo problema dell'assistenza tecnica nelle zone di cc latifondo conta~ino » è stato posto da tempo. Si è detto anzitutto che in queste zone si deve risolvere il problema dell'istruzione primaria e che le scuole, anche con i corsi di recupero degli analfabeti di ritorno, cc dovranno porsi, direttamente, e risolvere i vari problemi. della preparazione 1 dei contadini all'emigrazione » • E si è detto pure che le scuole, cc pur aiutando la formazione e quindi l'esodo d·egli emigranti, dovranno anche costituire, n~lle comunità rurali, uno ,dei centri attorno ai quali le comunità stesse possano riorganizzarsi, impedendo che l'emigrazione si spinga oltre i limiti del conveniente e porti al totale abbandono di luoghi pur suscettibili di insediamento per popolazioni meno dense delle attuali » (Rossi Doria: La scuola e lo sviluppo del Mezzogiorno, Roma, Opere Nuove, 1960). Tutto ciò è da tener presente quan-do ci si pone i problemi di una efficace articolazione dell'intervento pubblico nelle zone di ~e latifon,~ocontadino » : la costruzione delle aule mancanti e il reclutamento dei I maestri sono problemi che -devono essere risolti prima, o tutt'al più contemporaneamente rispetto ai problemi del riordinamento fondiario. Ma non devono essere nel frattempo trascurati i problemi dell'assistenza tecnica: fino a che punto e in c~e modo l'esempio di Borgo a Mozzano è trasferibile nel Mezzogiorno e in particolare nelle zone di cc latifondo contadino »? Il progetto-pilota dell'Abruzzo promosso dal CEPAS non _costituisce forse una prova che si può fare molto di più di quanto finora si è fatto, così sul piano dell'assistenza tecnica, come sul piano dell'assistenza sociale? Ciò che è stato detto relativamente ai grandi incrementi di produttività resi possibili in Africa dall'assistenza tecnica non è vero anche, e a maggior ragione, per gli arretrati comprensori del Mezzo- , giorno come del resto è dimostrato da certe esperienze degli Enti di riforma agraria e in particolare dall'esperienza dell'Agenzia Europea della Produttività in Sardegna? È venuto il momento di tirare le fila di tutte q_ueste esperienze-pilota e di fare qualcosa di generale su questo piano, là dove, come nelle zone di cc latifondo contadino », sembra utile farlo. E-d è venuto anche il momento di liberare il campo dalla disputa che si è aperta fra Enti di riforma, Ispettorati agrari, Consorzi di bonifica, aspiranti tutti, a quanto si dice, a un monopolio organizzativo per la somministrazione dell'assistenza tecnica alle comunità esistenti nei comprensori di rispettiva· competenza. A-noi sembra che, comunque, nei comprensori di cc latifondo contadin-o », la f11nzione dell'assistenza tecnica, sia pure senza 11 Biblidtecaginobianco I

esclusivismi, pu.ò essere esercitata 1neglio sotto la direzione degli Enti di riforma, le cui esperienze sono ricche e più complesse di quelle ,della tradizionale burocrazia del Ministero ,dell'Agricoltura ~ la cui struttura sembra più idonea a i11tervenire i11questo camp-o di quella dei Consorzi di bonifica; tanto più che si è parlato degli Enti di riforma anche come degli strumenti più idonei 1Jer intervenire ai fini ,del processo di riordi- -namento fondiario. La connessione fra i due tipi di intervento è fin tropp·o evidente ed è quin,di consigliabile avvalersi di uno strumento unico. Il che non significa che anche i Consorzi di bonifica 110npossano in altri comprensori, dove è prevalente la media proprietà, assolvere t1na loro preziosa funzione di assistenza tecnica. Se Rocco e i suoi fratelli sono partiti, corr1e tanti altri emigra11ti 1neridionali, dalle zone di cc latifo11do contadino », altri, tanti altri, come dicevamo, sono invece partiti dalle cc città contadine ». Anche questa della cc città contadina » è dunque una classica realtà del Mezzogiorno di ieri cl1e si va modificando per gli eventi sociali di oggi e in particolare per le partenze? Ma se i problen1i di articolazione dell'intervento pubblico, come abbiamo visto, sono difficili e complessi per le zone di cc latifondo contadino » (e tuttavia abbiamo potuto indicarli, sia pure genericamente), questi problemi sono per le cc città conta.dine » non meno difficili e complessi: e mentre per le « zone di fuga » di cui abbiamo parlato finora domina la questione delle possibilità di riordinamento fondiario create dalle parte11ze, per queste altre zone domina la questione di una diversa ripartizione della popolazione per tipi di attività. Com'è noto la caratteristica delle cc città contadine » è quella di ospitare come un vero e proprio cc dormitorio » un'altissima percentuale di popolazione agricola, sempre più, e spesso assai più, del 50% della popolazione attiva. I contadini cc dormono » nella cc città », che è anche sede delle contrattazioni per la terra e i suoi prodotti e centro -di reclutamento per la manodopera; ma di giorno questi contadini, quando ha11no trovato occupazione e quando hanno da lavorare t1n loro spezzone di terra, si mettono in _cammino e si sparpagliano per la vasta campagna circostante al cc dormitorio », ricoprendo anche ·grandi distanze. Le ragioni per cui la popolazione ,di certe plaghe del Mezzogiorno d'Italia ha prescelto questo tipo di insediamento sono antiche e complesse, così come le ragioni che hanno fatto sì cl1e persistesse fino ad oggi l'organizzazione della vita rurale che è causa e conseguenza a 12 Bibliotecaginobianco '

un tempo dell'insediamento accentrato nella cc città co11tadina »; la quale è, infatti, cc sede nominale dell'impresa contadina » e cc mercato di lavoro per il bracciante o per il conduttore-bracciante », oltre che cc miniera di quelle minute e fantasiose occasioni d'occupazione diversa che servono ad arrotondare il povero red.dito » (Riccardo Musatti, La via del Sud, Milano, Comunità, 2a ed. 1958, pg. 12). Si tratta, comunque, di un tipo di· insediamento cl1e è caratterizzato cc da un pa11perismo endemico e da t1n rigido rapporto di classi » : un aspetto della questione meridionale che determina gravi squilibri e richiede a,deguati interventi. Quali interventi? Alcuni anni or sono Riccardo Musatti, parlan,do delle cc città contadine », affermava che cc solo sfollandole e ridistribuendone la popolazione si potrà dare avvio alla rinascita » ( cit. pg. 12). E _Nallo Mazzocchi Alemanni rilevava dal ca11to suo l'influenza negativa della distanza, sempre rilevantissima, che, in Puglia e Sicilia specialmente, separa 11na cc città contadina » dall'altra; per cui ognuna di esse serve una troppo vasta superficie che solo 11elle immediate vicinanze , dell'abitato risulta coltivata inte11sivamente: avvicinan,do i ce11tri si potrebbe avere qui11di 11narelativa saldatura ,di queste banlieues ortofrutticole delle cc città contadine », si potrebbe avere, cioè, una diffusione di colture più ricche e tali da conse11tire diagrammi di più alta occupazione. Ma come avvicinare fra loro i ce11tri abitati? Decentrando dalle cc città contadine » una parte della popolazione dedita all'agricoltura, ,..facilitando il suo insediamento in borghi residenziali che, mediante adeguate sol11zioni urbanistiche, posso110 e •devo110essere creati là dove si tratta di rendere ragionevoli le distanze fra un centro e l'altro: questa la risposta di Mazzocchi Alema11ni. In sosta11za si trattava di applicare al problema delle cc città contadine » del nostro Mezzogiorno la teoria di Von Thii11en sulle corone intensive intorno ai centri abitati; ma si trattava comunque di u11asoluzione di sfollamento e di una 11uova ripartizione della popolazione, così in senso territoriale come in senso professionale. Certamente no11si è provveduto a edificare subito quel cc centinaio di borghi residenziali » che Mazzocchi Alemanni proponeva di edificare (La riforma agraria, Roma, Arethusa, 1955, pag. 132). È noto, anzi, come a un certo momento la preoccupazione reazionaria di fare vivere i contadini isolati in campagna abbia prevalso fra certi ambienti politici; e . si è quindi preferito creare freddi borghi di servizio anzichè vitali borghi di residenza (Riccardo Musatti, cc Terra senza città », e Marcello Fabbri, cc La liberazione ·delle campagne », in La pianificazione urbani13 Bibliotecaginobianco

stica del Mezzogiorno, Milano, Sperling e Kupfer, 1956). Ma è comunque presumibile che taluni di questi borghi di servizio si siano venuti trasformando in borghi .di residenza, contribuendo (i:µsieme con quei borgl1i che sono stati effettivamente creati come centri di vita nelle campagne si arriva forse al « centinaio » auspicato da Mazzocchi Alemanni) a determinare t1n relativo cc sfollamento » delle cc città contadine »; e t1n'ulteriore cc sfollamento » è prevedibile per quan,do sarà stato portato a termine il programma delle irrigazioni (insediamento sparso e altri trasferimenti nei borghi). Ma ciò che certamente ha contribuito in misura considerevole a determinare un relativo « sfollamento » delle « città contadi11e » è l' esodo rurale, le migrazioni interne, cioè, dal Sud al Nord. D'altra parte il movimento naturale della popolazione - e in particolare la diminuzione ·della mortalità, cui non ha corrisposto ancora un'adeguata diminuzione della 11atalità - ha fatto sì che lo cc sfollamento » determinato nelle « città contadine » dalle 1nigrazioni interne non sempre si risolvesse in una 1ninore pressione demografica. Ciononostante la realtà delle cc città contadine » è in movime11to e le partenze accelerano questo movim~nto, aprendo nuove possibilità d'intervento pubblico. Ma il guaio è cl1e noi non conosciamo ancora i dati essenziali per organizzare l'auspicato intervento dei pubblici poteri. Ancl1e per le « città contadine », dunque, il primo problema che dobbiamo risolvere è un problema di accertamento. Ci dobbiamo proporre di conoscere: a) le modificazioni intervenute nell'ammontare della popolazione; b) le modificazioni intervenute 11ella ripartizione della popolazione per tipi di attività. Probabilmente noi apprenderemo dal censimento dati interessanti relativamente al movimento naturale e al movimento sociale della popolazione nelle cc città contadine »; e apprenderemo ancl1e se è dimi11uita la percentuale della popolazione che è dedita ad attività agricole, se ha avuto inizio, cioè, un processo di differenziazione fra le attività della popolazione nelle cc città contadi11e »; e ne dedurremo se si è attenuato, sia pure di poco, il cc pauperismo endemico » e il cc rigido rapporto di classi ». Ma non sarà sufficiente: ai fini di un articolato intervento pubblico è necessario andare oltre i dati che saranno forniti dal censimento. Un'inchiesta sociologica avente per oggetto alcune « città contadine » opportunamente prescelte come cc campioni », potrebbe fornirci indicazioni molto interessanti e dirci veramente qt1ali possibilità di intervento pubblico si siano aperte grazie alle migrazioni verso desti11azioni lontane (il Nord) e vicine (i borghi 14 Bibliotecaginobianco

e l'insediamento sparso nelle zone irrigue), grazie, cioè, al relativo « sfolla1n,ento » intervenuto e a quello prevedibile, per una trasformazione integrale ,dei vecchi « ,dormitori » contadini in città medie, vitali e attive. Il primo interve11to dei pubblici poteri potrebbe dunque consistere proprio nell'avviare questa inchiesta; e si potrebbe girare la proposta al Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno e alla Cassa, perchè è in definitiva un problema di localizzazione industriale ·che si pone per consentire ·una· diversa e più differenziata ripartizione della popolazione per tipi di attività. Localizzazione di industrie nelle « città conta.dine » per consentirne la trasformazione in medie città industriali: ma che industrie? Q11i ovviamente la risposta dipen,de. anche dalla posizione geografica delle varie cc città contadine » rispetto alle zone industriali che si vanno delinean-do e che si vogliono creare. Certamente questa legge rappresenta un fondamentale strumento ,di pubblico intervento per poter risolvere i problemi che ci stiamo ponendo. Ma è uno strumento che deve essere adoperato bene, sulla base di una precisa conoscenza delle situazioni di fatto, avviando in pari . tempo un'adeguata politica scolastica e coordinando i piani di industrializzazione con quelli -dell'irrigazione. E infine non si deve cedere a pressioni di carattere elettoralistico per creare zone industriali là dove la situazione è meno idonea di quanto lo sia altrove. rutte queste, però, ce ne rendiamo conto, sono ancora indicazioni ·generiche relativamente alla questione •di un articolato intervento dei pubblici poteri nelle cc zone di fuga·». ln·dicazioni più precise o potranno essere fornite fin da ora dai pubblici poteri stessi o dovranno essere ricavate in seguito alla raccolta dei, dati necessari. E tuttavia le in·dicazioni generiche qui formulate hanno un loro valore: aprono il discorso su una tipica realtà meridionale che le migrazioni hanno con- . tribuito a modificare e tracciano un primo schema, in base al quale il discorso può essere approfondito e continuato: come per le altre cc zone di fl1ga » ,di cui abbiamo parlato, le zone di cc latifondo conta,dino ». E comunque qui si voleva fissare questo punto: non possiamo più parlare ·di « "latifondo contadino » e di cc città contadine » come ai tempi del convegno di Bari del Partito d'Azione e come ai tempi delle polemiche sulla riforma agraria; non solo è scomparsa la malaria, ma c'è stata la riforma agraria, appunto, e soprattutto, ci sono state le cc partenze » : dobbiamo quindi andare a vedere cosa è successo. Sempre più frequentemente si sentono nel Mezzo-giorno brontola15 • Bibliotecaginobianco

I menti e querimonie, che partono dai circoli tradizionali .dei « gala11tuomini » e trovano un'eco pure in certa stampa : le campagne si vanno vuotando, non si trovano più affittuari, no11 si trovano più braccianti, tutti vogliono andare in Germania, o a Torino o in altre città padane, i salari diventano troppo alti e 110n è più conveniente tenere a coltura certe terre. Noi non riteniamo che siano questi i principali problemi che si pongono nelle cc zone di fuga »; i problemi principali sono quelli di cui abbiamo parlato finora. E da quanto abbiamo detto risulta che i brontolamenti· e le ql1erimonie intorno alle campagne meridionali che si vanno vuotando l1anno .per ora l1no scarso fondamento. Non solo: ma è un bene che i salari crescano e cl1e vi siano terre, la ct1i vera cc vocazione » culturale era stata forzata, cl1e vengono ora restituite alla loro vera cc vocazione ». Il fatto anzi cl1e si levino brontolamenti e querimonie aventi questo n1otivo prova in definitiva la giustezza delle nostre indicazioni relative alle nuove possibilità di intervento che, grazie alle migrazioni, si sono aperte nelle cc zone ,di fuga ». E tuttavia 11011ci libereremo co11fastidio dai brontolamenti e dalle querimonie, dopo aver precisato che essi non riguardano i problemi principali. Non sottovaluteremo, cioè, il pericolo su cui recentemente richiamava l'attenzione pure Rossi Daria (Quaderni di sociologia rurale, Feltrinelli, a. I, n. l); il pericolo che, cc u11a volta avviato, il processo e1nigratorio possa andare al di là del conveniente e possa, pertanto, portare, anzichè al riordinamento, all'abbandono » delle più povere regioni del Mezzogiorno. ~1a proprio perciò ci siamo chiesti anzitutto fino a che punto il processo emigratorio è ancora al di qtta del cc conve11iente » nelle varie « zo11e di fuga » e per quando si ritiene .che esso possa rischiare ,eli andare cc al di là del conveniente ». E proprio perciò ci siamo posti il problema di un articolato intervento dei pubblici poteri su quelle realtà del Mezzogiorno cl1e· consentono di definire con una relativa chiarezza la natura e i caratteri delle cc zone di fuga ». Non abbiamo dimenticato, e non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che, cc se è necessario incoraggiare e aiutare in queste condizioni il processo emigratorio, esso deve essere guidato in modo da raggiungere contemporaneamente la stabilizzazione in luogo di una parte della popolazione residua attraverso un'azione particolarmente impegnata e difficile » (Rossi Daria, cit.). / 16 .· Bibliotecaginobianco

r ricerca sociale e i policy-makers La della Radio-televisione italiana di Cesare Mannucci Premessa - Le considerazioni esposte in queste pagine non si rif eriscono alrintero campo della ricerca sociale sulla radio-televisione italiana, ma a quella parte che viene svolta .diretta_mente dalla Rai. Ritengo perciò indispensabile farle precedere da una premessa che illustri i prest1pposti storici, istituzionali e politici della struttura e dell'in-dirizzo del1' ente radio-televisivo italiano. Da 11oi fin dal 1910 lo Stato si è riservato l'impia11to e l'esercizio di stazioni di comunicazione per mezzo di onde elettromagnetiche. La radiodifft1sione è nata però solo 11el 1924, anno in cui il governo fascista ne delegò l'esercizio in esclusiva ad t1na società (l'Unjone radiofonìca italiana) che si era costituita sotto il suo patrocinio. Una serie di decretilegge provvide a regolare i rapporti tra l'Uri e il governo, nonchè 'il contenuto della radiodiffusione. Senza entrare in dettagli (cfr., per una esposizione più completa, il mio studio: I poteri pubblici e l'ente radiofonico, apparso nel numero 57 di (('Nord e Sud»), è sufficiente ricordare che il sistema attribuiva poteri illimitati al governo, con una coerente applicazione ,dei princìpi del totalitarismo. Durante gli anni trenta, lo Stato venne in possesso, attraverso l'Iri, del pacchetto di minoranza della società concessionaria, ribattezzata Eiar. Al momento del crollo della ,dittatura, la radio italiana era qt1indi di fatto e di diritto totalitaria; finanziariamente, era in parte di p·roprietà -pubblica. Fino al 1947 la sitt1azione git1ridica non venne modificata. La situazione di fatto mutò invece radicalmente sin -dal momento -della Liberazio11e, e la radio si aprì alle voci di tutti i partiti del Cln e delle varie 17 Bibliotecagii1obiar:1co

correnti della cultura antifascista. Nel 1947 il governo tripartito della democrazia cristiana, del partito socialista e del partito comunista abrogò ufficialmente, con un decreto-legge, la legislazione radiofonica del ventennio fascista. Tuttavia la nuova regolamentazione mantenne in vita parecchio del precedente sistema. Vennero meno, naturalmente, le norme smaccatamente totalitarie, come quelle che vietavano la trasmissione di notizie provenienti da fonti diverse dall'agenzia del governo, e, nel caso di programmi d'interese locale, di quelle prive del visto dell'autorità politica competente; ma i rapporti tra il governo e la società concessionaria - alla quale venne riconfermata la concessione in esclusiva - furono regolati sì da conservare al primo gran parte dei suoi poteri di controllo. La sola novità fu l'istituzione di una commissione parlamentare di vigilanza per garantire l'indipendenza politica e l'obiettività informativa della società, ora denominata Rai. Senonchè le vicende di questi anni hanno dimostrato (cfr., oltre lo studio già citato, gli a1ticoli di Ernesto Rossi pubblicati il -6, il 13 e il 20 gennaio 1959 dal « Mondo », e lo studio di Liliana Treves apparso nel n. 3 del 1958 della rivista cc Il politico »), che la commissione ha poteri troppo scarsi rispetto a quelli del governo. Basti pensare che c'è una norma (quella introdotta da una convenzione tra lo Stato e la Rai, che il governo ha stipulato nel 1952 in sede amministrativa, ossia senza . interpellare il Parlamento), che autorizza il governo, su richiesta della società concessionaria, a dare alla medesi~a istruzioni s~lla trasmettibilità o meno di notizie cc capaci di pregiudicare i rapporti internazionali o il credito dello Stato, o interessi di carattere generale ». La portata della norma può essere meglio intesa se si tien conto che il presidente, il vice presidente, il consigliere delegato, il direttore generale della società concessionaria sono nominati dal governo; che nel consiglio d'amministrazione di questa siedono per legge sei rappresentanti' di altrettanti ministeri; e che dal 1952, essendo la maggioranza assoluta delle azioni della Rai passata in proprietà all'Iri, anche la maggior parte degli azionisti è designata, sebbene non ufficialmente, dal governo. Di fronte a questo stato di cose, in virtù del quale il potere esecutivo ha in mano tutte le l~ve, da quelle politiche a quelle finanziarie, per dare alla Rai l'indirizzo che gli è più conveniente, i poteri della commissione di vigilanza appaiono addirittura evanescenti. Del resto questi poteri di fatto non vengono nemmeno esercitati, perchè la commissione riproduce in piccolo i rapporti di forza esistenti nel Parlamento, e non si è 18 BibliotecaGino Bianco

ancora mai dato il caso che la maggioranza abbia riconosciuto la fondatezza dei rilievi e delle richieste delle minoranze. Vien spontanea la domanda: perchè dopo la Liberazione il problema della radiodiffusione è stato risolto così e non in un altro modo? È certo che i partiti politici e le forze culturali dell'Italia democratica avrebbero potuto rimettere in discussione tutta la materia, dalle questioni di principio a quelle istituzionali, economiche, ·organizzative eccetera. Questioni che confluivano, in definitiva, in una sola: quella del pieno adeguamento della radio ai princìpi e ai metodi della democrazià, quali sono stati sanciti solennemente nel 1948 dalla Carta costituzionale. Ma l'Assemblea costituente non giudicò il problema meritevole di una particolare attenzione. E quindi, mancato in sede parlamentare un riesame del problema dalle fondamenta, la riforma del 1947 si limitò a depurare l'ordinamento esistente dei connotati più tipicamente totalitari. Non ci fu, in altre parole, una chiara sensibilità verso le questioni della radiodiffusione. O forse, in un momento in cui la lotta per l'egemonia politica -era in pieno corso tra i grandi partiti di massa, essa fu oscurata da un calcolo tattico: una radio saldamente, e per legge, nelle mani del potere esecutivo avrebbe potuto rendere, in certe circostanze, preziosi servigi. Le altre forze politiche non ebbero la volontà e soprattutto la forza necessaria per imporre una soluzione che tutelasse i diritti delle minoranze. L'ex presidente del Consiglio Farri ha amaramente osservato che « v'è stato un breve periodo dopo la Liberazione, il periodo delle illusioni democratiche, nel quale sarebbe stato possibile tentare un'organizzazione, anche legislativa, che avesse potuto meglio resistere alle manomissioni successive. Abbiamo sbagliato e paghiamo l'errore » 1 • Il calcolo tattico si è avverato solo per la democrazia cristiana. E quella che poteva apparire una situazione vantaggiosa in un particolare momento si è avviata a trasformarsi in una situazione stabile. Il partito di maggioranza relativa (ma per alcuni anni assoluta) non ha dovuto nemmeno veramente forzarla, giacchè, come arbitro di tutti i governi succedutisi dal 1947 ad oggi, ha potuto sempre attingere dall'ordinamento vigente i titoli per esercitare il suo controllo esclusivo sulla Rai. Nel 1952, mediante la convenzione di cui s'è detto, e perciò continuando la tradizione degli atti amministrativi non sottoposti al Parlamento, la I Nel fascicolo speciale del « Ponte n dell'agosto-settembre 1957 dedicato allo spettacolo in Italia. 19 BibliotecaGino Bianco

dc ha potuto consolidare e perfezionare il sistema, per di più estendendolo al nuovo e più potente mezzo di comunicazione, la televisione. Vediamo ora di chiarire le principali conseguenz~ di questa vicenda. La prima è che l'attività della radio-televisione italiana viene esercitata i11condizioni di monopolio, formale e sostanziale. Il monopolio in sè non significa molto: lo hanno a-dottato sia regimi liberali che regimi non. liberali. Ciò che conta so110la motivazione e i fi11iper cui si sceglie il monopolio. Per vent'anni in Italia il monopolio radiofonico ha avuto a suo fondamento la dottrina totalitaria: è stato una sua applicazione, così come lo è stato il partito unico. Dopo la Liberazione il monopolio è continuato prima per forza d'inerzia, e poi per il calcolo ct1i si è accennato. La cosa è stata ancl1e agevolata dalla mancanza di pressioni a favore di un regime di libera concorrenza. Nel periodo della ricostrt1zione la radio non costituiva un affare. La stessa società concessionaria ha -dovuto attendere il 1951 prima di poter ricavare qualche rnodesto utile. Dopo la presa di possesso della Rai da parte •della DC, il monoIJolio è stato giustificato co11la missione di difesa antitotalitaria asst1nta da quest'ultima. Il sistema vigente è stato interpretato come inteso a dare al governo il controllo della radio-televisione nell'interesse e per conto della maggioranza, impegnata a difendersi da minacce -di sovvertime11to politico-sociale. Alla fine degli anni cinquanta si è avuto però t1n tentativo di spezzare il monopolio della Rai 11el campo -della televisione. Si sono costituite ,due società televisive private, guidate da interessi prevalentemente commerciali, che hanno cercato di far dichiarare l'incostituzionalità dell'esclusiva concessa alla Rai (e riconfermata, fino al 1972, dalla convenzione sopra citata). Nel 1960 la Corte costituzionale l1a respinto il ricorso dei privati, dichiarando compatibile con la Costituzione la concessione in esclusiva. Nel far ciò, la Corte l1a stabilito u11a git1stificazione -del mo11opolio che ha valore definitivo e vincolante. Data la limitatezza delle bande di frequenza assegnate all'Italia, il rilascio delle altre due o tre concessioni tecnicamente possibili darebbe luogo ad t1na situazione di oligopolio. Questo violerebbe l'art. 21 della Costituzione, che tutela la libertà ,del cittadino di manifestare il st10 pensiero con ogni mezzo. Una tale libertà può e deve garantirla i11vece il monopolio pubblico. Perciò il monopolio della Rai significa che lo Stato, per SllO tramite, si asst1me la responsabilità di assicurare che la radio ~ la televisione sia110 aperte alla comunicazio11e di opinioni, di opere artistiche e di ìnformazio11i di 20 . Bibliotecaginobianco

ogni prove11ienza politica e culturale, e su qualsia~i argomento. La stia giustificazione è questa, e questa soltanto. Ma una tale funzione non pl1Ò essere rirnessa alla discrezionalità del potere esecutivo nè a quella dei dirigenti della società concessionaria, subordinati al primo, ed anzi emanazione del primo. Va circondata di garanzie obiettive. Davanti alla Corte la Rai ha sostenuto· - e sarebbe strano cl1e non l'avesse fatto - che i diritti tt1telati dall'art. 21 della Costituzione sono sempre stati da lei scrupolosamente rispettati: che tutte le voci della politica, della cultura, della scienza, -dell'azione sociale hanno potuto e possono liberamente esprimersi attraverso i teleschermi e i microfoni della radio. La Corte non ha potuto entrare nel merito della questione che questa dichiarazione sollevava, poicl1è il giudizio verteva soltanto sulla costituzionalità della concessione in esclusiva. Non ha potuto cioè pro11t1nciarsi sulla legislazione radio-televisiva . italiana nel suo complesso. Nondime110 essa, nella parte conclusiva della sentenza, l1a indicato la necessità che il legislatore provveda -con apposite leggi a garantire nel campo radio-televisivo l'esercizio concreto del diritto tutelato dall'art. 21. C'è dunque un vuoto giuridico che fino a questo momento il legislatore no11 ha provveduto a colmare. Sicchè il monopolio, cl1e per la Costituzione italiana non può avere in questo campo eh~ una fu11zione democratica, continua a,d essere esercitato i11 senso esclt1sorio. È t1n primo aspetto a11omalo della nostra radio-tele- . . v1s1one. Un secondo aspetto anomalo, frutto anch'esso della vicenda sopra richiamata, è la veste privatistica conservata ad un ente che svolge un servizio pubblico attraverso la gestione di un patrimonio di proprietà pubblica. Questa co11dizione consente alla Rai di agire, a sua discrezione, anche come un'azienda commerciale, e quindi -di introdurre nella propria attività criteri incompatibili con il principio del servizio pubblico. A qt1esta grave incongruenza intende, fra l'altro, ovviare u.na proposta ,degli cc Amici del Mondo », accolta in progetto di legge' dai parlamentari del partito repubblicano, che chiede la trasformazione della Rai in un ente nazionale con personalità di diritto pubblico, sul modello delle public corporations inglesi. _ Il quadro giuridico-istituzionale entro cui si svolge l'attività radiotelevisiva è -dunque ·quanto meno acostituzionale. In esso si inserisce un elemento di fatto che contribuisce in misura determinante a dare alla Rai il suo volto caratteristico. La legge, si è detto, dà al potere esecutivo la facoltà di fissare direttamente e in-direttamente l'indirizzo della so21 eib iotecaginobianco \ t

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