Nord e Sud - anno VIII - n. 21 - settembre 1961

Rivista mensile diretta da Fr~ncesco Compagna MANLIO Rossi DoruA, Realtà e prospettive dell'agricoltura italiana Vmoruo DE CAPRARIIS, Società egualitaria e democrazia MARI o DI BARTOLOMEI, La conferenza• agricola Lmc1 MAZZILLO, Investimenti demografici e sviluppo economico GIUSEPPE CIRANNA, Ferrandina, Pisticci e dintorni RosELLINA BALBI, Gli ospedali di Napoli e scritti di ROBERTO BERARDI, ENNIO CECCARINI, ENZO COLINO, ERNESTO MAZZETTI, ANTONIO VITIELLO ,.,. ANNO VIII · NUOVA SERIE · SETTEMBRE 1961 · N. 21 (82) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE • NAPOLI Bibliotecaginobianco

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I • NORD ESUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibliotecaginobianco

• Vittorio de Caprariis Mario di Bartolomei SOMMARIO Editoriale [ 3] Società egualitaria e democrazia [9] La Conferenza agricola [33]. FRONTIERE Luigi Mazzillo [rivestimenti demografici e sviluppo eco·riomico [ 47] GIORNALE A Più VOCI N.d.R. Una vergogria nazionale [61] Roberto Ber ardi Bibliotecari, prof essori e coscieriza sindacale [66] Ennio Ceccarini He,mingway e i critici italiani [70] Giuseppe Ciranna Ferrandina, Pisticci e dintorni [78] DOCUMENTI Manlio Rossi Doria Realtà e prospettive clell'agricoltura italiana [85] INCHIESTE Rosellina Balbi Gli ospedali di Napoli [ 98] Una copia L. 300 - Estero L. 360 Abbonamenti Sostenitore L. 20.000 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 intestato a Ed. Scientifiche Italiane S.p.A. Via Roma, 406 Napoli CRONACA LIBRARIA [_115] DIJ1EZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telef. 392.918 Abbonamenti, distribuzione e pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE rr ALIA NE - S.p.A. Via Roma, n. 406 - Napoli - telef. 312.540 - 313.568 Bibliotecaginobianco

Editoriale • Lori. "t-,1. alagodi ha cercato di utilizzare come materiale di sbarramento nei confronti dell'apertura a sinistra perfino il viaggio a Mosca clell'on. Fa·nfani. Dopo essere stato messo al corrente clal Presidente del Consiglio clelle risultanze cli quel viaggio, il segretario del P.L.I. ha, infatti, dichiarato che « una politica estera cli ampio e lungo respiro, adeguata ad una lu11gacrisi interriazionale di portata veramente storica, non si può appoggiare giocherellando co11 le prospettive più o meno storiche cli un accordo da realizzare tra la D.C. e un P.S.I. radicalmente neutralista e antistatale » ( applausi dei soliti giornali, e dei soliti giornalisti la cui attitudirie e dignità professionali sembra,no co11sistere so,lta·nto nello sposare con zelo1 e co•n foga le cause clie si suppongo,no preferite dai padroni dei giornali). La polemica con l'on. Moro è trasparente i11queste dichiarazioni clell'on.. Malagocli; e così il proposito di tirare r ori. Fan,fani clalla proJJria parte. Del resto, questo è appu11to il mestiere che l'on. ~1.alagodi lia scelto. Ma le sue dichiaraziorii offrono comunque una buona occasione per avviare un, primo discorso di chiarificazione circa la questione dei rapporti fra. politica estera e apertur{l) a sinistra. E in questo· senso occasioni altrettarito, buo·ne sono offerte dai soliti ricatti, clie si te11tano anche in questi giorrii, per cui si drammatizzario questio1ii cli politica estera per non mettere i-n discussione i dati fondamentali della politica interna (tipico in prop·osito· quel rece·nte discorso dell' 011,. Cui clie lia determinato u·na giusta e tempestiva reazione dell' o,n. Saragat ). Rileviamo· anzitutto che, ai fini clella « politica estera di ampio, e lungo respiro » cui allude l' on. Malagodi, può essere un risultato assai sig11ificativo quello della sempre più netta separazione fra il neutralismo del P.S.I. e l'attegg·iame11to,tutto e sempre fìlosovietico del P.C.l.: alcuni anni or sono il P.S.I. era sulle stesse posizioni clel P.C.I. in politica 3 Bibliotecaginobianco • •

' internazionale; ora non lo è più, e lo, ha ribadito· anche a prop·osito ·della questione di Berlino· respingendo una propo1 sta recente dei comunisti. La p·olitica delr apertura a sinistra, aricora cos:ì lontana dal suo compimento, ha dunque provocato per ora un indebolimento del!'op.- posizione di tipo· cominf ormistico alla politica atlantica, della quale si può dire che risulta accettata oramai, sia pure in una sua interpretazione . molto· restrittiva, dalla maggioranza clel P.S.I.; con gr~·nde disjJetto dei comunisti. Noi non condividiamo certamente il neutralismo del P.S.l.; ma riteniamo che nella sua attuale formulazione esso costituisca comunque un imp·ortarite passo avanti dei socialisti italiani riella direzione che i socialisti europei seguono, d'a tempo. E riteniamo altresì che, quando si giudica della situazione italiana di oggi, e di quella europea, so·no assai più eterogenei rispetto· a una cc politica estera di ampio e lungo respiro, » certi passi indietro del P.L.I. (l'adesione dell'on. Malagodi alla formula gollista delr « Europa delle p·atrie » costituisce un esempio· significativo, cui un altro se ne può aggiungere, di carattere più particolare, quello della faccia feroce clell'on. Martino: nei confronti delf Austria per la questione altoatesina) di qttl!,nto non lo sia il neutralismo· socialista. E se certe sottigliezze e certi tatticismi dell'on. Lombardi destano· qualche legittima preoccupazione, esiste d'altra parte la continuità e la serietà delle posizioni di politica estera delI'on. Saragat, e non soltanto delr on. Saragat: ci sono . La Malfa e Reale sulla cui decisione a non cedere di un pollice sulla politica atlaritica ed europeista, e di non mercanteggiarne l'interpretazione con il pro·gramma dell'ap·ertura a sinistra, non può essere messa in dubbio da nessuno che conosca i precedenti e gli attuali orien,tamenti politici dei due leaders repubblicani; e ci sono· i raclicali del cc Mondo », con Carandini e Pannunzio, che sono tanto vicini al P.S.I. e che forse faranno, ancora una vo,lta lista comune col P.S.I. alle prossime elezioni politiche, come alle precedenti elezioni amministrative, ma sempre e soltanto se non si chiederà ad essi da parte clel P.S.I. di fare concessioni tali da modificare anche parzialmente la linea politica da essi seguita, che è, come è sempre stata, atlantica ed europ·eista. Questa linea politica è, durique, assai ben presidiata dai fautori dell'apertura a sinistra; e i socialisti lo sanno assai ben.e. L'apertura a sinistra non ha e non deve avere come sua posta alcuna modificazione della politica estera italiana in senso neutralista. E c'è, d'altra parte, un'area di possibile convergeriza fra sinistra clemocratica e socialisti clie 4 Bibliotecaginobianco

può e deve essere delimitata con maggiore chiarezza cli quanto, non sia stato fatto finora. Ma è forse opporluno, se si vuole irtdividuare quest'area, non prendere le mosse dai rapporti fra Est e Ovest; è dai problemi della politica, europeista e della politica di aiuti ai paesi sottosviluppati che giova magari partire per trovare più agevolmente, come lia scritto Giovanni Ferrara sul « Manelo » clell'8 agosto, « una definizione nuova dell'occidentalismo ». I • Quando si facesse ciò, considerando anzitutto i pro·blemi della politica europeista, ci si renderebbe conto fra l'altro, clie no,n si tratta soltanto di preferire (come vanno ripetendo semplicisticamente molti scrittori della sinistra democratica) la posizione di Mac Millan a quella di Adenauer rispetto alla questione di Berlino, ma anche e soprattutto di accertare: l) fino· a che punto il compromesso che si vuole o si deve concludere per Berlirto può ulteriormente « balcanizzare » l'Europa e farla precipitare in una situazione simile a quella. dell' entre deux guerres, co11u, na Francia esposta ai putchs dei pr_etoriani di Algeri più di quanto non lo sia già oggi e con u1ia Germariia non più, o se1npre meno, integrata nell'Occideente e nell'Europa (come è nella. linea del diffamato Adenauer) e sempre più spregiudicatamente impegriata (come è nella linea non solo dei riazionalisti e dei militaristi di antico stampo·, 1na anche degli amici liberali e liberisti dell' on. Malagodi) in una sua p,olitica nazionale (esplicitamente revanscista, o tipo Rapallo, a seconda delle circostanze); 2) fino a che purito e come si deve impedire che l'adesione della Gran Bretagna al MEC, nel momerito stesso, in cui conferma che la via del MEC può portare lontano, e può essere la via I giusta per il superamento della grande crisi di organizzazione politica dell'Europa, si risolva nella trasformazione, e quindi nello svuotamento, del MEC in una più grande EFT A, onde la « grande » Europa cui sì va inco,ntro,, potrebbe essere, come sembra temere pure « Le Monde », , meno: europea della « piccola » Europa di oggi; 3) come i socialisti italiani, che tanto ammirano Crossmann e tanto hanno in spregio Mollet, po,ssono evitare di cadere nelli)inganno di ritenere più avanzate, se non altro rispetto ai proble1ni europei, le p-osizioni del primo, nazionalistiche (un recente articolo, ripubblicato dal cc Giorno », e nel quale Crossmann commentava l'adesione della Gran Bretagna al MEC, è venuto come una triste conferma di questo, slittamento dei laburisti di sinistra in senso nazionalistico), mentre la SFIO, p·er quanti peccati nazionalisti abbia sulla coscienza, almeno non ha commesso quello di far degenerare la fedeltà a vecchi e polverosi dogmi del socialismo· ottocentesco 5 Bibliotecaginobianco

.. iri una p·o.Ziticad'i diffidenza classista, se non adqirit_tura di ostilità nazionalista, nei confronti del frutto 1nigliore della politica dei partiti de1nocristiani del dopoguerra europeo: i européismo. E se questi sono, a nostro· giudizio·, i tre punti intorno· ai quali può essere individuata e delimitata, previa a·deguata disciissione, un'area di convergenza fra le posizioni che Giovanni Ferrara qualificava rispetti- · vamente come « occidentalismo saragattiano » e cc neutralismo neriniano », due sorio; i punti che co•ricernono· la politica di aiuti ai paesi sottosviluppati e intorno ai quali, senza neanche ricorrere a un cc piccolo salto di un piccolo fossatò· », tittta la sinistra clemocralica pitò ritrovarsi d'accordo·. Il prim,o· è quello della multilateralità clegli aiuti: se ne è p·arlato, in questa rivista a proposito del v-iaggio in America latina del Presidente della Repubblica (nel fascicolo di giugno) e a proposito delle « revisioni occidentali » ( nel fascicolo di luglio). Si è detto, cioè, che quando· gli aiuti vengono somministrati bilateralmente, da un paese svilupp~to a u1i paese sottosvilup,pato, il secondo essendo per lo più urta ex colonia del primo, essi sono viziati da propositi nazionalistici _o affaristici e costituiscorto·, specialme·nte per quanto coricerrie l' Africq,, itn incentivo alla. temuta cc balcanizzazione », a quella dei paesi ch;e aiutano e a quella dei paesi aiutati; e che, se, invece, gli aiuti venissero somministrati multilateralmente, 1nediante appositi organismi e in bas~ a piani di interesse sovranazionale, essi ris!,Jlterebbero assai più efficaci, dal punto di vista politico non meno clie dal punto di vista'"economico. L'altro punto clie rig,uarda la politica di aiuti ai paesi sottosviluppati è quello della selettività, criterio che è stato sempre seguito dall'Unione Sovietica e cui anche gli Stati Uniti cerca1io ora di uniformarsi (come nel caso dell' « Alleanza per il progresso » ). È stata ampiamente dimostrata (dali eco·nomista americano· A. Lewis, per esempio) l~inefficacia degli aiuti che sono so1nministrati senza condizioni relative all' imp-iego giudizioso· di essi. Tali condizioni possono consistere nelr attuazione di una riforma agraria e nella f o•rmulazione di persuasivi programmi di sviluppo; e comunque si tratta di essere garantiti dal p-ericolo che classi dirigenti inette e reazionarie vadano dilapidando gli aiuti in opere di prestigio o· nelle proprie, particolari, iniziative affaristiche. N o·n è detto che una politica di aiuti ai paesi « in via di sviluppo· », o le cui co-ndiziorii politiclie lasciano sperare in, un inoltramento su - questa «. via », se bas{!ta sui criteri non solo della multilateralità, ma anche della selettività, non possa avere lo stesso· successo della politica cli a.iuti all'Europa, (piano Marshall), della cui lezione no·n si è forse 6 , Bibliotecaginobianco

tenuto sufficientemente conto. Perchè, clurique, riort selezionare certi paesi, r'India, la Nigeria, il Brasile, per ese1npio? Perch,è non cortsiderare il « decollo » dei paesi selezionati come una priorità, per fare di essi, come ha scritto René Vermont su « Le Monde », del 7 agosto, cc popoli piloti » ed cc esempi viventi », capaci poi cli trasci·nare dietro di sè altri paesi, oggi situati a stadi più bassi di crescenza economica? È possibile, dunque, impegnare ·tutta la sinistra democratica italiana, ed europea, nella ricerca, auspicata d'a Giovanni Ferrara, di cc ciò che è vivo e ciò che è morto in quinclic-i anni di storia italiana, europea, occidentale ed orientale ». Riteniamo clie si può fare in questo senso un significativo passo· avanti quando si decidesse di discutere quelli che, a nostro giudizio, sono, temi di convergenza; tanto più che spesso essi sono interpretati da U'na parte o dall'altra in base a pregiudizi e a luoghi comuni polemici. Una politica estera cc di ampio e lungo respiro » 1ion può non essere imperniata oggi ariche sull'europeismo· e sugli aiuti ai paesi sottosviluppati; e, naturalmente, 1ion può non terier conto anche dei rapporti fra Est e Ovest e della nuova crisi di questi rapporti, della quale, appunto, ron. "f.1alagodi vorrebbe avvalersi per erigere nuovi sbarramenti nei confronti dell'apertura a, sinistra. Ma, a questo proposito, socialdemocatici, repubblicani, radicali, sinistre democristiane - clella cui fedeltà alla politica atlantica non, è lecito dubitare, nè da p1 arte dell' on. Malagodi, nè da parte di altri - no1i d_evo1iofare nulla di più e nulla di meno rispetto al P.S.I. di ciò che fa r amministrazione Kennedy rispetto ai paesi neutrali: è stato ampiamente dimostrato, infatti, come oggi sia cambiata la politica americana da questo punto· di vista; come essa, da chiusa che era con, Dulles, sia, diventata aperta con Kennecly e gli intellettuali di Harvard clie sono intorno al nuovo· Presidente; come la svolta intervenuta abbia già conse1itito agli Stati Uniti di segnare alcuni punti ali attivo malgrado Cuba e malgrado le difficoltà che la Francia ha creato alla diplomazia keririediana, costringendola, nei dibattiti alle Nazioni Unite specialmente, ad assumere posizioni difficili, se non addirittura impopolari. Se poi il P.S.I. dovesse propendere per posizioni neutralistiche di tipo, tendenzioso come quelle suggerite da Veccliietti e dai suoi compagni di corrente, cui sembra talvolta indulgere r on. Lombardi più per spregiudicato tatticismo che per meditata convi1izione politica; o se si dovesse lasciare attrarre dagli slittamenti in seriso riazionalistico dei laburisti (difesa a oltranza della sovranità nazionale perch~ siano lasciate aperte tutte le possibilità di una politica, nazio1iale, di nazionalizzazio1ii ), allora un:a, ltra occasione 7 Bibliotecagino.bianco

I sarebbe perduta per la democrazia italiana e ancora una volta per colpa dei socialisti, e soltanto dei socialisti. Ma oggi sembra, fortunatamente, che i socialisti siano consapevoli della posta iri gioco e non vogliano comprometterla con il tradizionale infantilismo dei loro atteggiamenti di politica estera (come ha recentemen,te lasciato intenderè un editoriale de « l'Avanti/ » del 23 agosto); sono anzi consapevoli della stessa neces- . sità di relegare in soffitta questo infantilismo. E l'on. Malagodi, dal canto· suo, sa benissimo che un ritorno cli fiamma deliinfantilismo socialista sui problemi di p·olitica internazionale potrebbe consentirgli di vincere la partita: perchè l' o.n. M alagodi non ignora che questa consiste nel mettere in mora non lo· sterile neutralismo clel P.S.I., ai fini di una « politica estera di ampio e lungo respiro », ma r aggressivo liberismo del P.L.I. e della destra democristiana;, ai fini di una politica economica di ampio e lungo respiro. I 8 Bibliotecaginobianco

............................ , ..................................................................................... - ........... .,.M,1.,.••1,> ................................................................................................................................................... . Società egualitaria e democrazia di Vittorio de Caprariis \ L'·esigenza di un riesame approfondito delle strutture politiche democratiche che abbiamo ereditate dai nostri padri e della loro capacità di adattamento alla società nella quale viviamo è, forse, il tema dominante della meditazione politica contemporanea. Chi non ricorda il grido d'allarme, preoccupato e preoccupante, lanciato sei anni •orsono da uno dei più acuti osservatori e scrittori politici dei nostri tempi, da Walter Lippmann, col suo libro The Public Philosophy? E basta sfogliare le riviste inglesi ed americane di scienze politiche per incontr~rvi molte pagine, impegnate e gravi nel tono, che dibattono lo stesso tema: Lìberal Democracy and Social Control ... Political Theory Today ... On Political Stability ... The Dilemmas of Freedom ... The American System in Crisis... Sono titoli di articoli scelti a caso da pochi numeri dell' « American Politica! Science Review » e dalla cc Politica! Science Quarterly », di articoli ispirati, appunto, dall'esigenza cui si è accennato in principio. E del resto non è affatto casuale che l'Associazione per la Libertà della Cultura abbia organizzato, negli ultimi due anni, ben due · « rencontres » internazionali, a Rheinfelden ed a Berlino, rispettivamente sui problemi della società industriale e sulla democrazia innanzi alla sfida del secolo ventesimo. Taluni avvenimenti di grandissima rison.anza, ma non del tutto sorprendenti, come la crisi e il naufragio della Q1:1arta R~pubblica francese, hanno contribuito a dare rilievo drammatico ai problemi, ma non li hanno certo creati. Perchè, dunque, v'è questo sentimento, quasi disperato, di una crisi di, grandi proporzioni, o, almeno, questo bisogno così diffuso di un'analisi approfondita e ri~novatrice? Perchè, sei anni fa, proprio Lippmann poteva scrivere che abbiamo assistito e stiamo assistendo ad un 9 . . . ibliotecaginobianco

f enome110 che va al di là di tn1a decade11za1 , e cl1e può addirittura definirsi una grande catastrofe storica? Evidentemente le ragioni sono molteplici. V'è innanzi tutto come il risveglio da un lungo sonno : la crisi, cioè, dell'ottimismo progressista, che aveva dominato la filosofia politica democratica fino a due o tre decenni fa, e la ripresa di co- . scienza, da parte degli spiriti più pe~sosi, di quella che era stata la critica liberale della democrazia, la critica dei miti democratici e delle insufficienze organiche dei regimi democratici. All'indomani delle tensioni terribili della' seconda guerra mondiale, la quale aveva rafforzato dovunque l'entusiasmo democratico, la fede nell'ideologia democratica come nell'assoluto e la speranza che quella che si sarebbe combattuta fino alla vittoria sarebbe stata l'ultima· delle guerre per la libertà, all'indomani dj quelle tensioni, la democrazia come realizzazione in terra della Civitas Dei, come costruzione della « città felice », s'è trovata esposta alla· sfida più poderosa cl1e mai avesse dovuto fronteggiare : la sfida della religione comunista. La forza di contestazione propria del totalitarismo di tipo comunista s'è rivelata maggiore perfino di quella del nazismo, perchè nella sua logica del terrore o anche semplicemente dell'oppressione v'era un'insidia psicologica affatto assente nell'ideologia nazionalsocialista: v'era, cioè, la promessa - una promessa di cui, tuttavia, si attende la realizzazione da tre generazioni - che terrore ed oppressione ed austerità forsennata non erano al servizio della supremazia razziale di un popolo, ma al servizio dell'umanità tutta intera, al servizio di una forma di democrazia meglio conforme di ogni altra alle reali esigenze popolari. Il nazismo non poteva giustificare la distruzione di vite umane o la guerra cl1e in nome del millennio ariano; mentre il comunismo giustifica e legittima il terrore come una necessaria scorciatoia della storia verso la felicità. Sarebbe vano e sciocco negare che questo argomento sia privo di efficacia, che esso non eserciti attrazione su coloro che non riesco110 ad intenderne subito il terribile sofisma, e che quindi non sia una forza che svuota dall'interno la capacità di reazione democratica. Sarebbe vano e sciocco negarlo, soprattutto quando ogni giorno· vediamo tanti amici che si vogliono di sinistra, i quali ne sono succubi più o meno consapevoli! D'altra parte, l'improvviso apparire di un « terzo mondo », emerso dalle rivoluzioni anticolonialistiche, e la prova· che sj è fatta nel giro di poch! anni (una prova che per molti è stata una sorpresa) dell'impossibilità di creare forme di governo democratico, capaci di funzionare- realmente, nella maggior parte dei paesi di questo cc terzo mondo», 10 Bibliotecaginobianco I

l1anno co11tribuito non poco ad accrescere il sentime11to di una crisi della democrazia. La fede profonda, anche se inespressa, che questa rappresentava il regime più ra·gionevole ed alla lunga più efficiente, e che, pertanto, non poteva essere rifiutato da creature razionali, la fede nella pacifica possibilità di espansione delle strutture democratiche e nella loro capacità cli a'llignare su ogni suolo proprio grazie alla loro razionalità, ha ricevuto una scossa profonda. Ed il fatto di dire che non poteva non essere così, che quella fede era ingenua perchè le strutture democratiche che noi conosciamo e pregiamo no11 sono figlie del1' astratta ragione, ma del difficile e complesso e tormentato processo di crescita storica delle nazioni « atlantiche », il fatto di dire tutto ciò non allevia che molto limitatamente la frustazione che dall'esperienza dei paesi del cc terzo mondo » l1anno ricevuto tanti democratici. Krusciov osservò qualche tempo fa· che la mitologia dell'accerchiamento capitalistico non aveva più senso, perchè lo sviluppo del socialismo nel mondo era stato tale che non si poteva più sta·bilire con assoluta sicurezza cl1i accerchiava e chi era accerchiato. Non so se questo sia esatto in ter1ni11ipolitici e di equilibrio di potenza, ma mi pare che sia esatto sul piano ideologico: sottoposta· alla sfida treme11da del comunismo, vulnerata dall'apparente rifiuto di una grossa parte del « terzo mondo », la democrazia si sente oggi indebolita ed accerchiata. E di qui appunto deriva, almeno in parte, quella coscienza di una crisi drammatica, che pare caratteristica di tanta parte della riflessione politica di questi anni, che incide in modo paralizzante sulla virtù operativa· dei ceti dirigenti democratici e che fa sentire, finalmente, i suoi effetti traumatizzanti sulle pubbliche opinioni, sulle masse scosse e turbate da una così inquietante situa'Zione. Ma v'è anche un'altra ragione di questo sentimento di una crisi profonda, e dell'angoscia che r accompagna: ed essa deriva dalle difficoltà obiettive delle strutture democratiche, pensate nel secolo scorso, ad adattarsi al nostro secolo, ad adattarsi ai mutamenti formidabili della società dei nostri tempi. Nel libro che s'è ricordato Walter Lippmann ha osservato che « noi viviamo in un'epoca di massiccia controrivolu- ~ione popolare contro la ·democrazia liberale. Questa è una reazione al f a:llimento dell'Occidente a lottare contro le miserie e le ansietà del secolo ventesimo ». Lippmann esprimeva a questo modo la sua nostalgia pei regimi liberal-democratici dei decenni precedenti al 1914 (quei re- _gimi, aggiungeremo maliziosamente, eh' egli da giovane aveva combattuti come troppo conservatori), di cui l'avvento delle ma·sse nella vita 11 Bibliotecaginobianco ' .

pubblica aveva segnato la fine: tuttavia nelle sue parole, sia pure in forma polemica, era registrato uno di quei mutamenti di fondo della soèietà contemporanea cui si è appena· accennato. Ma; ciò riconosciuto, mi sembra che si debba aggiungere subito che il nostro modo di considerare questo grave ed importante problema non debba essere quello del vagheggiamento· nostalgico di un'epoca ormai trascorsa. Conosco ·per averla studiata nei suoi testi fon,damentali la critica liberale della democrazia, l'analisi delle sue insufficienze e dei pericoli che sono impliciti nel suo spiegarsi, e tuttavia mi pare che questa critica, se _ci rende avvertiti dei rischi cui andiamo incontro, se consiglia di mettere da parte ogni entusiasmo ottimistico, no11distrugge e non può distruggere la convinzione ra·gionata che il regime democratico, un regime, cioè, fondato sull'ordinato •confronto delle idee, sulla libera competizione dei partiti, sul pacifico avvicendamento dei governi, sulla garanzia costituzionale delle libertà fondamentali, la convinzione, ripeto, che questo regime, se non è perfetto, è pur sempre il migliore che sia stato escogitato finora'. I mutamenti profondi che l1anno ·sconvolto la fisionomia della società contemporanea, e che sembrano avere alterato anche il sistema delle nostre libertà e l'efficienza dei nostri governi, sono anch'essi fig~i dello sviluppo organico del regime democratico, e noi dobbiamo accettarli per tali, poichè sappiamo benissimo che la democrazia non è il regno di Dio in terra, ma una conquista di ogni giorno. ~ Insomma un regime democratico, come ogni cosa umana, si accetta per il bene e per il male, sforzandosi di prevedere il male e di cancellarlo, o almeno di neutralizzarlo per il possibile; altrimenti, sj rischia d.i buttar via il bambino con l'acqua del bagno. L'analisi délla crisi dei regimi democratici 110nè certamente molto difficile: v' ~ innanzi tutto, a'l livello istituzionale, una consunzione dei meccanismi tradizionali, che è il fatto che colpisce di più, anche se, forse, non è il più importante, non è, cioè, il fattore determinante di questa crisi, ma piuttosto è uno dei segni di essa. Quando noi parliamo di democrazia intendiél:mo, come s'è già accennato, u11 regime fondato sulla competizione dei partiti e sul loro pacifico avvicen.damento all~ direzione della cosa pubblica: in termini di istituzioni questo processo competitivo aveva luogo, fino a qualche decennio fa, soprattutto, se non addirittura esclusivamente, nei parlamenti; e si poteva dire che questi 110n solo erano interamente rappresentativi dei contrasti esistenti nel paese, ma anche e soprattutto che funzionavano abbastanza bene come 12 Bibliotecaginobianco

............................................................................................................................................................................................... ............................................................................................... : . ......................................... camera di compensazione di tali contrasti. Joseph Rovan, in un libretto per molti versi assai acuto, Une idée neuve: la démocratie, ha potuto fare un, analisi esatta' e pertinente del ruolo dei vecchi notabili in quella che egli chiama la cc fase precoce » della vita democratica, e dell'utilità di tale ruolo: quei vecchi notabili, in realtà, non solo rappresentavano bene i loro mandanti, ma' anche adempivano alla funzione importantissima di divulgare alla base il significato delle scelte politiche fatte al centro. Erano essi appunto che fornivano un personale parlamentare ottimamente preparato a1le sue funzioni e che assicuravano. la trasmissione _dell'energia politica nei due sensi (dal centro alla periferia e viceversa), e che, insieme, garantivano qu-ella stabilità politica di fondo che consentiva un ordinato progresso. Il regime dei partiti ha a'lterato profondamente il vecchio sistema istituzionale, poichè l'ha depauperato di potere effettivo, al punto che oggi un noto· studioso tedesco di scienza politica, Karl Schmid, vice-presidente del Bundestag, ha potuto affermare che gli attuali p•arlamenti sono soltanto collegi di elettori di un governo. Evidentemente, nella rappresentazione che si dà qui del fe110meno si sopprimono molti passaggi, su cui si avrà occasione di insistere più avanti, e si considera unitariamente il problema della democrazia. È chiaro, però, che in sede di analisi critica si deve tenere conto di ogni differenziazione: per uscir fuori di metafora, il problema della crisi della democrazia si pone in Italia o in Francia (paesi nei quali esistono quelle che Sorel chiamava le forze di cc scissione » rispetto al corpo sociale delle nazioni) in termini molto diversi di quelli in cui si pone nei pa1esi anglosassoni (nei quali quelle forze di cc scissione » non vi sono mai state o non vi sono più o costituiscono un dato quasi irrilevante). Comunque ciò sia, è certo che quel processo che si è sommariamente descritto, e che ad alcuni sembra profondamente involutivo, ha fatto saltare le vecchie cinghie di trasmissione senza che ad esse se ne sostituissero chiaramente altre, o almeno senza che le nuove, che si sostituivano alle antiche, fossero altrettanto responsabili (nel senso politico ed istituzionale del termine); ed ha alterato il rapporto tradizionale tra legislativo ed esecutivo. Quest'ultimo fatto appare tanto più grave in .quanto 11egli ultimi cinquant'anni si è operata una vera e propria rivoluzione, che ha accresciuto a dismisura le competenze e le responsabiB.tà, i doveri ed i • poteri dell'esecutivo. La prima guerra mondiale costituisce da, questo punto di vista, com'è stato più volte notato, una cesura essenziale, perchè allora per la prima volta nella storia dei regimi democratici occi13 Bibliotecaginobianco

dentali le esigenze di un conflitto di propo·rzioni gigantesche imposero cli estendere le competenze dello Stato nell'economia e nei settori ad essa connessi, sovvertendo a favore dell'esecutivo l'antico equilibrio col legislativo. Nè ciò che pareva una necessità dei tempi di guerra potè essere cancellata successivamente: anzi, quell'estensione di responsabilità e poteri si è venuta con gli anni consolidando, è divenuta da · straordinaria normale, con la conseguenza che, date le nuove strutture organizzative che è stato giocoforza porre in essere e data l'intricatezza di queste strutture medesime e l'alto livello di preparazione tecnica necessaria per intendere quel che in esse accade realmente, il controllo parlamentare è esercitato con difficoltà sempre maggiore. I deputati possono riuscire, quando effettivamente ci riescono, a vedere trn albero, ma la foresta sfugge loro sempre o quasi sempre! Si è così venuta a creare nel settore dei rapporti tra esecutivo e legislativo una situazione paradossale, nella quale agiscono due forze possenti, in netto contrasto tra loro: poichè da una parte il regime dei partiti e del suffragio u11iversale ha accresciuto il peso dell'opinione pubblica, e dunque la tendenza ad esautorare l'esecutivo o a porlo alla mercè di ogni minimo ondeggia1nento che si verifica 11elpaese; e dall'altra l'esecutivo ha concentrato nelle sue mani t1na son1ma di poteri, nei quali l'accertamento delle responsabilità è difficilissimo ed il controllo del legislativo c1uasi impossibile, e dei quali, pertanto, esso può fare, e talvolta fa, un t1so del tutto discrezionale. E quel che è peggio, queste due forze contrastanti non si equilibrano tra loro, poichè non si esercitano negli stessi settori, sì che il rapporto tra i due poteri tradizionali dello Stato costituziona1le, dello Stato di diritto, è letteralmente sconvolto: due torrenti rovinosi si precipitano in direzioni opposte, senza mai incontrarsi, e devastano tutto il territorio che attraversano. Non sempre gli studio-si di cose politiche colgono la situazione nella sua contraddittoria realtà: pure, una volta che questa si è compresa, si comprende anche come si siano potute e si possano ancora formulare, per la malattia che affligge le nostre istituzioni, delle diagnosi che si contraddicono tra loro. Si comprende, cioè, come vi possano essere coloro i quali, guardando ad un certo tipo di decisioni politiche, quelle, ad esempio, di politica estera, lamentino l'esautoramento dell'esecutivo, la· prevalenza delle assemblee e quindi l'improvvisazione e l'eccessiva semplificazione di analisi e soluzioni, in una parola lo scadimento e la debolezza della politica estera democratica (questo tipo di critiche è molto diffuso, ma forse la trattazione migliore si pt1Ò leggere in The 14 Bibliotecaginobianco . \ •

Public Philosopy di Lippma1111: e per ess,o conviene osservare che il gioco diplomatico europeo degli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, che fu diplomazia di cancellerie e non certo di cc democrazie », non si rivela, ad un'attenta ricostruzione storica, tanto I)iÙ saggio di quello dei nostri tempi!). E si comprende, altresì, come vi siano ancl1e quelli che, guardando ad altre decisioni politiche, ad esempio di politica e·conomica, lamentino esattamente l'opposto, ossia l'eccessivo rafforzamento dell'esecutivo e l'esautoramento delle assemblee, con un triste corteo di favoritismi, corruzioni, prepotenze e dimi11uzioni delle libertà dei cittadini. Queste diagnosi così divergenti sono, tuttavia·, l'abbiamo già rilevato, co~traddittorie solo in apparenza: sono, insomma, vere e11trambe, poichè ognuna coglie una parte del complesso fenome110 cl1e ci troviamo a dover fronteggiare. E, se 110n ci fossero altre e più cogenti ragioni a sollecitare la nostra diffide11za, basterebbe già la constatazione della· complessità della situazione a re11derci perplessi sulle solt1zioni b·oppo semplicisticl1e che sono di solito proposte: poichè è chiaro cl1e non sarebbe sufficie11te un rafforzamento del solo esecutivo o del solo legislativo a farci superare la crisi. Come, del resto, 110nsarebbe sufficie11te neppure un ridimensionamento di entrambi, una nuova definizione dei poteri ris1Jettivi di ognuno e del lòro equilibrio: IJerchè, come si è detto, la consunzio11e dei meccanismi , tradizionali non è il fattore determi11a11te,ma solo t1n as1Jetto della crisi attuale dei. regimi den1ocratici. All'origine di q11esta crisi vi sono i mutamenti avvenuti al livello della società, dei quali i fenomeni che rivelia1no al livello istituzionale sono un segno ed insieme una conseguenza. Mi sia consentito di ricordare qui a11cora una volta il IJrincipio che Tocqueville ass11meva a base delle sue riflessjoni sulla democrazia: << l'assetto sociale - si 'legge nella Démocratie eri Aniérique - è di solito il prodotto di un fatto, talvolta delle leggi, il più spesso di queste due cause insieme: ma', una volta cl1e esiste, lo si può considerare esso stesso come la causa prima della maggior parte delle leggi, delle consuet11dini e delle idee che regolano la vita delle nazioni; e ciò che non è generato, è certamente modificato da esso ». È, du11que, all'assetto sociale ed ai suoi 1nutamenti che convie11e guardare in primo l11ogo, è qt1i che dobbiamo cercare la chiave per u11e'satta intellige11za della crisi della democrazia dei 11ostri tempi. Nelle discussioni di Rl1~i1ifelden (dove il problema ce11trale era quello del confro11to t~a· il tipo di civiltà occidentale ed il tipo di civiltà sovietico e del significato che tale contrasto assume per i paesi del <e terzo 15 Bibliotecaginobianco

mondo ») Raymond Aron ha· insistito con forza sul fatto che la società occidentale dell'ultimo secolo e mezzo (e quella russa dell'ultimo cin- \ quantenni~) è una società industriale. Riprendendo l'analisi comtiana di oltre un secolo fa·, egli ha ricordato che liberando definitivamente dalle vecchie limitazioni corporative il lavoro umano, trasformando ·il lavoro stesso attraverso l'applicazione della scienza all'organizzazione· della produzione e determinando i nuovi valori non· più in ba1se alle ideologie tradizionali, ma in funzione di un'organizzazione tradizionale della società e della produzione, la fase industriale dello sviluppo economico ha fatto assumere caratteri interamente nuovi alla soèietà. La società industriale non sarebbe un fenomeno soltanto quantitativo e formale, ma implicherebbe una trasformazione delle attitudini umane e dell'organizzazione sociale: « essa1 - ha scritto Aron - cambia in modo fondamentale il sentimento del tempo e della tradizione: ed in conseguenza è impossibile che, nel momento in cui l'assetto della società si rivoluziona per adattarsi al modo scientifico di produzione, un potere possa essere fondato solo sul fatto che· è esistito ... Le fonti tradizionali del potere cadono nel mondo intero proprio a causa dell'urto della società industriale ». Dove sembra di intravvedere quasi un tentativo di spiegazione sociologica della crisi delle vecchie ideologie e strutture assolutistiche in Euro-pa ed insieme un pregiudizio favorevole alla società industriale come fattore e vettore di trasformazioni in senso democratico della1 società; e dove, in conseguenza, Aron sembra suggerire che uno dei dati decisivi delle nostre strutture democratiche (e quindi anche delle trasformazioni che si stanno svolgendo ai nostri giorni) sia da vedere proprio nelf avvento del 1nodo scientifico di produzione. A me sembra che in questa visione delle cose vi sia certamente un'ipotesi di lavoro molto suggestiva ed interessante per lo studio delle trasformazioni che sono in atto o che possono avvenire nei paesi cosiddetti sottosviluppati, o almeno in una parte di essi. Poichè ciò che caratterizza tali paesi non è soltanto il sottosviluppo economico, ma anche uno stadio particolare di arretratezza culturale o politica, o un certo tipo di civiltà, che è molto diverso da quello dell'Europa, non solo di oggi, ma anche di due secoli fa. È evidente, ad esempio, cl1e nelle contrade africane, nelle quali sussistono ancora strutture tribali, nelle quali il potere, il lavoro, i rapporti familiari, sono ancora 1 quelli propri dello stadio tribale della civiltà, il passaggio allo stadio industriale produrrà una rivoluzione profonda della cultura, della civiltà e 16 · Bibliotecaginobianco I

dell'assetto sociale. N011 1ni IJare, tutta via, che si possa dire che l' introduzione del modo scientifico di produzione, proprio dell'era ind ustriale, abbia esercitato 11elle società europee una fu11zione paragonabile a quella cl1e sta esercitando, ha esercitato ed eserciterà in certe società africa11e o asiatiche. E a giustificare una simile affermazione basterebbe la riflessione che le società pre-industriali europee erano ad uno stadio di svilt1ppo civile e ct1lturale ben altrimenti avanzato (o, se dispiace questo verbo, nel quale si potrebbe vedere un git1dizio di valore, profondamente· differente); e soprattutto l'osservazione di buor1 senso che, mentre per quei paesi africani ed asiatici, cui qui facciamo riferimento, il modo scientifico di prodt1zio11e è, per così dire, t1na « macchina » importata dall'esterno, ed è quindi affatto estranea alle loro tra·dizioni culturali, nell'Et1ropa del Sette ed Ottocento esso era, invece, qualcosa che proprio e solo il progresso scientifico e culturale europeo aveva inve11tata e messa a punto. Le vecchie ideo·logie e strutture politiche assolutisticl1e delle società pre-industriali et1ropee, prima <li essere messe in crisi dall'avvento del modo scientifico di produzione, erano contestate e messe in crisi dallo svilu1Jpo di nuovi ideali politici, da una nuova· cultura e filosofia e dal nuovo pensiero scientifico, che ne avevano erose le fondan1enta religiose e tradizionalistiche già parecchio tempo innanzi che la società industriale offrisse il modello di una nuova realtà produttiva. Insomma, nelle società pre-industriali europee il modo scientifico di produzione è stato soltanto un fattore co11corrente con altri e ad t1n certo pt111toanche un fattore di accelerazione di certe trasformazioni sociali, ma non è stato sicuramente la cat1sa t1nica e 11e1J1Jurela causa 1)rima di tali trasformazio11i, e ha ricevuto la sua « valenza » politica dall'esterno. Il modo scientifico di procluzione - in qt1esto Aron ha 1Jerfettamente ragione - vuol dire società industriale; e società industriale vuol dire costruzione di fabbriche, uso crescente delle macchi11e fino all' automa'zione, concentrazione degli operai nelle città e spopolamento delle campagne. e creazione di un 11uovo eqt1ilibrio nella distribuzione della popolazione. Nessu110 può negare l'importanza di fatti di questo ge11ere e la loro influenza stilla società tutta intera, sulle tra'sformazioni del corpo sociale. Tuttavia, sarebbe erroneo affermare cl1e in tale impulso alla trasformazione vi sia' una potenzialità democratica. Il Giappone potè, nei decenni a cavaliere tra Otto e Novecento, fare proprio il modo scientifico di produzione, accompagnandolo ad _una restaurazione arcaicizza11te dello shintoismo, con le consegt1enze cl1e sappiamo; ed 11n ferreo totalitarismo 17 Biblioteca inobianco

potè nascere in uno stato che vantava un altissimo livello di industrializzazione, la Germania, mentre la democrazia ha continuato a fiorire nel paese a più alto sviluppo industriale del mondo, negli- Stati Uniti d'America. Il modo scientifico di produzione è bivalente, nel senso cl1e non determina e non favorisce necessariamente nè l'ordine democratico di una società·, nè il suo opposto; esso può potenziare l'uno o l'altro· soltanto grazie all'impulso che riceve dagli altri principi dominanti di una so-cietà. Pertanto, quando si dice che il grado di sviluppo economico e sociale proprio di una società industriale molto avanzata è una delle condizioni della democrazia, perchè opera come fattore di stabilizzazione della società, si dice 11na cosa solo parzialmente esatta. E non solo perchè, come osserva lo stesso Aron, può accadere che le condizio11i politiche della democra·zia 110n si realizzino, o si realizzino in modo imperfetto, a misura che l'industrializzazione e l'urbanizzazione progrediscono; ma anche perchè la stabilizzazione della società è anch'essa neutrale, ossia può agire a favore tanto di un regime totalitario quanto di un regime democratico. In co11clusione, mi pare che si debba dire che l'industrializzazione, con tutte le sue conseguenze, se ha accelerato le trasformazioni di certe strutture sociali non costituisce il fattore determinante di tali trasformazioni, e meno ancora può essere considerato il principio fondamentale ed il carattere individuante delle società democraticl1e. Per impostare correttamente il problema che qui ci interessa, il problema della crisi de{ regimi democratici e du11que di ciò che differenzia le società democraticl1e di oggi rispetto a quelle cli ieri e di avant'ieri, bisogna 1 guardare ad altro. « Nell' appare11te diversità tjelle cose umane - scriveva Tocqueville - non è impossibile ritrovare un piccolo numero di fatti generatori, da cui derivano tutti gli altri » : quando vogliamo indicare il cc fatto generatore » fondamentale delle società democratiche sembra a me che, dopo pazienti ricerche e lunghe riflessioni, giungeremo sempre alla co:pclt1sione a cui era giunto centotrenta anni or sono lo stesso Tocqueville, studianqo la società americana: la spinta eg11alita·ria, l'aspirazione tenace e costante degli uomini all'uguaglia11za delle condizioni. cc Lo sviluppo graduale dell'uguaglianza: delle condizioni - si legge ancora nella Démocratie en Amérique - è un fatto provvidenziale ed ha i caratteri principali di tale tipo di fatti: è universale, è durevole, sfugge sempre al potere degli uomini, e tutti gli eventi come tutti gli individui a'iutano il suo trionfo ». Si potrebbe dire che la storia 18 · Bibliotecaginobianco •

.. dell'ultimo secolo e mezzo è una lunga epifania di questa rivoluzione egualitaria, ed è, insieme, la storia degli sforzi intesi ad evitare che la passione livellatrice, nella sua avversione a tutte le disuguaglianze, ponesse le basi di un nuovo dispotismo, assai peggiore di quello che avevano conosciuto la maggior parte dei paesi europei nei primi secoli dell'età moderna. Ed è appunto questo « fatto generatore » della' spinta egualitaria che è ali'origine della trasformazione intervenuta nelle società democratiche negli ultimi cinquant'anni (e la cui fase iniziale, in verità, si può rintra·cciare 11eidecenni a cavaliere tra Otto e Novecento : e chi non comprende ciò rischia di non comprendere nulla del significato dell'era delle tirannidi, dei totalitarismi succeduti alla prima guerra mondiale); è la _spinta egualitaria che è all'origine di quella· trasformazione, in virtù della quale le democrazie dei nostri giorni sono, o voglio·no essere, democrazie di masse. Non so se questo sia il mutamento finale, l'ultimo atto del dramma gra·ndioso della rivoluzione egualitaria, e nessuno può saperlo: mi pare certo, però, che dobbiamo avere consapevolezza precisa di essere stiuati a questo punto dell'evoluzione democratica, se vogliamo fronteggiare con qualche speranza di successo la sfida della congiu11tura storica, se vogliamo garantire la sopravvivenza della libertà. Democrazia' di masse, du11que: ed aggiungerò subito che questa, che ad aJcuni vuol sembrare l'epoca di una rinnovata barbarie o almeno di un'involuzione della quale non si intravvede ancora la fine, è una fase di un processo di crescita naturale, fisiologico. Coloro i quali lamentano, con accenti apocalittici, le conseguenze che la « massifìcazio11e » in atto sta avendo ed avrà sempre più in avvenire sulla civiltà, sulla cultura, sull'arte dello stato e della politica·, non sanno, o non si rendono conto, che ripetono un ritornello antico. E neppure si rendono conto che al nostro tempo le masse stanno cessando di essere delle entità amorfe, con un'esistenza primaria, vegetativa, con passioni elementari, e si vengono decomponendo in esistenze individuali, isolate (nel che è un fatto positivo e negativo insieme, come sa chi ricorda certe pagine tocquevilliane sul potere atomizzante ed isolante della spinta livellatrice). Oggi, per tenerci agli aspetti politici della questione, si parla tanto, troppo, di « manipolazio·ne » dell'opinion~ attraverso gli strumenti della propaganda· di massa; e non si riflette eh~ quella « manipolazione », a cui si dà a priori un valore negativo, ·se è intesa come neutrale politicamente, è essenziale alla democrazia; p,oichè è necessario che un regime democratico crei, attraverso la diffusione 19 Bibliotecaginobianco

( I .. delle informazioni, le condizio11i del consenso o del dissenso. Chi pe11sa che gli strumenti di propaganda di mass~ siano necessariame'f!,te un mezzo per inga11nare il popolo o per assicurare il dominio dei pochi sui molti o per avvilire la politica e tener su una1 sorta di commedia della democrazia, non solo dà un' a11ima a degli strumenti tecnici, ma anche non sa, o non comprende, che uno dei problemi di fondo, che · la democrazia di masse pone agli stud~osi di c~se politiche è esatta1nente l'opposto, è, cioè, quello costituito dall'eccessiva· corrività che hanno i pochi (i dirigenti) a riprodurre subito in termini di governo della cosa pubblica, ossia in termini di impegnative decisioni politiche, le I inclinazioni delle masse. Con questo non si vuol dire affatto, ovviamente, che la cc massificazione » non crei gravi problemi dal punto di vista della tutela, di certi valori di cultura e di civiltà, o che gli strumenti di comunicazione di massa non possano fornire la tentazione· di una sollecitazione degli abiti conformistici, dì una compressione delle scelte intellettuali individuali, per non parlare di altre tentazioni assai più gravi e terribili, rivelateci dai totalitaris1ni del nostro secolo. Insomma, nell'allarme di quegli intellettuali che denu11ciano la società di massa v'è pure una qualche parte di verità: cc la società opulenta - scriveva recentemente uno studioso di scienza politica, Greaves - mo- , stra segni di essere emozionalmente ed esteticamente impoverita·, appare, più che una società, una folla solitaria di t1omini dell'organizzazione e di cercatori di status, pronta ad ·accettare l'evasione dalla libertà e clalle responsabilità nel conformismo, prona nell'acquiescenza o nell'essere etero-diretta ». Dove è evidente l'influenza delle ormai classiche analisi di Riesman. Pure, ciò detto, è necessario aggiungere che n.on si può respingere semplicisticamente la democrazia di masse o annunciare la morte imminente della libertà solo perchè ci troviamo a co11statare i problemi ed i rischi che si sono detti: la libertà si difepde solo accetta11do per quello che è il mutamento avvenuto nella società democratica contemporanea, ed agendo all'interno di questa. Del resto, i pericoli di deformazioni, le minacce alla libertà implicite nella democrazia_ di masse sono assai più gravi e temibili di quelle su cui si fissa di solito l'attenzione, e che abbiamo di sopra rapidamente esemplificato. E basta riflettere per t1n momento su quell'ambiguo fe11omeno che va sotto il nome di maccartismo per rendersene pienamente conto. Coloro i qt1ali credono che il maccartismo sia una manifestazione di tipo fascistico, e sia pure di un· fascismo i11troverso, o cedono all'umana te11tazione di raggruppare e giu-dicare tutto ciò che accade 20 Bibliotecaginobianco

nel mondo secondo categorie ge11era1issime (e quindi assai poco significanti) di loro diretta conoscenza, oppure si fanno, i11volontariamente, portavoci di un'impostazione polemica interessata, quella comunista, cl1e tende a semplificare i contrasti per provocare intorno a'd essi schieramenti unitarii. In realtà il fenomeno maccartista (che va evidentemente assai al di là dell'avventura personale dell'uomo che gli ha dato il st10 nome) è un fenome110 non estraneo, ma anzi omogeneo ad una società democratica di masse, e più precisamente a quella singolare società democratica di masse che è la società americana. Esso è omogeneo ad una società etnicamente differenziata· e 110n ancora perfettamente integrata, nella qt1ale v'è una pa1tecipazione q11asi totale e per lo più non etero-diretta alla vita pubblica, nella quale tutti gli strumenti della democrazia di masse (dalla radio ~ televisione ai ~ondaggi di opinione) consentono di registrare, momento per momento, le inclinazioni reali del popolo e in cui, fìnalme11te, il dottrinarismo propriamente democra- · tico della ricerca del consenso oltre cl1e la tendenza degli eletti ad essere rieletti inducono i dirigenti a modificare le loro posizioni conformemente alle inclinazioni popolari. In effetti, in una società totalitaria un fenomeno del genere non è pensabile come fenomeno spontaneo, ma soltanto come tendenza sollecitata dall'alto: ciò che in un regime democratico è, se si vuole, una manifestazione di autentico e libero isterismo di masse, in t1n regime totalitario sarebbe un isterismo comandat9 ! Nè tale feno~eno sarebbe pensabile in un regime liberal-democratico degli anni tra· la prima e la seco11da metà del secolo scorso, o anche di quelli della piena seconda metà, dove gli abiti aristocratici dei ceti dirigenti costituivano, per così dire, un filtro delle reazio11i collettive, pur se già alla fine dell'Ottocento si possono registrare delle incrinature, che col tempo si andranno allargando sempre più. Non c'è bisogno di ripetere qui in ogni particolare le analisi acutissime di Hofstadter, di Riesman, di Parsons, di Glazer e di Lipset, nelle quali il maccartismo è presentato per quello che è veramente, fuori di ogni suggestione di schemi europei. Sarà sufficiente ricordare che q11el fenomeno, che ha tormentato per più anni la vita americana, non è nato da una suggestione totalitaria, ma dalle ansietà dei ceti che avevano da poco conquistato uno status sociale e che, temendo di perderlo per la tremenda mobilità della vita democratica americana, si mostravano altrettanto febbrili politicamente dei ceti in via di declassamento, ed aderivano, in_ conseguenza, all'ideologia di un cc americanismo » contra9dittorio ma fervente, che essi erano port~ti a difendere \ 21 Bibliotécaginobianco

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