Nord e Sud - anno VIII - n. 17 - maggio 1961

Rivista rnensile diretta da Francesco Compagna FRANCESCO COMPAGNA, L'Italia e i paesi sottosviluppati VITTORIO DE CAPRARIIS, Gruppi di pressione e società democratica PAOLO UNGARI, « Stato Moderno » GIUSEPPE GALASSO, Istruzione professionale e industria fuccARDo BARLETTA, Arte moderna e Mezzogiorno STEFANO RonoTÀ, Cronache delle istituzioni e scritti di ROBERTO BERARDI, RENATO DE Fusco, RAFFAELLO FRANCHINI, VrTToruo FRoSINI, CARLO MAGGI, ANTONIO Nrrro, Lu1c1 PREVIALE, ENNIO ScALET, ALFoNso Scmocco, NICOLA TRANFAGLIA, ARNALDO VENDITTI ANNO VIII · NUOVA· SERIE · MAGGIO 1961 · N. 17 (78) EDIZIONI SCIENTIFICHE· ITALIANE · NAPOLI Bibliotecaginobianco

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NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibliotecaginobianco

Francesco Compag11a \littorio de Caprariis n.d.r. Luigi Previale Roberto Berardi Antonio I~itto Carlo Maggi Stefano Rodotà Giuseppe Ga1asso SOMMARIO Eclitoriale [ 3] L'Italia e i paesi sottosviluppati [ 8] Gruppi cli pressione e società democratica [ 161 GIORNALE A Più VOCI Il processo all'Ente Sila [ 28] Scuola senza requie [31] I bibliotecari in, agitazione [ 39] La politica delle partecipazioni statali [ 42] Sviluppo clell'agricoltura e case ai contadini [49] Croriache clelle istituzioni [ 50] Una nuova rivista [ 54] INCHIESTE Giuseppe Galasso Istruzione professionale e ind1.,stria in provincia di Napoli (III) [57] GIORNALI E RIVISTE Paolo U ngarj « Stato ~;J oderno » [ 7 .J] PROPOSTE E COMMENTI Riccardo Barletta Arte moderna e Mezzogiorno [92] LETTERE AL DIRETTORE Ennio Scalet La questione clell'Alto Adige [ 105] RECENSIONI \littorio de Caprariis ll Mezzogiorno e lo Stato Unitario [ 107] tJ 011 r,opia L. 300 • Estero L. 361) Abbonamenti S05tenitore L. 20.000 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1. 700 Estero annuale L. 4.000 CRONACA LIBRARIA [ 114] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telef. 392.918 eemestrale L. 2.200 Abbonamenti, distribuzione e pubblicità: Effettuare i versamenti 11ul C.C.P. 6.19585 intestato• EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Ed. Scientifiche Italiane S.p.A. Via Roma, 406 Napoli Via Roma, n. 406 - Napoli - telef. 312.540 - 313.568 Bibliotecaginobianco

Editoriale La situazione politica italiana sembra ferma ed immobile, in attesa della scaclenza di ottobre, in attesa, cioè, che scatti quel meccanismo costituzionale che vieta lo sciogliniento delle Camere, e dunque in attesa che si possa aprire uria crisi cli governo seriza correre il rischio di soluzioni extra-parlamentari ed extra-politiche, il rischio, insomma, di una crisi di regime. Ma sbaglierebbe chi credesse che tale immobilità sia perj-etta o che nel frattempo non, è accacluto o non accaclrà nulla: al contrario, vi sono segni chiari e manifesti d'iriquietudine, d'impazienza, d'insofferenza, per questa lunga sosta forzata su un binario morto. Non è senza significato, ad esempio, che si sia trascinata così a lungo la soluzione del problema dell' amministraziorie provinciale di Milano, che al momento in cui scriviamo non sia risolta ancora la crisi clel Governo Regionale in Sicilia, clie> finalmente, vi sia qualche speranza di poter ridiscutere daccapo la stessa situazione amrriinistrativa cli Roma. E sarebbe erroneo sottovalutare lo smarrimento e l'irritazione che ha percorso l'opinione pubblica innanzi a problemi come quelli suscitati dalle rivelazioni sull' aeropoto di Fiumicino o dagli incide1iti ferroviarii: più a1icora che la corruzione di singoli individui, più ancora che lo sperpero del denaro pubblico (che sono, tuttavia, cose molto gravi), ciò clw ha colpito gli osservatori più attenti ed acuti in questi due ultimi episodii è stata la rivelazione che importanti settori della pubblica amministrazione sono in crisi gravissima, e lo so1io innanzi tutto ( ciò è particolarmente vero nel caso delle Ferrovie dello Stato) per responsabilità del potere politico. N è finalmente si può trascurare il fatto che per alcune forze politiche, segnatamente per Ùl destra democristiana, pei nostalgici del centrismo che ancora appaiono numerosi in seno alla D.C. e pei liberali, questa immobilizzazione della situazione politica ha un significato molto chiaro: ha, cioè, significato di ·una battuta di arresto in quel riallinea3 Bfbliotecaginobianc·o

merito dei partiti in vista di uria nuova maggioranza, a cui le elezioni amministrative di novembre e la formazione di giunte di centro-sinistra in alcune grandi città italiane parevano aver dato il via. È evidente, insomma, che tutta la destra italiana conta su questa pausa (sul cui vero valore l' on. Reale, segretario del P.R.I, poneva alcune pertinenti clomande, poche settimane fa, in un'importante relazione alla Direzione del suo Partito) per fermare definitivamente la lunga marcia di avviciriamento verso un goverrio di centro-sinistra, per bloccare una volta per t,utte quella politica di ririnovamento che è nei desiderii della stragrande maggioranza del paese. Che ciò avvenga per mezzo della lunga ed in certo senso sterile polemica sui risultati del Congresso milanese del P.S.I. o di 'Una certa soluzione, che si tenterà d~imporre, di questo o quel problema (si pensi alla questione del finanziamento pu.bblico alle scuole private), ha importanza secondaria: ciò che conta è che si stia tentando di trarre profitto dai prossimi mesi per raggiungere obbiettivi che debbano valere oltre ottobre. Ecl è ovvio che a queste manovre della clestra clemocristiana e liberale corrispondano dei tentativi della parte avversa per non ceclere un, pollice di terreno, per precostituire delle posizioni di forza capaci cli ostacolare o addirittura di impedire quel ritorno al centrismo che si configura ormai sempre più chiaramente come la copertura di una svolta decisiva. In effetti la resistenza dei socialdemocratici e della sinistra democristiana di Milano alla Giunta provinciale coi liberali, quella analoga che son venuti facendo in Sicilia fanfa·niani e socialclemocratici, le polemich.e dei repubblicani, e in primo luogo di La Malfa, non, h,anno altro scopo ed altro significato. È clunque nello sfondo di questa sititaziorie immobile alla superficie, ma in realtà agitata e -fluida, che si devono giudicare i contrasti e le pole,miche che nelle ultime settimane son affiorate all'interno di quello schieramento che abbraccia fanfaniani e sinistra clemocristiana, repubblicani e socialdemocratici e socialisti, quello schieramento di centrosinistra clie noi ci ostiniamo a considerare 'Unitariamente. E vogliamo dire subito, per evitare equivoci e insieme perchè questa ci pare una corisiclerazione pregiitcliziale acl ogni cliscorso politico, che tale nostra attitudine a con,3iderare unitarianiente l'arco dello schieramento po[itico italiano che va clai fanfaniani ai socialisti non è un capriccio o una nostalgia o una cervellotica assunzione. Ci sembra evidente, infatti, che quella battaglia per il trionfo cli una politica di. centro-sinistra, cui sono parimenti interessate tutte le forze che si raggruppano nell'arco che abbiamo detto, pitò riuscire solo se è combattuta unitariamente, può 4 Bibliotecaginobianco

riuscire solo se tutte e ciascuna di queste forze riescono a dimenticare gli accidenti che le separano e a guardare più attentamente all'obbiettivo che esse devono raggiungere insieme. E ci sembra altrettanto evidente che gli avversari della politica di centro-sinistra hanno tutto da guadagnare e nulla cla perdere dal prevalere, tra i sostenitori di tale politica, dei motivi di divisione su quelli di accordo. Il «Tempo» non iridicava, forse, qualche settimana fa, al Partito Socialdemocratico il compito di rappresentare « le Colonne d'Ercole>> della democrazia, ossia di assumere una posizione che porta, attraverso la divisione delle forze di centro-sinistra, al fallimento della politica di centro-sinistra? Ora, le polemiche che nelle ultime settimane hanno opposto socialdemocratici e socialisti o socialdemocratici e sinistra democristiana o anche il direttore della « Giustizia >> e l' on. Preti all'i-nterrio cl el PSD I, sono, diciamolo co·n tutta franchezza, l'ultima cosa clie ci saremmo aspettata e augurata. Questa rivista non, ha certo aspettato i risultati del Congresso socialista di Milano per avvertire dei pericoli che le posizioni assunte dall'on. Lombardi potevano degenerare (magari contro la volontà dello stesso Lombardi); né ha atteso quei medesimi risultati per polemizzare contro il complicato e antiquato bagaglio ideologico e politico dell' on. Basso e contro il filocomunismo della « sinistra >> o per denu11ciare gli equivoci di u.n'11,nanimità pasticciona, che a qualcuno magari sarebbe piaciuta. Pure, rilevare queste cose non equivale a dare del congresso di Milano del PSI il giudizio tutto negativo dell' on. Saragat, e meno ancora autorizza a trarne indicazioni per spostamenti politici. Resta importante l'affermazione cl ell'ori. Saragat che la politica del PSDI resta la politica di centro-sinistra; ma il modo che il segretario del PSDI indica per realizzare tale politica non può non suscitare perplessità anche in chi, come noi, ha sempre detto che ogni polit-ica di centro-sinistra in Italia deve e non può non, passare per il PSDI, anche per chi, come noi, si è sempre astenuto dai facili attacchi alla socialdemocrazia ed_ ha sempre avversato coloro che, socialisti o non che s-iano, adoperano il termine di socialdemocratizzaziorie quasi come sinonimo di degenerazione politica. Se il PSDI è la necessaria cerniera di uno schieramento di centrosinistra, ciò non vuol dire che la sua sola spinta sia sufficiente alla realizzazione di tale schieramento. Vi sono due cose che vanno considerate, a questo proposito, due cose di primaria importanza. La prima di queste è il Mezzogiorno.: in tutta tltalia meridionale, continentale ed insulare, e dunque in pi-ù di un terzo del paese, non esiste nessuna 5 Bibliotecaginobianco

possibil,ità concreta di u1ia maggioranza di centro-sinistra senza i socialisti. Non esiste, cioè, nessuna possibilità di creare a livello ammiriistrativo, corriunale e provinciale, ttna situazione omogenea, almeno nelle grandi linee, a quella che s'ipotizza a livello clel governo nazionale. E questa ci sembra co11siderazi0He di grande momento, rion soltanto clal punto cli vista di uomini clie vivono e si batto,no nel Mezzogiorno, ma anche dal punto di vista generale: è chiaro, infatti, che l'impulso riformatore proveniente dal centro sarebbe ancora una volta contradcletto e spento nel Sud, si urterebbe, nelle regioni meridionali, alle vecchie iricrostazioni d'interesse, alle vecchie consorterie fautrici dell'immobilismo, e rischierebbe cl-i infrangersi contro di esse. Noi no11 crediamo che si possa fare una seria politica riformatrice· senza sbloccare la situazione nel Sucl; e qiiesta non si sblocca senza i socialisti. Nella nuova visione dello stato democratico italiano, che clovrebbe essere il punto di parte11za cli una politica di centro-sinistra, la creaziorie di una nuova vita clemocratica nel "A1 ezzogiorno ha un'importanza fondamentale: e noi ci aug,uriamo che la socialdemocrazia 1ion vorrà co1nrnettere l'errore di trascurare questo fatto, non com,metterà gli stessi sbagli che indussero, un po' più cli cinquant'anni fa, Gaetano Salvemini ad uscire dal Partito Socialista. In secondo luogo, diremo che la prospettiva di un forte aumento di voti socialdemocratici alle prossime elezioni politiclie ci sembra alquanto ottimistica. Eviclentemente in materie siffatte le opinioni restano opinioni, e il cliscorso non può avere quella forza assertiva che abbia1no clato al nostro precedente ragionamento. E di più, è proprio dei partiti politici desiclerare che il loro suffragio si accresca, ed operare perchè ciò avvenga. Ma è necessario avere il senso del limite, il senso ciel possibile, e non rischiare sui miraggi e le ·illusioni tutta una strategia politica. Ora, possianio sbagliare ( e ci auguriamo di sbagliare): pure, ci sembra cli poter dire clie quel successo che i socialdemocratici paiono scontare per le prossime elezioni politiche, mu,ovenclo dai risultati clelle elezioni amministrative clello scorso noverribre, quel successo, dicevamo, non vi sarà. La storia elettorale degli ultimi dieci anni lia pochi dati stabili, ma ve n'è uno più stabile di tutti gli altri: che, cioè, i partiti cosidcletti minori del centro-sinistra, socialdemocrazia e Partito Repubblicano, segnano alle corisultazioni amministrative dei guadagni che, se non, intervengono nuovi « incentivi n, non trovano riscontro nelle sitccessive consultazioni politiche. Le ragioni di questo fatto sono numerose e complesse, e possono dar luogo a lunghe discussioni; ma il 6 Bibliotecaginobianco

fatto è indiscutibile, e su di esso dobbiamo pur misurare la nostra strategia politica, se non vogliamo, poi, maledire il destino o il paese. La strategia politica di centro-siriistra resta, clunqiie, quella che era alcuni mesi fa, alla vigilia del Corigresso cli Milano del P.S.l.: la strategia di un'azione unitarla di tutto lo1 schiera1nento di centro-sinistra, per una stabile inserzione dei socialisti in, una riuova maggioranza parlamentare. E sembra evidente che in, uria tale prospettiva appare veramente inopportuna la polemica che uno dei direttori della « Giustizia )) lia creditto di dover fare contro la sinistra de1nocristiana, ed in particolare contro <<Politica)>a, ccusa·ndo gli scrittori di quest'ultima di essere degli integralisti, addirittura più pericolosi di qi,.elli di destra della stessa D.C. Assurda e pericolosa: perchè rischia di aiutare gli avversarii della politica di centro-sinistra nell'opera di isolamento, dalle forze laiclie, della sinistra cattolica in un momento in cui questa) è impegnata in una battaglia difficile, e che comunque vien, combattuta per il vantaggio di tutt-i. Oltre tutto, ci sarebbe da chiedere alla << Giustizia>>con quali forze vuole realizzare la politica cli centro-sir1,istra I Insomma, la strategia della politica di centro-sinistra esige una battaglia unitaria delle sinistre democraticlie, laiche e cattoliclie, e il sacrificio di quelli che ci sembrano contrasti cli cui si possono a·nche comprendere le ragioni, 1na che, tuttavia, devono cedere di fronte ad una visione coerente dei problemi di sviluppo democratico del paese. 7 . Bibliotecaginobianco

L'Italia e i paesi sottosviluppati di Francesco Compagna Non abbiamo l'intenzione di sottovalutare, o addirittura disconoscere, il significato morale del viaggio in America latina del Presidente della Repubblica. Plaudiamo, anzi, al proposito lodevole di intrattenere e infittire i rapporti culturali ed economicì co11 paesi dove così forti e operose sono le comunità degli emigranti italiani, quasi una lontana· propaggine del mercato interno di certe nostre industrie, comunque una riserva da coltivare per un più ampio smercio del prodotto italiano. Siamo anche consapevoli del fatto che per questo - ma probabilmente non per altri motivi - i problemi di sviluppo dell'America latina possono in qualche modo direttamente interessare il nostro paese. Co11f essiamo tuttavia che un più immediato e concreto valore si deve attribuire al viaggio cl1e negli stessi giorni il Presidente del Consiglio ha compiuto fra le popolazioni della Calabria: non soltanto per l'ovvio 1notivo che i problemi di sviluppo clella Calabria ci interessano assai lìiÙ direttamente, se non altro dal punto di vista della responsabilità nazionale, dei problemi di sviluppo del Perù e dell'Argentina; e neancl1e per il motivo che i 1Jroblemi della Calabria sono rimasti indietro rispetto ai problemi cli altre regioni del Mezzogiorno; ma per l'occasione che proprio l' « inchiesta » dell' on. Fanfani nelle provincie calabresi - assai più del raid dell' on. Granchi per i paesi dell'America latina - sembra avere finalmente offerto al paese, al governo e ai partiti, di valutare più seriamente di quanto non sia stato fino ad oggi, le 11ostre effettive possibilità di recare un contributo alla politica occidentale di aiuti ai paesi sottosviluppati: tanto più cl1e i due viaggi si sono svolti all'indo1nani della visita di Harrima11 a Roma. La visita di Harriman aveva dimostrato che la nostra politica estera 8 ~Bibliotecaginobianco

è nuovamente esposta alle tentazioni oramai tradizionali, rappresentate da oscure suggestioni di una maldigerita geopolitica (il « molo » proteso sul Mediterraneo, verso l'Africa e verso il Medio Oriente) e da velleitarie intenzioni di attivismo diplomatico (l'unità con i « fratelli di sangue » del mondo latino, e magari addirittura· il cc primato » della civiltà latina); ma agiscono fortunatamente ancora da freno nei confronti di tali tentazioni sagge preoccupazioni che sono dettate dalla· realtà obiettiva delle cose e che invitano a rimanere nei limiti di orizzonti più ristretti (la politica del cc piede di casa »). D'altra parte l'avvento di De Gaulle e l'attuale atteggiamento della Francia l1anno recato grave pregiudizio sia alla politica atltantica che alla politica europeista; e in Italia ne è risultata scossa la fedeltà ai grandi indirizzi comunitari (la Comunità atlantica e l'Unità europea) segnati da De Gasperi e Sforza. In occasione della visita di Harriman a Roma si è riaccesa peraltro la nota polemica sulla partecipazione dell'Italia, ricl1iesta ed offerta, alla · politica occidentale di aiuti ai paesi sottosviluppati. Harriman, inviato di Kennedy, era venuto in Europa ancl1e per misurare le conseguenze che, ai fini della politica di aiuti si possono ormai trarre dal cc miracolo » tedesco. E poichè si è tanto parlato anche di un « miracolo » italiano; poichè due Presidenti del Consiglio, gli on.li Segni e Tambro11i, l'uno dei quali è ora Ministro degli affari esteri, avevano cercato pochi mesi or sono di fondare le 1)roprie fortune parlamentari sull'esaltato cc miracolo »; poichè, infine, tutta· la stampa liberista aveva brindato a questo evento, non c'è da stupirsi se Harriman sia· poi venuto a Roma per chiedere le stesse cose che aveva chiesto a Bonn. Solo che a questo punto gli stessi uomini politici e gli stessi giornali che nel 1960 avevano brindato al cc miracolo » si sono ricordati del Mezzogiorno; mentre, fra coloro che oggi esortano il governo italiano ad essere attivo e presente sul fronte cc risorgimentale » dell'Africa nera, si ritrovano pure uomini che sono animati delle migliori i11tenzioni, gli stessi che nel 1960 ammonivano governi e partiti a non inebriarsi brindando al cc miracolo », a non dimenticare che abbiamo cc l'Africa in casa ». Si tenga conto dunque del fatto che nell'uno e nell'altro campo militano anche uomini di parte democratica: o perchè spinti, come gli ultimi che si sono citati, dalla solidarietà umanitaria con i popoli arretrati che è tradizionale 9-ella sinistra italiana; o perchè preoccupati delle spinte affaristiche e delle velleità nazionalistiche che si ricono9 . Bibliotecaginobianco

scono all'origine di certe iniziative italiane nei paesi sottosviluppati (noi siamo fra questi t1ltimi). Ma proprio perciò la pole1nica suscitata dalL1 visita di Harriman non risulta dopo tt1tto meno confusa di quella che alcuni anni or sono fu suscitata dalle vicende del Medio Orie11te, dal viaggio del Presidente della Repubblica in Persia, dalle imprese dell'ENI in Egitto, nel Marocco e nella· stessa Persia 1 • Nè la posizione dell'Italia è vista oggi, dai fautori di t1n attivismo italiano nei paesi sottosviluppati, in termini meno generici di quelli su ct1i si fondava allora l'atteggiamento dei cosiddetti cc demomussulmani ». È necessario pertanto chiarire e approfondire i termi11i della questione; ed è necessario indicare una posizione che richiami i democratici all'u11ità anche in- .torno al problema degli aiuti ai paesi sottosviluppati. Velleita1·ia, e nazionalistica, era l'aspirazione manifestata a volte da Fanfani, di una ege1nonia italiana sui paesi del bacino mediterraneo, di una Italia che potesse recitare nel ~1editerraneo il ruolo <e brillante » di fiduciaria degli Stati Uniti, in vittoriosa, anche se non sempre leale, concorrenza con altri paesi europei, « colonialisti ». Non meno velleitaria e nazionalistica l'aspirazione di Granchi a una politica unitaria dei paesi latini con leadersheap italiana, per cui, proprio ~ in questi giorni, in occasione del raid sudamericano del Presidente della Repubblica, abbian10 letto di cc accordi » per la creazione di un cc gruppo latino » alle Nazioni Unite, « di cui faranno pa~e i Pa·esi dell'America latina e l'Italia, insieme con altri paesi latini europei (se vorranno aderire) i cui delegati all'ONU concorderanno, caso per caso, la linea comune di azione » ( « Il Corriere della Sera » del 15 aprile): come se la « latinità » non fosse l'ingrediente 1Jeggiore della nostra realtà politica; come se un consolidamento e una espansione degli ideali democratici non dipendessero anche dalla consapevolezza del paese di dover essere sempre meno <e latino » e sempre più << europeo » non diversamente da11'Argentina di Frondizi e dal Brasile di Quadros, consapevoli di dover essere sempre più « americani » e meno « latini »; come se nel caso dell'Italia questa politica della cc latinità '> non fosse in palese co11tra·sto con la politica atlantica ed europeista~ se non altro percl1è la politica atlantica ed europeista mira all'integrazione della realtà italiana con le grandi democrazie occidentali e la 1 Non ci si riferisce qui alla politica aziendale che ha portato l'ENI in questi paesi e che indubbiamente è stata coronata da significativi successi; ma ci si riferisce alle speculazioni e pressioni politiche che su quella politica si sono innestate, cercando di trarne giustificazione e impulso. 10 · Bibliotecaginobianco

politica della cc latinità » ci porta nella migliore delle ipotesi a fianco I del generale De Gaulle, nella peggiore a fianco del generalissimo Franco. E infine: credere che paesi come il Brasile e l'Argentina ab- . biano bisogno di noi; credere che l'impopolarità attuale degli Stati Uniti nell'America latina possa essere medicata da interventi economici dell'Italia, cc popolare » e cc amata » perchè vi sono gli emigranti e perchè « latina »; credere in una e< missione » dell'Italia in un continente così grande e così lontano, alle prese con problemi di cui non abbiamo nessuna esperienza, tutto ciò denuncia un velleitarismo assai simile a quello che ispirò un altro episodio penoso del nostro turismo diplomatico: ne furono protagonisti gli on.li Segni e Pella, recatisi nel settembre del 1959 a Parigi per proporre ad Eisenhower, cl1e era venuto i11Fra11cia per incontrare De Gaulle, 11ientedi1neno che un piano italiano di aiuti ai paesi sottosviluppati e un contributo congruo di quadri italiani (esperti di diritto romano c'era da supporre) ai programmi di assistenza tecnica. Ma invece di continuare a discutere intorno ai doveri e intorno a-Ile. possibilità dell'Italia di partecipare con un suo contributo alla politica occidentale di aiuti ai paesi sottosviluppati, perchè non si comincia a discutere sull'ammontare e sulle modalità di un tale contributo? I fautori di un attivismo italiano in America latina e in Africa non dicono gran che da questo punto di vista, più specifico e più importante. Quanto alle modalità, si fa cenno ai quadri tecnici, come se veramente le nostre università ne sfornassero in quantità esuberanti e di qualità eccezionale. Quanto all'ammontare, una indiretta indicazione della· confusione d'idee che va dilagando tra Quirinale e Farnesina la si può ricavare dall'affermazione che si è fatta intorno all'interesse dell'Italia per due continenti su tre. Questa smisurata ampiezza dell'area che il nostro governo dicl1iara interessante ai fini della presenza italiana nella politica di aiuti ai paesi sottosviluppati, da un lato, e il riferimento alla riserva di quadri tecnici accumulatisi in Italia·, da un f altro lato, confermano appunto non solo che al problema sollevato dalla visita di Harriman si guarda· con grande superfìcialità e con imperdonabile semplicismo, pure in sede di governo, ma anche, forse, che vi sono determinati gruppi di pressione i quali hanno tutto l'interesse a lasciare le cose come stanno. E quanto al Mezzogiorno si ha l'impressione che esso venga chiamato in causa come una pedina, quando fa comodo chiamarlo in ca:usa: onde il pericolo che ad Harriman si dica · che l'Italia non può dare nei confronti del terzo mondo il contributo 11 ibliotecagino ianco

fì11anziario che le si cl1ìede, perchè c'è il Mezzogiorno; e che al Mezzogiorno si dica che ora non si può fare meglio e di più, rispetto a· quanto si è fatto in questi anni, perchè c'è una « ~issione » da compiere in Africa e in America latina, una « missione » alla quale non possiamo sottrarci, sia perchè gli alleati ci chiedono un congruo conI tributo, sia perchè è nell'interesse del paese far valere una sua presenza attiva e operante in certi continenti. Da un lato abbiamo dunque coloro i quali affermano che nel campo degli aiuti al terzo mondo, e all'Africa in particolare, l'Italia deve collaborare senza adagiarsi nei u comodi argomenti » ( così « Il Mattino » del 15 aprile nel riferire di una' conferenza napoletana del1' on. Del Bo) della esistenza già sul suo territorio di gravissimi problemi di cc sviluppo »; dall'altro lato abbiamo coloro che sono stati chiamati gli cc scozzesi >> d'Italia, preoccupati perchè, a loro giudizio, il paese non potrebbe andare incontro alle richieste che gli si fanno, di contribuire allo sviluppo del « terzo mondo », senza dirottare almeno in parte i mezzi che si devono destinare alla soluzione della questione J meridionale. I primi cercano ora di attingere argomenti dal viaggio del Presidente della Repubblica' in America latina, i secondi dal viaggio del Presidente del Consiglio in Calabria. Si potrebbe anche dire cl1e il viaggio dell' on. Fanfani in Calabria avesse proprio lo scopo di correggere certe impressioni che in pari tempo, com'era prevedibile, il raid dell'on. Granchi era intervenuto a confermare. E comunque, ci sembra, le risultante dell' cc inchiesta· » in Calabria ripropongono a brevissima scadenza tutti quei problemi di intervento dei pubblici poteri di cui negli ultimi mesi siamo andati precisando i termini: naturalmente sono problemi che richiedono tutti un ulteriore impegno finanziario, che non può essere quindi dirottato verso l'Argentina o verso la , « quarta sponda » . J • Significa questo che l'Italia non deve avere una sua politica i11 America latina e in Africa? Certamente. L'Italia, con le sue ferrovie, · le sue Università, la sua Calabria, non può e non deve prendere i11i- . ziative sul piano bilaterale nei confronti dei paesi sottosviluppati; non · ~ deve affermare che le interessa questa o quella regione, questo o que] paese dell'America latina visitato dall' on. Granchi, questo o quel paese del mare nostrum; e nemmeno deve dire che « qualcosa potrà essere fatto semmai per la Somalia », lamentando per giunta che cc nell'attuale situazione gli oneri meno appariscenti ricadono quasi interamente sul governo italiano, mentre sarebbe preferibile un'adeguata ripartizione 12 Bibliotecaginobianco •

che ponesse meglio in luce, di fronte all'o1Jinione mondiale e somala quanto l'Italia sta fa·cendo per il paese che l1a portato così brillantemente all'indipendenza » ( cc Il Punto » dell'll matzo ). Ci si deve opporre, cioè, a tutte le cc vecchie formule di assistenza » che sono state finora preferite dai governi europei, ma cl1e adesso sono state finalmente, e giustamente, denunziate dall'amministrazione kennediana, perchè cc inquinate da· precedenti rapporti di tipo coloniale o dalla preocl cupazione di venire incontro soprattutto alle necessità delle proprie J l industrie esportatrici » ( « Il Punto » del 1 ° aprile). Nei confronti di iniziative che sono viziate di nazionalismo e di affarismo; nei confronti di inizfative che so110fonclate su discriminazioni regionali, o, come suol dirsi, su cc orientamenti preferenziali » ( si veda l'editoriale di cc 24 Ore » del 27 aprile, affermante anch'esso come cc logico » che l'Italia rivolga in primo luogo il suo cc interesse » verso l'America latina), valgono tutte le dichiarazioni che sono state fatte circa le impossibilità dell'Italia di impegnarsi altrove che jn Calabria. Ma purtroppo non è stata questa la linea cui prima, durante, dopo la visita di Harriman si è attenuto il governo italiano; e con questa linea è certamente in contraddizione l'atn1osfera cl1e si è cercato di creare col viaggio dell' on. Groncl1i in America· latina. È stato, infatti giustamente rilevato che, cc se si potesse fare la 'radiografia' dei 228 milioni di dollari che l'Italia dice di aver destinato, nel 1960, allo sviluppo dei paesi arretrati, si vedrebbe che solo qualche diecina dj milioni di dollari (forse 40 o 50) potrebbero essere consider1ti dei veri e propri aiuti alla stregua della definizione che di essi da11no gli americani »; si tratta infatti di investimenti privati (per cfrca 30 milionj di dolJari) e di crediti commerciali a breve termine, che costituiscono j} cc grosso » della nostra assistenza ai paesi sottosviluppati, non di « doni o prestiti a lungo termine in dollari non vjncolati » ( cc Il Punto » del 1 ° aprile). Ed è stato non n1eno giustamente osservato che, IJer quanto concerne il Nlezzogiomo, l'Italia deve fornire le prove di essere effettivamente impegnata in un grande sforzo per una politica di sviluppo delle sue regioni più arretrate, onde le risorse create dal cosiddetto cc miracolo » devono essere considerate in gran parte vincolate, ai fini di questa politica· di sviluppo interno; ma queste prove ad Harriman non sono state fornite, e non potevano esserlo, perchè « le possibilità create dal ' miracolo ' non hanno trovato un pronto impiego nella politica meridionalista, in un rilancio di_ questa politica~ in un ricorso a nuovi mezzi per ampliarne la sfera e accelerarne i tempi » (si veda· la prefazione 13 Bibliotecaginobianco

alla ripubblicazione in volume - Il Mezzogiorno davariti agli anni sessanta, a cura di Francesco.Compagna, edizioni di Comunità - della ccdiscussione sul Mezzogiorno » svoltasi nell'estate del ~60 sul « Mo11do »). J E, infine, non è sfuggito a nessuno che, dopo aver detto ad Harriman , che siamo in1pegnati nella politica' di sviluppo del Mezzogior110, siamo andati a vantare le nostre possibilità di intervento tecnico e finanziario per una politica di sviluppo in Perù, Arge11tina e Uruguaj. i Dobbiamo dunque contrapporre, a questo atteggiamento contraI <littorio e velleitario, un atteggiamento veramente cc scozzese »? Dob- \ biamo dire che l'Italia non ha possibilità di far fronte agli impegni che \ le si chiede di assumere nei confronti dell'esigenza di una politica occit dentale per lo sviluppo del terzo mondo? Dobbiamo associarci al comj portamento di quanti hanno salutato l'arrivo di Harriman a Roma con ironici e a un tempo allarmati commenti sull' An1erica che chiede cc soldi » all'Italia? f La verità è che l'Italia, se non deve assumere nei confronti dei paesi sottosviluppati nessun impegno' di carattere bilaterale, non può · e non deve rifiutarsi di fare quanto le si chiede di fare sul piano mul- ~ilaterale. Per ottenere « t1na saggia distribuzione » fra i vari paesi del terzo mondo, « e a11che per far sparire le esigenze politjche con cui diversi paesi industriali accompagnano la concessione dell'assistenza, è desiderabile che l'aiuto sia multilaterale al massimo »; mentre, allo stato attuale delle cose, l'aiuto in forma multilaterale rapprese11ta appena cc la· decima parte dell'aiuto pt1bblico totale » (Pierre Moussa, I paesi arretrati, Comunità, 1961, pag. 134). Sia pertanto benvenuto il cosiddetto ccpiano Ronsenstein Rodan », attualmente all'esame dell'amministrazione kennediana, « nel quale sono state passate in rivista le possibilità finan- · ziarie dei Pa·esi industriali della Nato ed in· cui l'Italia è stata 'tassata' per una somma indicata di 65 miliardi di lire l' a11no (pari a circa 104 milioni di dollari) per un periodo di 15 anni » ( cc Il Punto » del 18 marzo). La discussione sulla partecipazione italia·na alla politica di aiuti ai paesi sottosviluppati dovrebbe dunque assumere come base: a) per quanto riguarda le modalità degli aiuti, t1n impegno sul piano multilaterale, con doni e prestiti a lungo termine, da concedersi per tramite di organismi internazio11ali 2 e indipendentemente da qualsiasi vincolo 2 Si pensa naturalmente all'OCED, ma non si deve dimenticare che c'è anche il Fondo europeo per lo sviluppo dei Paesi d'Oltremare e che la CEE potrebbe 14 Bibliotecaginobianco

di destinazione regionale, in Africa o America latina; b) per quanto riguarda l'ammontare degli aiuti, la quota indicata dal piano Rosenstein Rodan (104 milioni di dollari), che tiene evidentemente conto del Mezzogiorno (oltretutto l'autore di questo piano conosce assai bene i problemi italiani), e la· quota più alta (270-300 milioni di dollari), che probabilmente non tiene conto dei nostri impegni nel Mezzogiorno, indicata nel pia·no esposto a Londra ·3, durante l'ultima riunione del DAG (Developement Assistance Group), dal sottosegretario di stato per gli affari economici, George Ball. In pari tempo, però, sulla base delle risultanze del viaggio in Calabria e accantonando le velleità manifestate da vari ambienti politici ed economici in occasione del raid presidenziale in America latina, si dia veramente un impulso nuovo alla politica meridionalista, onde veramente si possa dire che tutte le forze e le risorse del paese sono impegnate nel ìvlezzogiomo e non possono essere dirottate verso altre destinazioni. riesaminare a questo punto le sue possibilità e la sua politica, potrebbe avanzare proposte interessanti, potrebbe indicare le linee di un più fo1te e più organico impegno unitario europeo. 3 Si tratta, come è noto, del piano americano fondato sulla cc tassazione » di tutti i paesi occidentali e del Giappone nella misura dell' 1 % del loro prodotto nazionale lordo: gli Stati Uniti, adottando questo metodo, dovrebbero contribuire con cinque miliardi all'anno, la Germania con 600-700 milioni, l'Italia con poco più di 270 milioni di dollari. Si dovrebbe raggjungere co1nplessivamente la cifra di 7 miliardi e mezzo di dollari all'anno, « iscritti » nei bilanci pubblici senza essere collegati all'acquisto di merci e fomjture prodotte nei paesi che concedono i prestiti ( « Il Punto >) del 25 1narzo). 15 Bibliotecaginobianco

Gruppi di • pressione . ' e soc1eta democratica di Vittorio de Caprariis I gruppi di pressione sono sempre esistiti, come la propaganda politica: il che non toglie, però, che una fenomenologia di essi nella società contemporanea sia, e non possa non essere, profondamente diversa da una· fenomenologia dei loro antenati di cent'anni fa. Parimenti, i gruppi di pressione esistono nella società de1nocratjca come in quella totalitaria: ed in quest'ultima non si tratta solo di cc congiure di palazzo », come qualcuno potrebbe essere tentato di credere, ma dell' azione di raggruppamenti, più o meno omogenei ed organizzati, che tendono a far valere le loro rivendicazioni. Il che non toglie, tuttavia, che tra i gruppi di pressio11e dei regimi democratici e quelli dei regimi totalitarii vi siano differenze profonde, derivanti dal tipo di azione svolta, dal modo in cui questa è svolta, oltre che, naturalmente, dalle strutture proprie del regime, le quali impediscono che si possa parlarne come di fenomeni sostanzialmente omogenei. Nli sembra che solo quando si l1a coscienza precisa dell'individualità e della tipicità dei fenomeni politico-sociali della nostra epoca si riesce a·d intendere bene questi fenomeni stessi. La società contemporanea, in quanto società di massa, è un fatto assolutamente diverso dalla società di mezzo secolo fa; e poicl1è, come osservava acutamente Tocqueville, l'a·ssetto sociale è a sua volta causa delle istituzioni politiche e sociali, questa assoluta diversità dell'assetto sociale di oggi rispetto a quello di cinquant'anni fa determina una diversità notevolissima· delle istituzioni, che sono funzioni di quell'assetto sociale medesirno. Un altro schiarimento pregiudiziale mi sembra necessario: che, cioè, quando noi ci sforziamo di studiare e di comprendere jl fenomeno dei gruppi di pressione dobbiamo guardarci bene dal pregiudizio morali16. Bibliotecaginobianco

stico, che ancora oggi adt1ggifl assai spesso le considerazioni sull'argomento. cc Il concetto di gruppo di pressione non va separato da una qualificazione di illecito », ha scritto recentemente e troppo frettolosamente Riccardo Lombardi, nella risposta ad un'inchiesta promossa dal « Centro Italiano Ricerche e Documentazione » ( « Tempi Moderni », aprile-giugno 1960): e questo non è che un esempio, dei molti che si potrebbero citare, di un indebito prolungamento della polemic~ politica in una discussione da cui la polemica politica avrebbe dovuto essere tenuta fuori. Si può anche comprendere che nella situazione italiana, dove effettivamente l~ pressione di quei gruppi che si sogliono chiamare retrivi ha molto superato il limite di sopportazione proprio di uno Stato democratico, si può comprendere, ripeto, che in una situazione siffatta la tentazione della polemica sia fortissima: r attacco ai gruppi di pressione ed alle loro illecite interferenze sui poteri dello Stato fu fortissimo anche al Congresso di Firenze del partito della Democrazia Cristiana, del partito, cioè, più esposto alle sollecitazioni di quei gruppi: che è tutto dire. Tuttavia, il cedere alla tentazione della polemica equivale pur sempre a' lasciarsi fuorviare da un'esatta intelligenza del fenomeno, e, dunque, anche da uno studio approfondito dei rimedii con cui combattere gli aspetti patologici del fenomeno stesso. Una prova della sommarietà e del semplicismo con cui Riccardo Lombardi ha affrontato il problema si può ricavare, del resto, dalla sua stessa risposta all'inchiesta di « Tempi Moderni», là dove egli scrive che « gruppi di pressione in senso lato possono essere considerati certamente i partiti, i sindacati, le riviste, i giornali, i movimenti che si formano in vario modo attorno a· determinati problemi ... ». Ora se Lombardi si fosse un po' documentato avrebbe constatato che non v'è nessuno studioso che ha mai considerato i partiti come gruppi di pressione (e cogliamo l'occasione per chiedere qui a Franco Simoncini in quale pagina di « Nord e Sud » ha letto questo grossolano errore, che egli ci attribuisce: la concezione degli amici di cc Nord e Sud » e· mia dei partiti politici è ben diversa da questa: noi abbiamo sempre scritto che i partiti devono essere considerati addirittura un'istituzione del regime democratico, ed abbiamo, pertanto, sempre polemizzato contro coloro che si compiacciono della polemica contro i partiti e contro la cosiddetta partitocrazia). La definizione dei gruppi di pressione data dallo Hunt ed accettata, credo, da tutti coloro che si sono occupati dell'argomento con qualche discernimento esclude tassativamente i partiti politici: gruppi di pres·sione sono quei gruppi « che esercitano una 17 Bibliotecaginobianco

determinata pressio11e in difesa di determinati interessi, senza assumere le corrispondenti responsabilità parlamentari di governo ». Parimenti, è assurdo scrivere che anche i giornali e le riviste si possano considerare gruppi di pressione: poichè questi sono piuttosto dei possibili strumenti · attraverso i quali i gruppi di pressione svolgono l'attività che si sono prefissa. Confo11dere le due cose equivale a mettersi nella famosa notte di Hegel. Nè conduce molto 1JiÙlontano la disti11zione fatta da· Lombardi tra i gruppi di pressione secondo il grado di pubblicità dell' azio11edei gruppi stessi: e< quegli organismi, difatti [s'intenda: partiti, giornali, movimenti ecc.], agiscono apertamente, si esprimono all'interno dei partiti o addirittura trovano in determinati partiti una loro rappresentanza organizzata: la loro funzione è pertanto benefica, poichè palese e politicamente res11onsabile ». Ora, anche a prescindere dal fatto che l' estensore della risposta al questionario di cc Tempi 11:oderni n avrebbe dovuto almeno rileggersi, per evitare di scrivere che i partiti possono trovare una rappresentanza organizzata nei partiti; a prescindere da ciò nelle frasi che si sono riportate vi sono eq11ivoci e controsensi, deriva11ti da una· scarsa riflessione Sl1l 1Jroblema. E qualche esempio farà riflettere su questi equivoci ed errori meglio di molti discorsi teorici. L'organizzazione dell' on. Bonomi agisce allo scoperto, ha le sue manifeste affiliazioni tra i parlamentari de1nocristiani, e quelli tra questi che riconoscono tale affiliazione tengono delle riunioni com uni, in cui si discute palesemente dei problemi che stanno loro a cuore: deduce da ciò l'on. Lombardi cl1e la funzione della « Coltivatori Diretti » è cc benefica »? O ancora: il giorno in cui il partito in cui milita l' 011. Lombardi divenisse puramente e semplicemente la « rappresentanza orga11izzata » dei lavoratori, crede l'illustre parlamentare socjalista che esso adempierebbe veramente a quelle cbe dovrebbero essere le sue funzioni di partito? Giudicando da un punto di vista rigorosamente marxista, dare a tale domanda u11a risposta affermativa equival'rebbe a porsi come eretico del marxismo; noi ci limiteremo ad osservare che a qt1el modo il Partito Socialista diverrebbe l'avvocato di interessi sezionali, nobili e vasti e degni di tutela quanto si vt1ole, ma pur sempre sezionali, e non potrebbe e non saprebbe più elevarsi alla visio11e degli i11teressi complessivi del paese. Col risultato, tra l'altro, non so quanto gradito ai socialisti medesimi, di vedere i11evitabilmente frustrata ogni ambizio11e di diventare, den1ocraticamente, la guida politica del paese. Del resto, quando Lombardi scrive che cc i gruppi di pressione in senso stretto n, 18 . Bibliotecaginobianco

che e.gli qualifica negativamente, sono assimilabili « a quelli che negli Stati Uniti vengono identificati sotto il nome di lobbies » mostra di ignorare che negli Stati Uniti i lobbies agiscono allo scope1to, e che la loro azione è regolata dal Federal Lobbying Act, e che pertanto anche qui viene meno quella caratteristica di clandestinità, che dovrebbe essere lo spartiacque tra i gruppi di pressione leciti e quelli illeciti. Che poi il Federal Lobbying Act abbia dato risultati meno buoni di quelli che si prevedevano è un fatto degno di essere meditato; ma è anche un discorso tutto diverso. Ogni tentativo di corretta· intelligenza dei gruppi di pressione, dunque, deve muovere, oltre che dalla consapevolezza delle profonde diversità esistenti tra la nostra società politica e qt1ella di cinquant'anni fa e tra la dinamica del potere nelle società democratiche e quella propria delle società totalitarie, dal rifiuto di ogni pregiudizio moralistico e da uno sforzo di definizione puntuale del fenomeno. Ed è appunto questa esigenza di una definizione precisa che rende inaccettabile, co1ne troppo generale e poco conducente nel nostro caso particolare, la dottrina dei gruppi formulata da Arthur Bentley, nella sua famosa opera, The Process of Government, del 1908, e ripresa assai recentemente, negli anni '50, da David B. Truman, in un libro molto noto e molto discusso: The Government Process. Bentley riteneva che si dovesse distinguere tra diversi livelli della realtà politica: la struttura istituzionale formale, l'azione degli individui organizzata all'interno di tali strutture, ed un livello più profondo, nella società stessa. Tutto il processo politico derivava, a suo giudizio, dall'interazione delle forze che si agitavano a questo livello più profondo, dei gruppj che costituivano, per così dire, i segmenti della società: i fenomeni di governo, egli pensava, sono fenomeni di gruppi cl1e si premono l'un l'altro, che si formano, · addirittura, attraverso tale interazione, e che creano, a loro volta, nuovi gruppi e rappresentanti di gruppi (gli organi di governo), per fare opera di mediazione e di accordo. Solo quando noi isoliamo queste attività di gruppo, determiniamo i valori che esse rappresentano e jntendiamo l'intero processo nei termini di una tale considerazione, solo in questo caso ci avviciniamo ad una conoscenza soddisfacente del processo politico » • Tutto ciò poteva essere utile nei primi anni del secolo per ric4iamare l'attenzione degli studiosi di scienza politica dalla considerazione degli aspetti 1neramente formali del processo politico ad una considerazione più relaistica e concreta del modo di formazione delle decisioni; ma non ci fa avanzare molto nella costruzione di una fenome19 Bibliotecaginobianco

nologia dei gruppi di pressione nella società contemporanea. La teoria di Bentley resta una sorta di prologo in cielo, arnmesso il quale bisognerà non solo studiare l'importanza del contesto istituizionale e la funzione che esso esercita nel determinare o anche solo nell'influenzare la dinamica dei vari gruppi (poichè è evidente che esso non è solo una sorta di schermo bianco su cui questi disegnano i loro arabeschi in assoluta libertà); ma anche distinguere tra loro i vari tipi di gruppi, secondo i valori che essi rapprese11tano e secondo il loro processo di formazione e il posto che vogliono occupare ed occupano nel quadro complessivo. Ora, se si guarda alle trasformazioni che hanno condotto all'attuale assetto politico-sociale, mi pare cl1e non sia difficile intendere come e perchè si siano formati gruppi di pressione sostanzialme11te diversi da quelli che erano tipici del secolo scorso. Ancora una volta si devono prendere le mosse dall'affacciarsi delle masse nella vita politica e dalla continua estensione del suffragio, cl1e era causa e conseguenza, insieme, di quel fenomeno, nei decenni a cavaliere tra i due secoli. Questi avvenimenti hanno poderosamente contribuito a mutare la fisionomia dei partiti politici, che si sono trasformati da movimenti di opinione in movimenti di massa, e li hanno costretti a sforzarsi di essere rappresentativi non più di alcuni interessi soltanto, ma degli interessi generali di tutto il corpo sociale. E qt1ando i partiti tendono a diventare il più possibile omogenei a quest'ultimo, a rappresentarne tutti i molteplici e sovente contrasta11ti strati della società, devono di necessità offrire una mediazione pregiudiziale dei contrasti interni al corpo sociale medesimo: il che vuol dire cl1e saranno essi stessi ad esercitare quella fl1nzione che prima era esercitata dai parlamenti e dagli organi dello Stato. Ma ciò cl1e è giocoforza accettare dallo Stato, si può anche non accettare o tentare di non accettare quando venga dai partiti politici. Da ciò, appunto, deriva che individui e gruppi, se11tendosi troppo debolmente protetti dai partiti tradizionali, pur senza rinunciare all~influenza che possono esercitare nei partiti e attraverso i partiti, pensino ad esercitarne un'altra, più diretta, sugli organi dello Stato, sia politici che ammi11istrativi, in modo da migliorare a loro favore, in seconda istanza, quella mediazione già compit1ta da un partito, e che ritengono, a torto o a ragione, sfavorevole ed ingiusta. A questo modo lo Stato finisce con l'essere investito, come usa dire, dai gruppi, indirettamente attraverso i partiti che concorrono a formare le grandi decisioni politiche, e direttamente, nei suoi organi: legislativo ed esecutivo;> si abbia 20 Bibliotecaginobianco

o no la perfetta separazione dei poteri, sono entrambi fatti segno a pressioni di interessi che tendono a tutelarsi e a prevalere, siano essi di singole sezioni del paese, siano, invece, di settori e ceti particolari. Nel nostro tempo vi sono stati, inoltre, due fatti, che hanno funzionato come acceleratori di questa pratica. Innanzi tutto il massiccio intervento dello Stato nelle cose dell'economia. La necessità di impedire le concentrazioni monopolistiche o l'esigenza di una più equa redistribuzione della ricchezza o ancora il bisogno che lo Stato stesso stimolasse o addirittura si facesse imprenditore in proprio, per guidare lo sforzo degli investi1nenti in quei settori o in quelle zone di un paese che l'iniziativa privata trascurava; e, al di sopra di tutto, la nuova concezione democratico-liberale, cl1e attribuiva allo Stato medesimo infinitamente più iniziative e responsabilità e strumenti d'azione e doveri pel benessere generale, e prevedere, altresì, che esso fosse fornito dei mezzi adatti a fronteggiare le congiunture economiche sfavorevoli e ad impedire le crisi; tutto ciò ha accresciuto enormemente la partecipazione dei pubblici poteri alla vita economica e al processo di formazione delle decisioni economiche. Queste, che prima erano lasciate interamente o quasi all"iniziativa individuale, tendono ora a sfuggire ad essa: ond' è che i gruppi economici privati l1anno oggi una sollecitazione assai più forte che in passato ad impedire interventi pubblici che siano loro sfavorevoli o a provocarne di vantaggiòsi. In sostanza, questi gruppi, pur inalberando il vessillo del liberismo più assoluto, si acconciano volentieri al dirigismo più conseguente, quando questo risulti conforme ai loro interessi. Il secondo fatto cui si accennava è la crescita smisurata dei com- . plessi industriali: questi hanno attinto ormai dimensioni gigantesche e dispongono di un potere enorme. Se è vero che certe fondamentali decisioni economiche sfuggono all'assoluta disposizione dei loro dirigenti, è altresì vero che questi, grazie al loro potere, tendono ad atteggiarsi qua•si come potentati autonomi, che vorrebbero trattare alla pari con lo Stato. A questo proposito giova ricordare ciò che avvenne circa trent'anni or sono negli Stati Uniti, quando, dopo la memorabile campa'gna elettorale del 1932 e la grandiosa vittoria del partito democratico e la legislazione riformistica dei famosi cc cento giorni » del 1933, parve necessario ad alcuni dei più intimi consiglieri di Roosevelt che si giungesse a qualche intesa tra l'Amministrazione e il mondo dei banchieri - ' e fu deciso che, a tale scopo, il Presidente avrebbe tenuto un discorso ad un banchetto dell'Associazione dei banchieri di New York. Ma il 21 Bibliotecaginobianco

tentativo accuratamente prepa1·ato fu vici11issimo al f allime11to allorchè Roo,sevelt e Morgenthau lessero il dis.corso introduttivo di J ackson Reynolds, della First National Bank di N e,iV York. Reynolds, infatti, ricordava nel suo discorso il rifiuto di Scipione di negozJare con Annibale e le conseguenze che quel rifiuto aveva avuto: il che parve, giustamente, al Presiàente ed al suo ministro, offensivo pei pubblici poteri, che a quel modo erano messi sullo stesso piano delle banche, a loro volta promosse a potere sovra110. Ond'è cl1e l'Amministrazione pretese ed ottenne che quelle righe fossero cancellate: i banchieri ed il governo, ricordò Roosevelt nel discorso pronunciato in quell'occasione, non possono essere considerati come potenze ugualme11te indipendenti e pari tra loro, poichè cc il governo, per necessità di cose, deve essere il leader, deve essere giudice dei conflitti di interesse tra tutti i gruppi della· comunità, inclusi i banchieri ». L;,episodio è estremamente significativo di una mentalità tipica dei dirigenti dei grandi gruppi di interesse, la quale negli Stati Uniti di oggi è forse in declino, ma che è certamente ancora dominante in altri paesi. Ma comunque ciò sia, è un fatto che le concentrazioni di interessi sono potentissime, costituiscono altrettanti centri di potere, i quali, come tutti i centri di potere, tendono ad essere autonomi. E l'osservazione che si è fatta di sopra, che, cioè, i pubblici poteri partecipano in t111grado eminente nel processo di forma·zione di certe decisioni economiche, non contraddice affatto a ciò, come potrebbe sembrare ad osservatore superficiale. Al contrario, i due fatti finiscono, per così dire, col sommarsi: proprio perchè in una situazione di potere mai avuta prima ai dirigenti dei grandi complessi industriali non può non sembrare assurdo e dannoso l'essere privati di quella libertà di decisioni di cui prima godevano, accade che essi si avvalgano di quel · potere medesimo di cui dispongono per recuperare indirettamente ciò che non hanno più. I gruppi di pressione, dunque, così come li conosciamo negli Stati Uniti, in Gran Bretagna ed anche in Italia, sono una conseguenza del1' attuale assetto della società democratica, appartengono, almeno nella loro fase originaria, alla fisiologia e non alla patologia di una società democratica. Si comprende, pertanto, che uno studioso come Maranini abbia potuto scrivere (sempre rispondendo all'inchiesta promossa da cc Tempi Moderni») che essi possono esercitare ancl1e una funzione positiva: « i gruppi di pressione possono operare come preziosi tramiti fra l'individuo e il potere, e, in una società plura:listica bene articolata, accrescere la concretezza e l'efficacia del suo pluralismo, contribuendo 22 Bibliotecaginobianco

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