Nord e Sud - anno VII - n. 8 - settembre 1960

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna .. MICHELE TITO, Ripensare iEttropa LUIGI Giusso, La politica di sviluppo regionale CESARE MA.NNUCCI, Il progresso tecnologico e la società italiana GAETA:NO ARFÈ, Gli intellettuali e la guerra di Spagria ROBERTO BERARDI, Il decentramento nei concorsi clelle scitole 1nedie L u1c1 LERRO, Salerno e scritti di Curno BorrA, SALVATORE CAMBosu, GIOVANNI ConA NuNZIANTE, FRANCESCO COMPAGNA, GIUSEPPE GALASSO, ENZO COLINO, AUGUSTO GRAZIANI, CARLO MAGGI, GENNARO MAGLIULO, RENATO PERRONE CAPANO, NICOLA TRANFAGLIA, ARNALDO VENDITTI, ANTONIO VITIELLO ANNO VII • NUOVA SERIE • SETTEMBRE 1960 • N. 8 (69) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE • NAPOLI Biblioteca Gino Bianco

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( NORD ESUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna / .. Biblioteca Gino Bianco

Michele Tito Luigi Giusso N.d.R. Antonio Vitiello Salvatore Cambosu Nicola Tranfaglia Carlo Maggi Giuseppe Galasso Luigi Lerro Cesare Mannucci Enzo Colino Roberto Berardi Gaetano Arf é SOMMARIO Editoriale [3] Ripensare l'Europa [7] La politica di sviluppo regionale in Gran Bretagna e in Italia [14] GIORNALE A Più VOCI Cassa e Ministeri [27] L'Italia in due [29] Banditismo e no [ 37] La Corte Costituzionale e la Televisione [ 40] Un insolito omaggio a Benedetto Croce [ 43] La pagina 26 e la pagina 27 [ 46] PAESI E CITTÀ Salerno [ 49] CONGRESSI E CONVEGNI Il progresso tecnologico e la società italiana [71] I censuari [ 80] PROPOSTE E COMMENTI Il decentramento nei concorsi delle scuole medie [87] RECENSIONI Gli intellettuali e la guerra di Spagna [ 95] CRONACA LIBRARIA [10~] Una copia L. 300 · E•tero L. 360 DIREZIONE E REDAZIONE: Abbonamenti So.tenitore L. 20.000 Napoli - Via Carducci, 19 - Telef. 392.918 Italia annuale L. 3.300 aeme•trale L. 1. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Abbonamenti, distribuzione e pubblicità : Effettuare i versamenti aul C.C.P. 6.19585 intestato a EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. - Ed. Scientifiche Italiane S.p.A. Via Roma, 406 Napoli Via Roma, n. 406 - Napoli - telef. 312 540 - 313.568 BibliotecaGino Bianco

Editoriale Sono venute dalla Sicilia due indicazioni politiche da non sottovalutare: l'una riguarda l'attività dei giovani democristiani, l'altra la funzione che l'unico esponente socialdemocratico nell'Assemblea regionale va svolgendo in modo esemplare dal giorno in cui l'Assemblea è stata eletta. Alla base delle iniziative dei giovani democristiani di Agrigento - iniziative dirette a ottenere,- sia da Palermo, sia da piazza del Gesù a Roma, che si ridiscuta tutta la situazione siciliana, per intervenire senza ulteriori indugi sulle molte piaghe che si vanno allargando ed aggravando - c'è un f enno atteggiamento antifascista che potrebbe e dovrebbe trovare proseliti anche nelle altre province. E comunque questo atteggiamento dei giovani democristiani di Agrigento rende quanto mai scomoda la posizione di quegli esponenti della sinistra democristiana che fanno ancora parte del governo regionale aperto a destra. Inoltre, è un atteggiamento che dovrebbe suscitare numerosi, attivi consensi tra le fila del partito di maggioranza in tutta Italia, fra tutti coloro che hanno considerato inaccettabile la situazione che si era creata a Roma e che hanno vinto una prima battaglia quando sqno riusciti a rovesciare il gòverno Tambroni: i giovani democristiani di Agrigento inducono, cioè, a non dimenticare che la seconda battaglia dei democristiani antifascisti comincia in Sicilia e. deve svolgersi in tutto il Mezzogiorno. E in questo senso non si può non trarre una qualche ragione di relativo conforto da notizie che rivelano come la DC in Sicilia non è costituita soltanto da personaggi politicamente assai discutibili, come Santalco e D'Angelo, ma anche da forze nuove che alle imprese dei personaggi sullodati risolutamente si oppongono; e come la DC nel Mezzogiorno non è soltanto aff Zitta dai « casi di coscienza » dei De Martino e dei Berry, dei Jannuzzi e magari dei Mattarella, se 3 BibliotecaGino Bianco

è vero che c'è anche qualche giovane - ad Avellino, ad Agrigento e pure a Foggia, dove sembra che la sezione giovanile. abbia deplorato che il sindaco avesse partecipato al convegno g·eddiano dell'44..ngelicum per dichiarare che le sole alleanze omogenee sono quelle della sua amministrazione, fra democristiani, monarchici e fascisti - che il cc caso di coscienza » non se lo pone nei confronti dei socialisti, ma nei confronti dei fascisti. Anche a costo di rimanere ancora una volta delusi, auguriamoci ditnque che questi giovani restino come sono e possano al più presto guadagnare nel partito posizioni tali da poter concretamente agire per correggerne le tipiche e sempre più gravi degenerazioni meridionali. E auguriamoci in particolare che i giovani democristiani di Agrigento vogliano e possano portare fino in fondo la loro opposizione all'apertura a destra ed il loro impegno per indurre la DC all'apertura a sinistra nell'Assemblea regionale. La lotta che si conduce da destra, attraverso le leve del governo regionale, per svuotare la _SOFIS e per impedire che essa investa capitali in imprese che potrebbero infastidire con la concorrenza taluni monopoli del Nord, ai quali sembra legato lo stesso presidente della SOFIS, il monarchico on. Bianco, sostenuto dal governo Maiorana (si veda la << Voce repubblicana » del 27-28 agosto), non è che uno dei tanti episodi che si possono citare per dimostrare che nessuna politica di sviluppo è possibile se nori contro i partiti dell'apertura a destra, se non eliminando del tutto gli esponenti di questi partiti dalle operazioni di sottogoverno e di spartizione del potere locale. L'altra indicazione politica da non sottovalutare - e che anch'essa · ripropone il problema della maggioranza aperta a destra e della sua contraddittorietà con la nuova situazione politica nazionale - è quella derivante dall' ini~iativa, rilanciata dall' on. Napoli, di varare una nuova maggioranza, democratica, estesa fino al PSI. Alcuni mesi or sono questa iniziativa è fallita per colpa di alcuni scon~igliati esponenti della sinistra socialista, che fecero il gioco dei comunisti, ma anche della destra democristiana. Tutto il PSI si è poi potuto rendere conto dell'errore che fu allora commesso a lasciar passare un'occasione che era vista favorevolmente anche dalla segreteria nazionale della DC. È pertanto lecito sperare che, ove l'occasione si ripresenti, un errore del genere, da parte dei socia:listi, non debba essere più commesso; o almeno che, contro la possibilità che lo si, voglia ancora commettere, la maggioranza autonomista del PSI abbia saputo fin da ora premunirsi. 4 BibliotecaGino Bianco

E tuttavia, si dirà, la soluzione proposta dall'on. Napoli non ha pos- - sibilità di affermarsi, perchè ad essa si opporrebbero i liberali, e si rischierebbe quindi di mettere in crisi il delicato equilibrio parlamentare delle cc convergenze parallele», così faticosamente raggiunto. Ma perchè i liberali, e in particolare i liberali della Sicilia orientale, i Martino e i Cannizzo, dovrebbero prestarsi come puntello nazionale del governo Maiorana e dovrebbero assumersi la responsabilità di un sottogoverno mafioso, attuato in Sicilia oggi più che mai, e certamente repugnante agli occhi di ,un moralizzatore come fon. Malagodi? Perchè i liberali dovrebbero preferire questa situazione [che è nata sotto gli oscuri segni dell'operazione D' Angelo-Santalco, e prospera in un clima che favori- . sce soltanto l'opposizione comunista, proprio come quello che in Italia ha recentemente indotto tutti gli uomini di buona volontà ad allontanare l'on. Tambroni dai telefoni del Viminale] a una situazione che consentirebbe l'isolamento dei comunisti e l'inizio della liberazione dei siciliani dalla mafia? Non certo p·erchè ne risulterebbe alterata la politica estera del paese o m.inacciato il cc miracolo » economico! Si potrebbe dire perfino che, se i liberali si facessero essi promotori delf apertura a sinistra, assisteremmo a una operazione politica intelligente,, e pienamente giustificabile, agli occhi dell'elettorato liberale dell'Italia settentrio·nale, con le esigenze della lotta contro la mafia: la quale è introdotta nei centri di potere grazie ai s-uoirapporti con i partiti e gli uomini dell'apertura a destra; onde la necessità dell'apertura a sinistra, rion essendovi forze quantitativamente sufficienti per eludere l'apertura a destra con il solito quadripartito. Naturalmente, non osiamo sperare clie i liberali abbiano tanta finezza da condurre una operazione politica così abile e così giusta; ma riteniamo che comunque i liberali non possano respingere l'iniziativa dell'on. Napoli, non possano minacciare la crisi a Roma se tale iniziativa dovesse andare in porto a Palermo (il che, del resto, è stato implicitamente auspicato dal gruppo di « Democrazia. liberale » ). I liberali non possono fare questo perchè sono essi che devono temere una minaccia del genere - la nuova maggioranza a Palermo o la crisi a Roma - da parte della socialdemocrazia, da parte dell'on. Saragat, che dovrebbe 01'a giustificare con un significativo successo politico, come sarebbe appunto il successo della iniziativa rilanciata dall'on. Napoli, l'atteggiamento responsabilmente assunto, e fatto assumere alla socialdemocrazia, nella crisi di luglio. La DC è quindi oggi la sola responsabile della situazione siciliana e · ' 5 Biblioteca Gino Bianco

non può cercare di eludere le sue responsabilità con la scusa di eventuali reazioni del PLI. Questa e molte altre ragioni fanno dunque ritenere non solo auspicabile, 1na anche possibile, solo che la DC lo voglia, una nuova maggioranza in Sicilia. Di tale nuova maggioranza c'è urgente necessità, perchè così non si può andare avanti, perchè i tumori della situazione siciliana devono essere una buona volta estirpati, perchè la politica meridionalista, prima ancora che nuovi interventi economici, richiede oggi una boriifica politica, uno s-f orzo consapevole per il risanamento di una atmosfera che dopo anni di apertura a destra è diventata vera1nente irrespirabile. Lo era diventata dopo due mesi la situazione italiana con il governo Tamhroni; è facile quindi immaginare come lo sia diventata dopo anni la situazione meridionale con le alleanze che sembrano al sindaco di Foggia, al cardinale Ruffini e ad altri uomini << di coscieriza » le sole degne di essere coltivate dalla DC e che coprono quasi tutta l'area amministrativa del Mezzogiorno! Ne tengano conto le direzioni dei partiti che hanno f ormaio la maggioranza sotto la spinta delle gravi preoccupazioni suscitate dal governo Tambroni e delle non meno gravi conseguenze provocate nel paese dal suo atteggiamento e dalla sua composizione. E in particolare ci sia consentito cli chiedere ai riostri amici repubblicani e socialdemocratici di porre subito, se già non lo hanno fatto, il problema della progressiva liquidazione delle aperture a destra nel Mezzogiorno: la solu~ione di esso - anche in vista delle prossime elezioni - dovrebbe essere 1,na delle fondamentali condizioni, la principale, della adesione dei partiti di centro-sinistra alla maggioranza di cui dispone il governo Fanfani. 6 BibliotecaGino Bianco

Ripensare l'Europa di Michele Tito Per molti segni sembra che i problemi europei (o meglio: di una costruzione europea) debbano cominciare a trovare, tra l'autunno e l'inverno, se non una sistemazione, un principio di impostazione. È difficile prevedere in che direzione, alla fine, ci si muoverà. C'è da una parte il persistere di un verboso e sterile europeismo di maniera e c'è dall'altra una diffusa incertezza di propositi. C'è anche molta confusione d'idee: ad essa può certamente essere attribuito l'articolo nel quale, di recente, « il Popolo » ha parlato di una « grande Europa », in contrapposizione implicita alla cc piccola Europa ». Il pericolo è che si pervenga ad una specie di « modus vivendi » che consenta in partenza ogni tipo di sviluppo futuro, ma blocchi nella sostanza ogni progresso e riduca l'Europa a rinunce irrimediabili. Obiettivamente la situazione non è facile. Non è stato ancora preso atto che l'Europa pensata da De Gasperi, Schumann e Adenauer, già in crisi nel '53, ha ricevuto un colpo mortale con l'avvento di De Gaulle al potere. Insistere sul principio rigido dell'integrazione politica immediata e della sovranazionalità assoluta non è più realistico: non è d'accordo la Francia, non vi tiene più tanto la classe dirigente tedesca, che non è più assediata dalle antiche inclinazioni neutralistiche dei socialdemocratici; e non conviene, almeno per il momento, alla democrazia italiana. Per dirla con franchezza, De Gasperi pensava all'Europa integrata per difendere e salvaguardare la vita democratica nel nostro paese, inserito nel circolo europeo. La democrazia francese, che nel '48 e nel '50 nessuno pensava potesse abdicare, doveva, in un certo senso, dar respiro e vigore alle nostre giovani istituzioni, e tener ferma la Germania sulla linea delle libertà civili e della fedeltà all'Occidente. Con maggiore 7 Biblioteca Gino Bianco

o minore consapevolezza, su questo punto si era tutti d'accordo: e le stesse polemiche sull'Europa vaticana e l'Europa socialista confermavano la co11vinzione generale che l'integrazione avrebbe, in ultima analisi, governato la sorte dei regimi interni dei paesi integrati. Perciò, la leadership morale, e perfino la leadership politica, an•dava di diritto, vivo De G~speri, alla democrazia francese, europeista e atlantica senza riserve. Non si può, adesso, rimanere responsabilmente sulle posizioni di De Gasperi: il regime gollista è avviato verso un'involuzione autoritaria o verso un'esplosione dalle conseguenze imprevedibili. L'europeismo massimalistico e intransigente ci porterebbe a risultati opposti a quelli che De Gasperi pensava di acquisire all'Italia. La prospettiva che potrebbe ·offrirci De Gaulle è quella dell'accettazione del fascismo di Franco e dell'esclusione delle democrazie britannica e scandinave. Probabilmente cc Il popolo » pensava a questo pericolo quando contrapponeva la « grande Europa » alla « piccola Europa ». Tuttavia, se tutto si riducesse a questo, si potrebbe salvare il futuro preoccupando·si di conservare i legami con la Gran Bretagna, cominciando dal risolvere, in un modo conveniente, il problema dei rapporti tra Mercato comune ed EFT A. Invece, quella della << grande Europa » è una formula ambigua, che non è stata creata dal cc Popolo », che non è neppure, in origine, inglese. Essa è nata in Francia, creata dai neutralisti, ereditata, durante la quarta Repubblica, dai gollisti, crociati dell'antieuropeismo, e fatta propria, subito dopo il suo avvento al potere, prima che una serie di circostanze lo convertissero a più prudenti enunciazioni, dal generale De Gaulle: essa significa in apparenza un protendersi verso l'Europa orientale, a cominciare dalla Polonia, e implica una politica estera francese di cc mediazione » tra oriente ed occidente; in pratica significa il vuoto, nel quale la Francia avrebbe una quasi totale libertà di manovra anche in seno all'alleanza atlantica. Non c'è, dunque, molto da scegliere: bisogna occuparsi della cc piccola Europa », ma rivedere quasi integralmente i termini del problema. Innanzitutto bisogna rimediare, superandola, alla situazione attuale. S'è creata una specie di diarchia franco-tedesca. Essa poteva apparire fatale e, sebbene avviata nei suoi presupposti fin dai tempi del lungo governo Mollet, poteva, entro certi limiti, far sperare in una influenza moderatrice tedesca sulle sempre risorgenti tentazioni fran-cesi di rovesciare la scacchiera. Ma la diarchia franco-tedesca l1a subìto una inaspettata evoluzione : Parigi e Bonn non l1anno quasi più alcun pt1nto in comune per quel che riguarda l'azione europeistica e sono invece stret8 BibliotecaGino Bianco

tamente solidali sul piano più ampio della politica mondiale. Ne risulta-, e lo si è visto con molta chiarezza, che la diarchia franco-tedesca si serve dei titoli di relativa legittimità che ad essa derivano nell'ambito europeo per sviluppare un'azione politica e diplomatica cui spesso la Europa, in generale, non vorrebbe essere associata. Si tratta di un espediente del generale De Gaulle: nell'intesa franco-tedesca l'Europa ha sempre meno a che fare, ma serve sempre più a certi fini di politica mondiale. Non è sicuro che quest'equivoco debba prolungarsi. Sappiamo per certo che le basi dell'azione diarchica franco-tedesca, rinsaldate nel colloquio tra De Gaulle e Adenauer che ebbe luogo nel settembre del '58, alla vigilia della proclamazione della quinta Repubblica, riposano su un presupposto di difficile ~conferma: che, cioè, l'America è fatalmente portata a disinteressarsi dell'Europa e a ritrovare le suggestioni isolazioniste via via che si fa strada un clima di distensione. Le ele_zioni.americane, e una più sicura formulazione della politica estera statunitense, dovrebbero perciò consentire ad Adenauer di ridimensionare i termini e gli in1pegni dell'intesa con la Francia: perchè è chiaro che Adenauer temeva l'assenteismo americano in cui De Gaulle invece sperava. Il momento è dunque favorevole perchè si affronti con decisione la questione della diarchia franco-tedesca e si ottenga che se ne chiarisca, se deve sopravvivere, la natura: si può accettare, al di qua di un certo limite, che essa esista entro l'a1nbito europeo, per la costruzione europea, perchè De Gaulle è quello che è; non si può accettare però che l'Europa serva di pretesto ai due governi, e che essi, preoccu- · pati di altre cose, facciano alla fine languire l'europeismo. Per far questo è necessaria una scelta. Non, come è apparso, tra la Francia e la Gran Bretagna, ma tra la Francia e la Germania sui problemi europei, sul terreno cioè ove, dietro la facciata, c'è una sostanziale divergenza tra Parigi e Bonn. Una scelta su che cosa? Secondo ottime fonti parigine, il generale. De Gaulle sta preparando un rilancio cc spettacolare » della costruzione europea. Egli proporrebbe riunioni periodiche dei capi di governo dei sei paesi e dei ministri dei diversi settori (agricoltura, finanze, industria, istruzione, ecc.), un segretariato permanente con quattro commissioni (esteri, difesa, economia, cultura), l'organizzazione di un referendum nei sei paesi sull' cc idea europea ». Il piano è insidioso : esso può esautorare la CECA, il Mercato comune e l'Euratom, che sono cose che funzionano, mettere in causa quel poco di struttura sovranazionale, che è in atto, e, in cambio, non 9 Biblioteca Gino Bianco

facilitare l'intesa con la Gran Bretagna. Tutto ciò mentre mira a ·creare la premessa per una « terza forza » europea dal destino molto oscuro. Risulta che Adenauer non si è dichiarato ostile in linea di principio al progetto, ma che è molto perplesso. Il ministro Ehrard è invece ostile. Ora, bisogna che l'Italia sia esplicita: i piani di De Gaulle non sono accettabili da chi pensa veramente all'organizzazione europea. Nè l'Olanda, nè il Belgio sono d'accordo, su questo punto, con De Gaulle; e, naturalmente, è contro anche l'Inghilterra. L'Italia può, per una volta utilmente, assumere una iniziativa e dire ad Adenauer che egli non si troverebbe isolato se, risolvendo le proprie perplessità, scoraggiasse in maniera definitiva il generale De Gaulle dal perseguire piani della natura di quello di cui si parla. Non c'è dubbio che l'operazione comporti i suoi rischi: essa è però necessaria perchè i rischi connessi all'attuazione del piano De Gaulle si rivelerebbero, alla fine, molto più gravi. In ogni caso l'esigenza di uscire dall'equivoco, e di vedere più chiaro nel complesso gioco franco-tedesco, è assoluta. Senza questo chiarimento niente è possibile. Un'Italia che continuasse, come ha fatto, consule Pella, a barcamenarsi tra Parigi, Bonn e Londra lascerebbe in crisi l'Europa e contribuirebbe a fare incancrenire i problemi dei rapporti tra l'Europa e i paesi terzi. Ed è evidente che, poichè la posizione di De Gaulle è quella che è, e per il momento immodificabile, i maggiori chiarimenti devono venire dalla Germania. Rifiutare il piano De Gaulle, esigere una definizione di carattere europeo della natura dell'intesa franco-tedesca e proporre una ripresa di coscienza europeista non significa pretendere l'integrazione politica, s11basi sovranazionali, della piccola Europa. La cosa, come s'è visto, non è oggi possibile e non è provvisoriamente conveniente. Può invece significare, tenuto -conto delle tendenze generali e degli interessi concreti della Germania, un'azione simultanea su tre linee parallele: 1) Difendere e rafforzare gli organismi sovranazionali già esistenti, cioè l'Euratom e la CECA. La CECA ha bisogno di riforme, ha bisogno, sopratutto, di un'Alta Autorità che eserciti un potere effettivo: la rinuncia momentanea a perseguire per l'immediato disegni di integrazione totale deve essere compensata dal rafforzamento della CECA. A conti fatti, non si tratta neppure di un prezzo troppo alto. 2) A fianco alla CECA possono essere creati altri cc pools », da tempo allo studio, a cominciare da quello per l'energia elettrica. Nella sostanza si tratterebbe di perseguire una politica di integrazione setto10 BibliotecaGino Bianco

riale, sia pure su piani diversi in rapporto al principio della sovranazionalità, e risolvendo via via il problema delle relazioni di ciascuno dei « pools » col Mercato comune. Si tratta di cose diverse dalle riunioni periodiche dei ministri europei che propone De Gaulle: è una questione di massima spoliticizzazione dell'organizzazione europea. È, da questo punto di vista, il contrario di ciò che si voleva nel '50: il pericolo maggiore, attualmente, e lo fa temere anche una nota del cc Popolo » { domenica 22 agosto), è quello della tendenza a concepire le organizzazioni europee come strumenti di una politica estera particolare nell'ambito dell'alleanza atlantica e, fatalmente (al contrario di ciò cui si tende), in fu11zione della politica rigida franco-tedesca sul piano mondiale. 3) Problema del Mercato comune. Il nuovo governo italiano sembra considerare preminente su ogni altro problema la necessità di pervenire ad un'intesa con la Gran Bretagna. È una necessità obiettiva. Oltre I tutto, su questo terreno non sono permesse illusioni: l'interesse tedesco - che Adenauer sacrifica momentaneamente soltanto alla « ragion di stato », rappresentata dall'utilità del sostegno di De Gaulle sulle questioni di Berlino e del prezzo della distensione - è quello di favorire l'intesa coi paesi dell'EFT A. Pensare al Mercato comune in contrapposizione permanente alla Gran Bretagna significa preparare inevitabilmente la diserzione tedesca, olandese e belga: il trattato di Roma è di natura tale che, attraverso il gioco delle clausole di salvaguardia, potrebbe essere benissimo formalmente in vigore ma non attuato in pratica. L'accordo con la Gran Bretagna va dunque ricercato; e anche qui l'iniziativa spetta all'Italia, che deve assumersi il c_ompito di fare, in una certa misura, i passi che il governo di Bonn vorrebbe fare ed è, per le molteplici esigenze della sua politica estera generale, impossibilitato a fare. Si tratta in sostanza di riprendere il filo dei negoziati interrotti nel dicembre del '58, quando all'OECE ebbe luogo una delle più drammatiche riunioni diplomatiche che la storia del dopoguerra abbia conosciuto. In quell'occasione stava per essere consumata la rottura definitiva tra la Francia e la Gran Bretagna: e si videro i tedeschi, i belgi, gli olandesi lasciare la Francia sola. L'on. Fanfani, schierandosi all'ultimo momento con la Francia, evitò la proclamazione della rottura~ e il suo fu un gesto meritorio. Ora siamo rimasti a quel gesto: bisogna riprendere il discorso. Su quali basi? Non ci risulta che le ultime proposte concrete della Gran Bretagna fossero così gravi per la natura del Mercato comune da intaccarne le caratteristiche. Su questo punto l'opinione dei tecnici dell'OECE e delle diverse commissioni interessate alla faccenda non 11 Biblioteca Gino Bianco I

concorda con qt1ella dei politici che si ispirano a una intransigente visione dell'unità europea. In verità, ci si è visti costretti, per ragioni cli solidarietà europea, ad accettare per buone ·1e intransigenze francesi; e ci risulta che, in numerose occasioni, gli esperti tedeschi vi si sono rassegnati meno volentieri di quelli italiani. Tuttavia, cc n~blesse oblige » : i sei paesi del Mercato comune devono avere un fronte compatto, devono trattare unitariamente: anche se il prezzo dovesse essere alto, deve essere il MEC a negoziare e a decidere percl1è qualsiasi compromesso non deve rimettere in discussione, neppure di lontano, l'unità operativa del Mercato comune; oramai le economie dei cc sei » ne dipendono. Questo significa, allora, che andare a cercare intese particolari, da sviluppare stil terreno europeo, con la Gran Bretagna è un errore, sia quando lo fa Adenauer sia quando lo fa Fanfani. La sola azione seria deve essere condotta nell'ambito del Mercato comune: è, naturalmente, date le posizioni francesi, l'azione più difficile, ma non devono esisterne altre 1 • Essa può essere resa, i~ definitiva, meno difficile se si rinuncia a disegni astratti, ma insidiosi nella pratica quotidiana, come quelli eh~ si racchiudono nella formula: cc positiva cooperazione politica al livello del coordinamento nel seno della più vasta alleanza atlantica » • Come si vede, la conclusione ci costringe a tornare al punto di partenza: la questione-chiave sta nella intesa franco-tedesca, che, così come è .ora, confonde le acque e permette al generale De Gaulle un gioco inafferrabile tra l'Europa, il Mercato comune, l'alleanza atlantica e le funzioni dell'Europa tra i due blocchi. Richiedere la relativa spoliticizzazione della costruzione europea, significa evitare gli equivoci e piegare la Francia a scoprire le sue carte più o meno nazionaliste. Ciò che si de~e respingere è dunque questo: l'Europa delle patrie, le co1nmissioni politiche e i segretariati permanenti, le ambizioni 1 Mentre scriviamo sono iniziati, a Roma, i colloqui tra l' on. Fanfani e i] 1ninistro inglese Heath. Stando alle prime notizie sembra che l' on. Fanfani (nonostante alcune resistenze del ministro Segni) si sia spinto molto avanti sul terreno delle possibilità di intesa per la zona di libero scambio, e pare che il rappresentante britannico, evidentemente mandato in avanscoperta da Mac Millan, si sia mostrato molto largo di vedute. In ogni caso, l' on. Fanfani mostra chiaramente di considerare necessario il superamento del punto morto nei rapporti tra Londra e l'Europa. Quest'azione di Fanfani è un'ottima cosa. Ma a condizione che, poi, i progressi realizzati in questi giorni ritornino nell'ambito del mercato comune e il negoziato si svolga tra i Sei e Londra: non, dunque, un'intesa separata ma un'azion e iniziahnente cc a latere » del Mercato comune, da trasferire poi al gruppo dei Sei. 12 BibliotecaGino Bianco

europee di politica mondiale e la confusione ne i rapporti franco-tedeschi. Ciò che si deve invece per il momento r icercare è questo : un chiarimento dell'intesa franco-tedesca, una miglio re organizzazione settoriale, un accordo del MEC con l'EFT A. E deve esser ben chiaro che, se in virtù della situazione contingente, ci si rassegna a tempi più lenti e a modi più complessi nella costruzione euro pea, il principio è e rimane quello della difesa dell'obiettivo finale de ll'integrazione politica europea. Tutte le rinunce provvisorie sono possi bili, a condizione che nessuna di esse comprometta l'obiettivo finale. 13 BibliotecaGino Bianco

La politica di sviluppo regionale in Gran Bretagna e in Italia· di Luigi Giusso Una prima idea sul · 'tono' dellcr politica inglese di distribuzione regionale dell'industria è fornita dalle parole pronunciate qualche tempo fa .alla Camera dei Comuni dal Presidente del Board of Trade. Egli, alludendo al potere del Governo di controllare la localizzazione dei nuovi impianti attraverso il rifiuto o la concessione dell'Industrial Development Certificate - corrispondente, grosso modo, all'autorizzazione per i nuovi impianti industriali un tempo contemplata dall'ordinamento, ita'liano -, così indicava i propositi del sµo dicastero: « Mi propongo di esaminare in futuro tutte le richieste, sia per nuovi impianti, che per ampliamenti, ancor più severamente che in passato e di estendere la politica attualmente applicata per la zona di Londra e per quella di Birmingham, ad altre parti del paese ove la disoccupazione sia bassa. Riconosco che ciò può significare impedire la· realizzazione di un progetto anche dove, purtuttavia, sarebbe possibile reperire della manodopera: ma vi sono altre zone dove l' esigenza di nuove attività industriali è molto maggiore, e sono proprio queste zone che dovrebbero ·giovarsi di questa decisione ». Sono forse sufficienti queste parole, di u11ministro conservatore, a indicare all' osservatore italiano il diverso atteggia·mento dell'Italia e dell'Inghilterra rispetto ad un tema -· la distribuzione territo1iale dei nuovi investimenti industriali - che pure dovrebbe avere per l'Italia, in relazione alla situazione del Sud, una rilevanza ben maggiore che per l'Inghilterra'. Italia e Inghilterra presentano situazioni di sottosviluppo locale e struttura generale, economica e civile, troppo diverse perchè sia corretto giudicare sullo stesso metro le rispettive politiche di sviluppo regionale. Resta però che in Italia, pur in presenza di disuguaglianze 14 Biblioteca Gino Bianco

regionali in complesso più accentuate, si avrebbe una preconcetta paura, e non solo da parte degli ambienti industriali o di governi conservatori, del rigore con il quale analoghi o meno fondamentali problemi sono affrontati da un governo non socialista in un paese, come è l'Inghilterra, tradizionalmente e tuttora largamente legato al principio della· libertà degli affari. Non sarebbe possibile, in una breve nota, fornire una sufficiente - rassegna critica delle condizioni, dei fini, dei mezzi, dei risultati e delle prospettive della politica inglese di localizzazione industriale. Nè ciò potrebbe farsi con i soli elementi offerti dalla pregevole ma ristretta pubblicazione della: SVIMEZ che ha recentemente proposto all'attenzione del pubblico italiano il complesso argomento 1 • Ci si limiterà quindi ad alcuni richiami e a: qualche osservazione. La politica di localizzazione industriale ebbe sistematicamente inizio in Inghilterra nel 1934 (Special Areas - Development and Improvement Act). Essa è stata finora applicata· principalmente a favore di alcune aree (Special Areas, poi dette Development Areas, e Unemployment Areas), dove, nel 1934, in un periodo di generale depressione, la disoccupazione risultava molto più alta che nel resto del paese. Alla· legge del '34 sono seguite più o meno larghe correzioni e integrazioni legislative nel '36 nel '37, nel '45, nel '47, nel '50, nel '52 e nel '58. Un nuovo disegno di legge - che innova radicalmente la legislazione precedente in quanto estende a tutto il territorio nazionale le· possibilità di intervento pubblico nel campo della localizzazione dei nt1ovi impianti - è stato presentato dal Governo nell'ottobre scorso (dopo che i conservatori erano stati riconfermati a'l Governo). In generale, con lo sviluppo della legislazione sulla distribuzione industriale, i suoi obiettivi si sono allargati e i suoi strumenti sono divenuti via via più efficienti e meglio adeguati ai nuovi fini. Tra i criteri che l'hanno ispirata vanno ricordati, oltre quello di lenire la disoccupazione e la sottoccupazione nelle zone più depresse, il desiderio di dotare territori anche sviluppati di un insieme industriale più vario, o più idoneo ad assorbire il lavoro femminile; o di modificare la situazione di zone prevalentemente agricole, o legate ad un'industria in declino. Un motivo specialissimo della politica inglese dì localizzazione 1 ALIX MEYNELL, La polit-ica inglese di localizzazione dell'industria (1934-1959), Roma, 1960. 15 Biblioteca Gino Bianco

era· ed è inoltre rappresentato dall'opportunità di allontanare dalla zona di Londra, e da qualche altra area egualmente congestionata, l'impianto di nuovi stabilimenti. Sulla politica di localizzazione hanno anche influito, come può immaginare chi sa quanto questi temi sono cari agli inglesi, criteri talora soltanto urbanistici e paesaggistici. Tra gli obiettivi, infine, non meno che fra gli strumenti della politica di localizzazione si annovera la creazione, finora, di diciotto '"città nuove' (new towns), progettate per un numero massimo di abitanti da venti a ottantamila, e di un certo numero di ' ampliamenti ' di città esistenti ( expanded towns). I principali strumenti della politica inglese di localizzazione industriale sono stati fra il 1934 e il 1959: 1) il già citato controllo ' diretto' offerto dall'istituto dell'Industrial Development Certificate; 2) la creazione di nuove città o l'ampliamento di città esistenti (anche questo mezzo è stato prima menzionato); 3) la crea_zione di 'nuclei industriali' (Trading Estates); 4) la costrt1zione, su richiest~ o 'in anticipo', di stabilimenti da affittare a industriali privati; 5) un certo numero di agevolazioni fiscali e ·creditizie; 6) la partecipazione pubblica a·l capitale di nuove imprese e la riduzione, in misura variabile da caso a caso, dei canoni di affitto dovuti dagli industriali su tali stabilimenti; 7) la concessione di contributi per la creazione di servizi pubblici; 8) l'opera di prop_aganda e di informazione svolta, fra l'altro, dagli ' Uffici per la pianificazione delle localizzazioni '. Esistono varie ragioni per ritenere che, specie nella situazione inglese del dopoguerra - caratterizzata fra l'altro da una quasi continua tendenza alla piena occupazione del lavoro nelle zone a più forte sviluppo - le Development Areas avrebbero conosciuto qua·lche non trascurabile progresso anche se fosse mancata una politica speciale in loro favore. Ciò non permette però di escludere che la politica speciale ha avuto una importanza preminente (anche se di difficile misura·zione) IJer il conseguimento dei risultati complessivi raggiunti nelle ' aree'. Di tali risultati se ne ricordano alcuni: a - Nel 1932 (prima dell'inizio della politica regionale) la percentua1e di disoccupazione era del 38 per cento nelle ' aree' ora chiamate 'di sviluppo' e del 19 per cento nel resto dell'Inghilterra; tali percentuali sono rispettivamente scese: al 18 e all'8 per cento nel 1937; al 13 e al 7 per cento nel 1939; al 4,2 e al 2 per cento ai principi del '59. 16 Biblioteca Gino Bianco

b - Nel triennio 1945-47 la percentuale delle 'aree' - che racco! .. · gono il 20 per cento della popolazione ' assicurata' - sul totale della superficie delle nuove costruzioni industriali autorizzate in Gran Bretagna (ad esclusione, quindi, dell'Irlanda del Nord) fu di oltre il 50 per cento. La stessa percentuale si è ridotta al 22,4 per cento nel triennio 1948-50, al 21,5 per cento nel triennio 1951-53 ed a·l 17,2 per cento nel triennio 1954-56. e - Un altro risultato è il caso di richiamare, perchè abbastanza significativo: la percentuale degli occupati nelle industrie di base rispetto al totale degli addetti industriali è stata nelle 'aree', nel periodo 1945-53, del 50,7 per cento; essa si è mantenuta così di una volta e mezzo superiore alla analoga percentua·le nazionale. Già prima dell'inizio della· politica di localizzazione la percentuale di occupati nelle industrie di base era nelle 'aree' molto elevata (ma tuttavia inferiore al 50 per cento del totale degli addetti industriali). Il suo ulteriore progresso negli anni della politica speciale denota - nella misur~ in cui può essere attribuito a tale politica - un indirizzo non certo conforme a quello, per così dire 'facilistico ', propugnato in Italia da coloro che, non si sa se volendo o disvolendo lo sviluppo del Sud, se lo prospettano soprattutto come sviluppo del turismo o dell'agricoltura o, nel settore industrjale, come maggiore industrializzazione dei prodotti agricoli. Possono considerarsi soddisfacenti i risultati richiapiati ai punti a e b? La risposta sembra non poter essere soltanto affermativa. La riduzione, infatti, in cifra assoluta della disoccupazione non si è accompagnata ad una diminuzione dei dislivelli relativi di occupa'zione fra le ' aree' ed il resto del paese; e, soprattutto, il declino verificatosi in cifra relativa e anche in cifra assoluta 2 nelle nuove costruzioni industriali a·utorizzate nelle ' aree' non costituisce certo un indice positivo sugli esiti della politica di localizzazione: tanto più se si considera che, fra il primo (1945-47) e l'ultimo (1954-56) dei trienni citati, la media annuale della superficie delle nuove costruzioni industriali autorizzate è pa·ssata, in tutto il Regno Unito (ad esclusione dell'Irlanda 2 La superficie delle costruzioni industriali autorizzate nelle ' aree ' è scesa, infatti, da 1,46 milioni di mq in media nel triennio 1945-47 a O,70 milioni nel triennio 1948-50, a 0,75 milioni nel triennio 1951-53 e a 1,25 milioni nel triennio 1954-56. Tra il primo e l'ultimo dei trienni considerati l'area delle costruzioni industriali autorizzate in tutta la Gran Bretagna (ad esclusione, quindi, dell'Irlanda del · Nord) è passata, in media annua, da 2,84 a 7,24 milioni di mq. 17 I Biblioteca Gino Bianco

del Nord), da 2,84 a 7,24 milioni di mq, con un incremento percentuale di ben il 150 per cento. Si è trattato dunque, per l'Inghilterra nel suo insieme, di un decennio di forte espans"ione industriale; e deve riconoscersi che solo in parte alquanto esigua, nonostante la politica di localizzazione, tale espansione si è rillessa in uno sviluppo delle Development Areas 3 • Che oltre un ventennio di politica regionale non abbia dato in Inghilterra, nonostante la larghezza degli strumenti giuridici e dei mezzi finanziari impiegati, risultati davvero definitivi 4 sta a provare, in primo luogo, l'entità delle difficoltà da superare, in ur1 sistema di economia di mercato sia pure altamente avanzato come quello inglese, per giungere ad una soddisfacente riduzione degli squilibri regionali. La relativa limitatezza di tali risultati dà inoltre ragione dei propositi del Governo inglese di allargare e intensificare ulteriormente nel prossimo futuro i propri interventi in temer di distribuzione regionale delle industrie . . Tali propositi si sono definitivamente concretati nel progetto di legge governativo - The Local Employment Bill - presentato al Parlamento nell'ottobre ·scorso e che avrebbe dovuto essere convertito in legge nel primo semestre dell'anno in corso. La principale innovazione alla legislazione precedente contenuta nel progetto consiste, come già si è ricordato, nell'applicabilità all'intero paese - allo scopo di garantire in ,ogni sua parte ' una appropriata distribuzione industriale' - di tutte le misure da esso conferma te o introdotte per la prima volta 5 , e 3 Una valutazione meno approssimativa degli effetti della politica di localizzazione richiederebbe la disponibilità di dati che mancano nel lavoro della Meynell, come: reddito pro-capite, rapporto capitale-reddito, dimensione media degli investimenti, investimenti medi per addetto, nonchè valore dei nuovi investimenti nelle ' aree~ e fuori. Soprattutto la mancata indicazione di questo ultimo dato, del tutto elementare, è una lamentevole lacuna della pubblicazione della SVIMEZ. 4 Può darsi che i dati sugli ultimi quattro anni denotino un miglioramento. Da osservare che il declino assoluto e relativo degli investimenti industriali nelle ' aree ' ha cominciato a verificarsi quando erano ancora al governo i laburisti, e non può quindi attribuirsi ad un mutamento di indirizzo introdotto nella politica regionale dai conservatori. Nell'ultima campagna elettorale conservatori e laburisti hanno assegnata una eguale importanza ai temi di localizzazione industriale. 5 Il principale incentivo previsto per 1a prima volta nel progetto del '59 è rappresentato dalla concessione di un contributo governativo pari all'85 per cento della eventuale differenza in più fra il costo di costruzione dello stabilimento e il suo valore commerciale al momento della vendita. 18 Biblioteca Gino Bianco

non di alcune misure soltanto, come stabiliva la legge del >58 (The Distribution of Industry Act). L'applicabilità a tutto il territorio delle misure di localizzazione comporta in pratica, con l'abolizione di specifiche ' Development Areas ', la sostituzione di una politica speciale di localizzazione industriale con una politica industriale generale fondata sul principio del controllo delle localizzazioni 6 • Di tale politica strumento fondamentale continuerà ad essere, come provano le parole del Presidente del Board of Trade ricordate all'inizio, il controllo diretto mediante il rifiuto o la concessione dell'Industrial Development Certificate. Molte delle misure adottate in Inghilterra per lo sviluppo delle aree arretrate trovano riscontro nella legislazione italiana per l'industria'lizzazione del Mezzogiorno e delle altre aree depresse; o in proposte avanzate nel nostro paese da organismi pubblici responsabili nel campo industriale (ci riferiamo in particolare, a quest'ultimo riguardo, alla proposta del Presidente dell'IRI di far i11tervenire l'Istituto con partecipazioni di minoranza alla costituzione del capitale sociale di nuove imprese operanti nel Mezzogiorno). Le principali differenze 'istituzionali' fra le due esperienze sembrano essere a tutt'oggi: I) l'assenza dalla legislazione italiana di un istituto del tipo dell'Industrial Development Certificate; 2) l'assenza del pari dalla nostra legislazione di norme sulla costruzione, in anticipo o non sulla richiesta di industriali privati, di nuovi stabilimenti da cedere in fitto a questi t1ltimi; 3) l'assenza dall'ordinamento inglese di una norma come quella che impone in Italia all'IRI e all'ENI di effettuaìe nel Mezzogiorno non meno del 40 per cento dei nuovi investimenti; 4) il maggior ' peso' attribuito 11ella legislazione italiana alle misure fiscali e creditizie e ai contributi gratuiti in capita·]e (previsti, questi ultimi, dalla legge italiana del '57 in forma più generale e in misura più cospicua di quel che sembra avvenire o essere avvenuto nel Regno Unito); 5) l'assenza dall'ordinamento inglese di misure speciali in materia di trasporti intem.: e di disposizioni doganali di favore per i beni di importazione connessi con l'industrializzazione dei territori di intervento. 6 Forse si può dubitare, tenuto conto della relativa limitatezza dei risultati finora raggiunti nelle ' aree ', della effettiva opportunità di sostituire fin da ora il criterio della concentrazione regionale degli interventi con il principio della loro diffusione su tutto il territorio del paese. 19 iblioteca Gino Bianco

Che l'ordinamento inglese manchi di parecchi ' istituti ' previsti dalla legislazione italiana trova forse fondam~nto, in alcuni casi, in diversità strutturali fra le due economie. Ad esempio, l'assenza di misure doganali speciali può forse spiegarsi con il fatto che l'Inghilterra dipende da◄ll' estero meno dell'Italia per la fornitura di beni essenziali allo sviluppo industriale. Anche l'assenza di disposizioni particolari sulla localizzazione delle gestioni industriali pubbliche l1a quasi certamente la sua base in una differenza di fondo dell'economia inglese: la minore importanza generale che vi ha, rispetto all'Italia, l'industria di Stato (tranne che nei settori nazionalizzati) 1 : Resta tuttavia l'impressiòne, confrontando le notizie sulla législazione inglese con le più aggiornate disposizioni sul Mezzogiorno (legge del luglio '57 sulla proroga de~la Cassa e sucessivi sviluppi legislativi e amm~nistrativi), che, sul piano istituzionale o giuridico, la politica italiana di sviluppo regionale è, per molti aspetti, persino più larga e ' aggressiva' di quella inglese. Tale impressione risulta limitata: 1) per l'assenza dall'ordinamento italiano di un istituto del tipo deIl'Industrial Developrn,ent Certificate; 2) per l'assenza dal nostro ordinamento di norme sulla costruzione diretta parte. del Governo - o di Enti pubblici - di stabilimenti industriali da cedere in fitto ai privati che ne fanno richiesta. A p-roposito del primo di tali limiti deve però dirsi che la sua influenza pratica sarebbe in gran parte elusa ove in Italia si desse all'istituto dell'autorizzazione per emissioni obbligazionarie e per aumenti del capitale sociale - per altri fini da lungo tempo in vigore - una utilizzazione direttamente connessa con gli scopi della politica regionale di sviluppo industriale. In tal modo la parte certamente cospicua dei nuovi. investimenti industriali che risale ad una decisione delle società per azioni e delle altre imprese che ricorrono al mercato .. 7 Non è da escludere che l'assenza di tali disposizioni possa anche essere spiegata con la minore propensione, talora propria degli irtlesi, per le enunciazioni formali (in quei casi in cui i risultati voluti possono essere reggiunti con la pratica ordinaria ~ senza ricorrere a più o rneno rigide innovazioni normative). Può darsi, ad esempio, che i dati statistici (di cui non disponiamo). mostrino che la distribuzione dell'industria di Stato è di fatto avvenuta in modo da favorire le aree ,di sviluppo. Dallo studio pubblicato dalla SVIMEZ si ha però l'impressione che la gestione diretta da parte dello Stato di nuove industrie ha avuto un'importanza limitata nella politica regionale inglese. 20 Biblioteca Gino Bianco

finanziario potrebbe essere incanalata nella direzione richiesta dalla · politica di sviluppo. Da questo accenno (cl1e non è qui il caso di sviluppare) può trarsi occasione per rilevare che, a prescindere dalle più o meno notevoli differenze ' istituzionali' fra le due politiche di sviluppo regionale o dal diverso 'peso' attribuito nelle due esperienze all'uno o all'altro degli strumenti di intervento 8 , la principale differenza fra Italia e Inghilterra in tema di sviluppo regionale non è tecnica', ma politica: in Inghilterra si è voluto in passato e forse più ancora si vuole oggi con notevole decisione il conseguimento di determinati obiettivi di politica regionale; in Italia, all'enunciazione di obiettivi più o meno analoghi non sembra aver corrisposto o corrispondere ancora (anche se le difficoltà obiettive sono certamente maggiori) una adeguata volontà politica di raggiungerli. Non si deve tralasciare di osservare, in relazione a taluni aspetti dell'esperienza inglese che non trovano riscontro finora in quella nostra, che sarebbe irragionevole contare sulla sicura opportunità di fare da noi sempre nello stesso modo come si è fatto con più o meno grande successo in Inghilterra. Ciò vale fra l'altro per la seconda principale differenza 'istituzionale' rilevata fra le due politiche: la costruzione da parte dello Stato - e soprattutto la costruzione in anticipo - di capannoni indush·iali standard da cedere in fitto ad operatori privati. L'efficacia di questo strumento di localizza•zione industriale - che sembra essere stata notevole in Inghilterra - presuppone l'esistenza di circostanze - quali la presenza di imprenditori ' potenziali' sufficientemente rapidi nelle proprie decisioni, una certa organizzazione del credito di esercizio e, soprattutto, la sicurezza del mercato - che quasi certamente mancano nella situazione meridionale. Meglio sarebbe forse da noi, in questo campo, dare attuazione alla più radicale proposta talor~ avanzata dall'attuale Ministro dell'Industria: non solo l'impianto, nel Mezzogiorno, ma la· gestione diretta da parte dello Stato - fino a quando non sorgesse la convenienza dei privati ali' assunzione in proprio delle imprese - di medie e piccole industrie manifatturiere, È certo questa una proposta che molto può spiacere a chi tien conto, a ragione, 8 Si è già ricordato, ad esempio, che non solo alcune misure finanziarie (come i contributi gratuiti in capitale), ma anche le agevolazioni fiscali sembrano avere avuto in Inghilterra un'importanza molto minore di quella che ad analoghi ' incentivi' continua ad attribuirsi in Italia. Si ha inoltre l'impressione che le misure di questo tipo siano destinate a perdere ancora di ' peso ' nell'esperienza inglese futura. 21 Biblioteca Gin-oBianco

del costo politico, oltre che economico, di una estensione in Italia del1' economia pubblica anche a settori diversi dall'in,dustria di base (in cui quasi soltanto si sono finora esplicati gli interventi imprenditoriali dello Stato). Ma è una proposta che tien conto, forse meglio di una eventuale ripetizione della più limitata esperienza inglese in questo campo, delle reali difficoltà dell'industrializza'zione del Sud. Tali difficoltà, come ognun sa, sono attinenti al fatto che nel Mezzogiorno esiste una situazione relativamente uniforme di, sottosviluppo; che il Mezzogiorno costituisce una sola grande area geograficamente ' periferica' rispetto alla, parte sviluppata del paese; che i suoi problemi sono direttamente quelli del 38 per cento (dato del 1959) della popolazione italiana; che le sue condizioni, all'inizio della politica di sviluppo come ora, sono precarie, non solo in relazione al resto d'Italia, ma in assoluto. Queste elementari caratteristiche della situazione meridionale sono a qt1esto punto richiamate innanzi tutto percl1è giova tener conto, nel confronto fra la esperienza italiana e quella di un paese economicamente· ' maturo', della maggiore gravita· e difficoltà - rispetto ai problemi pur sempre marginali del sottosviluppo inglese - dei nostri problemi regionali 9 • È necessario sottolineare anche solo approssimativamente la peculiarità e la maggiore imponenza del sottosviluppo meridionale per il duplice fine di mitigare una certa valutazione negativa che della politica regionale finora seguita in Italia potrebbe scaturire da un confronto troppo astratto con l'esperienza inglese; e, nello stesso tempo, di giustificare l'opportunità, prima incidentalmente esemplificata in rapporto alle gestioni dirette dello Stato, di discutere talora la soluzione dei problemi industriali del Mezzogiorno in termini ancora più radicali di quelli suggeriti dall'esempio inglese (se veramente si vuole lo sviluppo del Sud). Il richiamo ad alcune peculiarità della situazione meridionale ri9 A tutte le più elementari caratteristiche del sottosviluppo meridionale si contrappongono infatti le caratteristiche del tutto diverse se non opposte del sottosviluppo inglese: 1) le ' Development Areas ' sono contraddistinte da una forte caratterizzazione locale delle situazioni; 2) esse risultano disperse per tutto il territorio del paese, e non danno quindi luogo ai problemi, propri del Mezzogiorno, di formazione quasi ex novo di nn unico grande mercato e di forti distanze fra le aree da sviluppare e le aree sviluppate; 3) esse comprendono una percentuale della popolazione inglese molto inferiore della percentuale rappresentata dalla popolazione meridionale sul totale italiano; 4) le condizioni relative, e sopratutto quelle assolute, delle ' Development Areas ' erano e sono di solito più soddisfacenti delle condizioni del Mezzogiono. 22 Biblioteca Gino Bianco

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