Nord e Sud - anno VII - n. 3 - aprile 1960

... Rivista mensile diretta da Francesco Compggna V1rroruo DE CAPRARIIS, Costituzione e democrazia CESARE MANNUCCI, L'uomo comune G1ov ANNI FERRARA, Note sulla crisi dei « liberali » CARLO ANTONI, Due postille inedite EMILIO LuoNGO e A.Nromo OLIVA, La banlieue napoletana e scritti =di CARLO BARBIERI, SALVATORE CAMBOSU, RENATO CAPPA, FRANCESCO COMPAGNA, GIUSEPPE GALASSO, FRANCESCO GUIZZI, GENNARO MAGLIULO, CLAUDIO RisÈ, STEFANO RonoTÀ, ALFONSO STILE, GIOVANNI TERRANOVA ANNO V I I • NUOVA SERI E • APRILE 19 6 O • N. S (6 4) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE • NAPOLI Bibli teca Gino Bianco

\ Biblioteca Gino Bianco

. ,.. ' NORD E ·SUD,:-_ Rivista mensile diretta da Francesco Compagna • • r . . . Biblioteca Gino Bianco

Vittorio de Caprariis Cesare Mannucci Giovanni Ferrara N.d.R. Giovanni Terranova Gennaro Magliulo Alfonso Stile Stefano· Rodotà Francesco Compagna Carlo Antoni ~milio Luongo e Antonio Oliva Luciano Della Mea Enzo Di Cocco Una copia L. 300 • Estero L. S60 Abbonamenti Sostenitore L. 20.000 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1. 700 Estero annuale L. 4.000 · semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 intestato a Ed. Scientifiche Italiane S.p.A. Via Roma, 406 Napoli Biblioteca Gino Bianco SOMMARIO Editoriale [3] Costituzione e democrazia [7] L'uomo comune [18] DISCUSSIONI Note sulla crisi dei « liberali » [ 41] GIORNALE A Più VOCI cc l..,ibertà » della scuola [ 49] Un centro di azione agraria [52] Cronache napoletane : teatro [56] Scuole di Napoli: il Liceo Umberto I [60] Cronache delle istituzioni [66] Meridionalismo e « fordismo » di Adriano Olivetti [70] DOCU.MENTI Due postille inedite [ 75] INCHIESTE La· <e banlieue » napoletana [77] LETTERE AL DIRETTORE Turis1no di massa e Mezzogiorno [107] Le acque del Biferno [110] CRONACA LIB.RARIA [112] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telef. 392.918 Abbonamenti, distribuzione e pubblicità : . EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. - Via Roma, n. 406 - Napoli - telef. 312.540 - 313.568

Editoriale Quando questo numero di « Nord e Sud » sarà messo in distribuzione il governo dell' on. Tambroni si sarà presentato alle C(!,mere per la fiducia. Per il momento non possiamo sapere se la crisi in corso - ohe non può dirsi conchiusa dalla formazione del monocolore « amministrativo» - approderà alle soluzioni che questa nostra rivista tenacemente va propugnando da anni: con la denunzia del sovversivismo irre$ponsabile degli ambienti nazionalfascisti, clericali, liberisti, il cui comune obiettivo politico consiste in uoo definitiva « apertura a destra »; con la confutazione delle tesi grettamente moderate per cui gli ambienti benpensanti perseguono tuttora un ormai impossibile « ritorno al quadripartito degasperiano »; con la condanna del verboso velleitarismo con cui gli am.bienti massimalisti di sinistra si ostinano a proporre astratte « alternative ». Non sappiamo, cio?, se la crisi si concluderà con r « apertura a sinistra » o se essa segnerà invece l'inizio di una ulteriore e più grave involuzione politica e civile. Potremmo anche avere una soluzione interlocutoria, un ri-!7'viodell' cc apertura a sinistra » o, meglio, un'altra tappa di avvicinamento verso la effettiva « convergenza » fra democristiani e socialisti. Così come potremmo avere una crisi assai grave delle istituzioni repubblicane, in conseguenza della paralisi che minaccia sia la DC ( vedi clericali e attività dei franchi tiratori, per non parlare di Scelba) sia il PSI (salti della quaglia comunisti e attività dei carristi, per non parlare di De Martino). In tutti i casi, però, è su costoro, sui democristiani e sui socialisti, che ricadranno precise responsabilità anche in ordine alla situazione meridionale; ed è ad essi, ai democristiani ed ai socialisti, che va fatto un discorso sul Mezzogiorno, quanto mai impegnativo. Quali che siano insomma le soluzioni della crisi romana, non si deve àimenticare che essa è stata preceduta da una crisi palermitana, la cui soluzione ha riproposto in f qrma drammatica il problema della democrazia nel Mezzogiorno. 3 .. Biblioteca Gino Bianco

• Durante la crisi palermitana, una riunione della giunta esecutiva regionale e del direttivo del gruppo parlamentare della D .C. si è conclusa con t approvazione di un ordine del giorno che affermava l'esigenza ur-_ gente di un «ritorno alla normalità democratica». E si è detto più volte, nel corso di quella crisi, dai vari D,Angelo e Carollo, che il porro unum per la D.C. non poteva essere che il ritorno al potere prima delle elezioni, il rovesciamento di Milazzo, r espulsione dei comunisti dai centri di potere in cuii si sono insediati. Ora, si può anche concedere che nella situazione data un partito con vocazione di governo non poteva non perseguire questi obiettivi; e si può anche riconoscere che essi costituivano un porro unum e che l'esigenza di verificaré in quali ceritri di potere si fossero effettivamente insediati i comunisti doveva essere sentita, in comune con la D.C., da 'tutti i democratici; ma non si può certo asserire che basti il rovesciamento di Milazzo e il ritorno dei democristiani al potere per instaurare la « normalità democratica ». Sembra infatti assai difficile stabilire in che cosa consista per la Sicilia, e per gran parte del Mezzogiorno, la « normalità democratica ». Certo assai· lontana dalla « normalità democratica » deve ritenersi ogni situazione di tipo milazzistico. È stato giustamente rilevato da Pa- _ squale Bandiera su « La Voce repubblicana » che la « rivolta milazziana » altro non era che « la rivolta baronale contro il potere centrale »; e che « ci voleva tutta la cecità comunista per non afferrare immediatamente il significato delr operazione Milazzo o almeno il significato che le forze di destra davano a quelr operazione e per scambiare una · scis.- sione a destra nella Democrazia cristiana come una rivendicazione dei valori autonomistici e una affermazione democratica ». Ricordiamo pure che nei giorni dell'operazione Milazzo un nostro amico, che si professa scelbiano convinto e antif anfaniano zelante, ci ·parlava con molta indulgenza della rivolta m"ilazziana; una indulgenza che ci sembrava in contrasto· e al,quanto sospetta se messa a confronto con la « sensibilità anticomunista » di cui il nostro amico era sempre andato assai fiero e che infatti è poi nei suoi atteggiamenti tornata a farsi valere, contro Milazzo e la sua giunta, non appena l'on. Fanfani e il suo governo ebbero dato le dimissioni. Quanto alle bandiere dell'autonomia, instancabilmente agitate dai milazziani, c, è a questo proposito una considerazione molto acuta d, François Bondy (che, dopo un suo viaggio in Sicilia, ha scritto in gennaio, su « Preuves », un articolo molto intelligente: Sicile nouveau Texas) da cui si deduce agevolmente che non sempre le bandiere della autonomia sventolano insieme a quelle della democrazia: vi sono molti Biblioteca Gino Bianco

punti di contatto fra l' autonomis1no in Sicilia e il nazionalismo nel Medio Oriente, la coalizione milazziana fra autonomisti e comunisti ricorda appunto certe alleanze fra nazionalisti e comunisti nel Medio Oriente (si veda il libro di Laqueur - Nazionalismo e Comunismo nel Medio Oriente -pubblicato da «Opere nuove»), la realtà politica siciliana non è traducibile in termini italiani ed europei se non si, ricorre a considerazioni di questo tipo, se non si paragona, cioè, l'autonomismo alla.Milazzo con il nazionalismo alla Mossadeq e se non si considerano le alleanze fra estrema destra ed estrema sinistra, del tipo di quella che ha fatto capo a Milazzo, come un fenomeno del tutto estraneo e contrario alla « normalità democratica »• Ma se il « ritorno alla normalità democratica », in Sicilia e nel Mezzogiorno continentale, non, può coincidere con operazioni di tipo milazziano, ci vuole fimpudenza di un D'Angelo per asserire che esso coincide con un altro «·ritorno »: quello delle giunte regionali aperte a destra, condizionate dai voti dei monarchici e dei missini. Tanto più che la giunta aperta a destra che è stata recentemente eletta dai deputati della sala d'Ercole risulta, dal punto di vista della democrçizia, anche meno « normale » delle giunte, più o meno anch'esse aperte a destra, che furono presieduta dai Restivo e dai La Loggiq,: I) perchè monarchici e rnissini, reduci dal fiancheggiamento delr operazione Milazzo, hanno aggiunto un altro titolo di infantilismo politico e di malformazione civile ai molti di cui già si fregiavano; 2) perchè, nel corso dell'operazione D'Angelo (chiamiamo così la macchinosa attuazione del rovesciamento di Milazzo e dell'insediamento della nuova giunta aperta a destra) si è negoziata l'assegnazione di due assessorati al MSI e con altri assessorati si sono comprati alcuni milazziani; 3) perchè a presiedere le giunte di Restivo e di La Loggia erano uomini di formazione democratica, esponenti di tradizioni e di correnti democristiane, mentre oggi, a presiedere la giunta, si è chiamato un· tipico esponente del peggiore camal,eontismo politico, monarchico prinia, milazziano poi, ora democristiano di complemento. Per la Sicilia, e per la gran parte del Mezzogiorno, non si può parlare dunque di « ritorno alla normalità democratica »; e meno che mai se ne può parlare oggi. La « normalità democratica» è tutta da f andare; e per fondarla - diciamolo esplicitamente una buona volta - ci si deve impegnare risolutamente sul piano della politica di sottogoverno non meno che nel piano dellaJpolitica di governo. Oltretutto si tratta di evitare che gli effetti negativi della prima intervengano a neutralizzare gli 5 , BibliotecaGino Bianco

. \ effetti positivi della seconda, che il bene di Pastore possa essere annullato dal male dei Berry e dei Santalco, di coloro che, numerosi nel nostro Mezzogiorno, dichiarano euforicamente di essere turbati, con u il tormento della coscienza », a causa di Nenni, e poi si lasciano abbracciare da Almirante. Nessuna politica diretta a promuovere un effetti,vo rinnovamento della vita civile nel Mezzogiorno, può avere corso se non contro i partiti di destra. E in questo senso il PDI non si distingue affatto dal MSI: è vero o non è vero che qualificati esponenti del PDI sono stati protagonisti sia dei recenti casi di malgoverno a Napoli che della vergognosa attività dei cc deputati - squillo » in Sicilia? Non ci si illuda dunque di fondare una « normalità demo pratica » con Lauro e con i suoi consorti, con i baroni della Nicchiara e con ·i duchini di Roccaromana. Esperienze come quelle del comune di Napoli e della regione siciliana dimostrano ampiamente - e tanti altri esempi si potrebbero fare - che il problema della « normalità democratica» nel Mezzogiorno richiede che ci si impegni anzitutto nel senso che dicevamo, di liquidare progressivamente e nel più breve tempo possibile tutti i rapporti che si sono intrecciati fra D.C. meridionale e partiti di estrema destra, i quali, nel Mezzogiorno e non soltanto nel Mezzogiorno, rappresentano i focolai di perniciose infezioni politiche. È in questo senso, appunto, che parlavamo di responsabilità precise di democristiani e di socialisti. Perchè sono essi, gli uni e gli altri, a dover contribuire in modo decisivo alla soluzione dei problemi che repubblicani e radicali (su « La Voce repubblicana », su « Il Mondo », su « Democrazia moderna » e su « Nord e Sud ») hanno posto con estrema chiarezza: a) con quali forze si possa e si debba far sì che il Mezzogiorno, dove è in corso una politica di sviluppo, abbia un destino da Texas e non da J rak (è François Bondy che, relativamente alla Sicilia, ha posto il dilemma: Texas ou Irak?); b) con quali forze si possa e si debba far sì che la questione merid·ionale non venga aggravata sul piano politico - con soluzioni del tipo di quella escogitata dall'operazione D'Angelo - nel momento in cui si cerca di avviarne la soluzione sul piano economico e sociale; e) con quali forze si possa e si debba fondare una « normalità democratica» in tutto il paese. 6 Biblioteca Gino Bianco "

• Costituzione e democrazia di Vittorio de Caprariis Il breve discorso con cui il senatore •Merzagora ha voluto commentare, il 25 febbraio scorso, l'annuncio delle dimissioni del governo dat.e dall' on. Segni al Senato della Repubblica è stato un episodio di eccezionale gravità, per la carica ricoperta dalla persona che lo pronunciava, per il momento in cui è stato pronunciato, e soprattutto per il suo contenuto. Non sappiamo se siano vere o false le voci che sono circolate, all'indomani di quel discorso, sulle ragioni che avevano indotto il sen. Merzagora a parlare, ed a parlàre così come aveva parlato; e non c'interessa saperlo. I fatti, ci sembra, sono già abbastanza gravi in sè, e non c'è veramente bjsogno di ricercare le. più o meno riposte intenzioni che sarebbero state alla loro genesi, per giudicarli. E i fatti sono che il Presidente del Senato ha potuto, dal suo seggio di presidente, fare delle affermazioni che volevano essere u_nadenuncia di certi fenomeni che egli riteneva degenerativi della vita democratica del nostro paese, ma che, agli orecchi di molti, ·sono suonate come un attacco ·al regime; ed ha potuto farle in un momento assai delicato, aprendo, o rischiando di aprire, come è stato detto, una « crisi nella crisi », aggiungendo, o rischiando di aggiungere, alla crisi politica delle difficoltà costituzionali. Non è certo a caso che le parole del sen. Merzagora siano state assunte come una bandiera da piantare nel campo avverso così dai neofascisti come dai comunisti, da coloro, cioè, che sono stati e restano i più conseguenti avversari del regime democratico in Italia; e che siano state fatte proprie da quella parte della stampa cosiddetta indipendente, che patrocina più o meno apertamente una soluzione della crisi (ancora in atto nel momento in cui scriviamo) in chiave di fronte nazionale clerical-conservatore, che immobilizzi la si7 ·Bi lioteca Gino Bianco

• tuazione italiana; una soluzione, è appena necessario aggiungerlo, che spianerebbe, di nuovo, la strada ad un fronte popolare e a possibili . maggioranze assolute socialcomuniste. Ma, si dirà, il sen. Merzagora non può essere responsabile dell'uso che vien fatto delle sue parole : ora, ciò è vero solo fino ad un certo limite, sia perchè si possono interpretare in un certo modo soltanto parole che siano in qualche modo suscettibili di una certa interpretazione, sia perchè qua?do ~i ricopre la carìca di Pr~sidente del Senato occorre essere sette volte più prudenti di quel che si~ necessario quando si è semplicemente. rappresentanti del popolo, e di più si hanno numerosi altri modi di interro,mpere · i ~< penos·i riserbi » e di manifestare, ai maggiori responsabili della politica italiana, le perplessità e i timori che certe situazioni fanno insorgere nell'animo e nella mente. D~altra parte, se il sen. Merzagora riteneva essere suo assoluto dovere il dire pubblicamente tutto ciò che ha detto, avrebbe dovuto farlo dal suo bànco di senatore, o almeno rassegnare le dimissioni subito dopo il suo discorso : la sua presa di posizione era, in effetti, così diretta e polemica da esigere una risposta; ma il suo rango di Presidente del Senato impediva che questa risposta fosse data altrimenti che in forma assai involuta e circospetta; infatti, coloro che erano stati attaccati, e pesantemente attaccati, non avrebbero potuto reagire con altrettanta violenza senza togliere qualcosa al prestigio del secondo personaggio dello Stato. Che il sen. Merzagora non si sia avveduto di ciò stup~sce; e si è attoniti addirittura che le dimissioni siano sopravvenute a qualche giorno di distanza dal clamoroso intervento, per il fatto che l' on. Moro, non si sa bene se nella sua qualità di Segretario della D.C. o in quella di -direttore de Il Popolo, ha avuto occasione di manifestare il suo dissenso dal contenuto del discorso del 25 febbraio. A parte l'incoerenza che, come è stato da più parti osservato, si manifesterebbe qui tra le parole e i gesti, si viene a creare il singolare precedente che un Presidente del Senato - il quale, come è noto, non vota! - può fare un discorso come quello pronunciato dal sen. Merzagora senza dimettersi, ma che debba dimettersi, tuttavia, allorchè il quotidiano del pattito di maggioranza pubblica il testo di tale discorso non già in prima pagina e su otto colonne, ma su una colonna sola e in seconda pagina! Se è su questi precedenti che devono fondarsi le tradizioni . parlamentari in Italia, c'è veramente molto poco da stare allegri, c'è veramente ·di che preoccuparsi per gli istituti della democrazia nel nostro paese. 8 .Biblioteca Gino Bianco

Pure, ciò che a noi vuol sembrare più grave e preoccupante di tutto è il contenuto del discorso del sen. Merzagora. E ci si intenda bene: non vogliamo affatto parlare di un suo contenuto politico più o meno implicito, e di una più o meno esplicita tendenziosità, ma della visione che esso esprimeva della vita istituzionale italiana. Che il Presidente della Camera Alta abbia una concezione così sommaria e su- -perficiale, così povera e miope, delle istituzioni di una democrazia moderna, ecco una cosa veramente sorprendente. Ed è almeno strano che tutti o quasi tutti i senatori si siano lasciati trascinare, sia pure per un momento soltanto, ad applaudire una siffatta concezione, senza troppo riflettere sul suo significato e sulla sua portata. Cosa ha detto, in sostanza, il sen. Merzagora? Egli ha denunciato la progressiva degenerazione degli istituti della democrazia per colpa dei partiti politici., ed ha indicato la più vistosa mànifestazione di ciò nel fatto che le più recenti crisi di governo sarebbero state crisi extra-parlamentari, non causate, cioè, da un voto di sfiducia dato dal Parlamento, ma tenebròsamente elaborate tra le segreterie dei partiti medesimi. In conseguenza di ciò il Parlamento sarebbe degradato ed avvilito e le istituzioni democratiche verserebbero nel più grave dei pericoli. Dio volesse che le cose fossero veramente così semplici! Crede veramente il sen. Merzagora, credono veramente tutti coloro che hanno plaudito alle sue parole, che se, ad esempio, il governo Segni, e prima di esso il governo Fanfani, e prima ancora il governo Scelba, fossero caduti per un voto di sfiducia del Parlamento, le istituzioni democratiche, per questo soltanto, sarebbero più sicure e più salde? O credono veramente che se esso avesse dato, negli ultimi anni, alcuni voti di sfiducia, il Parlamento avrebbe più prestigio di quanto ne abbia ora, più maestà ~ più forza, maggiore solidità e maggiore efficienza? In Francia, ad esempio, tutte o quasi le crisi di governo hanno avuto origine da voti di sfiducia: ma ciò non ha impedito alle istituzioni democratiche di ·subire i rovesci che tutti sanno; e vi sono, anzi, molti che sostengono, con qualche colore di verità, che proprio il potere dei parlamenti di disfare troppo semplicemente i governi abbia avuto qualche responsabilità per. quei rovesci. A noi sembra, insomma, che credere queste cose è come andare a caccia dell'elefante con una pistola scacciacani: non si colpirà mai H bersaglio per la semplice ragione che quella che si ha in mano non è una vera arma. - · Le ob.iezioni ·mossè dall' on. Segni, e ~ quel "che sembra anche dall' on. Moro, sulla na.tura. della crisi sono i~rilevanti- p·erchè non cen- • Bibliote.ca Gino Bianco

trano la questione vera, la sola che valga la pena di discutere: il sen. Merzagora potrebbe avere ragione sul carattere extraparlamentare della crisi stessa, ma ciò non toglie che abbia torto sulla sostanza_ delle cose. Perchè egli e coloro che la pensano come lui giudicano le strutture politiche di un regime democratico del nostro secolo con la mentalità di uomini della prima metà dell'Ott_ocento, di uomini ai quali non si ponevano neppure i problemi dei partiti politici, degli apparati, della stampa a grande tiratura, della radio, del cinema e della televisione, della propaganda di massa insomma e dei cosiddetti « persuasori occulti », i problemi che caratterizzano la società e dunque anche . la società politica del secolo ventesimo. « L'assetto sociale dei popoli, di cui le istituzioni politiche non sono che l'espressione ... », doveva dire una volta non già Marx ma Tocqueville, per indicare quel che si deve studi~re se si vuole avere una ide~ precisa di cosa sono, di cosa' devono essere le istituzioni politiche di un paese: dell'assetto sociale di oggi, di quell'assetto sociale di cui le nostre istituzioni devono essere espressione, se vogliono, non diremo durare, ma anche soltanto funzionare, i] sen. Merzagor·a e coloro che lo hanno applaudito dentro e fuori Palazzo :Madama hanno una visione ottocentesca. Altrimenti non si spiegherebbe che con aria atterrita e religiosamente ispirata essi scuotano il capo e dicano : i partiti, ecco il male; oppure: i deputati non sono più liberi di votare secondo coscienza: ecco il male. Disraeli, che ·di sistemi liberali si i~tendeva molto più che di cc barbe finte », disse una volta che tra la propria coscienza e il proprio partito un galantuomo sceglie sempre il proprio partito: e il suo paradosso era più altamente etico di tutti i patemi d'animo di coloro che gemono sulle coscienze violate dai partiti. Perchè l'adesione ad un partito è una scelta primaria della coscienza, e la coscienza è una cosa troppo seria perchè possa essere messa in crisi dal bilancio delle Poste. Benedetto Croce ci ha abituati a diffidare di coloro che hanno troppo frequenti crisi morali: egli osservava acutamente, infatti, che un'eccessiva frequenza di crisi morali non era segno di un'etica austera, ma, nella migliore delle ipotesi, di nervi troppo fragili. Comunque ciò sia, il dato di fatto è che chi polemizza oggi, nella chiave che il sen. Merzagora ha fatta sua, contro i partiti politici non si è mai chiesto perchè i partiti esistano e perchè esistano gli apparati e tutte le altre cose su cui essi sono pronti a lanciare il loro facile anatema. Chiedersi ciò è porsi il problema dell'assetto socitde dei popoli, ripeteremo con Tocqueville, ed è dunque porsi veramente il pro- , • 10 • Biblioteca Gino Bianco

, • blema delle strutture politiche, delle istituzioni di una democrazia moderna. Se il sen. Merzagora avesse veramente affrontate tali questioni si sarebbe avveduto che le sue erano povere generalità, si sarebbe avveduto che la minaccia alle nostre istituzioni non viene dalle crisi extraparlamentari, sì, invece, dal fatto che, per molti rispetti, noi siamo in ritardo di una costituzione, in ritardo di una riforma istituzionale. La nostra costituzione, che sarebbe stata ottima quarant'anni fa, ha delle lacune che la rendono inadatta ai nostri tempi: v'è un divario tra l'evoluzione delle forze sociali e politiche e l'evoluzione dei meccanismi che, per così dire, istituzionalizzano queste forze medesime. È da questo divario che nasce la crisi istituzionale di cui stiamo facendo esperienza. Abbiamo troppe volte sviluppato sulle pagine di cc Nord e Sud » il tema delle istituzioni di una democrazia -moderna, perchè si debba ripetere ancora una volta il nostro pensiero: quel che è certo, però, è che non si esce da una crisi siffatta con le proclamazioni contro i partiti e gli ammonimenti a restaurare il prestigio del Parlamento: queste proclamazioni e questi ammonimenti sono un modo di ingannare se stessi o, peggio ancora, di ingannare gli altri. ~È necessaria una vasta riforma istituzionale, che ridimensioni tutte le strutture della vita politica italiana conformemente alla evoluzione delle cose: non vedere ciò equivale, nella -migliore delle ipotesi, a parlare di farfalle invece che di politica. Nè vale obiettare che il sen. Merzagora ha bensì accennato a questi temi allorchè è parso chiedere la pubblicità dei finanziamenti dei partiti: e qui si rende necessaria una chiarificazione pregiudiziale, occasionata da un intervento del periodico « Collegamento », organo ufficiale- dei Comitati Civici, nella polemica suscitata dal discorso del 25 febbraio. u Sono stati invocati - ha scritto « Collegamento » - provvedimenti per tutelare l'autonomia dello Stato e la correttezza della vita pubblica. Sono state chieste precise disposizioni legislative atte a ren- , dere pubblica ed obbligatoria la corretta attività amministrativa di tutte ]e formazioni politiche, oggi condannate a vivere contravvenendo alle regole non solo fiscali di una democrazia che voglia considerarsi incensurata. Il Bundestag di Bonn sta ora discutendo un disegno di legge sul finanziamento dei partiti : esiste al riguardo un disegno di legge del sen. Sturzo oltre ad una serie di precedenti legislativi. Una iniziativa del nostro Parlamento in questo senso indicherebbe certamente che si vuol battere la buona strada della riforma del costume: il Paese attende ». 11 Biblioteca Gino Bianco

• Esatto : ma il paese attende anche che questa légge non riguardi" soltanto il finanziamento dei partiti politici, m~ anche quello dei gruppi . di pressione, e dunque anche dei Comitati Civici. Perchè sarebbe una . suprema ipocrisia quella di stabilire che le mura delle case dei partiti debbano essere di cristallo e che invece altri strumenti di formazione dell'opinione politica o di pressione sull'opinione politica, dai giornali ai · zohbys industriali, ad associazioni come i Comitati Civici, possano avere fonti di finanziamento oscure o clandestine. Se ci si rifiuta a queste elementari considerazioni, vuol dire che non si vuole già la riforma del cc èostume », ma che si vogliono attaccare i partiti, e soltanto i partiti, i quali sono i normali organi di una democrazia moderna. E si badi che abbiamo adoperato il termine cc ipocrisia» solo per adeguarci al linguaggio moralistico dell'organo ufficiale dei Comitati Civici: poichè, dal nostro punto di vista, una legislazione che riguardasse solo il finanziamento dei partiti -politici e non anche quello dei gruppi di pressione sarebbe una legislazione non tanto ipocrita quanto inutile. Resterebbe tagliata fuori da essa, infatti, tutta una serie di fonti di potere che vanno attentamente regolate, ·e che tenderebbero a diventare tanto più determinanti quanto più prive di regolamentazione legislativa. Ma tutto ciò non ci porta ancora al cuore della questione: chiunque abbia meditato spassionatamente su questi temi sa benissimo che una legislazione sul finanziamento dei partiti e dei gruppi di pressione è a sua volta una riforma parziale, anzi parzialissima, che non risolve affatto i problemi dell'.equilibrio istituzionale italiano. Come non si deve credere che una prassi di crisi tutte parlamentari sarebbe sufficiente a restaurare il prestigio e il potere delle assemblee legislative, così non sì deve credere che una legislazione sulle fonti di finanziamento d~i partiti sarebbe sufficiente a ridimensionare i pa1titi stessi, e quindi, indirettamente, a restituire alle assemblee legislative medesime il peso che esse avevano nei regimi parlamentari di tipo ottocentesco. E ciò appare subito chiaro a chiunque riflette sul fatto che i partiti sono la forma moderna dell'organizzazione politica degli individui, sono i figli dell'intervento delle masse nella lotta politica e del suffragio universale. Il che vuol dire che le esigenze che li hanno prodotti in quella forma che attualmente essi hanno (e che fa fremere di orrore i vuoti laùdatores temporis acti) sono non solo in molta parte benefiche, ma anche 4i_ta~e.·~ntità ~ che {!Onpuò bastare 1:1n~}.egg~ ~_ulloro fina_~z.iamento a regolarli e ad impedire le degenerazioni che inevitabilmente 12 Biblioteca Gino Bianco

. ' -. si -accompagnano ad ogni cosa umana. t necessario, inso~ma, .~a ~egolamentazione totale, che riconosca nei partiti stessi una istituzione indispensabile della lotta politica democratica e che pertanto li sottoponga ad uno statuto pubblico; è necessaria una riforma-vasta ed organica di tutte le articolazioni della vita pubblica, nella quale si mettano a giusto frutto tutte le esperienze straniere. E non ci si obietti che è problema di costume e che in Inghilterra, dove non ·esistono tante leggi, le cose vanno bene: poichè coloro che dicono queste cose sarebbero, (e sono, del resto, già stati) i primi a ribellarsi innanzi ad una di quelle norme elementari del costume politico britannico che hanno ormai va- - lore di norme costituzionali: che, cioè, il capo del partito è anche il capo del governo e viceversa,. sia che si tratti del Gabinetto vero e proprio, sia che si tratti del « Gabinetto ombra » I Non ·abbiamo dimenticato gli attacchi all'on. Fanfani, che aveva concentrato nella sua persona l'una e l'altra carica, non abbiamo dimenticati gli ipocriti scandali innanzi ad un fatto che nella patria dei governi parlamentari è considerato nonnale; e neppure a?biamo dimenticato che il nostro è il paese in cui, ad ogni volger di luna, si chiede addirittura che la carica di membro della direzione di un partito ·sia incompatibile con quella di deputato. - E poichè un uomo autorevolissimo, l'ex-presidente Luigi Einaudi, ha voluto polemizzare anch'egli, copertamente, contro la cosiddetta partitocrazia, richiamando l'esempio inglese e americano, non sembri extravagante una rapida precisazione su questo punto. Anche in Inghilterra, per chi sia informato delle cose di oggi e non di quelle di un secolo o di due secoli fa (quando i deputati si potevano acquistare e si acquistavano a tante ghinee il voto, e quando la deput.azione poteva costare anch'essa tante ghinee ad elettore : chi conosce la storia inglese del Settecento o le procedure elettorali che ancora vigevano intorno al 1830 sa benissimo che questa è la semplice verità) anche in Inghilterra, dunque, il peso dei partiti è determinante. Se si hanno in mente le violente opposizioni ad Eden della sinistra del partito conservatore o le pressioni dei cosiddetti « imperialisti» dello stesso partito, e si constata, poi, come tutti i parlamentari conservatori abbiano sempre compattamente votato per il governo Eden, ci si ricorda della frase di Dis·raeli, si pensa, cioè, che tra la coscienza e il partito quegli uomini hanno scelto quest'ultimo, ci si rende conto che la disciplina di gruppo è in Inghilterra ancora più ferrea che da noi. Nè. ci si venga a raccontare che si tratta di una libera scelta: i deputati inglesi sono uomini come 13 BibliotecaGino Bianco '

• gli altti, i quali sanno che l'abbandono del partito significa la rinuncia al mandato parlamentare. Ed a coloro i quali declamano così volentieri contro gli apparati, opponendo la democrazia formale italiana a quella. sostanziale britannica, vorremmo ricordare che anche lì gli· apparati contano, e contano molto; e che l'assegnazione ad un candidato di un collegio marginale, cioè incerto, è per lo più un modo elegante con cui il partito si disfà di coloro sulla cui fedeltà sa di non poter contare. E finalmente vorremmo ricordare ai nostalgici dei voti di sfiducia che più volte si sono avuti rimpasti più o meno ampi e mutamenti di primi ministri senza voti di sfiducia alla Camera dei Comuni: la differenza,. si potrebbe dire paradossalmente, sta tutta nel fatto che noi chiamiamo crisi ciò che gli inglesi chiamano pudicamente reshuffle. Del resto, entro quali limiti si possa parlare per l'Inghilterra di governo parlamentare aveva gi~ indicato Walter Badgehot nel suo The English Constitution, la cui prima parte apparve nel 1865. Certo non ci nascondiamo le differenze che vi sono tra il sistema inglese ed il nostro, e noi stessi abbiamo avvert~to che il parallelo tra la crisi e reshuffle è un paradosso_: ma ciò che conta è che anche in Inghilterra, piaccia o no, vige · un regime di partiti, una partitocrazia . L'esempio americano, su cui Luigi Einaudi ha maggiormente insistito, può parere a prima vista più probante: pure, noi non gli opporremo il guicciardiniano : « quanto si ingannano coloro che a ogni parola allegano e' Romani ! ». A noi sembra in verità che anche l' esperienza americana, se valutata attentamente, porta alle stesse conclusioni. Si deve innanzitutto tener conto del fatto che la vastità enorme della Federazione statunitense è di per se stessa un rallentatgre della centralizzazione dei partiti : i contrasti di interesse sono spesso assai più violenti tra stati e stati che tra partito e partito; il che fa sì, ovviamente, che un· partito il quale voglia essere rappresentativo dell'intero paese debba necessariamente essere più fluido, strutturalmnte e ideologicamente, dei partiti che noi conosciamo in Europa. Inoltre, la divisione in tanti stati, ognuno dei quali è depositario di una parte della sovranità, rallenta ulteriormente la centralizzazione della vita' politica, poichè una buona parte di questa si esaurisce nell'ambito dei singoli stati. Pure, quando si studia il problema non più al livello federale ma a quello statale si vede che le cose cambiano: i partiti contano, e contano formidabilmente, ad un punto che forse da noi non si imm.~gina nemmeno. E, vi credano o no i nostri sommari osservatori di queste cose, contano tanto più in quanto maggiore, assai maggiore, 14 Biblioteca Gino Bianco

\ è il numero delle cariche cui si provvede con elezioni. Del resto, sono stati gli americani ad inventare le parole boss e machines I Chiunque abbia un po' di familiarità con la letteratura politica americana sa quanto aspre siano state le polemiche e le lotte intorno alle « macchine» dei .partiti, quanto fervidi siano stati gli attacchi alla partitocrazia al livello degli stati, e sa anche come presidenti energici e prestigiosi, i quali pur -potevano gettare nella lotta il peso del potere federale, siano stati costretti, a volte, a rinunciare all'idea di avversare queste « macchine ». Finalmente, non va dimenticato che gli Stati Uniti sono uno dei paesi più avanzati al mondo dal punto di vista della istituzionalizzazione dei partiti politici, dal punto di vista, cioè, di quelle riforme istituzionali cui sopra si accennava: si pensi che già nel 1903 uno stato, il Wisconsin, promulgava una legge che rendeva obbligatorie le _cosiddette primarie dirette per la designazione dei candidati alle varie cariche, e che nel 1917 tutti gli stati, tranne quattro, avevano leggi analoghe. D'altra parte, per dovere di completezza, si d,eve ag- .giungere che molti studiosi americani di scienze politiche criticano apertamente l'attuale struttura dei partiti politici nel loro paese, a cui fanno carico di molti difetti della vita politica degli Stati Uniti, e chiedono che i partiti stessi divengano più simili ai loro confratelli europei : « Verso un più responsabile sistema bipartitico », si intitola il rapporto che ha pubblicato nel 1950 il « Comitato sui partiti politici ,, dell' American Political Science Association, un agile volumetto, la cui lettura sarebbe di estremo interesse per i vari Ronzini che si occupano di siffatti problemi nel « Corriere delJa Sera ». Qualunque cosa si voglia pensare di questa esigenza fatta valere dai colleghi americani (ed io penso che, tutto considerato, sia preferibile conservare l'attuale equilibrio), essa dimostra, tuttavia, quanto superficiale sia l'informazione che si ha da noi. Questa lunga parentesi sulle esperienze inglese ed americana vale a dimostrare che quello che si considera erroneamente come un problema soltanto italiano è in realtà comune a tutti i paesi democratici {e non può non essere così) e che quello che si considera sommariamente un male non è poi tale, o non lo è nelle proporzioni che si vogliono dare ad intendere; e vale a dimostrare, soprattutto, quanto complesse siano le questioni e quanto vasta ed organica debba essere la riforma da introdurre in Italia. Poichè è evidente che il problema va affrontato e risolto non solo con una legislazione sui partiti politici che riconosca la loro funzione di istituto della democrazia moderna e 15 Bi lioteca Gino Bianco ,

che· insieme ta regoli, che non· si limiti a--sançire la pµbb.li~j~~ deJle spese· e dei finanziamenti, ma che ·gara11tjsca a tutti i -livelli la loro democraticità ed il loro dinamismo interno; o con una legislazione che regoli la delicata materia dei gruppi di pressione. A queste leggi va aggiunta l'attuazione di certe parti della Carta costituzionale: diremo, ad esempio, che non riusciamo a scaldarci per il referendum e che esso ci sembra assai più inutile di quel che molti sembrano pensare (e le esperienze straniere in materia paiono suffragare un tale giudizio); ma già il problema delle regioni ha altro rilievo, purchè studiato fuori di ogni demagogia: ciò che è accaduto negli Stati Uniti, ovviamenté mutatis mutandis, sembra dimostrare che, oltre ai benefici che se ne aspettano sul piano generale, si possa ricavarne, come ·sottoprodotto, anche un qualche riequilibramento del rapporto tra partiti e parlamento nazionale. E quanto a quest'ultimo, ci sembra chimerico e vano attendersi una sua revitalizzazione dalla restaurazione del potere di disfare i governi: una restaurazione del prestigio e del potere del Parlamento può venire soltanto dal suo buon funzionamento come assemblea legislativa (nuoce più una legge mal fatta, e sono tante, che dieci crisi extraparlamentari) e dallo zelo con cui esso assolverà da una parte alla sua funzione di scrupoloso tutore della libertà e dei diritti dei cittadini, e dall'altra alla sua vocazione naturale di sopravanzare i go-. verni nel promuovere la legislazione necessaria al paese. Innanzi a così complesse questioni non è, forse, evidente che, come si diceva più sopra, il discorso del 25 febbraio è espressione di una superficiale · concezione dei problemi istituzionali di una democrazia moderna in generale e di quella italiana in particolare? E del resto anche la polemica col Presidente della Corte Costituzionale di- ·mostra una riflessione insufficiente su tali problemi. Si può discutere l'opportunità della scelta, fatta dal Presidente della Corte medesima, de~la sede delle sue dichiarazioni; ma non si può mettere in dubbio il suo diritto ad esprimete le sue opinioni in altra sede che nelle sentenze (ancora una volta qui l'esperienza americana è assai istruttiva), e meno ancora la sostanza delle sue affermazioni. Quando il Presidente della Corte costituzionale afferma che la Corte stessa è « moderatrice • delle assemblee legislative dice una verità sacrosanta, che nessuno spirito di corpo potrà offuscare. Le Corti costituzionali non sono nate, là dove sono nate, per altro. Un tempo si diceva che il Parlamento inglese poteva fare tutto tranne che mutare un ·uoino in donna: la potenza delle maggioranze delle assemblee legislative era, dunque, as16 Biblioteca Gino Bianco ,

- soluta, tanto più assoluta quanto più democratico era il regime, quanto più i membri di quelle maggioranze, cioè, sapevano di rappresentare la maggioranza del popolo. Chi ha letto la Démocratie en Amérique di Tocqueville sa quanto il grande teorico fosse ossessionato dai pericoli implicitì in quella onnipotenza, e sa come egli indicasse nel contro~lo costituzionale uno degli argini a tali pericoli. Poichè esso garentisce che le assemblee legislative esercitino, nella loro attività, i1nperium e non tyrannidem, garentisce alle 1niùoranze ed ai singoli la tutela dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta costituzionale. Ora, se non si vuol sottilizzare a vuoto sulle parole, questa funzione è esattamente una funzione « moderatrice » delle assemblee legislative: e nel riconoscimento di esse non vi è alcuna offesa alle assemblee medesime. D'altra parte, non si comprende perchè su questo punto il sen. Merzagora abbia atteso tre anni a rompere anche qt~i un -« penoso riserbo » : le stesse cose che egli lamenta dopo averle lette su un rotocalco erano state scritte dal Presidente della Corte Costituzionale in un lungo articolo, pubblicato nel 1957 nel terzo dei cinque volumi commemorativi del decennale della Costituzione, stampati a cura della Camera dei Deputati. Oppositori malevoli e tendenziosi potrebbero perfino dedurre da ciò che il sen. Merzagora aggiorna la sua cultura costi .. tuzionale sui rotocalchi piuttosto che su volumi di carattere scientifico. f • . . .. 17 BibliotecaGino Bianco ..

L'uomo comune di Cesare Mannucci Al di sotto delle differenze di regime politico o economico, la struttura sociale di tutti i paesi del mondo è ancor oggi regolata da: un medesimo principio rigorosamente gerarchico. I tipi di stratificazione sociale variano considerevolmente: nello stesso momento storico, accanto ai tipi più moderni e complessi coesistono quelli più arcaici ed elementari. Nelle società democratico-liberali più evolute la stratificazione è fitta, e perciò più sfumata: ma questo non vale a mutare la struttura essenziale della società. All'interno della stratifìca'Zione, per ammorbidita che sia, v'è a un certo punto uno sbalzo: è la distanza che separa coloro che formano la ruling class, intesa nel senso più largo, dal resto dei membri della società. In rapporto a questo sbalzo si creano e si dispongono le gerarchie sociali. La constatazione non comporta il menomo disconoscimento delle molte e grandi trasformazioni sociali realizzate dalle società più dinamiche negli ultimi centocinquant'anni. Le condizioni materiali di vita del cittadino comune, la dignità di cui gode in diritto e in fatto, lo spazio concesso alla sua personalità privata e pubblica, non sono· nemmeno paragonabili a quelle descritte ne L'ancien régime. Nei paesi democratici più avaf:tzati queste conquiste sono ormai certe e inta·ngibili: in molti altri sono ancora contrastate, ma hanno per sè la forza dei princìpi ben fondati e quella dell'esempio. Se queste trasformazioni sono, sia pur nella loro varia intensità, incontestabili, è altrettanto certo che il modo di concepire il rapporto interno fondamentale della società non è cambiato. L'idea del rapporto tra élites e classi subalterne, intese come l'insieme dei « non eletti », è rimasta, nella sua essenza, quella di sempre. Se ha ricevuto approfondi18 Biblioteca Gino Bianco

.. menti e raffinamenti, questi non ne hanno intaccato il nucleo sostanziale. A suo sostegno sta l'osservazione della storia. In ogni tempo l'umanità fu divisa in due parti: le classi suveriori e le classi inferiori. Nell'intreccio smisuratamente complesso dei fatti umani, ·in cui sembra prevalere ora l'interesse economico, ora l'ideale religioso, ora il bisogno psicologico di affermazione della personalità, ora lo slancio creativo o critico della cultura, la di~tanza tra le due parti della· società si perpetua attraverso tutte le situazioni storiche. Per tutto il corso della storia umana l'iniziativa, l'impeto vitale, il vigore creativo appaiono prerogativa' delle , élites, qualunque sia la società in cui operino. Non dunque come dogma metafisico, bensì come risultato univoco dell'indagine storica, nasce l'idea che lo sbalzo che separa' le élites dalla maggioranza degli uomini rientri nell'ordine naturale, o strutturale, delle cose di questo mondo. Ciò che è molto mutato è il modo di formazione delle élites. Dapprima_è stata determinante la forza; poi s'impose il principio del sangue, a cui s'a'ggiunse quello del patrimonio; nell'epoca moderna si è affermato il principio dei meriti personali. Gli ultimi tre sono i princìpi fondamentali che regolano oggi la formazione delle élites; anche se il principio della forza non si può dire davvero del tutto eliminato, come le vicende dell'ultimo cinquantennio dimostrano. Nella democrazia moderna, ha· scritto il Mannheim 1 , « le élites sono una mescolanza di uomini e donne fortunati, che hanno raggiunto la loro posizione grazie ad uno o più dei tre princlpi ». L'ampliamento della base di formazione ha fatto considerevolmente aumentare l'ordine di grandezza delle élites. Oltre ad essere più diversificate ed articolate, esse appaiono oggi numericamente assai più consistenti che in passato. È vero che sono anch'esse disposte secondo una certa gerarchia, e che la distanza tra le élites superiori e quelle inferiori è sotto certi aspetti ragguardevole: nel mondo contemporaneo sono stati ammessi nella sfera della· ruling cl.ass - attraverso le nuove istituzioni, come i sindacati, i partiti di massa, i mass media, ecc. - individui che restano a notevole distanza dalle élites di tradizionale formazione. Ma il salto che divide la' minor pars dalla maf or pars è stato soltanto spo- . stato. In un paese di parecchie decine di milioni di abitanti i privilegiati per vario titolo possono ammontare ad alcuni milioni, restando però 1 KAm. MANNHEIM, L'uomo e la società in un'età di ricostruzione, trad. it., Edizioni di Comunità, 1959, pag. 86. 19 BibliotecaGino Bianèo • •

immutato il meccanismo fondamentale del rapporto tra élites e maggioranza dei cittadini. La democrazia mo~erna, nei suoi esempi migliori, ha creato la· « società aperta ». Ha abbattuto, cioè, quei diaframmi che in passato riuscivano a impedire a gran pa1te degli individui superdotati delle cla·ssi inferiori di far valere le loro capacità e i loro meriti per salire ai gradini alti della scala sociale. È giustamente uno dei suoi vanti maggiori. D' a'ltronde, proprio per effetto della « società aperta » il salto tra élites e major pars tende, piuttosto che ad abbreviarsi, ad allungarsi. Giacchè coloro che nella società aperta si dimostrano incapaci di diventare membri delle élites, sia pure di quelle di livello più basso, forniscono quella che sembra la prova sicura della loro congenita inferiorità. Non è che questa prova venga ufficialmente codificata, ma è indubbio che nella psicologia così dei membri delle élites come di tutti i non promossi, la nozione dicotomica della società ne risulta rafforzata: la contrapposizione tra major e minor pars si fa·, nella mente di tutti, ancor più lucidamente persuasiva. Così la magg~oranza, nella democrazia moderna, finisce per assumere agli occhi delle élites l'aspetto di massa. La sua evidente incapacità di emergere al livello della mentalità, dei gusti, dei modi di vita delle élites prese nel loro complesso la fa apparire amorfa, anonima, ottusa. La sua congenita inferiorità comporterebbe, a rigor di logica, che si riducessero i suoi diritti; ma· proprio a questo la coscienza morale, nelle democrazie di più solida tradizione, non può consentire. Il concetto cristiano della dignità della persona umana, il mito retorico del common man, gli strascichi delle infatuazioni populistiche, la possente realtà dei sindacati e dei partiti di massa, selezionatori di nuove intraprendenti élites, vietano di prendere in considerazione la legalizzazione dell'inferiorità della maggioranza. Perciò questa continua ad eleggere, e in misura numericamente determinante, le cariche pubbliche dal più basso al più elevato grado, e fruisce di tutte le libertà concesse dalla legge. Con essa si debbono fare continuamente i conti; di più: ad essa si può fare appello. Quest'ultimo è l'aspetto che più preoccupa le élites depositarie della tra•dizione democratico-liberale. La storia recente è dominata da vicende che molti interpretano come un processo di « democratizzazione negativa ». In alcuni paesi nuove élites, o più esattamente combinazioni di nuove élites e di gruppi appa1tenenti alle vecchie élites, hanno conquistato - fa-cendo appello alla massa, ossia manovrandola cinicamente - il potere politico, distruggendo una parte della 20 BibliotecaGino Bianco

\ ruling. class esistente e rivoluzionando tutte le gerarchie stabilite; e da ultimo hanno tentato di imporre su scala mondiale la nuova struttura· gerarchica, çon un'aggressione che è stata neutralizzata solo a prezzo di enormi sacrifici. Nessun pericolo quando i gruppi che formano la ruling class hanno un comun denominatore di convinzioni e di regole morali: i contrasti interni sono affrontati, e di volta in volta composti, • senza il rischio di perdere nel frattempo il controllo della massa. Il pericolo sorge quando questa base comune viene meno o non può esser stabilita, e i dissensi tra vecchie élites, o tra vecchie e nuove élites, diventano radicali e tendono ad essere risolti drasticamente, facendo appello alla massa: il successo andrà alle élites più disposte ad eccitare gli istinti elementari della massa, a quelle più spregiudicate nella scelta dei mezzi per la conquista· del potere. La ricerca dei modi per neutralizzare queste degenerazioni della democrazia diventa sempre più assillante per le élites di tradizione democratico-liberale. Soprattutto le élites culturali avvertono la gravità del problema, e l'urgenza di un'appropriata soluzione. Non ·è possibile nè ammissibile tornare indietro; d'altronde i fatti inquietanti si susseguono troppo rapidamente per poter confidare soltanto nella -forza della tradizione e nelle risorse equilibratrici della ragione. La massificazione si estende dalle antiche democra·zie ad altri paesi, a tutti quelli che via via si inseriscono nel mondo mode1no, per effetto di trasformazioni economi- , che e politiche ormai improrogabili. La spinta più potente alla massificazione sembra data dall'incessante progresso tecnologico. Da un lato, esso offre alla· ruling class sempre nuovi mezzi per consolidare e aumentare i propri privilegi, e insieme per appagare i bisogni fondamentali della massa, eliminando i tradizionali risentilnenti e cercando di prevenire il sorgere di nuove insoddisfazioni. L'appagamento, nei paesi più ricchi ed economicamente più dinamici, può estendersi anche ai bisogni minori e minimi; così la massa americana, ben pasciuta e motorizzata, viene sommersa da merci e da- gadgets d'ogni sorta, intesi a soddisfare, e spesso a suscitare, i più effimeri capricci (a molti pare che il principio del panem et circenses abbia assunto là una portata· giammai sospettata). Dall'altro, proprio al progresso tecnologico, alla tecnicizzazione di ogni aspetto pubblico e privato della vita, vengono ricondotti i fenomeni descritti dai sociologi e denunciati dai letterati: la tendenza dell'uomo-massa a trasformarsi in uomo-robot, privo di vita interiore, di raziocinio, di coscienza morale, di fantasia; capace solo di riflessi condizionati, dotato solo di impulsi 21 BibliotecaGino Bianco •

meccanici standardizzati. Questo processo minaccia di dissolvere, alla · · lunga, i vantaggi che finora la ruling class - e in primo luogo le élites· economiche e organizzative - ha tratto dall'ininterrotto avanzamento tecnologico. La «robotizzazione» della massa metterebbe in pericolo non solo i privilegi delle attua·li élites, ma anche valori che trascendono gli interessi costituiti : i valori stessi della libertà e della democrazia. Quel processo potrebbe modificare profondamente, in s_ensonegativo, i modi di formazione delle élites: esso non può che incoraggiare la formazione di élites di tipo totalitario. Non solo nella politica, ma altresì nell'economia, nell'esercito, nella· cultura dei mass media, ecc., là formazione, e il progressivo sopravvento, di élites di natura totalitaria sarebbe il logico pendant della massa robotizzata. I valori democratico-liberali, e le élites che ne sono in varia misura e con va'ria convinzione depositarie, scomparirebbero dalla scena del mondo. Orwell, nel suo 1984, ha immaginato il punto d'arrivo di un tale processo. Così, paradossalmente, proprio alla società che ha prodotto le idee di emancipazione, eleva:zione, eguaglianza - leit-motiv della sua storia recente - toccherebbe in sorte dr prender atto di quell'inferiorità della maggioranza di cui le élites del passato non avevano mai dubitato, e che avevano sempre tradotto in una decisiva diversità di piani. L'immagine dell~ società come un organismo paragonabile al corpo umano - una immagine fondamentale, che dall'oratoria di Menenio Agrippa si è trascinata, praticamente immutata, fino agli odierni discorsi da caffè dei funzionari di banca - h~ sempre avuto Io scopo di blandire la maggioranza. Le parti del corpo umano - nobili e meno nobili - sono tutte, sebbene in varia proporzione, di carne e sangue, e anche lo scheletro che le sostiene è tutto di una medesima materia. Le due parti essenziali della società nort si trovarono mai in questo tipo di comunione: furono sempre sepàrate, non già da diversità di funzioni, ma da uno sbalzo strutturale. Ci si riferisce qui ai rapporti tra gruppi sociali, ovviamente: sul piano dei rapporti individuali, e massimamente su quello dei rapporti mistico-religiosi, la comunione è sempre stata esaltata, e, anche se infrequente, è stata però possibile. Nella dimensione sociale, invece, la metafora corporale è stata sempre ingannevole, giacchè non corrispondeva nè alla realtà storica: oggettiva nè all'atteggiamento soggettivo delle élites. I tempi moderni hanno formalmente codificato il principio dei meriti personali come moralmente superiore a quelli del sangue e del patrimonio. È un principio che riguarda direttamente la mafor pars, 22 Biblioteca Gino Bianco

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