Nord e Sud - anno VI - n. 57 - agosto 1959

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO VI * NUMERO 57 * AGOSTO 1959 ·.Bibliotecaginobianco

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Rivista mensile diretta da Francesco Compagna .Biblioteca.ginobianco

SOMMARIO Editoriale [ 3] INCHIESTE Cesare Mannucci 1J Poteri pubblici e l'Ente radiofo12ico [8] PROPOSTEE COMMENTI Lucio Gambi La geografia nell'insegname1ito delle Università [52] N.d.R. Piergiovan11i Permoli Nicola Tranfaglia GIORNALE A PIÙ VOCI La U.I.L., il Mezzogiorno e le partecipazioni statali [ 65] La lotta antifascista [70] La polemica del << Giort10 » [75] CRONACHE E MEMORIE Elena Craveri Croce Il cercar casa a Roma [82] MIGRAZIONIE INSEDIAMENTI NELL'ITALIAMERIDIONALE Sandro Petriccione Movimenti di popolazione e trasporti [90] LETTERE AL DIRETTORE Antonio Palermo Il gattopardo [123] Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti t Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1. 700 Estero annuale L. -i.000 eemestrale L. 2.200 Effettuare i "Yenamend aa I C.C.P. n. 3/34552 inteatato a Amoldo Moodadori EdJtorc. Milano Bibliotecaginobianco CRONACA LIBRARIA [ 125] DffiEZIONE E REDAZIONE : Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI: Amministrazione Rivista « Nord e Sud» Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Telefono 851.140

Editoriale Quando l'on. Malagodi afferma che la situazione attuale induce al pessimismo perchè << è venuta a mancare la solidarietà tra i partiti· democratici che in anni non lontani consentì la formazione di governi rigorosamente centristi», egli sembra dimenticare taluni precedenti che vanno invece ricordati. Dopo l'assurdo ed irresponsabile governo dell'on. Pella (in un altro paese dell'Europa occidenta/,e, sia detto qui per inciso, un uomo che avesse pro!lunciato un discorso del Campidoglio non sarebbe mai più tornato al potere, e meno che mai alla direzione della po.litica estera) l'on. Scelba aveva costituito un saldo governo quadripartito, fondato sulla convergenza del PLI e del PSDI; e tale convergenza era segnata anche dal fatto che il Atf inistero della Pubblica Istruzione era affidato all' on. Martitio e il Ministero delle Fz·nanze all'on. Tremelloni, come per significare che nell'ambito del governo non si volevano contrapporre indirizzi liberistici di politica economica ad indirizzi rigidamente dirigistici, ma realizzare l'equilibrio e l1 effettiva coalizione delle forze di democrazia laica con quelle della democrazia cattolica. Si è detto poi che questo governo, nato sotto i migliori auspici, crebbe male, anzi malissimo, perchè si incagliò nell'affare Montesi; e quindi non gli fu possibile camminare, andare avanti, come era nelle sue intenzioni~ nelle intenzioni degli on.li Scelba, Saragat, Villabruna che gli avevano dato vita. Tutto ci·ò è vero, ma è vero fino a un certo punto: è vero, cioè, che il governo. dell'on. Scelba crebbe male e non riuscì a camminare secondo le intenzioni che erano alla sua origine; ma tutto ciò non a causa dell'affare Montesi, bensì per il fatto che l'equilibrio politico, la forma e la sostanza ' [3] 8-ibliotecaginobianco

della maggioranza parlamentare e dell'accordo programmatico - di convergenza fra PLI e PSDI e di effettiva coalizione fra democrazia laica e democrazia cattolica - che avevano consentito la formazione del governo Scelba ed il ritorno a un rinnovato e rafforzato centrismo quadripartz.tico7' risultavano profondamente modificati· dall'avvento dell'on. Malagodi alla segreteria del PLI, da quello cioè che fu definito fin da allora (ed i fatti s,: sono incaricati di di1nostrare quanto giusta fosse tale defi1iizione) l'affitto del PLI all'Assolombarda. << L'elezione dell'on. Malagodi alla segreteria del PLI è la risposta dei ceti padronali italiani alle leggi fiscali annunziate dall'on. Tremelloni »,. I disse allora Mario Paggi; e infatti, l'on. Malagodi si era prestato ad essere il latore di tale risposta, ad assumere, cioè, nei confronti del partito e del governo, il ruolo dell'uomo dz·fiducia della parte più retriva del padronato italiano. E così, poco tempo dopo che l'on. Scelba si era insediato al V71:minale, l'on. Malagodz' si è insediato i1i via Frattina; e alla sua prz'ma uscita in pubblico - giova ricordare anche questo - egli si scusò con i suoi ascoltatori del fatto che il PLI si era venuto a trovare impegnato in un rapporto di collaborazione con la Socialdemocrazia; e a1znunziò che il PLI si riprometteva appunto di frenare - in nome della << democrazia liberale» - tutte le iniziative che in seno al governo avessero voluto cautamente varare gli esponenti della « democrazia sociale>>g, ente tradizionalniente e naturalmente irresponsabile. A questo punto il quadripartito era in crisi, definitivamente in crisi, malgrado che si tentasse in tutti i modi di mantenerlo in vita, prima prolungando il governo dell,.on. Scelba e poi dando vita a quello che fu il primo governo dell'on. Segni. Fummo tra i pochi - noi della « sinistra liberale» di allora - a denunciare la situazione, e tutti ci dettero addosso; i fatti ci hanno poi dato ragz·one,e oggi - come dicevamo nella nota della redazione del mese scorso - sembra che finalmente il << processo a Mala~ godi )) si allarghi; e che i più responsabili fra gli ambienti centristi (Il Messaggero, per esempio) come i migliori esponenti del PLI (da Cocco Ortu fino a Badini Confaloriieri) vadano formulando giudizi che sono sostanzialmente gli stessi di quelli co1icui la << sinistra liberale >> aveva a suo tempo «bollato>>l'azione di Malagodi nei confronti del centrismo. Il fatto è che il centrismo era diventato sinonimo di immobilismo pro- [4] Bibliotecaginobianco

prio perchè la funzione che l'on. Malagodi assegnava al PLI era quella di frenare, o, meglio, paralizzare, ogni itiiziativa di politica economica e sociale che venisse da Vanoni o da Tremelloni, dalla Socialdemocrazia o dalla temutissima sini·stradella Democrazz·acristi'ana;e i parlamentari del PLI venivano considerati, z·n base al « nuovo corso » della politica liberale che l'on. Malagodi aveva inaugurato, come truppa più o meno mercenaria, arruolata dalla Confi1idustriaper le esigenze della guerra fredda dichiarata all'ENI, all'ing. Mattei, all'on. Vanoni. E' vero che la gran parte dei parlamentari del PLI non si sono abbassatia questo ruolo, e che anzi i mini.stri liberali del governo Scelba (i"nparticolare l'on. Villabruna) e del primo governo Segni (in particolare l'on. Cortese) harino agito con gran discernimento quando si è trattato di assumere inizi'ative in materia di idrocarburi (e in materia di energi,a nucleare); ma alla lunga le conseguenze del « nuovo corso>>d, ella politica malagodiana, non potevano non prendere il sopravvento anche sulle residue riserve di buon senso dei parlamentari e dei ministri del PU, che si erano anch'essi illusi di poterne mz"tigarela portata. Il « nuovo corso», in quanto fondato sulla contrapposizione fra << democrazia liberale>>e << democrazia sociale>>s,ignificava ovviamente che, in nome di esigenze liberistiche, l'on. Malagodi era disposto a tutto, anche al sacrificio di esigenze liberali. Fu infatti per soddisfare esigenze liberiste - che da un punto di vista liberale sono quanto mai discutibili - che si ebbero immediatamente i seguenti risultati politici: 1) l'allineamento del PLI sulle posizioni della destra democristiana, di Andreotti e di Pella; 2) l'impegno da parte del PLI di far fro1ite a tutte le preoccupazioni dell'As- ..rolombardaper l'apertura a sinistra, per gli orientamenti dell'ENI in ordine alla politica dell'energia, per l'intervento dell'industria pubblica nella politica meridionalista, ecc., e l'accantonamento, invece, di quelle altre preoccupazioni che potevano derivare, e derivano, dal troppo solerte clericalismo degli Andreotti e dei Pella, tanto solerte che avrebbe dovuto scuotere, o per lo meno rendere vigilanti, coloro che si dichiarano esponenti del liberalismo, delle sue tradi'zioni e delle sue esigenze; 3) la liquidazione di ogni possibilità di convergenza con la Socialdemocrazia, senza che ci si rendesse conto, dentro e fuori il PLI, di quanto tale convergenza fosse indispensabile al, fine di assicurare un n,igliore equilibrio tra forze di [S] ·Bibiiotecaginobianco /

democrazia laica e forze di democrazia cattolica in seno al, governo~ e quindi una maggiore efficienza al governo stesso e una maggiore stabilità alla maggioratiza che ta11to faticosamente era stata ricostituita intorno ali'on. Scelba dopo le non confortanti esperienze che avevano preceduto ed immediatamente seguz'to il 7 giugno 1953. In questi ultim1: mesi poi il PLI aveva toccato il fondo. Non può non essere, però, motivo di compiacimento il fatto che contemporaneamente si sono manifestate significative reazioni interne, di opposizione al comportamento dei rappresentanti liberali in Sicilia, al Campidogti·o, a Montecitorio; e motivo di compiacimento è anche il fatto che alla testa di· tali reazioni si siano trovati da un lato i g·iovani e da un altro lato uomini come Cocco Ortu e Storo.ni, i cui nomi ci ricordano il PLI della Resistenza - il PU di Mario Ferrara e di Dante Coda -- e quel partito che nel 1953 dopo l'unificazir;ne di Torino, seppe assolvere a un ruolo fondamentale nel far naufragare i disegni di Stur_zo e di Gedda. Ora invece i disegni di Sturzo e di Gedda si stanno realizzando con il concorso del PLI malagodiano, pago di essersi assicurtJJotalune contropartite liberiste. Nei confronti dei ceppi di quel fascismo morbido di cui ha parlato Piovene su Epoca - e che si vuole imporre al paese da parte dei fautori dell'attuale governo - sembra che la segreteria del PLI non abbia nulla da dire. Le sole cose nei confronti delle quali la segreteria del PLI reagisce con vigorosa energia sembra che siano oramai le resipiscenze antifasciste della DC, il discorso dell?on. Moro, le prese di posizione dell' on. Fanfani, le note dell'agenzia RADAR. In questo senso l'agenzia ufficiosa del Partito liberale (la DIC) offre u1ia preziosa e penosa documentazione, in questo senso veramente l'on. Malagod,· dimostra di aver perduto la bussola, e di aver smarrito anche quel minimo di buon senso e di decoro con cui all'origine cercava di mimetizzare, magari anche nei confronti di se stesso, quelle poSiizioni che potevano sembrare troppo scopertamente dettate da interessi estranei al partito e al liberalismo. Se così stanno le cose - e non c'è dubbio che stiano così - è evidente che non si può parlare di quadripartito, di rilancio del centrismo. Ed ha perfettamente ragione il direttore de Il Giorno (che pure è un giornale dilla cui linea politica pienamente dissentiamo - per la politica estera - così come giustamente ne dissente il PLI) quando afferma che in Italia, fra l6J Bibliotecaginobianco

le cose << che non si possono fare>>,c'è quella di << compromettersi con Malagodi ». Ma il direttore de Il Giorno aggiunge: << Se ci fosse in Italia un Partito liberale diversamente ispirato, molte cose cambierebbero, e presto>>N. oi non sappiamo se questo - « un partito liberale di·versamente ispirato>> - sia ancora possibile. Sappiamo che lo abbiamo desiderato e che, alla discussione sulle vicende e sulle posizi·oni del liberalismo italiano, ufficiale e non, prima e dopo Mdagodi, questa rivista, che è una rivista libe) ra/,e,ha preso appassi'onatamente parte. Ri'teniamo pertanto di avere tutti i titoli per affermare che ormai la situazione che si è creata per il PLI non consente più di fcdsificareil bilancio politico della gestione Ma/,agodi, e di eludere le scelte che ne derivano: l'on. Malagodi lia ereditato dal!'on. Villabruna un partito unito, che aveva appena vinto una seria battaglia politica contro l'apertura a destra, per il rinnovamento e per il rinsaldamento del centrismo, per la formazione del gabinetto Scelba; egli lo ha scisso, questo partito, poi lo ha ridotto all'isolamento, ;nfine lo ha degradato a/, ruolo di << foglia di fico>>dell'apertura a destra; tutto questo, peraltro, con qualche perdita di carattere elettorale, invece dei successi copiosi che erano stati promessi. Non ha senso, quindi, opporsi alla formazione della << grande destra», come si è opposto, più o meno formalmente, l'on. Malagodi, in una recente sua dichiarazione; così come non ha senso sperare ancora nella ricostituzione del centrismo con Malagodi: apertura a destra e « grande destra >> sono i fatdi punti di arrivo della politica dell'on. Malagodi. E perciò, arri·- vati ormai dove siamo arrivati, ci auguriamo che ognuno possa e sappia trarre tutte le conseguenze: gli uni in termini di « grande destra>>a,ppunto, padronale e liberista; gli altri possibilmente in termini di riconquista o rigenerazione del partito, comunque in termini di continuità antifascista e di rilancio liberale, eventua/,mente anche fuori dal PU, se fosse vero che è troppo tardi per << un partito libera/,ediversamente ispirato» . . Bibiiotecaginobianco

INCHIESTE I poteri pubblici e l'Ente radiofonico * di Cesare Mannucci L' ibridf:lstruttura giuridica della RAI Può capitare, domandando a due dipendenti qualsiasi della RAI che cosa sia giuridicamente l'ente per cui lavorano, di sentirsi dare due risposte contrastanti: società privata, ente statale. La contraddizione rispecchia proprio la realtà delle cose, che non è esagerato definire ibrida: gli interpellati sono entrambi parzialmente nel vero, ma ciascuno di essi, secondo la sua particolare inclinazione psicologica, ha presente solo una delle due faccie dell'istituzione radiotelevisiva italiana. La RAI ha conservato a tutt'oggi la forma di società per azìoni appar .. tenente agli enti dei quali è la continuazione: l'EIAR e, prima dell'EIAR, l'URI. Questa forma è ormai poco più di un sottile involucro esterno, sotto 1 'aspetto giuridico: e tuttavia il suo durare produce degli effetti ragguardevoli, soprattutto sul piano politico. Già da molti anni, d'altronde, l'ente radiofonico rientra in una categoria speciale di società per azioni: quelle regolate dagli artt. 2458 e segg. del Codice Civile. Sono le società nelle quali v'è una partecipazio11e azionaria dello Stato o di un ente pubblico, oppure anche in mancanza di partecipazione azionaria, la presenza, nel Consiglio di amministrazione o nel Collegio dei sindaci, di loro delegati. * La parte introduttiva dell'inchiesta di Cesare Mannucci su « La Radio e la Televisione in Italia>> è stata pubblicata nel numero 54 (maggio) di Nord e Sud. [8] Bibliotecaginobianco

Nel caso dell'ente radiofonico, l'ingresso di delegati del Governo negli organi direttivi fu deciso nel 1927, quando un decreto (1) determinò la trasformazione dell'URI nell'EIAR; la partecipazione azionaria ebbe inizio invece nel 1933, allorchè l'IRI assunse il controllo, con pacchetto di minoranza, della società SIP, divenuta nello stesso anno proprietaria del pacchetto di maggioranza dell'EIAR; ed è arrivata ad essere quasi totale nel 1952, per effetto di una Convenzione che ha trasferito le azioni RAI della SIP all'IRI (2). La RAI è perciò t1n'azienda del gruppo IRI, inquadrata nel settore delle telecomunicazioni, ma caratterizzata da una posizione tutta particolare. Essa è, a sua volta, a capo di un gruppo di aziende strettamente legate alla sua attività: la SIPRA, che si occupa della pubblicità radiofonica, la SACIS, società controllante la pubblicità televisiva, l'ERI, impresa editoriale, l'ILTE, azienda tipografica, la CETRA, azienda produttrice di dischi fonografici. L' « irizzazione )> completa della RAI è il punto terminale di una vicenda che ha portato, in tappe successive, il controllo pubblico sempre più all'interno dell'ente radiofonico : ci sembra opportuno rievocarla brevemente prima di passare ad esaminare l'attuale regime giuridico della RAI. Il controllo pubblico sulle radiodiffusioni dal 191O alla Liberazione Il primo atto legislativo dello Stato italiano nel campo che ci interessa risale al 1910. Fu la prima e l'ultima volta che il Parlamento votò una legge riguardante la radiofonia. Tutta la successiva legislazione è frutto di decreti legge. La legge del 1910 (3) non regolava la sola materia radiofonica, ma l'intero campo delle comunicazioni senza filo, delle quali, a quel tempo, la radiotelegrafia costituiva la principale applicazione. Il disegno di legge presentato dal Governo presieduto da Luigi Luzzatti riservava al Governo « lo stabilimento e l'esercizio degli impianti radiotelegrafici e radiatele- (1) R. D. Legge 17 novembre 1927, n. 2207, art. 1. (2) Convenzione per la concessione alla RAI dei servizi di radioaudizione, televisione, telediffusione e radiofotografia circolari, stipulata tra lo Stato e la RAI il 26 gennaio 1952, art. 3. (3) Legge 30 giugno 1910, n. 395. .Bibliotecaginobianco

fonici ))' e, in generale, di tutti quelli per i quali, a terra o sulle navi, « si impieghi energia allo scopo di ottenere effetti a distanza senza l'uso . di :fili conduttori )>. La dizione della legge era, come si vede, amplissima: copriva praticamente già tutto il campo dele teleradiocomunicazioni. Va detto subito che quella legge, riguardo al particolare aspetto della radiofonia che è oggetto della nostra ricerca, le radioaudizioni circolari, non era in grado .di produrre subito pratiche conseguenze, dato che esse cominciarono ad acquistare rilevanza solo dopo la fine della prima guerra mondiale. Se prendiamo le mosse da questo provvedimento è per la sua importanza nella determinazione di un principio, che ha avuto in seguito proprio sulle radiodiffusioni circolari i suoi più notevoli effetti: il principio della necessità di un rigoroso controllo governativo tanto sugli aspetti tecnici che su quelli sostanziali delle radiocomunicazioni. Molti altri Paesi adottarono allora, in questo campo, il principio del controllo pubblico, ma più spesso limitandolo al lato tecnico, e stabilendo precise garanzie contro gli abusi. Ci furono però anche Paesi nei quali la radiofonia si sviluppò nella più completa libertà: negli Stati Uniti, ad esempio, i primi controlli vennero istituiti dal Governo molti anni dopo l'affermazione delle radiodiffusioni, e non hanno mai avuto altro scopo, a parte il compito della regolamentazione tecnica, che quello di garantire la libera competizione e il rispetto degli interessi delle minoranze (4). In Italia il principio fu codificato sin dall'inizio in modo fortemente restrittivo della libera iniziativa. Il dibattito parlamentare che portò all'approvazione della legge del 1910 si esaurì in pochi interventi, di contenuto prevalentemente tecnico. Tuttavia dalla discussione emergono sufficienti elementi per intendere da quale preoccupazione la maggioranza fosse dominata, e perciò indotta ad accettare quel disegno di legge (5). Fu essenzialmente una preoccupazione di carattere militare. Aveva fatto sensazione, tra l'altro, la <limo- (4) Si vedano in proposito i primi tre capitoli della fondamentale o,pera dì Charles A. Siepmann, Radio, Television and Society, New York, Oxford University Press, 195Q;e anche lo studio di Llewellyn White su e< The Growth of American Radio», a pag. 43 e segg. dell'antologia Mass Communications, Urbana, The University of Illinois Press, 1949. (5) Cfr. gli Atti Parlamentari della Legislatura 1909-13 della Camera dei Deputati, tornate del 4 e del 5 maggio. [10] Bibliotecaginobianco

straziane pratica, offerta dalla guerra russo-giapponese, dell'efficacia dei nuovi strumenti di comunicazione al servizio della difesa come dell'offesa. Marconi, del resto, aveva regalato i suoi brevetti alla marina e all 'esercito italiani. A questa preoccupazione s'aggiungeva il peso di un precedente: la legge piemontese del 23 giugno 1853 sui telegrafi, che aveva istituito il monopolio governativo di quelle che allora erano le sole comunicazioni meccaniche a distanza. Non mancò, tuttavia, chi si fece portavoce del timore che una troppo pesante regolamentazione potesse ostacolare un rapido sviluppo dei servizi privati di radiocomunicazione, e della correlativa industria produttrice di impianti e apparecchiature. Anche se nessuno dei legislatori aveva in mente il caso delle radiodiffusioni circolari, alcuni aspetti della radiocomuni~azione apparivano di essenziale importanza per i privati, e promettevano anche considerevoli profitti: servizi di corrispondenza, comunicazioni tra navi e terra, e tra navi, ecc. Il deputato Bignami osservò che forse nessun'altra nazione aveva una legge « tanto proibitiva ))' e chiese che il monopolio, almeno in sede di regolamento d'attuazione, venisse mitigato. Ma a questo proposito il ministro Ciufelli, richiamando 1 'attenzione dei deputati sulla facoltà che la legge attribuiva al Governo di accordare a privati e ad enti la concessione di impianti « a scopo scientifico, didattico, od anche di servizio pubblico o privato ))' tenne a negare che il provvedimento instaurasse, come nel caso dei telegrafi, un monopolio pubblico, giacchè <( monopolio e concessione sono due termini inconciliabili >>. Il Governo, assicurò, aveva le migliori intenzioni di accordare ai privati con la massima larghezza la concessione di ogni tipo di impianti. Però era necessario che disponesse di uno strumento giuridico atto a consentirgli di « regolare tutto ))' dal momento che si erano già verificati episodi preoccupanti: erano sorte infatti numerose stazioni private radiotelegrafiche senza che il Governo ne avesse notizia, e si erano determinati, di conseguenza, casi di dannosa interferenza. Occorreva « evitare il caos >> che si era prodotto, per la mancanza di adeguate norme, negli Stati Uniti, con gravi effetti soprattutto sulle . . . . comun1caz1on1 marinare. Questi concetti furono ribaditi dal ministro della marina e dal relatore, il quale ultimo ritenne, infine, argomento decisivo a favore del disegno di legge quello che - fatta eccezione per pochi Paesi, tra i quali [11] .Bibliotecaginobianco

gli Stati Uniti - esso non era sostanzialmente~ diverso dalle leggi già introdotte nei Paesi progrediti. La legge approvata, ripetiamo, non poteva coprire che formalmente il campo delle radiocomunicazioni: mancava ovviamente una nozione precisa dell'intiera portata dei nuovi strumenti. Erano chiari sia i vantaggi che gli svantaggi della loro applicazione in campo militare. Si era constatata la loro enorme importanza nella navigazione: tutti avevano sotto gli occhi - si era nel periodo delle grandi emigrazioni transoceaniche - i formidabli benefici che ne avevano tratto le compagnie di navigazione. Ci si rendeva anche conto della crescente importanza della nuova industria elettromeccanica, e del fatto che varie società straniere erano già molto attive in Italia, in questo settore. • .. ~ -~r ---. Non ci si avvedeva però, a quel punto - nel quale, conviene sottolinearlo, radiotelegrafia e radiotelefonia erano viste come strumenti gemelli, e quindi prevaleva la considerazione degli elementi comuni piuttosto che di quelli differenziali - che nelle radiocomunicazioni era implicita una grande questione di principio, che faceva tutt'uno con quella della libertà di manifestazione del pensiero. I dubbi non oltrepassavano, in pratica, i confini della questione economica: l'alternativa sembrava porsi tra interesse della difesa e dell'ordine, quest'ultimo 1ninacciato soprattutto dal caotico incrociarsi delle comunicazioni, e interessi relativi allo sviluppo di servizi commerciali molto remunerativi, e di una nuova industria, insidiata dalla concorrenza agguerrita degli imprenditori stranieri. Risolta la questione dando la preminenza al primo, sia pur col dichiarato intento di venire largamente incontro ai secondi, null'altro sembrava restare sul tappeto. Nel dibattito citato ci fu, e vero, la proposta di un deputato di esentare dall'obbligo della richiesta di concessione gli impianti stabiliti a scopi didattici e scientifici; era una proposta che affrontava almeno un aspetto, e di per sè anche importante, del problema della libertà di comunicazione radiofonica: ma non venne presa in considerazione~ Non essendosi posta la questione della libertà di comunicazione radiofonica, come aspetto di quella generale della libertà di espressione, la legge, a questo riguardo, stabilì un precedente gravido di effetti: non tanto per il principio di uno stretto controllo pubblico sui nuovi strumenti, quanto per i largl1issimi poteri discrezionali attribuiti sin dall'inizio all' esecutivo in questa materia. Non desta meraviglia, naturalmente, che le con- [12] Bibliotecaginobianco .

cessioni potessero essere revocate quando gli impianti si rivelavano perturbatori di quelli dello Stato, oppure non rispondevano alle condizioni tecniche fissate nel decreto di concessione (art. 1). Ma il Governo poteva revocare, sospendere od assumere l'esercizio degli impianti concessi « non solo in tempo di guerra, ma altresì in tempo di pace, sempre quando il Governo stesso lo ritenga 11ecessario d opportuno >>. In aggiunta a questa facoltà, il Governo aveva quella di « addivenire al definitivo riscatto degli impianti >>; ma la legge non faceva parola dei possibili motivi. Sarebbe incongruo affern1are che questa legge abbia aperto la strada alla regolamentazione fascista delle radiodiffusioni: il fascismo di fatto non se ne è sentito condizionato, così come non si sarebbe sentito condizionato da un eventuale altro sistema giuridico. Tuttavia va notato che, per quanto riguarda i principi generali, il fascismo in questa materia trovò conveniente svolgere e applicare, naturalmente nel modo più illiberale, quelli stabiliti dalla legge del 1910: cosicchè, mentre nella pratica amministrativa il salto anche qui è stato brusco, negli indirizzi fondamentali è innegabile una certa continuità. Il richiamo alla legge prefascista vale in realtà a dimostrare che da noi la radio, e tutto quanto della radio rappresenta lo sviluppo tecnico, non è mai stata considerata un libero strumento di comunicazione, da sottoporsi a quelle sole restrizioni che la stessa natura del mezzo suggerisca. I problemi che le radiocomunicazioni sollevano no11sono certamente semplici: ma intanto si deve registrare cl1e sin dall'inizio questo è stato considerato un settore a se, nettamente distinto da quelli della stampa, dello spettacolo, dell'insegnamento, ecc., con ognuno dei quali ha dimostrato di avere senza dubbio parecchie affinità~ E' questa una costante nella storia delle tel~comunicazioni circolari italiane. Dopo la conclusione della prima guerra mondiale, il sorgere di innumerevoli iniziative private in tutti i Paesi progrediti impose il fenomeno della radiodiffusione all'attenzione dei Par lamenti e dei Governi. Il successo cl1e le radioaudizioni circolari avevano riscosse nel pubblico, specialmente in Inghilterra e negli Stati Uniti, non rimase senza eco in Italia. Si costituirono alcune società, aventi però possibilità e progetti molto modesti. Il clima politico e sociale era d'altra parte assai poco favorevole a tentativi di sfruttamento in grande stile della nuova applicazione della radiofonia. Tuttavia, di fronte alle richieste d1 concessione per impianti [13] . 9ibliotecaginobianco

di radioaudizioni circolari, il primo Governo presieduto da Mussolni stimò opportuno affrontare la materia già regolata dalla legge del 1910 con nuove disposizioni. Il decreto che ne sortì (6) non recava, in complesso, grandi novità, se si toglie un certo, del resto ovvio, aggiornamento terminologico. Veniva ora riservato < allo Stato, nel Regno e nelle colonie dipendenti, a terra, a bordo delle navi ed aeronavi )) l'impianto e l'esercizio di stazioni di comunicazione per mezzo di onde elettromagnetiche senza l'uso di fili. Se la sostituzione di cc Stato )) a cc Governo )) non era casuale, il senso non poteva essere che la volontà di ribadire in modo ancor più solenne il concetto che le comunicazioni senza filo erario sottratte alla libera utilizzazione da parte dei cittadini. Riconfermata la facoltà del Governo di accordare concessioni a privati ed enti, il decreto stabiliva ch,e aa sospensione o la revoca di queste potevano essere decise ogni qual volta lo suggerissero cc gravi motivi di carattere militare o di sicurezza pubblica )). E' chiaro che, con quest'arma nelle mani del Governo, nessun gruppo ad esso ostile avrebbe potuto, anche disponendo dei mezzi materiali necessari, tentare di utilizzare lo strumento radiofonico. Strumento che, di fatto, non poteva a quel punto interessare le forze dell'opposizione, per la decisiva ragione che in Italia solo poche centinaia .di persone possedevano apparecchi riceventi. Il decreto, comunque, guardava con lungimiranza all'avvenire. L'operazione che creò le basi della radiodiffusione italiana, e ne determinò i tratti giuridici, politici ed economici essenziali, ebbe luogo nell'anno successivo. La legge del 1923, così com'era stata formulata, non escludeva un sistema di più società radiofoniche in concorrenza tra di loro. In vari punti accennava a <e concessionari )); in particolare, nelle norme che riguardavano le possibili vertenze, faceva espressamente il caso di <e piu concessionari )) di radioaudizioni interessati. E' appena il caso di notare che un siffatto sistema 110n sarebbe stato di per sè in contrasto con lo spirito autoritario della legge: la competizione economica sì sarebbe potuta tranquillamente accompagnare con la sottomissione politica. Era però in contrasto con le tendenze accentratrici del fascismo. D'altronde, il reperimento di capitali da investire nelle radiodiffusioni presentava in Italia difficoltà tutt'altro che trascurabili. (6) R. D. 8 febbraio 1923, n. 1067. [14J Bibiiotecaginobianco

L'immmobilizzazione di ingenti somme in un settore nuovo, e in un momento come quello, si prospettava come un'impresa piena di incognite. Questa situazione non solo non ostacolò, ma anzi facilitò al Governo il conseguimento dei suoi scopi nel campo della radiodiffusione. La relativa debolezza economica delle poche società aspiranti alla concessione gli consentì di influire sulla nascita delle radioaudizioni italiane in modo ancor più profondo di quanto non sarebbe stato possibile se vi fosse stato da affrontare esclus~vamente un problema di imposizioni giuridiche e politiche. Stando così le cose, il governo fascista trovò logico stabilire il principio che l'esercizio della radiodiffusione dovesse essere concesso in esclusiva. Attraverso il ministro delle poste Costanzo Ciano, si adoperò affinchè venisse costituita una società che desse piena garanzia di funzionalità e aderenza ai suoi disegni. Questa società, l'Unione radiofonica italiana, fu il risultato della fusione di due ditte che avevano da tempo avanzato richiesta di concessione: la Radiofono di Roma e 1a SIRAC di Milano (7). • (7) Uno dei protagonisti dell'operazione, il marchese Luigi Solari, vicepresidente dell'URI e per molti anni anche dell'EIAR, ha narrato da par suo la vicenda nel libro Swria della radio, Milano, Garzanti, 1945, pag. 365 e segg. Avendo presentato richiesta di concessione per conto della società Radiofono, « il ministro delle comunicazioni Costanzo Ciano - egli scrive - dopo aver considerato profondamente la questione, mi chiamò nel gennaio del 1924 e disse che il Duce avrebbe parlato al Costanzi in un'importante riunione: se riuscirete a far udire in tutta Italia per la prima volta il discorso del Duce, regoleremo equamente con la società Radiofono la concessione richiesta )>. Il racconto del discorso è un quadretto involontariamente gustoso dell'epoca. I preparativi furono laboriosi, in alcune città vennero collocati altoparlanti nelle piazze : « in un religioso silenzio si attese di udire la voce incisiva di Mussolini. Ed Egli iniziò il discorso dicendo: Camicie nere! Ma ahimè f, al telefono dell'apparecchio di controllo intesi: Ca ...ca...ca...mi ...mi ...mi ...cie...cie.._cie... Dooo inutili ve- .I. rifiche staccammo il microfono dalla linea per evitare una risata generale in tutta Italia... il fiasco era completo ». Tuttavia il Solari, che pensò subito ad un atto di sabotaggio, e i suoi soci, ebbero ugualmente, dopo una feroce lavata di capo di Ciano, la concessione richiesta. Per dare un'idea più completa di quel che erano i dirigenti dell'EIAR, aggiungeremo che il Solari, a pag. 372 del suo libro, parlando del fatto che l'Italia, alla fine degli anni '30, occupava ancora uno degli ultimi posti nella graduatoria della densità radiofonica in Europa, afferma che << tra i molti coefficienti, forse predomina quello dell'abitudine del popolo italiano di vivere molto all'aperto sotto il suo magnifico cielo )>. , [15] Bibliotecagi-nobianco

Nell'URI figuravano esponenti di interessi industriali del ramo elettromeccanico, inclusi alcuni rappresentanti di gruppi stranieri: tutte persone, naturalmente, di sicura sottomissione al fascismo (basti dire che l'operazione fu condotta e conclusa nel periodo, sotto molti aspetti critico per i fascisti, che seguì all'assassinio di Matteotti). La società ebbe la concessione in esclusiva quale vincitrice di una gara, indetta dal Governo, in cui era già stato tutto deciso in anticipo. Dopodichè fu il Governo a decidere, con apposito decreto (8), che cosa l'URI dovesse fare, e come lo dovesse fare. Venne stabilito il numero e il tipo delle stazioni trasmittenti, e in quali città dovevano essere impiantate; il contenuto dei programmi: « concerti musicali, audizioni teatrali, conferenze, prediche, discorsi, lezioni e simili, nonchè notizie )>, ma queste ultime da trasmettersi sotto speciali garanzie, di cui diremo tra poco; l'orario dei programmi, con l'obbligo di riservare due ore al giorno ai comunicati governativi; il permesso di svolgere servizio di pubblicità, ma con l'onere di versare allo Stato il 50% dei relativi proventi; l'obbligo di garantire l'italianità dell'URI mediante l'emissione di « azioni di serie A )), per il 55 % del capitale, e e< azioni di serie B >) per il 45 %, queste ultime soltanto cedibili a stranieri; il « gradimento del Governo >> alla nomina del presidente della società; l'obbligo dell'URI di provvedersi dall'industria italiana dei materiali e dei pezzi occorenti per gli impianti. In questo regime di ferreo controllo governativo, il vantaggio dell'URI consisteva non soltanto nella facoltà di accettare pubblicità a pagamento, ma anche nel diritto di riscuotere un canone annuo da tutti ì possessori di apparecchi riceventi. Due fonti di entrata che gli altri Paesi hanno ritenuto tra loro incompatibili, ma che il Governo fascista, sin dall'inizio incurante degli interessi degli utenti, non esitò un istante a garantire agli azionisti dell'URI. Se questo era, almeno in teoria, il guadagno della società radiofonica, per l'industria elettromeccanica c'era, com'è stato notato (9), la garanzia d'essere l'unica fornitrice dell 'URI, a dispetto dei prezzi più alti e della minor esperienza in paragone all'industria straniera. Un'operazione, quindi, completamente vantaggiosa per il fascismo, che si (8) R. D. 14 dicembre 1924, n. 2181, relativo alla concessione dei servizi radioauditivi circolari alla società anonima URI. (9) Arturo Gismondi, La radiotelevisione in Italia, Editori Riuniti, 1958, pp. 11-12. [16] Bibliotecaginobianco

àssicurava uho strumento di propaganda e di pressione psicologica suscettibile di notevoli sviluppi, e al tempo stesso legava a sè strettamente non solo gli azionisti dell'URI, ma anche un settore quanto mai bisognoso di favori e spinte com'era quello elettromeccanico. Le notizie, abbiamo accennato sopra, potevano essere diffuse solo sotto speciali garanzie. Queste garanzie consistevano nel visto dell'autorità politica locale: « a tal uopo, a spese della società, un funzionario competente potrà essere distaccato presso gli uffici trasmittenti )), precisava l'art. 13 del decreto. Il visto preventivo non occorreva però allorquando le notizie erano fornite dall'agenzia autorizzata dal Governo. In questo modo il controllo governativo sui notiziari era totale: nessuna notizia sgradita al nascente regime poteva raggiungere i microfoni della radio. Era, alla fine del 1924, una sintomatica anticipazione dello spirito delle leggi eccezionali. Naturalmente, in paragone alle altre di quegli anni, questa fu un'operazione minore del fascismo. Per lungo tempo l'efficacia del nuovo strumento incontrò un limite decisivo nel bassissimo tenore di vita della grande maggioranza degli italiani. Gli abbonamenti non erano certamente regalati: il canone annuo partiva da 20 lire per apparecchio ad una valvola per salire fino a 180 lire per apparecchio a cinque valvole. Inoltre le zone servite dalla radio corrispondevano ad una modesta parte del territorio nazionale. Infine molti comuni rurali di queste stesse zone erano ancora privi di impianti elettrici, e restavano così automaticamente esclusi dalle radioaudizioni. Non sorprende, quindi, che nel 1927 gli abbonamenti, tra privati e speciali (esercizi pubblici, circoli, ecc.) ammontassero a poco più di 40.000 (10). Basti un solo confronto: l'Inghilterra, con una popolazione appena più numerosa di quella italiana, contava nello stesso anno oltre 2.250.000 abbonati alla radio (11). Questo stato di cose è alla base della riforma decisa dal Governo fascista nel 1927, e attuata per mezzo di un nuovo decreto (12). L'intenzione di « potenziare )) lo strumento radiofonico, per ampliarne l'influenza, aumentarne il prestigio e renderlo più attivamente fascistico, appare evidente in quelle disposizioni. (10) Cfr. Gli abbonamenti alle radiodiffusioni nel 1957, edito dalla RAI, parte III, « Confronti storici », pag. 89. (11) Cfr. BBC Handbook 1959, London) BBC, pag. 206. (12) R. D. Legge 17 novembre 1927, n. 2207. ' [17] - ibliotecaginobianco

L'URl, anzitutto, venne trasformata in uno « speciale ente ))' l'Ente italiano audizioni radiofoniche. Giuridicamente restava una società per azioni, e finanziariamente continuava ad essere un affare privato: la « .specialità )) gli derivava dall'inserimento nel Consiglio di amministrazione di quattro delegati del Governo. Oltre a istituire questo controllo dall'interno, il -decreto procurò di rendere più funzionale, dal punto di vista fascista, il controllo politico-ideologico dall'esterno, e a questo fine creò un Comitato superiore per la vigilanza sulle radioaudizioni circolari. La composizione del Comitato è uno specchio significativo dell'Italia fascistizzata. Ne facevano parte, oltre ai rappresentanti dei costruttori e dei commercianti di materiali radioelettrici, delegati della Confederazione del1 'industria del teatro e del cinema, della Confederazione degli agricoltori, dell'Opera nazionale dopolavoro, dei sindacati fascisti degli scrittori, musicisti e giornalisti, degli Enti locali, del Consiglio superiore della pubblica istruzione, del _Consiglio superiore delle antichità e belle arti, e alcuni esperti a titolo individuale. Tutt~ erano nominati dal Capo del Governo su proposta del ministro delle comunicazioni. Il Comitato doveva riferire al Governo sull'andamento delle radiodiffusioni, e fungeva da consulente per tutta la materia radiofonica. Nuove misure in campo finanziario 1nirarono ad un più rapido sviluppo delle radiodiffusioni. Il decreto introduceva una tassa su tutti i materiali radioelettrici venduti in Italia, dei proventi della quale veniva destinato all'EIAR ben il 90%. Come se ciò non bastasse, a tutti i Comuni con popolazione superiore ai 1.000 abitanti veniva fatto obbligo di corrispondere un contrib11to annuo fisso all'ente. Un analogo contributo obbligatorio veniva imposto anche agli alberghì, agli stabilimenti termali e balneari, ai cinematografi, e simili. Non stupisce che gli utili denunciati dall'EIAR compiano tra il 1927 e il 1928 un netto balzo in avanti (13). Con il 11uovo afflusso di entrate garantite dallo Stato non poteva andare diversamente. Regolato così questo essenziale aspetto, il Governo, nel capitolato d'oneri annesso al decreto, disponeva alcune importanti modifiche nella situazione azionaria dell'EIAR. Tra il 1 ° gennaio e il 31 dicembre 1928 l'EIAR era tenuto ad aumentare il suo capitale da 6.200.000 a 10.250.000: (13) Arturo Gismondi, op. cit., pag. 17. [18] Bibiiotecaginobianco

e ciò mediante l'emissione di nuove azioni da offrirsi ai vecchi soci - esclusi quelli stranieri, definitivamente e formalmente estromessi dall'ente - e ad alcuni gruppi tassativamente specificati. Questi gruppi comprendevano i costruttori e i commercianti di materiale radiofonico, le imprese venditrici e utilizzatrici di impianti elettrici, i proprietari di teatri, gli editori musicali, il sindacato dei giornalisti, la Società degli autori, i radiodilettanti. Erano in parte le categorie e gli enti chiamati a controllare, attraverso il Comitato superiore di vigilanza, l'attivita dell'EIAR. Ora ne diventavano anche azionisti, quasi a beffarda dimostrazione che la legge può benissimo fare a meno della logica giuridica piu elementare, quando abbia per sè il sostegno della forza e dell'interesse economico. Beninteso, anche in altri Paesi gli interessi dell'industria radioelettrica erano presenti e operanti nella radiodiffusione: ma senza alcun potere, tanto 1neno formale, di controllo extra.finanziario i11 no1ne dell'interesse pubblico. In Inghilterra la BBC era stata creata dai fabbricanti di apparecchi radiofonici, ma il controllo, ovviamente, era stato sempre esercitato dal Parlamento e dal Governo; ed anzi, proprio nel 1927, nell'intento di recidere alle radici ogni possibilità di conflitto tra l'interesse pubblico e quello privato, il Parlamento deliberava la trasformazione della BBC in ente pubblico dotato di uno statuto che gli garantiva la massima autonomia. Il capitolato stabiliva inoltre che la nomina del presidente e del consigliere delegato dell'EIAR doveva essere approvata dal Capo del Governo. Però « tanto la nomina di cui sopra, qt1anto la partecipazione dei consiglieri di nomina governativa non im.plicano alcuna responsabilità da parte dello Stato, neppure in relazione all'andamento dell'azienda)): dichiarazione che, dato il sistema instaurato, dovrebbe suscitare soltanto divertimento, se non si dovesse constatare che essa è sopravissuta, appena con lievi modifiche formali, alle successive riforme, ed è tuttora in vigore (14). I tratti essenziali di questo ordinamento rimasero praticamente immutati per tutto il resto del ventennio. Alla radio era toccata la ventura di nascere, come servizio pubblico, con il fascismo al potere : ed esso aveva potuto sin dall'inizio foggiarla a sua immagine e somiglianza. Dopo il 1928 la radiodiffusione dimostrò di essere, dal punto di vista fascista, uno strumento perfetto e prezioso. L'incremento degli abbonamenti risultò (14) Cfr. art. 6 dellJ citat~ Convenzione del 1952 tra lo Stato e la RAI. [19] · ibliotecaginobianco

tostante : non vertiginoso come negli altrì Paesi europei, ma tale comunque da permettere alla radio di integrare proficuamente le altre forme di propaganda del regime. Il basso livello dei programmi fino all'ultimo corrispose esattamente al basso livello morale e civile della società italiana fascistizzata. Ma questo aspetto ora non interessa: resta invece da accennare ad un avvenimento che, pur senza modificare la cornice giuridica esterna delle radiodiffusioni, introdusse un ulteriore elemento pubblicistico nell'ente radiofonico, destinato ad avere importanti sviluppi molti anni più tardi. In seguito ai contraccolpi che la grande crisi economica internazionale aveva prodotto in Italia, il pacchetto di maggioranza dell'EIAR era passato alla società elettrica SIP. Nel 1933, a conclusione di una complicata vicenda, lo Stato, attraverso l'IRI, venne in possesso del pacchetto azionario di minoranza della SIP. Il fatto non ebbe conseguenze visibili, se si toglie la· riduzione - resa opportuna dalla semplifìcazione della situazione azionaria - dei consiglieri nominati dall'assemblea da 20 a 11, re.. stando 4 quelli di nomina governativa. Ma per effetto di esso cominciò a prender corpo un interesse finanziario dello Stato come azionista, attraverso l'IRI e la SIP, dell'EIAR; interesse 11ettamcnte distinto da quello dello Stato come percettore di un canone annuo del 3,5 % su tutti gli introiti lordi dell'ente. Una sitt1azione cl1e riuscirebbe probabilmente incomprensibile fuori d'Italia, e che comunque, ignorata dai più, si e trascinata per lungo tempo, e in un certo senso si è consolidata. L'attuale siste1na legislativo La nuova legislazione radiofonica e, per automatica estensione, televisiva dell'Italia democratica è imperniata su due provvedimenti: il decreto 3 aprile 1947, n. 428, modificato dal decreto 23 agosto 1949, n. 681; e la Convenzjone tra la RAI e lo Stato del 26 gennaio 1952. La legge del 1947 conferma, in modo implicito, il principio della concessione in esclusiva dell'esercizio radiofonico; e conserva all'ente concessionario la forma di società per azioni già dell'EIAR, lasciando in1mutata la situazione sociale. La vigilanza e il controllo tecnico sugli impianti e i servizi sono affidati al Ministero delle poste e telecomunicazioni, i] quale l20J Bibliotecaginobianco

decide anche circa i progetti dell'ente in materia di nuovi impianti e di nuove stazioni (art. 1). Accanto al Ministero delle PP. TT. compare per la prima volta il Ministero della pubblica istruzione; di concerto con i due, il Presidente del Consiglio dei ministri nomina il presidente del « Comitato per la determinazione delle direttive di massima culturali, artistiche, educative, ecc., dei programmi di radiodiffusione circolari e per la vigilanza sulla loro attuazione >) ( art. 8). In concreto il Comitato deve dar parere circa il piano trimestrale dei programmi elaborato dalla RAI, che spetta al Ministero delle PP. TI. di approvare. Fanno parte del Comitato delegati di questo Ministero, del Ministero della pubblica istruzione, del Consiglio superiore della pubblica istruzione, dell'Accademia dei Lincei, delle organizzazioni degli scrittori, dei musicisti dei diversi generi, degli autori drammatici, della Società degli autori, delle organizzazioni dei maestri e degli insegnanti delle scuole secondarie, dell'Ente Nazionale del Turismo, e tre utenti privati, designati dalle relative organizzazioni e, in mancanza, dal Ministero delle PP. TT. Il Comitato è il successore del Comitato superiore di vigilanza creato dal fascismo. La composizione però, come si vede, è molto diversa: sono scomparsi gli esponenti degli interessi economici (oltre, ovviamente, quelli delle organizzazioni fasciste), e largo posto vien fatto ora ai rappresentanti del mondo della scuola e della cultura. Tuttavia questo Comitato resta un organo ministeriale, che in pratica si confonde con gli altri organi del Ministero delle PP. TT., e non ha poteri di decisione autonoma. La partecipazione dei rapprese11tanti degli utenti, inoltre, è puramente teorica, dal momento che non sono state riconosciute le associazioni che si sono costituite. Un solo caso può dare un'idea della situazione, a questo proposito: uno degli attuali membri del Consiglio di amministrazione della RAI, il prof. Giampietro Dore, ha fatto parte del Comitato per alcuni anni come rappresentante degli utenti privati. L'attività del Comitato dovrebbe essere affiancata, secondo la legge, da quella di una serie di Commissioni da istituirsi presso le stazioni trasmittenti. Ad esse spetterebbe la vigilanza tecnica sugli impianti e i servizi, e la sorveglianza sull'esecuzione del piano trimestrale dei programmi approvato dal Ministero. Ne dovrebbero far parte un delegato ministeriale tecnicamente qualificato, un « competente di arte ,J designato dal Sindaco .della città ove è posta la stazione, e un utente designato dalle associazioni \ (21] Bibliotecag·inobianco

I relaive, e anche qui, in mancanza, dal Ministero delle PP. TT. (15). Delle poche Commissioni istituite non si è più sentito parlare: questo è sicuramente un punto della legge destinato a restare inapplicato. Ma la grande novità della legge del 1947 è l'istituzione di una Commissione parlamentare incaricata di esercitare « l'alta vigilanza per assicurare l'indipend~nza politica e l'obbiettività informativa delle radiodiffusioni )) (art. 11). I 17 membri inizialmente previsti, tutti deputati, sono stati portati nel 1949 a 30, 15 per ciascun ramo del Parlamento. La designazione è fatta dai Presidenti della Camera e del Senato, in modo che siano proporzionalmente rappresentati tutti i gruppi parlamentari. La Commissione trasmette le sue deliberazioni alla Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale << deve impartire al Presidente dell'ente concessionario le disposizioni necessarie per curarne l'esecuzione e deve informare il Ministero delle PP. TT. )) (art. 13). Le norme interne per il funziomento della Commissione sono emanate di concerto dai Presidenti delle dt1e Camere (art. 14). L'art. 16 della legge stabilisce che « per la trasmissione di informazioni di carattere politico-militare o di notizie attuali di carattere finanziario ed economico capaci di pregiudicare i rapporti inter11azionali, il credito dello Stato o interessi di carattere generale, l'ente concessionario può preventivamente interpellare la Presidenza del Consiglio dei ministri, e in tal caso deve osservarne le istruzioni )). Nei casi di inadempienza degli obblighi impostigli dalla legge il Ministero delle PP. TT. può applicare all'ente una penale. In caso di recidiva in gravi inadempienze, il Consiglio dei ministri può disporre la revoca della concessione, sentita la Commissione par lamentare se le inadempienze investono il lato politico delle trasmissioni, o il Comitato di vigilanza, se ne investono il lato culturale e artistico. La legge del 1947 è stata integrata, il 26 gennaio 1952, dalla già menzionata Convenzione tra lo Stato e la RAI, che contiene varie disposizioni (15) Anche di queste Commissioni locali c'è il precedente fascista. A norma dell'art. 6 della Legge 14 giugno 1928, n. 1352, contenente disposizioni per la radiodiffusione di esecuzioni artistiche, dovevano essere costituite in tutte le città sedi di stazioni trasmittenti, commissioni « di vigilanza >> composte da: 1) un artista nominato dal podestà della città; 2) un tecnico radioamatore; 3) un funzionario tecnico del ministero competente. [22] Bibliotecaginobianco .

importanti. L'art. 1 estende la concessione in esclusiva accordata alla RAI ai servizi televisivi, e vieta le subconcessioni. L'art. 3 stabilisce che la maggioranza assoluta delle azioni deve passare in titolarità all'IRI, e ad esso va intestata. Queste azioni possono essere trasferite solo allo Stato o a un Ente pubblico nazionale, e sono negoziabili solo all'interno della Repubblica. Per effetto di questa norma, la partecipazione della SIP viene ridotta ad una relativamente piccola percentuale; quote minime restano nelle mani di alcuni privati sopravvissuti alle varie trasformazioni interne (16). Viene stabilito che del Consiglio di a1nministrazione dell'ente fanno parte sei membri designati rispettivamente dalla Presidenza del Consiglio e dai Ministeri degli esteri, dell'interno, del tesoro, delle finanze e delle PP. TT.: essi non debbono necessariamente essere funzionari statali. Il Collegio dei sindaci deve essere presieduto da un funzionario della Ragioneria generale dello Stato (art. 5). La Convenzione stabilisce anche che la nomina del presidente, del consigliere delegato e del direttore generale della RAI deve essere approvata con decreto del Ministro delle PP. TT., sentito il Consiglio dei ministri : ossia, è tfatta dal Consiglio dei ministri. Tuttavia - come abbiamo visto prima - la predetta approvazione e la partecipazione dei consiglieri e del sindaco di nomina governativa all'amministrazione della società « non implicano alcuna responsabilità da parte dello Stato )) (art. 6): una precisazione che, se suonava eccessiva e ridicola in rapporto ad un sistema come quello creato dal fascimo, oggi appare semplicemente priva di riferimento alla realtà, poichè o come controllore o co1ne controllato - ossia come proprietario, attraverso l'IRI, della RAI - lo Stato è inevitabilmente responsabile. La RAI, se richiesta, deve mettere a disposizione del Governo fino a due ore al giorno, escluse quelle dei programmi serali, le stazioni di radiodiffusione per i comunicati ufficiali. Su richiesta del Governo è tenuta altresì a prestare la sua opera per « manifestazioni di interesse generale o collettivo )): queste prestazioni possono essere richieste fino a tre volte la settimana, e anche più spesso, ove ricorrano « speciali esigenze )) (art. 18). L'art. 20 conferma la facoltà .del Ministero dell'interno di modificare (16) Cfr. l'articolo di Ernesto Rossi: « L'alta vigilanza))' nel Mondo del 6 gennaio 1959. (23] ibliotecag.inobianco

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