Nord e Sud - anno V - n. 45 - agosto 1958

Rivista mensile diretta da .Francesco Compagna ANNO V * NUMERO 45 * AGOSTO 1958 Bibloteca Gino Bianco

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Rivista mensile diretta da Francesco Compagna I Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO Editoriale [ 3] La Redazione Democrazia Cristiana 1958 [5] Rosario Romeo Problemi dello sviluppo capitalisticoin Italia . dal 1861 al 1887 [23] N.d.R. Giovanni Terranova Salvatore Cafiero Ennio Ceccarini R·oberto Berardi Vittorio de Caprariis GIORNALEA PIÙ VOCI Ambiguità socialista [58] Considerazioni sulla Comunità Economica Europea [ 61] La depressione civile f 681 Vn altro documento. di guerra [71] Storia contemporanea nelle scuole medie· francesi [74] Ancora sul problema degli apparati [77]. RASSEGNE Giovanni Giudici Zivago in Italia [83] SCHEDE Fabio Fabbri La legge sulla montagna [ 109] Aldo Durante Aspetti meno noti della riforma agraria [1161 RECENSIONI Vittorio de Caprariis La Sinistra italiana [ 124] Una copia L. 300 • Estero L. 360 DIREZIONE E REDAZIONE: Ahbonamentis Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918r Italia annuale L. 3.300 SEDE ROMANA: semestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti sul C.C.P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore • Milano Bibloteca Gino Bianc·o Via Mario dei Fiori, 96 • Telefono 687.771 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 85.11.40

, Editoriale L'on. Pella ha dichiarato di votare la fiducia a questo governo solo per disciplina. Il sen. Sturzo ha scritto articoli e ha pronunciato un discorso decisamente ostili·alla formula della maggioranza su cui si regge il governo dell'on. Fanfani. I giornali pi·ù direttamente infiuenzati dalla Confindustria, con esemplare tenaci·a,cercano di· fruttare ogni occasione per determinare ttna frattura nella esigua maggioranza del governo· e premono perciò sia . direttamente sulla destra democristiana, sia indirettamente sulla sinistra socialdemocratica. Non siamo che agli inizi, probabilmente. E tuttavia, basterebbero qtteste indi'cazioni - Pella, Sturzo, i giornali pi·ù direttamente infiuenzati dalla Confindustria - a conferire una impronta democratica al governo dell'on. Fanfani; il quale, se non altro, ha il merito di aver tagliato fuori sia qùella parte dell'estrema destra,.il cui ruolo parlamentare, con il governo dell'on. Zoli, era diventato determinante, si·a quell'altra parte dell'estrema destra che tanto aspiravaad assumere essa un ruolo determinante. Questo per non parlare di Malagodi e dello stesso Pella, l'uomo del discorso,del Campidoglio e del neoatlantismo, che mai, dopo i suoi trascorsi del 1953, avrebbe dovuto più mettere piede a Palazzo Chigi e che è divenuto ora, con disinvoltura tutta nostrana, il primo della classe in fedeltà alla politica atlantica, con uno zelo sulla cui genuinità è doveroso avanzare qualche dubbio. Ora,con un governoche, in partenza, ha rotto e ha rifiutato ogni compromissione con l'estrema destra monarchico-!ascista, e con i rappresentanti della destra economica, si possono oggi nutrire molte speranze o, temere altrettante delusioni. C'è comunque un largo e autorevole fronte della pubblicistica politica italiana, laica e cattolica, che potrebbe assolvere a una [.3] iblotecaGino Bianco

fu1izione fondamentale assumendo un atteggiamento di vigilanza, anche allo scopo di rafforzare la capacità di resistenza del governo nei confronti delle forze di destra - palesi e occulte - le qucdi non lasceranno nulla di intentato per rovesciare la situazio ne parlamentare che si è creata. Se poi tale atteggiamento dovrà essere di o pposizione vigilante o di appoggio tligi~ tante lo si potrà dire meglio fra qualche niese, quando cioè si potrà esprimere un giudizio, oltre che sulla formula e sul programma, anche sulla attività del governo" Per quanto ci riguarda più da vici no diremo inta1ito che gli interven ti nel Mezzogiorno rapprese11tano a ncora un banco di prova decisivo per i governi democratici; e che dopo il 25 maggio è lecito attendere una nuova e vigorosa spinta alla politica meridio nalista. L'on. Scelba in itn discors o alla Camera di cui ci spiace dover dire che esso ha allineato il suo autore, alme11,0 formalmente, con l'on. Pella e co n il sen. Sturzo, dai quali, invece , e specialmente dal primo, l'antifasci sta Scelba, a nostro giudizio, sos tanzialmente ancora si distingue - ha deplorato che fra i Ministri de l Comitato interministeriale per il Mez.zogior no non siede neanche un merid ionale. Vero o non vero, non ci interessa. Siamo d'accordo con l'on. Fanfani : pensiamo, infatti, che, « trattandosi di un problema così ser io come quello della formazione e dell'efficienza dei g overni> sia l'ora di smetterla con questi dosaggi su base campanilistica e r egionalistica>>.Anzi, l'ambiente meridionale è quello che è; e più libero nei suoi confronti è certamente un ministro che viene << dal di fuori >>. Come ministro alla Cassa per il Mezzogiorno è venitto dunque l'on. Pastore: forse la designazione dell' on. Colombo, al quale avevamo p ensato con fiducia, sarebbe stata preferibile; ma certo non sarebbe stata pref eribile la designazione di uno quals iasi dei notabili meridionali della D.C. Si sono anzi fatti 1nolti nonii, ai quali avevamo pensato con sfiduc ia. Attendiamo quindi alla prova l'on. Pastore, e auguriamoci di poter presto· esprimere il nostro consenso con la sua azione che, se veramente decisa e conforme alle aspettative, incontr erà certo non poche opposizioni, anche e soprattutto nel Mezzogiorno. [4] Bibloteca Gino Bianco

• Democrazia Cristiana 1958 de la Redazione È opinione diffusa che la maggiore se non l'unica responsabilità della precarietà della vita politica italiana per gli anni tra il 1953e il 1958 sia da ? ....... . . ·~ attribuir_e alla Democrazia Cristiana, la quale, pur essendo il partito di mag ... gioranza relativa, non ha saputo, durante tutta la seconda legislatura, v.olere 11napolitica coerente ed organica, non ha voluto assumere posizioni univoche ed ha preferito nascondersi dietro l'alleanza coi laici, quasi per consumarli. E si è osservato da qualcuno che se una parte di un tale giudizio è vera, se ne può e se ne deve indicare la ragione principale nel divario che si sarebbe cominciato a creare per la prima volta appunto nel 1953 tra governo del paese e «governo>> del partito di maggioranza relativa ...Fino al 7 giugno Alcide De Gasperi aveva riunito i due «governi» nelle sue mani: anche(~ se alla segreteria della D.C. erano altri uomini, il suo prestigio nel paese appariva tale da farlo considerare, senza discussione alcuna, come l'uomo più eminente del cattolicesimo politico italiano. Dal 7 giugno in poi questa unione personale venne meno, e si accrebbero naturalmente le possibilità di frizioni tra gli uomini che erano al governo del paese e quelli che erano al << governo » del partito, con la conseguenza di crisi gravi anche se non sempre 1nolto appariscenti. ~ In una tale diagnosi v'è certamente qualcosa di esatto; ma questo qualcosa va congiunto con considerazioni più vaste. L'incertezza e lo smarrimento dell'intera D.C. all'indomani del 7 giugno, la lotta di uomini e di correnti, il comporsi, lo scomporsi e il ricomporsi di alleanze all'interno del partito, a cui si è tentati bene spesso di dare motivazioni esclusivamente personalistiche, tutto ciò era in realtà .il segno di una crisi più vasta e grave, che ha tormentato i democristiani negli anni in questione, una [S] Bibloteca Gino Bianco

crisi da cui essi hanno tentato ad ogni costo di uscire e da cui, in ce rto modo e per certi versi, sono usciti; una crisi finalmente che dà conto di come la D.C. del 25 maggio 1958 sia diversa, nel male come nel bene, dalla D.C. del 7 giugno_ 1953. I Cattolici devono ammettere - e quelli più intelligenti e spregiudicati ammettono - l'estraneità almeno relativa del cattolicesimo alla vita po litica italiana fino al 1919; e devono ammettere la singolare estraneità che lo stesso Partito Popolare, c1lmeno nell'ala più rigorosamente sturziana, eb be nei confronti dello Stato liberale. Appunto Luigi Sturzo potè dire ch e i popolari non si riconoscevano nello Stato liberale, e magari pensò, prima di accorgersi che la minaccia era uguale per tutti, che la distruzione di que llo Stato poteva perfino. essere un vantaggio. Anche se i leaders della D.C. ' ~ll'indomani del 1943 non parvero preoccuparsi molto di definizioni ideologiche, nel partito cattolico italiano restava l'eredità del P.P.I., resta va, cioè, quell'opacità nei confronti dello Stato, quella difficoltà a sentirse ne interamente rappresentativi .e comunque ad esserne partecipi allo ste sso pieno diritto degli altri, che avevano impacciato i popolari. Il ritmo f renetico della lotta politica fino al 1948 impedì che questo problema si ponesse come problema centrale della D1.C. (e, date le proporzioni di questa, come problema, piaccia o no, nazionale); i risultati della <<gran de paura » del 18 aprile, col dare una soverchiante maggioranza ai cattolici., / sfumarono di nuovo, seppure in maniera diversa, i termini della questione . Proprio perchè era stato per così dire plebiscitato, il partito democristia nn vedeva come cadere quel diaframma che s'era frapposto sempre tra se stesso e lo Stato, e quest'ultimo non era più un oggetto irraggiungibil e, insieme desiderato e detestato, ma una cosa posseduta. Certo la rapprese n~ tatività era precaria per la sua natura intrinseca; ma era un fatto: dal momento che lo « tenevano >>i cattolici potevano fare a meno di << occu .. pare » lo Stato. Semmai si poneva un problema di acclimatazione, di lenta conversione: la concreta direzione degli affari avrebbe dato ai democ ristiani quel senso delle istituzioni statali di cui mancavano; ed alla f ine essi sarebbero stati gli uguali di coloro che <<sapevano>>lo stato per d ottrina e per tradizione. E De Gasperi, consapevole delle difficoltà, con sapevole di quanto fosse gravoso il compito che era innanzi a lui e del pericolo per il paese nel dare a11chesolo l'impressione esterna di un gover no di soli cattolici, quasi che la scissione antica si ripetesse (oltre che p er [6] Bibloteca Gino Bianco

comprensibile accorgimento di uomo di parte che non volle caricare tutta sul suo partito l'inevitabile impopolarità del governo). diede inizio a quella pratica di alleanze di cattolici e laici che doveva dimostrarsi assai più duratura di quanto molti non sospettassero. In questo atteggiamento .di De Gasperi gli avversari all'interno del partito vedevano come una « rinuncia » definitiva: la rinuncia, cioè, del cattolicesimo politico italiano ad essere conseguentemente se stesso, a tenere coerentemente fede alle sue matrici ideologiche ed etico-religiose, a rico... struire la società italiana secondo lo spirito e la lettera dei dettami della ideologia democristiana, alla rara occasione di costruire in terra una << città » che fosse il più vicino possibile a quella celeste. Dove l'accusa a De Gasperi e ai suoi più stretti collaboratori ed amici di confondere il partito e con esso l'esigenza cristiana nello Stato, e perciò di non costruire veramente i] partito ed anzi di tentare di distruggerlo come entità omogenea, distruggendo insieme la possibilità dell'autentica impronta cattolica, era un'accusa, dato il programma finale di chi la muoveva, meramente strumentale, e che acquistava risalto solo perchè quello Stato con cui il partito si sarebbe confuso non corrispondeva all'ideale dello stato cristiano. Non si respingeva l'adaequatio intellectus et rei, ma il tipo di res cui si stava adeguando o si voleya adeguare I'intellectus cattolico. Certamente nel degasperismo v'erano motivi di giolittismo deteriore, v'era il gusto della combinazione e della piccola manovra, la tentazione ·continua di scegliere la via della facilità evitando per il possibile le difficoltà, anche quelle necessarie: ma esso non si esauriva in ciò. V'era in De Gasperi l'impegno ad una trasformazio11e strutturale della vita economico-s.ociale italiana, o almeno l'attitudine a far proprio un simile impegno quando era fatto valere da altre formazioni, dalle formazioni laiche del centro sinistra ad esempio, di cui egli cercava l'alleanza politica. E soprattutto quel deludente (per taluni ambienti democristiani) rinviare all'infinito il problema della definizione del partito, quella continua ricerca dell'alleanza laica, erano espressioni non soltanto di tatticismo spinto ali' estremo, di volontà di evitare la scelta, · ma soprattutto di un autentico programma politico. Tutto ciò era neces- i sario ·perchè quando nel paese v'erano forze che minacciavano il regime, i 1 cattolici dovevano essere sorretti dai laici nel difendere il regime stesso (e del resto non avrebbero certo fatto un .buon affare i laici, a lasciare ai soli democristiani il merito della difesa della repubblica democratica); e I [71 T Bibloteca Gino Bianco

1 perchè quella pareva la strada più breve per radicare profondamente i catl tolici nello Stato italiano e lo Stato nella coscienza dei cattolici. · La sconfitta del 7 giugno 1953sembra mettere in dubbio ogni cosa: non è solo il ridimensionamento del partito, è il fallimento di un programma che si voleva, come si è visto, assai più ambizioso di quel che molti sospettassero, è, insomma, la crisi della Democrazia Cristiana tutta intera. Vi sono doveri di governo che si impongono in una situazione come quella italiana ad un partito come la D.C. anche dopo una cocente sconfitta: l'ottavo ministero De Gasperi ne è l'espressione. Pure la soluzione che il vecchio leader aveva adottata era la peggiore di tutte: un governo monocolore che si rifiutava di scegliere per evitare di impegnarsi; un governo, cioè, che manteneva certi aspetti deteriori della tattica degasperiana (la continua 1 premura a coprirsi sulle ali, anche quando non pareva necessario, e la conseguente polivalenza) e che si riprometteva di :riprendere poi i suoi tempi più vitali, magari sul piano della politica delle cose. Ma la larvata apertura a destra comprometteva appunto ogni possibilità di ripresa, poichè uccideva politicamente la formula come formula democratica. Era tuttavia destino di Pella, con il generico qualunquismo del ·programma della normale amministrazione e col nazionalismo retorico, condurre a termine l'esperimento e dare agli altri il tempo dell'analisi critica. Ma una parte del vecchio gruppo degasperiano si riteneva già appagata e considerava l'esperimento Pella come la manovra di avvicinamento tattico verso un governo dichiaratamente appoggiato ai monarchici. Andreotti, ad esempio, che era vissuto anni accanto a De Gasperi come il famulo 'Nagner accanto a Faust, imparando, cioè, la tecnica politica degasperiana, assimilandone anche i dati più esteriori del programma, ma non comprendendone affatto l'ideologia e non sospettando che dietro la tattica v'erano i problemi che era sempre necessario intendere e risolvere; Andreotti proponeva l'apertura a destra. Ma questa poteva risolvere il particolare tecnico della maggioranza parlamentare, non risolveva il problema della Democrazia Cristiana come partito, e come partito nello Stato italiano, che lo scacco del 7 giugno aveva riproposto drammaticamente; o anzi lo risol- , veva nel modo più sfavorevole: la D.C. diventava un partito che da sè si <<prestava» ora a questo ora a quello, diventava la gallina che cova le 11ovadegli altri o, se si preferisce, un amministratore degli affari altrui. Il famulo Wagner poteva condurre a termine una manovra di corridoio, [8] Bibloteca Gino Bianco

, ma dimostrava di non avere l'intelligenza dei problemi di fondo del partito e del paese. Contemporaneamente Scelba e qualche altro notabile del partito, ritenendo di essere i più fedeli interpreti della formula degasperiana, proponevano l'alleanza quadripartita e riuscivano a dar vita ad un governo qua-· dripartito. E a questo modo ritenevano non solo di aver risolto il problema tecnico della maggioranza e quello politico della formula di governo, ma anche di aver dato risposta agli interro1 gativi che tutti si erano posti sulla fisionomia e il destino del partito. Il centrismo degasperiano era - essi pensavano - perpetuato; la Dem·ocra21ia,Cristiana si garantiva una situazione di governo ancora migliore di quella degli anni precedenti il '53, poichè riusciva a tener imbrigliati insieme liberali e socialdemocratici; il famoso interclassismo cattolico rimaneva un rispettato tabù. Natural- ! mente Scelba e i notabili non avevano riflettuto affatto che un simile schieramento andava benissimo come schieramento di battaglia elettorale, valido perciò per uh tempo limitato e ad og11imodo snodato nelle sue articolazioni in maniera da lasciare ogni partecipante al cartello relativamente \ libero; ma non funzionava affatto come formula di governo, che è cosa per natura sua piuttosto rigida. De Gasperi con la legge degli apparentamenti si era data una destra e una sinistra tra cui scegliere: questo disegno, 2 · che scandalizza ancora molti suoi critici, i quali vi vedono la prova definitiva della pravità delle sue intenzioni, era in realtà la condanna avanti lettera del quadripartito. Egli era infatti politico troppo accorto e troppo avvezzo a misurare le ripercussioni meno vicine di un atto, per non comprendere che anche il governo Scelba era labile poichè la quadratura del circolo non s'era raggiunta affatto: il centrismo da politica di progresso sarebbe decaduto ad immobilismo. L'involuzione conservatrice del Partito Liberale da sola doveva essere sufficiente ad eliminare ogni dubbio in proposito. E non si può dire che una tale involuzione fosse imprevedibile al momento della formazione del governo quadripartito: affermare ciò è ancora una volta farsi affascinare da un'interpretazio~e polemica e non guardare alle forze obiettive, non guardare, cioè, a quello che il Partito Liberale era stato dal 1944 in poi (del res.to non aveva una volta lo stesso De· Gasperi messo i liberali fuori del governo?). E soprattutto la logica della sopravvivenza come partiti doveva costringere liberali e socialdemocratici, in un simile governo, ad accentuare ognuno i caratteri suoi [9] Bibloteca Gino Bianco

, piuttosto che a smussare gli angoli, e dunque a portare il governo sempre .al l,imite dell'esplosione; il che vuol dire, in persone determinate ad evitare l'esplosione, al limite dell'immobilismo. Non solo: ma una simile formula supponeva che lo stesso partito de- ·mocr.istianoaccettasse di restar fermo allo stato larvale, chiuso per quattro anni nel guscio di una polivalenza tattica che fatalmente gli proibiva tutte le posizioni di punta, tutte le affermazioni programmatiche, e che quindi ne impediva la crescita; e proprio nel momento in cui il problema del partito si riproponeva a tutti con particolare acutezza. Col governo dei ·11otabilii demiurghi diventavano troppi per poter essere pazientemente sopportati; tanto più che proprio nello stesso momento il demiurgo più grande di tutti, De Gasperi, rovesciava la sua posizione tradizionale e si poneva il problema del partito. Al Congresso di Napoli il vecchio leader, già· quasi morente, doveva mostrarsi ancora una volta il più intelligente e ·verrebbe voglia di dire il più moderno di tutti gli altri: egli si chinò a studiare il partito, le sue forze costitutive, i suoi nodi, i suoi punti di difficoltà; e ne costruì la sociologia e insieme la filosofia p·olitica, indicandone perfino i modi di crescita, le possibilità di saldatura con forze extra-partito, i ~apporti con le tradizioni politiche del paese. Sarebbe, tuttavia, troppo , precipitoso concludere che a Napoli De Gasperi si convertisse al dossetti~ smo, alla concezione di un partito a struttura rigida, orientato, per la sua composizione, in una sola direzione e già pronto ad essere, esso, lo Stato: quel tanto di leninismo che era in una simile concezione non ,poteva non respingerlo. In realtà D·e Gasperi continuava a pensare al problema di tutta la sua vita di uomo politico, al problema che s'era posto nel '19 e poi ancora una volta nel 1929, e cp.e fi11almente aveva procurato di risolvere . -dal '48: saldare i cattolici allo Stato Italiano. E spregiudicatamente inten- . deva adesso tutte le precarietà delle soluzioni da lui stesso tentate fino .allora, intendeva i limiti del suo •proprio realismo. Perchè quella saldatura .si avesse, occorreva un tramite organico tra i cattolici e lo stato italiano, e questo tramite non poteva essere che il partito; ma occorreva che il partito cessasse di essere quella singolare federazione di clientele e di sezioni e di gruppi di interessi, che era stato fino allora, e diventasse un fatto moderno, un'istituzione della democrazia italia11a.Ossia occorreva che il partito fosse _finalmente un partito, e che anche il cattolicesimo politico italiano com-- [10] Bibloteca Gino Bianco

I piesse in sè quella rivoluzione che avevano compiuto tutte o quasi le forze politiche europee degne del nome. Molti si sono chiesti se De Gasperi scelse Fanfani per bruciarlo o ebbe veramente fiducia in lui, dimenticando che in un partito, alla fin fine, si vengono a creare certi rapporti di forza che hanno la loro importanza. Sarebbe forse più logico chiedersi se D,e Gasperi accettò Fa~ani sicuro che si sarebbe bruciato o perchè, ponendo il problema cui si è accennato al di sopra di ogni altra considerazione, ritenne che il vecchio oppositore, · per le doti di ·eccellente organizzatore di cui aveva dato prova, per la duttilità e il senso pratico mostrati con la continuità nell'opera di collaborazione al governo dopo il ritiro di Dossetti, fosse l'uomo giusto. Comunque, scelta o accettazione che fosse e quali che fossero le ragioni dell'una o -dell'altra, la cosa conta meno di quello che si immagina; quello che conta, invece, e che è estremamente significativo, è che alla direzione del partito si trovasse un uomo che del par~ito stesso aveva una concezione alquanto diversa da quelle della più parte d,ei nota1 bili, che per tale ,concezione si era battuto un tempo proprio contro il centrismo di De Gasperi e dei suoi seguaci, che infine teneva a c ara,tterizzare assai precisamente la · posizione della sua corrente. b-metà del 1954 si trovavano, per così dire, · riuniti e pronti a spiegare la loro forza tutti gli elementi della crisi e dell'evoluzione della D.C. negli anni successivi; e v'erano anche tutti i protagonisti: i tecnici dell'apertura a destra, i dottrinari del centrismo quadripartito, i teorici di una ricostruzione ab imis e di una riqualifìca- ·zione del partito. Al Congresso di Napoli poteva sembrare che l'accordo regnasse tra tutti e che ogni urto sarebbe stato impossibile grazie al continuo arbitraggio di De Gasperi; e si è pensato che l'impreveduta fine ·dell'uomo di stato, facendo venire meno un tale arbitrato, abbia prodotto la crisi. In realtà nessun prestigioso demiurgo avrebbe mai potuto impedire le frizioni e gli urti e le tempeste politiche che ad essi si accompagnarono: ·poichè e frizioni ed urti e tempeste politiche erano la conseguenza delle ·posizioni che i protagonisti avevano assunto, della contraddizione insanabile tra il dinamismo imperioso e la tendenza delle esigenze di partito ad imporsi ad ogni aJ\tra considerazione da una parte e le necessità combinatorie imposte dalla form11la di governo e la tentazione dell'immobilità .dall'altra. De Gasperi e lo stesso F;anfani ebbero a momenti l'intuizione vaga di questa contraddizione e di quanto essa fosse depotenziante e peri- [IIJ Biblotecé ino Bianco

colosa per il paese e pel destino stesso della D.C.: ma lo scioglimento,. . cui essi pensarono, a quel che si sa, più di una volta, sarebbe intervenuto in enorme anticipo sulla maturazione della. situazione interna democristiana e avrebbe rischiato pertanto di essere inutile. · Naturalmente in un'atmosfera del genere di quella che si è tentato dr descrivere le questioni di temperamento personale s'intrecciavano, e pon potevano non intrecciarsi, a quelle politiche, sì che queste ultime prendevano un carattere assai più risentito. Pel gruppo di uomini che era vissuto per anni accanto a De Gasperi e che riteneva, soprattutto dopo la morte di lui, di essere l'interprete autentico del suo pensiero, il Segretario del partito faceva figura di nuovo venuto e quasi d'intruso: cosa intendeva, cosa poteva intendere, questo vecchio avversario, d_ella politica degaspe-- riana? Poteva solo abbandonarsi ad immagini barocche di dubbio gusto (si ricordi l'allegoria della ,1 edova e degli orfani) e dare ad intendere agli ingenui di essere l'erede designato. E in realtà il finalismo partitico, l'insistenza s111 <<sociale», il clesiderio di 1..1npartito omogeneo, ed anche la lenta formazior1e di un apparato e la conseguente espulsione da posti-chiave dj avversari, 11 fcrmazione nel partito <li u11'opinione devota e disciplinata che poteva perfino far ~entire, nelle assemblee e nei congressi, estranei antichi militanti popolari, stati poj leaders e magari anche segretari della l).C.; tutto ciò faceva per molti di Fanfani non solo un avversario pericoloso, ma quasi un 11emico personale. Pure i risentimenti sarebbero stati poco importanti se vi fosse stato 11naccordo politico: era la mancanza di questo, anzi la esistenza di un positivo contrasto di posizioni a rendere _più· difficili i rapporti personali. Il dinamis1no, la tende11za ad imp-orre le proprie tesi programmatiche e a dominare le strutture del governo, ~ono fatti naturali di un partito in ricostruzio11eorganizzativa ed in espansio11e; la immobilità, la tendenza a conservare la situazione senza rivoluzionarla politicamente, sono fatti na-- turali di un governo di coalizione che raggruppa insieme liberali e socialisti, tanto più se i primi hanno un'evoluzione in senso conservatore e sei secondi sono sottoposti al co11tinuo richiamo e ricatto di altri socialisti fuor del governo. Ecco perchè Fanfani e Scelba dovevano ineluttabilmente urtarsi tra loro: il Presidente del Consiglio mirava soprattutto a mediare le opposte esigenze delle sue ali e a conte11erle, mentre il partito democri-- "tiano era impaziente di imporre il proprio punto di vista sulle questioni [12] Bibloteca Gino Bianco

più dibattute a rischio di far esplodere il governo. Appunto ·per questo contrasto profondo, imposto dalla dinamica delle differenti posizioni, pri-. ma a11corache dalla volontà degli uomini, Scelba ha potuto per un certo tempo far figura di campione dell'alleanza tra cattolici e laici, e Fanfani, di cui tutti ricordavano il passato dossettiano, di avversario irreducibile di qt1ell'alleanza e di campione dell'integralismo; mentre col passar del tempo il primo sarebbe diventato un uomo di destra e il secondo sarebbe stato forzato ad assumere posizioni di a11tonomia proprio nei confronti dei più . retrivi ambienti integralisti. Ma comunque ciò sia, a mano a mano che il contrasto si allargava e più aspro si faceva il dibattito, a-mano a mano che -si accentuava il dualismo tra partito e governo, la situazione all'interno del partito diventava più difficile. Alcuni leaders della stessa corrente di <<Iniziativa Democratica», impegnati com'erano nel governo, cominciavano a ritenere l'attacco fanfaniano troppo vivace e soprattutto fuori·tempo. E quando la segreteria del partito parve aprire il fuoco anche sulla politica estera del governo in occasione delle vicende di Suez, l1e riserve sul loro Segretario da parte degli iniziativisti divennero ancora maggiori: ai Colombo e ai Moro si aggiungevano i Gui e g]i Zaccagnini. Ma la stessa logica politica, che portava Fanfani ad avversare il governo in nome delle esigenze di partito e che in conseguenza spostava molti suoi seguaci su posizioni più vicine ai gover11ativi (specialmente nel periodo i11 cui Presidente del Consiglio fu Segni), conduceva intorno a Fanfani non solo alcuni della vecchia sinistra dossettiana, restati nel partito come « liberi tiratori>> (si pensi a La Pira), ma anche, certo più lentamente e con maggiore prudenza, la nuova sinistra di <<Base>>Q. uesta, che quanto a rigore politico ne aveva quanto ne avevano i dossettiani, e cioè pochissimo, che · mostrava scarsa considerazione della Socialdemocrazia ed era invece in.. cline a cedere alla suggestione del P.S,.I. in nome della mitologia delle masse, che avversava aspramente i liberali nei quali vedeva una remora ad un'audace politica <<sociale>>c,he in politica estera era incerta e tentata, e che finaimente nelle sue file contava quasi esclusivamenteuomini ·di partito, e quindi impazienti del fatto che le fortissime ondate di energia trasmtsse dai militanti e dall'organizzazione diventassero debolissime appena toccavano il governo; questa sinistra di <<Base», dunque, doveva naturalmente prima o poi smettere di credere a Fanfani « traditore del [13J . Bibloteca Gino Bianco

sinistrismo » per correre in suo aiuto o almeno per stringerglisi int orno, scoprendo che la differenza delle posizioni consisteva or mai in sfumature. La posizione di Fanfani era però assai debole dal punto di vista politico: egli poteva, infatti, muovere quanti attacchi voleva contro il governo. ma tali attacchi andavano a vuoto quando non si offriva alcuna alternativa concreta al governo quadripartito. Non esisteva in Parlamento nessun'altra maggioranza possibile, a meno che non si volessero fare r ischiose operazioni a destra o a sinistra; e lo stesso Segni, che pure s'era pie gato a malincuore ad avere i liberali nel governo, s'era poi dovuto ricredere . D'altro canto un ·governo monocolore a metà legislatura o era troppo pr ematuro o era una i trappola per in1pegnare personalmente il Segretario del partito e bruciarlo in un esperimento fallimentare prima delle elezioni. Pe r questa mancanza ~diuna formula di governo di ricambio, dietro gli attacc hi o dietro le resi-- stenze di Fanfani alla politica del quadripartito, quell i degli iniziativisti che erano più duttili o che non erano personalmente impegnati in posi-- zioni di partito, si vedevano costretti a separare le loro responsabilità o ad· dirittura a fare da mediatori tra il partito e i notabili, in debolendo, perciò, ulteriormente la posizione del Segretario del partito. Ma di una tale debolezza, appl1nto, i notabili non avrebbero mai potuto pre valersi, poichè essi a loro volta ne aveva110una assai più grave: cioè di non rappresentare alcun~ seria alternativa di << governo>>del partito. In effetti i notabili (fatta eccezione per Andreotti), pur godendo di solide posiz ioni personali dal punto di vista elettorale, non avevano che scarsissima forza nel partito, saldamente controllato dagli iniziativisti e dall'apparato fanfaniano: perchè se essi potevano vincere questa o quella battaglia (el ezione di Gronchi, ad esempio) non potevano certamente vincere la guerra. Scelba aveva una volta giocato il Parlamento contro il partito ed era riu scito ad evitare la crisi del suo governo: ma la fonte del potere restav a il partito, e chi controllava il partito avrebbe a lungo andare controllato anche la situazione l in Parlamento. ~e ,stes~e vitt~r~e dei n~tabili non avre bbero portato loro dlcun frutto, po1che gli uom1n1 che essi avevano esalt ato per contrastare J I Fanfani si sarebbero fatalmente accordati con colui che aveva il potere nel ·\ì)artito, e che solo perciò poteva garantire la concret a possibilità di una svolta e l'effettiva traduzione in pratica di un certo progr amma politico. Il fatto è che a poco a poco lo stesso Fanfani era venu to prendendo coscienza delle ragioni effettive del contrasto e della s ua debolezza: e a [14] Bibloteca Gino Bianco . '

questa presa di coscienza non poteva non corrispondere una maturazione· politica. Il Segretario del partito, cioè, si rendeva conto (e da questo punto· di vista le amministrative del 1956 erano state un prezioso avvertimento) che la D.C. non avrebbe mai raggiunto la maggioranza assoluta e che pertanto !Jisognava fare di necessità virtù e far conto di governare con deglialleati; si rendeva conto, inoltre, che fare del partito uno strumento, una istituzione della democrazia italiana, come aveva voluto De Gasperi, per· radicare i _cattolicinello Stato, voleva dire fare un partito non già omogeneo. in sè, come avevano -desiderato molti (e tra i molti egli stesso), ma omo--~ ' .geneo alla società italiana; si rendeva conto, altresì, che un partito a voca- - zione maggioritaria doveva essere, come insegnava l'esperienza più recente delle democrazie moderne, non già reclutato socialmente in un solo ceto,. ma sinteticamente rappresentativo dell'intero paese; si rendeva conto, finalmente, che la D.C. doveva definire, appunto guardando al paese e alla· sua ·propria vocazione maggioritaria, i rapporti con« l'oltre-Tevere>>.Ma per dare una soluzione politica a tutti questi problemi era necessario che l'uomo stesso che aveva il potere nel partito, e che pertanto, se accadevano talune cose (se cioè se le elezioni politiche fossero andate bene), poteva 1essere il' nuovo Presidente del Consiglio, m11tassela sua stessa posizione. Egli non poteva più essere il capo di una corrente, maggioritaria quanto si vuole· ma pur sempre corrente, e doveva diventare un leader al di sopra delle correnti. Di qui il Congresso di Trento, che nella sua liturgia ebbe l'aria di essere un'intronizzazione del Segretario del partito, che provocò un· vivace urto cori Segni e che lasciò un notevole strascico di polemiche tra gli stessi iniziativisti. E ancora una volta si badò piuttosto agli umori e alle \ reazioni passionali che alla sostanza politica degli, avvenimenti: la qualeconsisteva tutta nel fatto che il dominio della corrente continuava nella D.C., ed anzi continuava più forte che mai (come si sarebbe visto a] • momento della formazione delle liste), ma che Fanfani non era più il capofazione, sibbene il moderator reipublicae~ E l'ingresso di tutte le correnti nella Direzione al Consiglio Nazionale di Vallombrosa non serviva solo a rafforzare la Direzione stessa e a mostrare all'opinione pu·bblica che il par-: tito era compatto; ma anche a confermare che quella direzione era la direzione di tutti e che, dunque, il Segretario era il Segretario di tutti, e non di 11nacorrente soltanto, l'effettivo leader del partito. La presenza alla testa del governo di una personalità insignificante quanto rumorosa come l'on .. [15] Bibloteca Gino Bianco

·Zeli e la struttura stessa del governo in carica, un monocolore di collegamento alle elezioni, eliminavano ogni concorrenza ed ogni possibilità di r • • rr1z1one. I notabili, finalmente, avevano agevolato di molto la posizione di Fan.- fani quando, dopo la morte di De Gasperi, avevano tentato di compensare la loro mancanza di potere nel partito con una sorta di rappresentanza ufficiosa delle idee e delle preoccupazioni d'oltre-Tevere. Ora, è vero che non esiste un indirizzo univoco in seno alla gerarchia della Chiesa cattoIica; ed è altresì vero che non si può sostenere totalmente la tesi essere i notabili gli strumenti preferiti della élite dirigente vaticana, sempre diffir ,,dente di un partito cattolico modernamente organizzato: ma è ovvio che vi sono rapporti e alleanze che si instaurano senza patti scritti e senza che gli interessati abbiano dovuto riunirsi intorno ad un tavolo; e vi sono interessi, supposti, della Chiesa che i notabili democristiani possono essere stati tentati di difendere prima ancora di esserne richiesti, per farsene un merito o anche solo per battere ~n velocità l'avversario. Ma quando Andreotti prende, ad esempio, una certa posizione sul caso del vescovo di Prato e Fanfani ne prende un'altra, più cauta e meno clericaleggiante ed integrali- .stica, Andreotti può pensare di aver danneggiato Fanfani o di averlo vinto nella corsa all'appoggio della gerarchia; ma in realtà ha giovato all'avversario. Con quell'atteggiamento più cauto, infatti, Fanfani riesce a tenere .dietro ,di sè anche coloro i quali, all'interno del partito, sono colpiti dalle eccessive velleità clericali e riesce altresì a salvare la faccia innanzi al corpo elettorale: a questo modo egli consolida la sua posizione, e inevitabilmente a lui piuttosto che ad Andreotti si rivolgerà la stessa gerarchia, che non saprebbe che farsene di un alleato squalificato a priori. Non per altre ragioni, del resto, l'Osservatore Romano ha quasi sempre appoggiato ~'anfani quando la polemica contro di lui all'interno dello stesso partito pareva diventare troppo aspra. Certo non sempre i responsabili ai varj livelli della politica vaticana hanno 1nostrato la stessa lucidità di calcolo politico e lo stesso controllo delle loro reazioni (altrimenti non si spiegherebbero quella manifestazione di miopia politica che fu la prima reazione alla sentenza sul vescovo di Prato e la avventatezza dell'invito agli elettori a discriminare i candidati della lista milanese della D.C.): ma gli errori appaiono errori in sè e non consentono di mettere in dubbio che alla lunga [16] Bibloteca Gino Bianco

, h gerarchia della Chiesa preferisce accordarsi con la gerarchia del partito :_ piuttosto che coi « liberi tiratori » avversari della Direzione. t Alla vigilia delle elezioni la posizione di Fanfani - risultato della dinamica delle forze in contrasto .oltre che di ordinate manovre - era già tale che sfidarla vittoriosamente ·poteva apparire impossibile. Gli avversarj di destra e di centro-destra, entrando in Direzione, avevano tentato di salvare un minimo di potere di controllo, che garantisse se non altro qualche posizione personale, ma non potevano altro. Oltre tutto, la logica unitaria imposta dall'imminenza delle elezioni lavorava contro di loro: essi erano costretti a battersi per il successo del partito quando non poteva non essere ben chiaro ad ognuno che il successo del partito era anche il successo politico di colui che faceva figura di leader. D'altra parte l'evoluzione e quasi si direbbe la maturazione del programma politico fanfaniano aveva spuntato nelle mani dei suoi avversari le ultime armi: la critica di Fanfani non colpiva più ormai il centrismo in sè, nia una forma degenerata di centrismo, che s'era incarnata in certo modo nel quadripartito e che s'era consumata definitivamente nelle esperienze di Scelba e di Segni. E la sua formula politica, messa da parte ogni illusione di maggioranza asso.. Iuta, era quella di ,2,n cent~~s~~ ~~?g,rammatiço e del1e aUeanze « omogs11.ee ». A questo modo Fanfani metteva da parte l'ossessione degli epigoni ' di De Gasperi della copertura su entrambe le ali, e portava il partito allo scoperto, operando la scelta delle alleanze senza averne l'aria. Bastava, infatti, che il P.L.I. non fosse più trattenuto da impegni di governo perchè la sua fede liberistica si manifestasse appieno e perchè la tentazione della opposizione conservatrice, così a lungo dominata, lo portasse ad una violenta polemica antidemocristiana e agevolasse perciò la chiusura sul centrodestra che Fanfani voleva: e non era necessario essere profeti per prevedere tutto ciò. Appunto durante la campagna elettorale nè Pella nè Andreotti potevano obiettare cosa alcuna, dal momento che avevano approvato i] programma e dal momento che la D.C. in apparenza subiva più che provocare gli atta.echi liberali. Pella poteva certo spezzare qualche lancia in favore dell'iniziativa privata e lo faceva in effetti con quella genericità rotonda ch'è pr.opria della sua oratoria: ma ciò non avrebbe avuto nessuna conseguenza politica dopo le elezioni e per il momento non dispiaceva, potendo per.fino servire a riparare qualcuna delle devastazioni operate· da Malagodi. Parimenti i dottrinari del centrismo restavano senza possibilità [17] Bibloteca Gino Bianco

di criticare: non avevano sempre sostenuto che occorreva restare nel campo delle alleanze democratiche e che il quadripartito era stato una necessità a cui sarebbe stata preferibile, non ci fosse stata di mezzo l'aritme_tica parlamentare, un'altra formula? Fanfani lasciava intendere che la sua era appunto l'altra· formula, fedele alla tradizione delle alleanze democratiche ma insieme più preoccupata del progresso del paese, meglio qualificata da un chiaro contenuto programmatico, sollecita di un nuovo dinamismo politico. Fanfani, insomma, aveva conservato il potere nel partito e per di più aveva occupata d'un balzo la sola posizione politica che la Democrazia Cristiana potesse tenere senza volare incontro alla rovina, e tutto ciò già parecchio tempo prima del 25 maggio. La corsa in aiuto del vincitore poteva anche cominciare: prima della formazione delle liste si annunciava una forte rissa intorno a queste, ma la rissa vi fu quasi esclusivamente per quella romana e la direzione impose, con alquanta fermezza, il proprio punto di vista; tra la formazione delle liste e i giorni della votazione si diede Fanfani per spacciato e si disse che solo un'esigua pattuglia di fan ... faniani sarebbe riuscita, senza riflettere che l'uomo sarebbe stato spacciato· non per il minore numero di deputati suoi propri che fossero riusciti, ma solo nel caso di una secca sconfitta dell'intero partito. Calcoli prudenti danno oggi ad << Iniziativa Democratica » circa centoquaranta deputati e ne danno oltre duecento al centro-sinistra nel gruppo parlamentare democristiano, mostrando come fossero attendibili le voci di allarme. Ma assai più che queste cifre è significativo il fatto che i più eminenti leaders del partito abbiano sentito il bisogno di congratularsi con Fanfani all'indomani della vittoria come col maggiore artefice di essa! La posizione di Fanfani doveva d'altra parte acquistare nuova forza ed esercitare una particolare suggestione in quanto verso le stesse posizioni sulle quali pareva orientarsi il segretario della D.C. era in atto un'autorevolissima convergenza. Giovanni Gronchi aveva avuto un destino diverso da quello degli altri notabili: l'opposizione a De Gasperi da posizioni di sinistra, ma diverse da quelle di Dossetti, l'aveva tenuto in disparte dal gruppo dei vecchi popolari strettisi intorno al leader trentinoall'indomani della Liberazio11e. Diventato Presidente della Repubblica co.n1' ansia della sua problematica sociale, con l'ostinata convinzione della necessità di arricchire il tessuto della vita democratica italiana mercè l'orga-- [18] Bibloteca Gino Bianco

/ nica sistemazione delle masse nella vita dello Stato e dell'altra neces$ità di allargare l'orizzonte democratico comprendendovi altre forze politiche, Granchi doveva fare una viva e diretta esperienza ~ e da un osservatorio formidabile e forse unico: il gabinetto di Capo dello Stato - delle difficoltà obiettive della situazione italiana. Molte cose, 'che forse gli erano parse agevoli nella luce un pò deformante della sua inazione precedente, si rivelavano, per contro, ardue; molte operazioni che probabilmente aveva rit_enutemature, nell'impulso del desiderio di movimento, apparivano, in-- vece, assai immature. D'altro canto le riforme necessarie non potevano essere rinviate di anni ancora: la manovra audace aveva ceduto il luogo alla paziente attesa, ma durante l'attesa non era maturato nulla sulla sinistra. E non era accaduto, tuttavia, che tutte le condizioni previste si erano trovate attuate per un momento? Non s'erano mostrate, quelle condizioni, penosi alibi che il massimalismo socialista poneva avanti per nascondere la sua incapacità ad uscire allo scoperto, la sua miserevole im- - potenza ? E non garantiva, per contro, il centrismo programmatico orientato dinamicamente verso sinistra, l'attuazione di un organico piano riformista? Non poteva anche accadere ch,e cinque anni di sodo e serio lavoro politico fossero il migliore mezzo per costringere ognuno ad assumere le proprie responsabilità? Erano questi gli interrogativi che forse Giovanni Granchi si era posti, e intorno a cui era matt1rato un nuovo programma di azione: erano, comunqt1e, gli interrogativi di un politico autentico, desideroso di spezzare il cerchio dell'immobilismo, di porre termine al triste gioco dei rinvii e di dare inizio al concreto lavoro. Certo a chi consideri l'antico compagno di opposizione di Dossetti o anche il politico che con tatticismo spregiudicato e fine a se stess.opensava di poter fare egli, coperto della fama di uomo di sinistra, l'apertura a destra {e che giustamente cadeva in Parlamento, perchè potesse imparare direttamente che i giochi di prestigio non sono politica) o ancora colui che per più tempo è parso chiedersi se fosse preferibile conquistare il partito dal governo o il governo dal partito; a chi consideri simili cose grandissima apparirà la differenza con le posizioni attuali, e molto lungo il cammino percorso da Fanfani e dal partito democristiano tutto intero. E appena credibile sembra che l'avversario di De Gasperi sia diventato il · sostenitore principale del centrismo programmatico o colui che traduce ~ _SQJ1Cretea.~i~ni politiche le più autentiche impostaZioni degasperiane. [19J Bibloteca Gino Bianco ---

Ma appunto il divario tra le antiche posizioni e quelle attuali, l'evoluzione cui si è accennato, inducono a porre la domanda: fino a che punto si tratta di un'autentica maturazione e non di una conversione tattica, sotto la spinta delle necessità della situazione? O) che è lo stesso, fino a che punto questa maturazione è stata completa e profonda, e tale da consumare interamente tutte le asperità, le ingenuità, gli errori, che potevano essere in precedenti programmi di azione? Domande che, ovviamente, non riguardano solo Fanfani ma tutta la D.C .. Si prenda, ad esempio, il problema della politica estera: la tentazione di un ruolo af.ro-asiatico dell'Italia, che parve in passato costituire parte fondamentale della dottrina di politica estera di parecchi ambienti democristiani e dello stesso Fanfani, è ancora valida? E si incorre ancora nell'errore, in cui taluni incorsero, ad esempio in occasione della crisi di Suez, di considerare la politica di solidarietà europea come alternativa a quella mediterranea; o peggio ancora di ritenere, come pure s'è fatto, la politica occidentalistica subordinata a concessioni che si sarebbero dovute fare all'Italia? E v'è ancora cedevolezza alle lusinghe di missioni africane: di << parole » italiane da portare ai popoli ancora non civilizzati? Sono, queste, domande ancor più importanti oggi di ieri, perchè oggi appunto, 1ìel deterioramento della situazione europea, più forte può essere la tentazio!le pseudo-in11ovatrice. Ora, la integrazione profonda dell'Italia nell'Occidente non è soltanto un programma di politica estera, è un dogma di politica di regime, e di regime democratico, in Italia; e solo traducendolo scrupolosamente in,pratica si riuscirà ad evitare il destino della Spagna. E di più, la convinzione dell'opportunità e dell'eccellenza della politica europeistica ed atlantica è, in questo paese come altrove, lo spartiacque di democrazia e antidemocrazia, poichè qui la scelta, prima ancora che da sillogismi, è dettata da segrete tentazioni antidemocratiche o da riflessi spontanei ed incontenibili di libertà. Comunque, che le posizioni ideologiche e le disposizioni morali e gli interessi materiali suggeriscano al nostro paese di anteporre l'integrazione nell'Europa e con l'Occidente ad ogni altra considerazione, è cosa troppe volte provata; ed è cosa di cui anche parecchi ambienti democristiani sono persuasi. Ma è essa penetrata dovunque, nella stessa Segreteria, ad esempio, o presso quegli esponenti della sinistra di <<Base»che ancora ieri parevano tutti presi dal << Sacro Mediterraneo», tutti commossi alle mitologie missionarie e civilizzatrici o tutti sedotti da chissà [20] Bibloteca Gino Bianco

mai quali fantastici ed inesistenti «affari», le cui prospettive si schiuderebbero miracolosamente all'Italia? Francamente, questo è un punto su cui affiorano naturali i dubbi e su cui si è tentati di pensare al peggio: di pensare, ad esempio, che quel minimo di accordo, che una buona convivenza interna pur imponeva con altri ambienti democristiani - di sinistra come di destra, - possa essersi celebrato ai danni di una politica estera di iniziativa europeistica e su una piattaforma di soddisfazioni retoriche e commerciali, da cercare presso qualche tribù africana o in qualche remota provincia del Medio Oriente. Su una piattaforma, cioè, che non solo danneggia obiettivamente gli interessi reali del paese, ma che anche toglie linfa vitale a quelle tradizioni europee e occidentalistiche nelle quali è il meglio del pensiero e del sentimento democratico italiano. Parimenti perplessi si resta innanzi all'altro grande problema della vita italiana contemporanea, il problema del laicismo. Fino a che punto 1 il .sogno integralistico di t1na ~ocietà compiutamente cattolicizzata e ~attolicizzante, dove il dissenso finirebbe fatalmente con l'essere eresia e l'ere- ·, ., ., ' ' sia reato comune, è per Fanfani solo un ricordo del passato? E fino a che punto l'intero partito democristiano, crescendo come partito, dandosi mo- ':' { ~J derne strutture organizzative, completando il suo reclutamento e soprat- ll""Ìli,· e· tutto scegliendo una solida piattaforma programmatica, ha anch'esso scac- ,::;"'t.. ciata la tentazione integralistica? Fanfani ha potuto dare a momenti la f/'W-\J\~ impressione di non voler seguire la gerarchia della Chiesa nei suoi capricci p,wtO., o nei suoi errori: ma era questa una manifestazione di profonde convin- ~ ~ &;; zioni o un mero espediente tattico? E fino a che punto ha egli inteso che V"'.'· i~ : la compattezza del partito non è soltanto un modo di aver ragione dei ~ ~ -suoi avversari, ma è anche l'arma più forte di cui i politici cattolici dispon- . ~ :~i~ gano nei confronti di disegni d'oltre-Tevere che essi considerino rovinosi? ~ lv~ MN Molta parte dell'esperienza degasperiana mostra che uomini risoluti e con el ~ ;: ... i le idee chiare possono imporre le loro scelte politiche alla gerarchia ed t ~ operare politicamente secondo le loro proprie convinzioni, senza doversì ~ troppo preoccupare delle « eccellenze » e delle « eminenze >> ( era il modo ~<AMAdi Bernanos di designare la gerarchia come struttura umana della Chiesa 'e, .,,l!.; di Cristo). D'altro canto il fine che De Gasperi si era prop.osto era appuntot ()1tf...c.tli.. di portare tutto il partito democristiano .ad avere una simile risolutezza e 1~._ c.... chiarezza di idee, ad avere il coraggio dei rifiuti perentori, a nutrire in ,A/4, Jf <4 ~ f~ 4V>f; ... -h: ,t 11- u}'-V" tiJ., ' ,,l, Pi tJ ~ _ · [21] Bibloteca Gino Bianco

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