Nord e Sud - anno IV - n. 36 - novembre 1957

' . Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ,. ANNO IV * NUMERO 36 * NOVEMBRE 1957 Bibloteca Gino Bianco

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Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO / Editoriale [ 3] Giovanni Cervigni Renato Giordano N.d.R. Stefano Rodotà Antonio Lettieri Federico Gozzi Le contraddizioni del neofrontismo [7] Il processo al Mercato Comune [20] GIORN.AT,EA PIÙ VOCI Sora [37] La delegazione italiana al festiva/ della gioventù [ 41] Lei Conferenza internazionale degli studenti [ 45] Lei tela del ragno [ 49] DOCUME E INCHIESTE Giuseppe Ciranna Opinio1zrie polemz·chesulla crisi vitivinicola [55] Elena Craveri Croce Territorio domestico [82] CRONACHEE MEMORIE Vittorio de Caprariis L'Avvento di Mendés-France (II) [90] Alberto Aquarone Nello Ajello Vittorio Frosini Ennio Ceccarini Antonio Palermo Salvatore Cambosu Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti 1 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1.700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Nord • Sud e Nuova Antologia Italia annuale L. 5.500 Estero » L. 7 .500 Effettuare i versamenti sul C.C.P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore • Milano Bibloteca Gino Bianco RECENSIONI Alla ricercadella libertà [ 114] !l vero Silvestri [118] Un angelo si traveste [121] Un matrimonio del dopoguerra [124] Fuochi a mare [126] La distribuzi'one della popolazione e i centri" abitati della Sardegna [ 127] DffiEZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918SEDE ROMANA: Via Mario dei Fiori, 96 • Telefono 687. 771 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 85.11.40

Editoriale Ci si può chiedere oggi, con calma e insieme con amarezza, cosa resta delle dichiarazioni, comunicazioni di agenzie più o meno ufficiose, e delle congiunte polemiche sul « nuovo corso >> della politica estera italiana. E la risposta sembrerebbe tenere in una sola parola: nulla. Eppure questa sarebbe una risposta erro·nea.Qualcosa resta: resta il passivo, il negat1:voche si accompagna sem,pre alle prese di posizione irriflessive, ai velleitarismi inconsistenti, alle presunzioni più o meno gladiatorie. Resta l'equivoco ed un'atniosfera assai poco chiara ad onta dei soddisfatti comment1:ufficiali, resta che il nostro Paese ha rasentato il ridicolo ad onta dei balsami di tutti i messaggi di Eisenhotver, resta che si sono alimentate diffidenze e risenti-- menti che, coperti oggi da un velo di nebbia, possono riapparire domani. Le parole, ha ricordato opportunamente Aldo Garosci nel Mondo del 15 otto·bre,anche le parole contano in politica e potsono riuscire, peggio che , inutili, dannose. Anche se il messaggio del Presidente degli Stati Uniti al Presidente Gronchi ha ridato un po' di colore a/,le « svolte» e alle <<revisioni°g>ià> scolorite della politica estera italiana, sembra a noi che, a voler uscire dall'atmosfera ovattata ed un po' falsa dei complimenti diplomati.ci, la cosiddetta funzione mediterranea e medioorientale dell'Italia si è rivelata per quello che non poteva non essere,una cosa, cioè, che non stava nè in cielo nè in terra, un piccolo mostriciattolo rachitico sospeso a mezz'aria, che i rumori delle crisi del Medio Oriente, delle crisi serie, vogliamo dire, hanno fatto piombare al suolo, schiacciato.E, in verità, se ci si fosse pensato un ista_ntes,arebbeapparsosubito chiaro che non poteva che esserecosì. Poichè cos'era questo famoso « nuovo corso» se non una delle solite improvvisa- [3] Bibloteca Gino Bianco

zioni, montate su in fretta e furia, muovendo da un contratto tra un ente di Stato italiano ed un ente di Stato persiano per lo sfrtJttamento di alcuni giacimenti petroliferi? Ora un avvenimento del genere è soltanto un affare commerciale e come tale andrebbe discusso, pesandone i pro ed i contro; cd è diventato un tornante della politica estera del Paese e l'Italia è stata presentata volentieri come il salvatore dell'Occidente, dal momento che pretendeva a reintrodurre di soppiatto quella influenza occidentale che l'imperialismo anglo-francese avrebbe fatto declinare. E si è di1r1ostratoche .in Persia non si introduce proprio niente, dal momento che per ora la Persia è chiaramente occidentalistica, fa parte del patto di Bagdad, e dal mome11to che nel patto di Bagdad ci sono già l'Inghilterra e, almeno nei com.itati militari ed economici, gli Stati Uniti. Vi è stato qualche ingenuo reporter c!ie già percorreva con la fantasia le strade pavimentate d'oro dell'avvenire, che tagliava mirabili vestiti al nuovo re: ma il re era nudo. Vi sarebbero, è vero, quei Paesi come la Siria o l'Egitto che vengono riempiendo nel Mediterraneo il ruolo di brillanti servitori dell'Unione Sovietica. Ma il fallimento della dottrina Eisenhower dimostra proprio come sia ingenua la pretesa di poter moderare il nazionalismo panarabo, una volta che i mestatori l'hanno portato a certe temperature. Non provano gli avvenimenti di quest'ultimo anno che quel na.zionalismo non è antin glese ma semplicemente antibianco, xenofobo e razzista? Su queste zone dolenti, dunque, non esiste possibilità d'azione ci/cuna per l'Italia. Nelle altre zone, al contrario, v'è forse qualcosa da fare; ma non per l'Italia· soltanto. Se il nostro Paese, invece di sognare velleitarie mediazioni e brillanti ritorni, si fosse messo a battere da un anno e mezzo il chiodo di un Riano di Colombo per il Medio Oriente insieme con la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Germania saremmo riusciti forse a disegnare una trama di politica estera e come sottoprodotto anche a procurarci qualche buon affare. Oggi, al contra.: rio,anchegli accordidi carattereeconomicorischianodi assumerecolore politico, ed il peggiore colore possibile: quello cioè di itna lotta sotterranea ai nostri partners occidentali, di non si comprende bene quale disegno sordamente anglofobo. Noi dobbiamo cercare di fare degli accordi comnierciali; 1na più ancora dobbiamo sforzarci di non accrescere la confusi one politica' di una zona esplosiva come il Medio O,riente: il primo è un legittimo inte- I resse, il secondo è un modo di difendere la nostra libertà e la nostra civiltà. , [4] BiblotecaGino Bianco

\ Noi sappiamo bene che quel che è avvenuto in questa estate (come ciò che è avvenuto l'estate scorsa a/,l'inizio della crisi di Suez) non è un fatto isolato; e temiamo che al prossimo contratto con le tribù Bantù per l'importazione delle cavallette in Italia si tornerà a parlare di <<funzioni», di «mediazioni>>, di « nuovo corso». Vi sono uomini nella DC, ad esempio, che già pensano alla rivincita e si fregiano delle parole di Eisenhower come di un autorevole riconoscime11toe di un'autorizzazione ad agire: s0110 quegli· uomini della DC che non hanno mai compreso il senso della politica atlantica ed europeistica come politica tutt'altro che immobilistica, e che vedono finalmente l'opportum'tà di sterilizzarla; che 11,oncomprendono o non vogliono comprendere che in zone come il Medio Oriente l'occidente corre il rischio di una gravissima sconfitta, e che pertanto si lanciano a testa bassa in azioni assurde e calamitose. Per questo il famoso documento di Eisenhower ( non sappiamo se sia una trovata di Washi1igton e non ci interessa saperlo) è una prova di rara incomprensione politica da parte dei dirigenti del Dipartimento di Stato: si crede di dare la chicca al ragazzino discolo per rabbonirlo e invece si rafforzano in Italia proprio quelle posi.zioni che sono meno affidanti per la politica di solidarietà occidentale. Ed è altresì per questo che il discorso dell'on Ministro degli Esteri alla Camera tzon ci ha affatto tranquillizzato. Noi sappiamo bene che qui non si affrontano1 due linee di politica estera, ma due concezioni della <<grandezza»del Paese.n. Vi sono coloro che sognano per l'ItaJia un mitico ruolo di grande potenza, e cioè sognano un Paese che si agiti, che dia sulla voce agli altri, che pretenda di essere alla stregua di ognuno, che si getti a capofitto nelle mediazioni, che prometta mari e monti, che sia, per così dire, rispettato e temuto, e che faccia, finalmente, far anticamera al Ministro degli Esteri d'Inghilterra. Per costoro, tutte le occasioni sono buone: dalia concorrenza pei petroli persiani ai consigli e agli ammonimenti alla Francia per l'Algeria, al patto meriterraneo con Franco. Alla fine, magari, si contentano di poco, di una lettera sbiadita del Presidente degli Stati Uniti, scritta tra due colloqui con MacMillan; ma z'1itantol'Italia si è, a loro giudizio, fatta più grande. Per noi, invece, il testo fondamentale resta quello del rospo che voleva gareggiare in grandezza col toro e che morì a brandelli, un destino che il nostro Paese ha sperimentato solo dodici anni fa. Perciò non crediamo che sia segno di grandezza sprecare miliardi in Somalia e fare regali ai perI 1.5] BiblotecaGino Bianco

siani, strizzar l'occhio a N asser e dare un ca/,cionegli stinchi alla Francia oppressa dal problema algerino, parlare di missione italia11atiel Mediterraneo e darsi attorno per un sorriso di Eisenhower. Per noi la grandezza del Paese consiste, vogliamo dirlo nella forma la più antiretorica possibile, nell'aumento della produzione e del consumo dell'acciaio, nell'aumento degli altiforni, nel miglioramento della condizione contadina, nel rafforzamento di uti ordine di civile democrazia. Nel momento in cui tutto l'Oc-- cidente sembra minacciato da un grave pericolo, questa grandezza si può conseguire solo rafforzando ali'estremo i vincoli che ci legano ai nostri amici, alle democrazie dell'Occidente europeo, evitando tutte le tentazioni e le squallide avventure. Questo è il contrasto di fondo che v'è oggi, intorno ai problemi di politica estera in Italia: sarebbe bene clie il Paese, che è alla vigilia di una grande consultazione elettora/,e, prendesse coscienza dei ter1nini precisi della questione. [6] BiblotecaGino Bianco

Le contraddizioni del neofrontismo di Giovanni Cervigni Fabrizio Onofri sul Mondo ed Eugenio Reale su Corrispondenza Socialista hanno recentemente mosso al PSI critiche severe. L'uno, Fabrizio O·nofri, ha messo in rilievo come non si possa « creare una nuova direzione del movimento operaio, senza contendere tenacemente i lavoratori alla vecchia direzione>>, senza << affrontare tra le masse operaie e lavoratrici una lotta aperta verso tutti coloro... che tentano di mantenere su posizioni arretrate e dannose tanta parte delle stesse masse lavoratrici>>, e cioè senza affrontare una lotta aperta coi comunisti. Corrispondenza Socialista, a sua volta, de11unzia quel « complesso di inferiorità» nei confronti dei comunisti da cui il PSI « non riesce a liberarsi >>e a causa del quale « spesso i dirigenti socialisti finiscono col perdere di vista i veri interessi della classe operaia; i quali non trovano più espressione nella immobile politica del patto d'azione che, sciolto ufficialmente, continua ancora ad essere operante per i filocomunisti del partito di Nenni». Queste critiche ci trovano pienamente consenzienti. Già un editoriale di Nord e Sud (n. 32) ebbe a rilevare il modo alquanto strano, « di stupefacente rinunzia ad ogni serio discorso politico», con cui l'Avanti! quasi si rammaricava del fatto che in Sardeg11a,alle elezioni regionali, voti comunisti fossero emigrati verso la sponda socialista. È ora altrettanto strano il fatto che l'Avanti!, in occasione del recente Comitato Centrale del PCI, non abbia reagito in termini politicamente adeguati alle sollecitazioni, ed ai rimproveri, che quel Comitato aveva indirizzato ai « compagni socialisti», sia pure sotto le consuete forme dell'appello alla «unità» o delle recriminazioni per l'allentamento dei vincoli frontisti. ~embra anzi che l'Avanti! si stupisca del fatto ·che si possa mettere in dubbio la fedeltà socialista agli impegni << unitari » ; che sono poi i vincoli frontisti, [7J Bibloteca Gino Bianco

per l'appunto. E allora dove vanno a finire le affermazioni dell'on. Nenni sulla inattualità del frontismo? E soprattutto, ammesso e non concesso che si possa .mettere sullo stesso piano frontismo e centrismo, come accu sare l'on. Saragat di « nostalgia centrista>> quando, ogni volta che si tratta di replicare alle reprimende dei comunisti, traspare dalle righe dell'"4vanti! il « con1plesso d'inferiorità» di cui parla Corrispondenza Socialista e che si traduce in qualcosa che per lo meno assomiglia a una nostalgia fronti sta? Almeno i socialdemocratici, come nota a11cora Corrispondenza Socialista, <( han110 il grande merito di essere restati fedeli a quegli ideali di libertà e di giustizia che sono inseparabili dalla causa del Socialismo e della De mo- . craz1a >>. L'on. Togliatti concede verbalmente ai socialisti un vago diritto a « differenziarsi» dai comunisti, << purchè >>il PSI consideri questa « differenziazione>> una esigenza soltanto tattica, nel quadro cioè di una divisione di· compiti che non alteri l'unità di classe, che non allenti oltre un certolimite i vincoli che determinano la cattività socialista. Questo, ci sembr a, jl senso di quanto è stato detto al Comitato Centrale del PCI. E francamente,. se si tratta di « un purchè di troppo >>,come è stato scritto sull'Avanti 1, nel senso che non sarebbe lecito dubitare dei socialisti come di gente in tenzionata ad attribuire un significato più che meramente tattico alla « differenziazione » dai comunisti - allora non ci sarebbe da fare altro che considerare chiusa la prospettiva socialista, fallita l'unificazione, imposs ibile l'apertura. Chi dunque ha posto una « pietra tombale» sull'unificazione?' Per rendersene conto si possono tra l'altro considerare le vicende del fr~ntismo meridionale negli ultimi tempi. In primavera, proprio mentre un' equivoca e fumosa deliberazione del Comitato Centrale del PSI riproponeva la questione della partecipazi one dei socialisti al Comit~to per la Rinascita del Mezzogiorno, e cioè in sost anza la questione dell'esistenza o meno di quest'ultimo tenace organismo del frontismo meridionale., si radunava a Napoli l'assemblea meridionale del PCI. L'azione comunista nel Mezzogiorno d'Italia aveva s~bito, per ricon oscimento degli stessi interessati, una battuta di arresto nel periodo succe ssivo all'ultimo Congresso del Popolo del Mezzogiorno e delle Isole (1954); e non tanto e non soltanto in termini elettorali (si vedano i risultati delle elez ioni [8] BiblotecaGino Bianco

ai due parlamenti isolani e quelli delle zone di riforma), quanto in termini di crisi dell'impostazione politica. Da un lato sempre più vivaci cominciavano a farsi sentire le. insofferenze socialiste, dall'altro la tattica agitatoria, imperniata sugli elementi più disparati e contraddittori, cominciava a rivelare delle crepe, fa.cendo ricadere le conseguenze della propria usura sul- ! ~intero movimento popolare nel suo complesso. Su queste pagine si è a suo tempo commentato a sufficienza il congresso di Napoli del Movimento di Rinascita (1 ) perchè occorra soffermarsi ancora a lungo intorno ai suoi scopi, alle sue vicende, alle sue conclusioni. Basterà ricordare come, partendo da t1n orgoglioso bilan.cio positivo di un decennio di lotte politiche e sociali, si riaffermasse la sostanziale positività dell'azione svolta e si indicassero le prossime mete d'azione. 111testa a queste ultime troviamo rivendicazioni di politica estera (l'adesione ad un ennesimo appello dei << partigiani della pace »), e subordinatamente rivendicazioni di politica agraria (richiesta della riforma agraria generale ed applicazione del testo normativo sui contratti agrari già ·approvato dal primo Parlamento repubblicano); infine troviamo le solite generiche richieste i11tema di politica industriale ( « lotta contro il monopolio per la difesa e lo sviluppo del1' economia meridionale, per la salvezza delle nostre fabbriche dalla smobilitazione, per la difesa della libertà e dei diritti democratici degli operai nelle fabbriche e negli stabilimenti meridionali »). Il tutto inquadrato in una lotta generale per l'applicazione della Costituzione, che peraltro avrebbe dovuto essere articolata anzitutto in « un cambiamento urgente dell'attuale indirizzo politico generale del nostro Paese >>, giacchè << la condizione primordiale perchè sia nel nostro Paese garantito il rispetto e l'applicazione della Costituzione repubblicana è l'abbandono di una ,politica la quale, compromettendo la pace e l'indipendenza del nostro Paese) ne compromette necessariamente al tempo stesso lo sv'iluppo democratico. Lottare per la libertà e per la giustizia, per la realizzazione della Costituzione repubblicana, lottare •peruna politica di pace, questo è l'impegno che io ritengo solamente _ilcongresso dovrà ribadire nella sua mozione conclusiva» (2 ). ( 1 ) Cfr. G. GALAsso: Meridi·onalismo di complemento, in << Nord e Sud», n. 9,. agosto 1955. · ( 2 ) Dal discorso di M. ALICATA, in << Libertà e giustizia per il Mezzogiorno. Atti del secondo Congresso del popolo del Mezzogiorno e delle Isole», p. 221. [9] Bibloteca Gino Bianco

Dunque, porro unum del II Congresso del popolo del Mezzogiorno e delle Isole, filo di Arianna collegante premesse e deduzioni, era la strumentalità dell'azione meridionalista della sinistra, egemonizzata dal PCI, ri- .spetto ad una più ampia azione per il sovvertimento, se non delle strutture, per lo meno degli indirizzi politici del Paese; e in funzione di ques ta azione principale apparivano deviate le rivendicazioni e le denunce che er ano state avanzate, così come disarticolate le soluzioni proposte. Quanto a lla glossa che di questo meridionalismo di complemento dava l'Alicata sul numero di novembre-dicembre del 1954 di Rinascita, dedicato alla IV conferenza nazionale del Partito Comunista, essa non forniva alcuna indicazion e nuova. L'analisi di questi consumati interpreti della realtà nazionale e meridionale aveva così sorvolato su quanto di nuovo si andava verifica ndo nelle regioni meridionali e di cui i risultati elettorali nelle zone di rif orma davano i primi segni: mutamento delle condizioni sociali dei b racciantiproprietari e suoi riflessi politici, affiorare di nuovi ceti dediti al le attività terziarie, apparire in zone, sia pur limitate, come la Sicilia, di una ristretta ma vivace classe imprenditoriale. L'acume storicistico, di cui tan to menavano vanto certi ambienti comunisti, non andava al di là della denuncia delle insufficienze della politica meridionalista o degli abusi del sott ogoverno. Insufficienze e abusi talora reali, e che la stessa pubblicistica democratica ha deplorato: ma gli uni e le altre visti in una prospettiva disor ganica, e con una intenzione meramente strumentale ed agitatoria, interpr etati cioè alla stregt1a delle stesse contraddizioni che caratterizzavano la real tà sociale meridionale prima del massiccio intervento dei governi democratic i. Quelle contraddizioni che avevano visto fiorire decine di convegni comunisti sui più disparati argomenti, e molto spesso coronati da un effettivo successo politico. Da allora, come si è già detto) il frontismo meridionale entra in crisi, mentre viene maturando una nuova situazione politica, contrasse gnata da episodi salienti, come le elezioni delle mutue e le elezioni sicilian e. Il 1956 .... porta con sè tutto un profondo processo di rielaborazione ideol ogica nel campo della sinistra italiana, che si rifletterà poi, tra la fine dell'an no e gli inizi del successivo, nei due congressi del PCI e del PSI. Anche su l terreno della politica meridionale vanno delineandosi le differenze di va lutazione che dividono ormai i due partiti della sinistra italiana, differenze che non r io1 Bibloteca Gino Bianco

si possono più ridurre a co11trasti di tattica politica, ma assurgono sempre più invece a divergenze su questioni di principio. In un articolo dedicato da questa rivista agli orientamenti meridionali del PSI (3 ) si è già rilevato come le impostazioni socialiste, pur rimanendo ancora su un piano alquanto generico, non indulgessero a « prolisse e inconcludenti rivendicazioni>>, ma scendessero invece « sul più solido terreno di indicazioni concrete e realizzabili » ; si è inoltre notato come, pur mancando una approfondita interpretazione ufficiale della attuale realtà meridionale, ricchi di 'spunti interessanti fossero i contributi apportati da alcuni dirigenti socialisti al dibattito precongressuale. ., I comunisti, invece, che nelle basi ufficiali di discussione precongressuale ( << elementi per una dichiarazione programmatica » e « progetto di tesi >>)si erano limitati a ribadire insieme il carattere nazionale e strutturale della battaglia meridionalistica, e a riaffermare il fallimento della politica di intervento statale nel Sud, lanciando inoltre un ennesimo appello allo « sviluppo ulteriore del movimento unitario per la rinascita», finivano poi, ' durante il Congresso, col riassorbire intorno alla posizione immobilistica impersonata da Togliatti tutte le critiche che si erano manifestate nel dibat- - tito preparatorìo o negli stessi interventi in assemblea: critiche che in genere richiedevano un maggiore approfondimento della realtà meridionale e dei mutamenti in essa avvenuti, e dei loro riflessi nella lotta politica nazionale. L'orientamento effettivo del congresso comunista sul problema meridionale poteva quindi ritrovarsi nella mozione politica finale. Questa asseriva che « lo squilibrio fra le regioni meridionali e insulari e le altre regioni d'Italia» è inerente << alla struttura economica e politica del capitalismo italiano», e che, aggravatosi negli ultimi anni, questo squilibrio tende a diventare sempre più grave, << con l'intervento diretto nel Mezzogiorno e nelle Isole dei monopoli e del capitale fi11anziario», e sollecitava infine « una ripresa piena della lotta per la rinascita del Mezzogiorno e delle Isole ». L' << obiettivo generale è una politica nazionale di pace, di libertà, di profonde riforme strutturali >>,mentre gli obiettivi particolari sarebbero la riforma agraria generale, l'industrializzazione e la istituzione della Regione, nonchè l'attuazione r ( 3 ) Cfr. G. CERVIGNI e G. GALAsso, Il PSI e il Mezzogi·orno nel 1957, in << Nord e Sud», n. 30, maggio 1957. [11] Bibloteca Gino Bianco

del piano di rinascita sardo. Lo strumenv'> per realizzare tale politica dovrebbe essere << un vasto schieramento meridionalistico, nel Mezzogiorno e in tutto il Paese, di forze politiche, economiche e sociali diverse, in piena autonomja e secondo le loro caratteristiche e funzioni». Da queste basi, e costretti dalle persistenti incertezze dei socialisti di fronte ad un rilancio del Movimento per la Rinascita, i comunisti prendevano le mosse per una propria iniziativa meridionalistica. Un primo accenno se ne poteva trovare nel convegno meridionale della CGIL (4 ), risoltosi, nonostante la rivendicazione della spoliticizzazione del sindacato, nella elaborazione di un piano, difficilmente realizzabile per la sua mole, ed in un ennesimo appello unitario, che peraltro evitava accuratamente quella analisi critica che sola avrebbe potuto spiegare l'attuale crisi sindacale nel Sud e dare insieme le prospettive per un futuro rilancio. Ma le più dirette manifestazioni pubbliche del « nuovo corso>>del meridionalismo comunista si sarebbero avute durante due convegni: quello regio11alesiciliano e quello dei quadri di tutto il Mezzogiorno cui accennavamo più sopra. Una prima formulazione teorica veniva fornita dal nuovo responsabile del lavoro meridionale, Giorgio Napolitano, in un articolo su Rinascita che precedeva di pochi giorni il convegno dei quadri (5 ). Napolitano, prendendo le mosse da quanto aveva già sostenuto nell'VIII congresso., affermava che si doveva riconoscere che il movimento popolare meridionale aveva subito una battuta di arresto da due anni a questa parte; ma che ciò era dovuto ad una insufficiente analisi dei processi di trasformazione in corso nel Mezzog·iorno, di cui peraltro proprio quel movimento era stato l'origine prima: Tutto lo sforzo di rinnovamento dei comunisti si riduceva insomma a questa limitata autocritica, subito scolorita nella riaffermata validità della linea politica finora seguita, che appariva bisognevole solo di alcuni adeguamenti tattici. Le due rjunioni di Palermo e di Napoli erano destinate a chiarire la natura di questi adeguamenti, da cui, secondo l'inter- ( 4 ) Su di esso cfr. G. GALAsso, Nuovo corso del sindacalismo nel Sud, in << Nord e 5ud », n. 32, luglio 1957. ( 5 ) Cfr. G. NAPOLITANo, Continuità e prospettive della nostra azione meridionalista, in << Rinascita », aprile 1957. [12] BiblotecaGino Bianco

' pretazione dei dirigenti comunisti, dovrebbe nascere un nt1ovo frontismo, che ponga l'accento sui problemi tecnici ed economici più che st1gli aspetti politico-culturali, nel tentativo di agganciare una parte della classe imprenditoriale meridionale, garantendole taluni vantaggi sezionali, per contrapporla al resto della classe imprenditoriale nazionale ed ancor più alla politica governativa. È il tentativo di trasferire su scala più ampia l'esperienza effettuata con risultati peraltro discutibili in Sicilia (dove si vide la estrema sinistra schierata a difesa della classe imprenditoriale locale in occasione del convegno del CEPES del 1955), e rinnovata con forme diverse, durante i vari dibattiti in materia d'industrializzazione. Questa medesima linea politica, negli ultimi mesi, hanno cercato di elaborare i dirigenti della federazione napoletana per la zona di loro competenza (6 ). È una impostazione che, oltre tutto, se non inquadrata in una politica nazionale di vasto respiro europeo, può avere alla base un grave vizio corporativo e settoriale. Non a caso dunque Togliatti lanciava ufficialmente proprio in Sicilia la nuova linea, con un discorso pronunciato il 27 aprile (7 ), a -conclusione del congresso regionale comunista. Anche il leader del PCI partiva dalla constatazione del1' esistenza di un nuovo ambiente politico-sociale, nel quale, accanto ai tradizionali obiettivi di lotta, se ne andavano ponendo di nuovi, quali quelli creati dalla nascita di un mondo industriale, operaio e imprenditoriale (nel cui ambito il PCI si sarebbe adoperato a creare una coscienza di classe nei lavoratori che vi si andavano inserendo) e quali quelli creati dal potenziamento e dalla difesa dell'autonomia regionale. In una società più articolata, il PCI dovrebbe quindi perdere l'iniziale carattere «plebeo», per agganciare strati sociali ~em!{repiù differenziati, al fine di essere in grado di contrapporsi all'interclassismo democristiano. Tutti questi motivi sono presenti nella relazione di Giorgio Amendola in apertura dell'assemblea meridionale del PCI, tenuta 1'11 maggio 1957 a Napoli (8 ). Di essi il parlamentare comunista si servì per disegnare una sorta cli bilancio preventivo. Partendo, secondo le nuove premesse già sottolinea- ( 6 ) Cfr. a tal proposito G. CHIAROMONTE, "A1eridionalismo ed astrattezze, in << Cronache meridionali », IV, nn. 1-2, gennaio-febbraio 1957. ( 7 ) Nell'<<Unità>> del 28-4-1957, p. 7. · ( 8 ) Pubblicata integralmente, insieme con il riassunto degli interventi più importanti, in <<Cronache meridionali », IV, n. 5, maggio 1957. [13] Bibloteca Gino Bianco

te, dal riconoscimento dei mutamenti intervenuti nella società meridionale, e nelle campagne in particolare (dove « un colpo decisivo è stato dato con le leggi di riforma alla grande proprietà terriera nelle zone del latifondo tipico >>), e sia pur accentuando polemicamente gli aspetti contraddittori della nuova situazione meridionale, Amendola elaborava in quella sede un programma politico ed economico) in c11i,secondo una tattica ormai logorata, accanto a proposte realizzabili si affastellano rivendicazioni generali che non trovano alcuna rispondenza nella obiettiva realtà politica del Paese. In politica agraria, ad esempio, mentre si chiede la democratizzazione degli enti di riforma e dei consorzi di bonifica, si domanda anche la conversione in una quota di terra delle migliorie arrecate dai coloni, con il bel risultato che in molte zone del Mezzogiorno, specie in quelle a culture legnose specializzate, aumenterebbe la polverizzazione della proprietà, senza per nulla risolvere il problema dei compartecipanti, data la sproporzione di valore fra le migliorie effettuate e il capitale-terra iniziale. Ed analogamente, in politica industriale, mentre si auspica l'intervento dell'industria di Stato nel Mezzogiorno per la creazione di una industria di base (proposta realizzabile, intorno alla quale, come dimostrano le recenti vicende della legge di proroga della Cassa, è possibile creare un vastissimo schieramento parlamentare), si finisce col chiedere un provvedimento sovvertitore dell'intero indirizzo dell'economia nazionale, quale l'obbligo per le grandi aziende di investire nel Sud una parte dei propri profitti. Non si vede con quali forze possa essere oggi attuato un tale provvedimento. Ed è proprio questa con.. traddittoria mescolanza di astratte petizioni di principio e di ipotesi realizzabili che dovrebbe costituire la base delle << nuove possibilità di alleanze, tra la classe operaia e il ceto medio della campagna e della città » ? Che cosa c'e di nuovo, a parte forse l'adozione di un tono formalmente diverso, rispetto ai vecchi programmi massimi e massimalistici, che appunto percl1è irrealizzabili hanno finito col consegnare gran parte delle sfiduciate masse contadine nelle braccia del paternalismo degli enti di riforma e della « bonomiana >>? Ma ancora più nettamente la paralisi delle posizioni comuniste risulta dal quadro generale in cui vengono calate queste rivendicazioni, così co1ne appare sia nella relazione di Amendola, sia nell'intervento di Alicata, sia infine in altri interventi minori. [14] Bibloteca Gino Bianco

« Non si può condurre una effi-cacee conseguente azione meridionali- . stica se non •si affrontano con i problemi della terra e della industrializzazione anche i grandi temi della libertà e della pace>>,sostiene l'on. Amendola, difendendo i comunisti dall'accusa di «strumentalismo», che « ha tra- . vato un'eco anche nelle file del partito socialista >>; « quando ci chiama110 meridionalisti di complemento>>, aggiunge l'on. Alicata, « questa accusa ci lascia completamente indifferenti perchè noi non abbiamo mai nascosto e non vogliamo nascondere lo stretto collegamento che per noi esiste fra la lotta per la rinascita del Mezzogiorno e il moto di rinnovamento democratico e socialista del Paese ». Già Amendola aveva chiarito che uno dei compiti del rilancio meridionalistico del PCI sareb·be stata l'opposizione al mercato comune, e il relatore ad hoc, on. Spallone, aggiungeva che « il Mercato comune potrebbe mettere in discussione la possibilità stessa di una politica meridionalistica in Italia>>, dopo avere però ribadito che il maggior difetto del trattato è costituito dalla « rinuncia a svolgere una qualsiasi funzione nei confronti dei Paesi del bacino del Mediterraneo». E l'altro relatore sui problemi di politica estera, sen. Valenzi, precisava ulteriormente: « noi riteniamo che sia necessario superare le polemiche per condurre, in tutto il Mezzogiorno, una campagna vasta ed efficace intesa a dar vita ad uno schieramento vasto di forze per imporre la sospensione degli esperimenti atomici ... È veramente uno strano modo di dirsi meridionalisti quello di considerare i problemi del Mezzogiorno fuori dal quadro della situazione internazionale: la lotta per la pace è condizione fondamentale per assicurare il successo di qualsiasi altra battaglia delle masse popolari meridionali». Quando raffrontiamo queste affermazioni con quelle che risuonarono al secondo convegno del popolo del Mezzogiorno, vediamo che sostanzialmente nulla è cambiato, e che la strumentalità, la <<doppiezza>>dell'azione meridionalistica dei comunisti rimane immutata, ad onta di tutte le sconfitte che essa va procurando al movimento popolare meridionale nel suo complesso. È un « meridionalismo di complemento» solo formalmente arricchito di nuovi temi, o di nuove astuzie, ma contraddittorio come quello · di vecchio stampo. Le nuove tecniche che vengono suggerite dalla concorrenza della destra o della DC ( dalla creazione di sedi accoglienti al proselitismo fra le donne e fra i tecnici) restano al puro livello della propaganda. [15] I Bibloteca Gino Bianco

I11più vi è solo il tono di sufficienza con cui, da Amendola ad Alicata, da Valenzi a Togliatti (che te11ne il discorso di chiusura), si fa la lezioncina ai socialisti, per esortarli, con un tono vagamente ricattatorio, a rientrare nel-- I' ovile frontista (9 ). È ovvio quindi che proprio questa incapacità comunista (per noi costituzionale, del resto) a digerire quanto c'è di nuovo nel Su,d, ed a liberarsi dalle vecchie formule, approfondisce, al di fuori e indipendentemente così dalle pretese velleità « capitolarde » dei nenniani come dalla volontà unitaria dei <<carristi>>e dei << morandiani », le differenze con il PSI anche sul terreno meridionale. Il che potrebbe essere politicamente assai producente qualora il PSI sapesse qualificare coscientemente la propria presenza. E perciò, a meno di una tenace volontà autolesionistica dei socialisti, la sorte della traballante e sclerotica struttura della << Rinascita » dovrebbe essere già ,segnata. Se .difatti << Movimento di Rinascita » vuol dire ancora, come è stato autorevolmente riaffermato, nuova campagna tipo << Partigia11i della Pace » (organizzazione da cui i socialisti ufficialmente sono usciti), lotta di principio contro il Mercato Comune (che i socialisti invece accettano proprio -in linea di principio), richieste massimaliste e contraddittorie (terreno dal quale il PSI sembra ormai rifuggire) è assolutamente ingiustificabile la persistenza di questo organismo «unitario>>. E del resto, la riunione tenuta in luglio dal Comitato di Rinascita si è limitata ad elaborare in uri paio d'ore un nuovo statuto. In esso si può leggere che il mo~imento di rinascita « ha per obiettivo la soluzione della questione meridionale>>, e che « quest'obiettivo viene perseguito con una continua opera di aggiornamento dei problemi politici, economici, sociali e culturali del Mezzogiorno e delle Isole, con una costa11te azione di propaganda da svilupparsi in tutto il Paese, con opportune iniziative che pongono all'attenzione dell'opinione pub.blica nazionale questo o quel problema importante» (art. 2); che << possono aderire al movimento ( 9 ) E il nuovo responsabile meridionale del P .S.I., on. Mancini, si è visto costretto ad una garbata ma ferma replica (/ socialisti· e 1:lComitato di Rinascita, in << Avanti b> del 24-5-1957) nella quale negava al Comitato di Rinascita << la guida politica di tutte le forze meridionali ». [16] BiblotecaGino Bianco

cittadini singoli a titolo personale, partiti e orga11izzazioni politiche, organizzazioni sindacali, cooperative, associazioni femminili, giovanili e culturali, giornali e riviste » (art. 3); e infine che « gli aderenti a titolo individuale ed i rappresentanti delle organizzazioni aderenti costituiscono il Comitato Nazionale per la Rinascita del Mezzogiorno e delle Isole» (art. 5). Abbiamo voluto riferire ampiamente questo singolare documento, dove non si sa se ammirare di più l'inutilità delle affermazio11i di principio o la vacuità delle soluzioni organizzative. È evidente che i comunisti, pur di poter indire riunioni frontiste, sono disposti ad accettare che esse siano impiegate a pestare l'acqua nei mortai, o, che è lo stesso, ad elaborare nuovi statuti. Se una considerazione finale si deve trarre oggi da questa rassegna delle ultime vicende frontiste nel Mezzogiorno, questa conclusione può essere dedotta dalle stesse considerazioni dell'on. Napolitano al Comitato Centrale del PCI (l'Unità del 29 settembre): « la nostra azione meridionalistica si sviluppa con lentezza. Abbiamo, è vero, un dato positivo rappresentato dalla ripresa dell'attività del Comitato per la Rinascita del Mezzogiorno, attività nella quale si sono efficacemente impegnati anche i compagni socialisti. Ma i11complesso il Movimento ha un mordente ancora insufficente, e si nota ancora dell'incertezza da parte delle organizzazioni meridionali del partito nell'applicazione della linea. Per quanto riguarda la unità della classe operaia e i rapporti con i compagni socialisti, il problema non sta nel tono della . polemica: il fatto è che la polemica non deve esaurire la nostra azio11everso i socialisti, ma ad essa deve affiancarsi sempre l'iniziativa politica diretta a ricercare ed a realizzare l'unjtà ». Da questa citazione si deduce anzitutto che la crisi comunista è politica cd ideologica, ancora prima che organizzativa o elettorale. La sensibile flessione degli iscritti, di cui ha parlato l'on. Amendola e che sembra più rilevante nel Sud, rappresenta la prova migliore del fatto che il « meridionalismo di complemento» non apre prospettive politiche alle masse e che queste cominciano ad acquistare consapevolezza del loro <<congelamento>>sulle posizioni del frontismo; « l'incertezza da parte delle organizzazioni meridionali del Partito nell'applicazione della linea» è quindi la causa della flessione degli iscritti e la conseguenza della crisi del « meridionalismo <li !(Omplemento », della versione meridionale, cioè, di quella «doppiezza» [17] BiblotecaGino Bianco

del PCI che gli Onofri ed i Reale vanno da tempo vigorosamente denu11ciando e di cui il PSI non ha ancora preso definitivamente atto. Di fronte a questa realtà è però veramente ingiustifi-carbileil fatto che i socialisti si siano ancora « efficacemente impegnati>> nell'attività del Comi-· tata per la Rinascita. Noi sappiamo che questo è vero fin~ ad un certo put1to. Nei confronti del Comitato per la Rinascita i socialisti non dimostra110 tanto di essere << efficacemente impegnati», ma piuttosto di essere peno~amente indecisi. Essi subiscono sempre il « complesso di inferiorità>> denunciato da Corrispondenza Socialista, non rifiutan,dosi di procedere all'elabo-· razione di nuovi statuti, ma rifiutandosi di creare una nuova direzione del movime11to operaio, e del movimento meridionalista, mediante quella << lotta aperta>> che Onofri sollecitava da essi sul Mondo. E tuttavia, essi, i socia-· listi, rappresentano oggi, nel Mezzogiorno, e non solo nel Mezzogiorno, la più assillante preoccupazione dei comunisti. Infatti, mentre gli Amendola e gli Alicata cercano di varare aggressivamente un neo-frontismo, di conqui-• stare nuove adesioni, di compromettere altri gruppi politici e sociali, tutto ciò no11si rivela -cheuna facciata, anzi una cortina fumogena, dietro la quale, in realtà, ogni sforzo del PCI resta concentrato verso un intento tutto difensivo, nei cui confronti suona oggi assai contraddittorio il vecchio, o appeJ1a formalmente rinnovato, linguaggio dell'offensiva frontista. ·È l'intento di. trattenere il PSI, di conservare un minimo di saldatura con l'anello fondamentale e condizionante della catena frontista, incrinata appunto là dove la saldatura era stata assicurata con la cattività socialista. Ma se la catena frontista è incrinata, essa non è stata ancora spezzata:· questo, come il fatto che i comunisti possano ancora parlare di neo-frontismo,. di « efficace impegno>> da parte dei compagni socialisti, questo, dicevamo, --....... è il sintomo più eloquente dell'attuale ritardo dei socialisti sui tempi poli-· tici delle operazioni di sganciamento da quel frontismo che essi stessi, per· bocca dell'on. Nenni, e non solo dell'on. Nenni, avevano dichiarato inattuale .. Tali tempi politici, peraltro, sono stati accelerati dall'intervento di un nuovo interlocutore, del quale non si può e non si deve sottovalutare l'importanza: il cosiddetto gruppo degli ex comunisti. Il problema del frontismo nel Mez-- zogiorno, dell' << efficace impegno» o della penosa indecisione dei socialisti nei confronti del Comitato per la Rinascita, non può essere più eluso ~ nemmeno accantonato. Anche le parole di Fabrizio Onofri e di Corrispondenza. .. [18] BiblotecaGino Bianco

Socialista che abbiamo citate all'inizio rappresentano una seria indicazione politica in questo senso. Come può, dunque, il PSI uscire dalle contraddizioni in cui esso stesso si è posto e insieme sfuggire alla trappola neofrontista? È evidente che questo non è più oggi un problema soltanto meridionale: poteva esserlo ieri, quando la liquidazione dei comitati di Rinascita pareva atteggiarsi come l'ultima o penultima tappa dello sganciamento socialista dal PCI, l'ultima o penultima tappa di una marcia di avvicinamento alle posizioni risolutamente democratiche. Ma dal momento che l'on. Nenni parla di << pietre tombali sull'unificazione», risulta chiaro che i movimenti prima predisposti e accennati non si faranno più. Seppellita l'unificazione il PSI tornerà al frontismo? C'è una dinamica dei movimenti politici alla quale si sfugge solo con sforzi eroici, ed è su essa che contano ora i comunisti per risuc~ chiare i socialisti. Ove mai il PSI non procedesse nel Mezzogiorno alla più frettolosa delle liquidazioni dei suoi agganci ai comitati di Rinascita e ad un ripensamento della sua politica meridionalistica, l'on. Nenni e i suoi amici potrebbero trovarsi, nel giugno prossimo, a piangere su una cocente sconfitta. [19] BiblotecaGino Bianco

II processo al Mercato Comune di Renato Giordano Gli europeisti si trovano normalmente in una posizione di svantaggio di fro11teagli anti-europeisti - anche se si tratta di svantaggio solo apparente - poichè ogni discussione sull'unità europea, o anche soltanto sul pro- ... cesso di integrazione europea, verte su una realtà di domani, cioè su u11a realtà non conosciuta e non conoscibile: avviene di solito, invece, che gli avversari dell'Europa ipotizzano le situazioni future, proiettando nell'avvenire le realtà di oggi così come sono (o appaiono) oggi, e come se nel frattempo esse non dovessero subire, attraverso il processo di integrazione, una trasformazione profonda. I diferisori ed i critici fanno entrambi un atto di fede: gli uni positivo, gli altri negativo; i primi credono nella necessità della federazione, i secon,di nello << status quo ». Ma gli europeisti sostengono la . propria tesi dimostrando con argomenti generali la necessità di fare il salto per creare la realtà 4i domani, frutto della trasformazione radicale della realtà di oggi; i difensori dello stato nazionale si attengono ad aspetti particolari di questo o di quel Paese e, proiettandoli nell'avvenire avulsi da tutto il resto, presumono di dimostrare la gravità delle conseguenze dell'integrazione. I nazionalisti francesi, ad esempio, quando dichiarano che l'Europa unita determinerebbe grande affusso di manodopera italiana in Francia, peggiorando le condizioni dei lavoratori del loro Paese, non fanno altro che prendere un aspetto particolare della realtà italo-francese odierna e proiettarla nell'avvenire; come se tutti gli altri fattori dell'economia dei due Paesi dovessero rimanere inalterati. L'europeista non può sperare di mostrare le sue ragioni mantenendo la polemica su quel problema particolare (e l'esempio addotto potrebbe naturalmente venire moltiplicato per mille),, [20] BiblotecaGino Bianco

ma deve spostare le sue argomentazioni su un piano più generale. Cosicchè gli anti-europeisti danno un'impressione di concretezza, che è invece puramente .fittizia, allo stesso modo che la necessaria astrattezza degli europeisti contiene una maggiore dose di realismo di quanto non appaia a prima vista. Che è poi i~ conflitto eterno tra i conservatori e gli innovatori. Tuttavia, i recenti esperimenti di integrazione economica in Europa, ed in particolare il Benelux e la CECA, cominciano a consentire agli e11ropeisti, sia pure in via approssimativa, di sostanziare le argomentazioni di logica astratta e le professioni di fede con argomenti tratti dall'esperienza storica. La lezione delle cose permette la confutazio11e di certe tesi nazionalistiche: di fronte all'evidenza dei fatti, gli europeisti possono già rivendicare il loro realismo, provando l'astrattezza dei nazional-conservato~i. Uno degli argomenti dei critici della « piccola Europa » è che le eco11omiedei sei Paesi non sono comple!Ilentari, ma concorrenti; e che per conseguenza la nuova Comunità non si realizzerà integrando economie diverse, ma provocando gravi crisi di adattamento dopo glì immancabili conflitti tra i sistemi procluttivi dei Sei. A questa preoccupazione gli europeisti replicano normalmente a.ffermando che la visione della complementarietà delle economie è profondamente influenzata da una concezione autarchica, poichè insegue il mito del1' autosufficienza. E lo scopo fondamentale di un'economia moderna non è l~autosufficienza, ma la razionalizzazione. Nemmeno gli Stati Uniti sono autosufficienti e sempre meno lo saranno con il passare degli anni. Il fine che, in quanto europei, dobbiamo perseguire, integrando le nostre economie, non consiste nella creazione di un'area economica autarchica, ma nella massima modernizzazione e razionalizzazione possibile del nostro sistema pro- <l uttivo. Si tratta, cioè, di aume11tare la produzione, riducendo i costi, di migliorare i salari per elevare i consumi, mentre l'aumento dei consumi dovrà garantire a sua volta nuovi impulsi produttivi. Per realizzare questi obiettivi di razionalizzazione produttiva, non è necessario produrre in Europa tutte le materie prime, dal grano al petrolio, dal ferro all'uranio, ma occorre esportare abbastanza per poter poi bilanciare le spese rese indispensabili dalle importazioni. L'Europa 1111itac, ioè, non dovrà sbarrare le sue frontier~, ma aprirle quanto più le sarà possibile (e tenendo conto, naturalmente, della prima fase - certo non breve - di adattamento\ perchè la sua esi- [21] Bibloteca Gino Bianco

stenza ed il suo sviluppo saranno condizionati - come già oggi l'avvenire delle singole nazioni- europee è condizionato - dalla possibilità di tenere bene aperte le vie del commercio. A questo punto cade opportuno ricordare l'esperienza del Benelux. AI momento di realizzare l'unione doganale, parve ad alcuni che le speranze migliori di successo risiedessero in una certa complementarietà delle economie, dato che l'Olanda aveva una struttura prevalentemente agricola, mentre il Belgio era eminentemente industriale. Ma l'evoluzione economica ha smentito le previsioni. Sebbene, infatti, gli scambi tra i due Paesi si siano fortemente accresciuti (le esportazioni belghe verso l'Olanda, che rappresentavano nel 1938 il 12% delle vendite totali del Belgio, erano salite nel 1956 al 22%; mentre le im,portazioni erano salite dall'8% nel 1938 al 13% - nel 1956; quanto all'Olanda, poi, fil totale importazioni-esportazioni con il Belgio era salito dal 10~~ nel 1938 al 17% nel 1956), questo non ha impeàito alle economie dei due Paesi di diventare molto più simili di quanto ' 110nlo fassero in partenza. In effetti, i Paesi Bassi si sono messi alacremente sulla strada dell'industrializzazione in tutti i settori, e perfino in campo siderurgico. L'Olanda, che nel 1938 produceva un totale irrisorio di 50.000 tonnellate di acciaio all'anno, ha raggiunto ora la cifra, in confronto enorme, di circa 1.000.000 di tonnellate. È appena il caso di ricordare che, al momento della formazione del Benelux, dopo la Francia e la Germania, il Belgio occupava il primo posto come produttore siderurgico del continente europeo (1 ). Queste cifre si comme11tano da sè: l'unione economica tra diversi Paesi porta a sviluppi non prevedibili, ma che certamente non seguono lo schema della complementarità. S0110 aumentati gli scambi tra Belgio ed O,landa, ma le strutture economiche, lungi dal differenziarsi, si sono avvicinate. La produzione si è accresciuta di molto - ed il tenore gi vita è migliorato - mer1tre gli scambi con i Paesi terzi subivano un forte aumento (le importazioni del .Benelux sono salite infatti da 150 miliardi di franchi belgi nel 1948 a 291 miliardi nel 1956; le esportazioni da 100 miliardi nel 1948 a 247 miliardi nel 1956): non si vuole qui naturalmente affermare che tali van- ( 1 ) Cfr. Pace à l'Europe, le m1:nute de vérité, di P. ·orouin, Le Monde, 28 giugno 1957. [22] BiblotecaGino Bianco

taggi siano il risultato esclusivo o preminente del Benelux, ma semplice-- mente constatare che il Benelux non ha impedito questi sviluppi e non ha provocato crisi di rilievo in alcun settore delle due economie integrate. Ad analoghe conclusioni si giunge, se si studia l'esperienza della CEC1\.. Qua11do fu lanciata l'idea del Piano Schuman, gil ambienti economici italiani manifestarono la preoccupazione che la nostra siderurgia non avrebbe retto la prova della concorrenza franco-tedesca. E in. realtà l'integrazione per settore giustifica il timore che le economie più deboli finiscano con il soccombere, data la manranza degli altri fattori e meccanismi equilibratori, che possono, invece, giocare in un'integrazione generalizzata. I fatti hanno però smentito le previsioni e placato le ansie. L'Italia ha in pochi anni, dal '52 al '57, più che raddoppiato il suo consumo e la sua produzione di acciaio. Mentre ci avviciniamo al maggio del 'S8, che vedrà, con la fine del periodo transitorio, l'inserimento definitivo del mercato italiano nel mercato CECA, a parità di co11dizioni - senza, cioè, gli ultimi residui di protezione doganale di cui ancora usufruisce - la nostra siderurgia, sia quella privata che quella nazionalizzata, prepara la costruzione di nuovi imponenti impianti, che dovrebbero portarci, entro il 1960, ad una produzione di circa 9 milioni di tonnellate di acciaio annue (nel '52 si era ad un livello di poco più di 2 milioni e mezzo). Non c'è dubbio che questo accrescimento prodigioso della siderurgia italiana sia reso possibile dal persistere di una congiuntura mondiale estremamente favorevole (e ci sia consentito di osser- . vare che la recessione in corso in USA non sembra influenzare i nostri programmi di sviluppo: non è, dunque, più vero che<<se l'economia americana prende il raffreddore, l'Europa s'ammala di polmonite>>?); ma è egual1nente certo che la nostra managerial élite è giunta alla conclusione che non esiste alcuna ragione strutturale ed immutabile che impedisca all'Italia di costruirsi una siderurgia in grado di reggere la concorrenza renana e lorenese. Come la United States Steel (la più grande compagnia siderurgica statunitense, che da sola produce circa 40 milioni di tonnel_late di acciaio alranno) ha trovato economicamente utile la costruzione dei nuovi impianti sul litorale atlantico per la trasformazione del minerale di ferro venezuelano, così la nostra si~erurgia ha trovato vantaggioso lo sviluppo della siderurgia del litorale, che era del resto al centro del piano Sinigaglia, anche in Italia. Naturalmente il potenziamento della siderurgia italiana smentisce [23] Bibloteca Gino Bianco

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