Nord e Sud - anno II - n. 13 - dicembre 1955

. . \ . ' · ... : . . • I r . ', ' t , • • . . .... ,., • I • . . I • : i r • Rivista mensile diretta da Francesco Compagna I ANNO II * NUMERO 13 * DICEMBRE J 955 Biblioteca Girio Bianco . '

r Biblioteca Gino Bianco È la piccola macchina per l'ufficio e per lo studio privato. Forni::;ce un lavoro di qualità elevata e costante. Unisce le caratteristiche di stabilità e di robusta struttura dei modelli maggiori alla mobilità ed eleganza della portatile. Olivetti Studia 44 .J

- ;~ Rivista mensile diretta da Francesco Compagna I , •.J◄ Biblioteca Gino Bianco I

SOMMARIO Editoriale [ 3] Ugo La Malfa Ripreisa dell'integrazione economica euro.. pea? [6] Vittorio de Caprariis De Sanctis, <<precursore>co>nteso [ 14] N.d.R. Federico Orlando Laura Sasso Calogero Mario Arpea Gianni De Luca Nello Ajello GIORNALEA PIÙ VOCI I faraoni della cultura [ 40] Concentrazione in Sicilia [ 45] La lezione di La Mortella [50] Pastori e greggi d'Abruzzo [55] Emigranti ,in Canadà [59] Napoli volgarissima [65] RILIEVI ECONOMICI .[69] DOCUMENTIE INCHIESTE Crescenzo Guarino Dai mafiosi ai camorristi [76] Alberto Ronchey ' Giorgio Granata Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti s Italia annuale L. 3.300 semestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Nord • Sud e Nuova Antologia Italia annuale L. 5.500 Estero » L. 7 .500 Effettuare i versamenti sul C. C.P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore• Milano Biblioteca Gino Bianco IN CORSIVO [ 107] CRONACHEE MEMORIE Il P.R.I. e la « terza forza>.'> [ 110] LETTERE AL DIRETTORE [119] RECENSIONI L'opposizione cattolica [ 123] DffiEZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAME~TI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 35.12.71

Editoriale Quando questa rivista è uscita per la prima volta abbianio detto schiettamente, senza mezzi termini e frasi involute, quello che pensavamo della situazione interna italiana, dello stato dei partiti, di tutto lo schieramen,to politico. Abbiamo detto che nel nostro paese le istituzioni democratiche erano fragilissime e che tutto lo sviluppo storico dell'Italia prefascista non era stato sufficiente a rafforzarle e che il fascismo aveva distrutto interamente o quasi l'opera con tanta fatica compiuta e aveva sterilizzato infiniti germi vitali. Abbiamo sottolineato anche, allora e numerose volte dopo, le minacce che venivano a queste istituzioni dalla politica di sottogoverno del partito di maggioranza, dall'eccessiva disinvoltura con cui si tendeva a sfasciare certe strutture e a dimenticare certi principi fondamentali dello Stato liberale da parte dello stesso partito di maggioranza; e le minacce che ve11ivano dalla pigrizia, dalla mancanza di reattività, da un fatalistico acco11ciarsia subi're, che caratterizzavano troppo spesso l'azione dei partiti di democrazia laica Ma già allora dicemmo - e abbiamo ripetuto molte volte - che consideravamo l'esistenza in ltali'a di un forte partito comunista una delle cause principali ( e insieme il sintomo più preoccupante) della precarietà della nostra vita democratica. E dobbiamo aggiungere oggz·che in quest'anno nulla è accaduto che potesse farci mutare opinione. Come democratici e come meridionalisti dobbiamo dire con tutta franchezza che i milioni di voti sterilizzati all'estrema sinistra sono un enorme passivo, sono un cancro che rode dall'interno le strutture democratiche, che ne impedz'sce la crescita e il rafforzamento, che fa/,sa interamente la dialettica della lotta politica italiana generando equivoci e confusioni di ogni genere, che ostacola finalmente la soluzione effettiva dei problemi di fondo della nostra [3] BibliotecaGino Bianco

vita nazionale. Nel '44 vi sono stati in Itcdia uomini che hanno tentato di imporre una soluzione democratica e progressista dei nostri problemi: nia la più parte di essi ha dovuto constatare che il più grosso ostacolo era 1'appresentatoproprio da un partito comunista potsibilista e pronto a qualsiasi compromesso. In giorni assai più recenti abbiamo potttto constatare che all'on. Togliatti non interessava lo Stato di diritto, lo Stato delle libertà moderne, su cui fino al giorno prima aveva pianto tutte le lacrime dei suoi aniici, e che anzi era disposto a barattarlo contro il più meschi'no tatticismo. Questi sono piccoli esempi, determinazioni particolari del fatto generale che si è enunciato_più sopra. E su di esso non vi sono volute retoriche o pseudo-storiche che tengano: è perfettamente inutile paragonare la funzione dei comunisti di oggi a quella dei rivoluzionari del 1848 ed è ancora più inutile fare appello alla hegeliana astuzia della ragione e dire che malgrado tutto, malgrado se stessi e le loro intenzioni, i comunisti assolvono una funzione liberale. Il partito com1,1nistaè un partito che ha spezzato con la violenza le strutture della vita democratica nei paesi in cui ha conquistato il potere, e che, se potesse, farebbe a/,tretta11toda noi: un tal partito non può assolvere, nè oggi, nè fra dieci anni, una funzione liberale. Conviene lasciare queste dispute agli orecchianti di un malinteso storicismo, ed adottare intanto un'altra logica, la logica della politica, in nome della quale gli avversari sono avversari e varino combattuti come tali; e messi, con tutti i mezzi costituzionali e democratici, nell'impossibilità di nu_ocerealla democrazia stessa. Nella politica generale che si è fatta verso i /comunisti e verso i loro compagni di viaggio tra il '47 e il '53, pur tra molti errori di valutazione e di comportamento, v'era u11e,'sigenza giusta, quella di isolare i comunisti. I comunisti godevano di tutte le libertà degli altri cittadini, facevano la loro propaganda, i loro comizi, organizzavano i loro sindacati, i partigiani della pace e di che so io, eleggevano i loro deputati. Ma restavano isolati. La libertà ha bisogno di difendersi: e si deve difendere senza violare le norme fonda mentali dello Stato italiano. Quando tali norme sono state violate, noi per primi siamo insorti a denunciare queste violazioni (si ricordi il caso delle discriminazioni amministrative). Ma siamo insorti n.on perchè credessimo che i comunisti f assero divenuti d'un tratto deniocratici, ma perchè avevamo (ed abbiamo) il senso dello Stato di diritto; non possiamo perciò ammettere che ne siano calpestati i principi. [4] BibliotecaGino Bianco I

E siamo insorti anche perchè eravamo persuasi che queste violazioni avrebbero annullato i vantaggi della politica seguita fi1io a quel momento, che era, lo ripetiamo, di isolare sempre più i comunisti rispettandone i diritti e le libertà di cittadini. E questa è ancora oggi, oggi che i comunisti sono in crisi per il loro lungo isolamento, oggi che essi sono stretti tra la paura dell'immobilismo e il terrore di restare soli all'estrema sinistra, che le élites operaie del Nord sono frustrate perchè il paradiso non è stato a1icora dato loro; questa è ancora la sola politica che si deve fare verso i comunisti. Poichè è beti vero che esiste un problema di promozione del sottoproletariato urbano e contadino a proletariato cor/lunista, ed è vero che questa promozione rappresenta pur sempre un progresso rispetto alle posizioni di partenza. Ma è altresì vero che rispetto a questo problema i comunisti hantio dato il contributo che potevano dare; e ci incalza ora un altro problema, di promozione del proletariato comunista a proletariato democratico. I problemi di fondo della vita nazionale sara1ino avviati verso la. loro effettiva soluzion.e quando comincerà il riflusso dal partito comunista, quando i voti sterilizzati all'estrema sinistra antidemocratica cominceranno a rifluire verso posizioni, verso forze politiche democratiche. Questo è un obiettivo che nessun sincero democratico deve mai perdere di vista, perchè qui e non altrove è il problema storico della democrazia italiana. Dimenticarsene, per correre facili avventure o anche soltanto per un dubbz·o tatticz·smo, è l'errore più grave che si possa commettere i1i questa delicata congiuntura, è precludersi durevolmente le vie dell'avvenire, è ritardare di una generazione un processo che ha già avuto inizio, il processo di liberazione del nostro paese dagli infantilismi estremisti. [5] BibliotecaGino Bianco

Ripresa dell'integrazione economica europea? di Ugo La Malfa Nel numero inaugurale di questa rivista, ho illustrato («Mezzogiorno nell'Occidente», dicembre 1954) i legami di ordine economico, politico e culturale che legano il Mezzogiorno all'Occidente, _e l'interesse che le regioni meridionali hanno al compimento del processo di integrazione politica ed economica dell' Europa. Poichè si era trattato di un articolo d' inquadramento gener,ale che, necessariamente, prescindeva dalla considerazione delle mutevoli vicende dell'azione politica, non erano state specificamente valutate, in quell' arti-- colo, le conseguenze sommamente sfavorevoli che la caduta della C.E.D. aveva provocato nel campo dell'intera azione europeistica. In effetti tale azione, sia attraverso la politica di liber!alizzazione degli scambi e di accordo unilaterale per i pagamenti seguita dall'O.E.C.E., sia attraverso La creazione della Comunità a ·sei del carbone e dell' acciaio, aveva avuto inizio, prima che sul terreno politico e militare, sul terreno prettamente economico. Lo stesso trattato della C.E.C.A. creava un'autorità sovranazionale non per un',azione specifica nel campo politico, ma. per un'azione tecnico-politica in un settore vitale della vita economica europea, come premessa ad ulteriori sviluppi. Fu la preminenza dei problemi difensivi e di politica estera, la necessità di un equilibrio di potenza fra i due blocchi dell'Oriente e dell'Occidente che portò a sovrapporre, all'aspetto puramente economico del processo di integrazione europea, l'aspetto politico e militare. E non fu sovrapposizione ,arbitraria, poichè alle resistenze tradizionali che ogni processo integrativo e federativo comporta, resistenze determinate da interessi costi- [6] Biblioteca Gino Bianco .

tuiti, da posizioni acquisite, da vecchie abitudini e modi di pensare, non si può contrapporre che o una imperiosa necessità economica (superamento di debolezze strutturali dell'economia) o una necessità di ordine più specificatamente politico e difensivo (bisogno di indipendenza, difesa comune ecc.); e la priorità di un motivo sull'altro dipende dalle circostanze stesse in cui la vita degli organismi che si vogliono integrare o federare si svolge. La caduta della C.E.D., superati i notevoli contraccolpi dell'insuccesso, avrebbe dovuto portare ad una ripresa della spinta europeistica sul terreno economico, per qualche anno sacrificato a più impellenti ragioni politiche , e militari, se nel frattempo altri fatti non fossero intervenuti ad arrestare, anche in quel particolare settore, la marcia. Intendo alludere alla formidabile espansione congiunturale dell'economia britannica e tedesca ed alle tendenze dissociative alle quali tale espansione ha dato luogo. In sostanza, ancor prima della caduta della C.E.D. e per molti mesi dopo, non solo si è spenta qualsiasi iniziativa europeistica in campo economico, ma quel processo associativo che aveva dato luogo all'iniziativa dell'O.E.C.E., sia in materia di liberazione degli scambi, sia in materia di congegno multilaterale dei pagamenti (Unione europea dei pagamenti) subiva una pericolosa crisi e minacciava di franare. Manifestazione di questa crisi fu la battaglia per la convertibilità 1nonetaria, iniziata dalla Gran Bretagna, nel culmine della sua espansione economica, e seguita dalla Germania, orgogliosa del formidabile e insospettabile sviluppo economico raggiunto negli ultimi anni. Alfieri di questa battaglia furono il Cancelliere dello Scacchiere, Butler, in Gran Bretagna, e il Ministro dell'Economia, Erhard, in Germania; e non è scars~- mente significativo che gli uomini rappresentativi della congiuntura favorevole, fossero gli uomini impegnati nello sforzo finale di realizzare la convertibilità. Come dichiarai alla Conferenza parlamentare europea di Parigi nel marzo 1954, in polemica con i conservatori inglesi e con la maggioranza governativa tedesca, attentamente ascoltato da laburisti e socialdemocr,atici, la marcia verso la convertibilità delle due Nazioni economicamente più forti dell'Europa Occidentale, avrebbe soddisfatto alcune esigenze nazionali, se non nazionalistiche, dei due Paesi, ma avrebbe indebolito e messo in forse il processo di integrazione economica dell'Europa. [7] Biblioteca Gino Bianco

Naturalmente, mi ero reso -conto dei motivi che portavano i due / Paesi a convergere nella battaglia per la convertibilità monetaria. L' In.. ghilterra, sicur,a di aver superato la fase della austerità e dei sacrifici, e fiduciosa di riaffermare una grande presenza nel campo economico internazionale, faceva della convertibilità della sterlina la leva per r~fforzare i legami tra i Paesi del Commonwe~lth e per riprendere l'intermediazione di una gran parte dei tr,aflici del mondo. La Ger~ania, tornata alla sua vecchia politica di quasi illimitata espansi~ne sui mercati esteri, sperava di consolidare, attraverso la convertibilità, la su,a posizione di punta. Ma proprio la scelta di tali indirizzi dava la misura della scarsa considerazione in cui era tenuto il processo di integrazione economica europea, e dei pericoli che si sarebbero corsi nel comprometterlo. Come affermai nel discorso di Parigi, cadrebbe in grave errore chi pensasse che il problema del nostro tempo consista nel ritorno alle condizioni economiche esistenti anteriormente allo scoppio della prima guerra mondiale. Liber,alizzazione degli scambi e convertibilità monetaria non vanno interpretati al lume dell'esperienza dell'ottocento, e nei primi anni del novecento, ma alla luce di esperienze molto più vicine. Se badiamo ai nuovi fatti economici, politici e storici, troviamo che gran parte di quel mondo, che anteriormente al 1914 aderiva al concetto di libera circolazione delle merci e di convertibilità monetaria internazionale, è entrato nella sfera della ideologia comunista e della organizzazione economica che la caratterizz,a. Parlare di liberalizzazione degli scambi e di convertibilità monetaria nell' ambito di questo imponente blocco di Paesi, è un non senso. D'altra parte, anche il mondo occidentale è diviso tra una grandissima potenza economi<:iache opera su un vasto e unitario mercato interno (Stati Uniti d'America) e molteplici Nazioni, sopratutto europee, la cui influenza economica sul mondo è andata sempre più attenuandosi. È anche possibile isolare, da questo complesso di interessi nazionali, atomisticamente sviluppatisi, una politica del Commonwealth britannico. Ma ci si accorgerà ben presto che essa non può prescindere da legami che l'Inghilterra ha stretto con l'Europa continentale; e non può quindi prescindere da certe necessità della vita europea. Inoltre, appare , senz'altro impossibile estrarre, da questo insieme atomistico, una politica rilevante con riferimento alla .Germania, o, peggio_ancora, alla Francia, all'Italia, ecc. L'organizzazione del mondo si è modificata dal 1914 in poi: [8] Biblioteca Gino Bianco I

grandi spazi economici continentaìi o intercontinentali si sono costituiti ed essi impongono agli Stati europei non una politica nazionale, ma una politica continentale o di grande spazio economico. Alla valutazione ottimistica di certi circoli inglesi e tedeschi, che portava ad avere fede nelle proprie esclusive forze economiche, a prescindere dallo sforzo comune europeo, si è subito contrapposta una diversa realtà dei fatti. La situazione economica inglese, se ha continuato a migliorare dal punto di vista della congiuntura interna e della espansione dei consumi, ha mostrato preoccupanti tensioni nella bilancia dei pagamenti, cioè proprio in quel campo nel quale un andamento favorevole è condizione indispensabile per progressi sensibili sulla via della convertibilità monetaria. J-Jasituazione tedesca si è conservata ottima come mercato interno, ma con attivi della bilanc~a dei pagamenti decrescente: l'accumulazione di una formidabile massa di crediti all'estero e una forte tensione dei prezzi interni, che si è dovuta combattere con maggiori importazioni, hanno limitato il margine di sicurezza valutaria e hanno tolto la certezza che la convertibilita monetaria avrebbe avuto una base stabile e sicura. In altri termini l'ottimismo del 1952-'53 si è trasformato in crescente prudenza agli inizi del 1955, in desiderio di rinvio a tempo indeterminato negli ultimi mesi. E Butler ed Erhard, come erano stati alfieri della convertibilità e del nuovo verbo qualche anno fa, sono stati i banditori della prudenza e della cautela nella nuova situazione. Già il 3 febbraio scorso il Cancelliere dello Scacchiere dichiarava alla Conferenza dei primi ministri del Commonwealth (questa conferenza aveva alzato per prima nel 1952 la bandiera della convertibilità) che « il momento non era ancora venuto per ristabilire la convertibilità della sterlina». Ma il 25 luglio, annunciando alla Camera dei Comuni la serie delle misure prese per arrestare l'espansione inflazionistica dell'economia inglese e l'esodo di riserve valutarie, dichiarava formalmente che << il Governo considera il periodo di fronte al quale siamo, come periodo di duro lavoro e di consolidamento per rafforzare il fronte interno, prima di fare ogni altro passo sul fronte dei cambi>>.Ancora più sintomatica e importante, perchè non si riferiva alla sola Gran Bretagna, ma al complesso dell'economia internazionale, er,a la dichiarazione fatta all'Assemblea del Fondo monetario internazionale, a Istanbul, il 14 settembre scorso, nella quale, dopo avere ribaditi i concetti del 15 luglio, Butler aggiungeva che << l'equilibrio monetario mo11- [9] Biblioteca Gino Bianco

diale non è oggi in alcun modo solidamente b.asato e non è tempo di assu• mere rischi che ~on possono essere calcolati ». Per parte sua il Ministro Erhard, che pur partecipava alla riunione di Istanbul, non apriva bocca · in sede di discussione del rapporto del Fondo monetirio e, mutando campo di azione, si limitava a commentare il rapporto della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Ma l'evoluzione non ha toccato soltanto i due maggiori protagonisti delle vicende relative alla convertibilità, si è estesa al giudizio sulla loro opera. E gli osanna che fino a qualche tempo fa accomp,agnavano l'azione di Butler ed Erhard, si sono mutati in preoccupazioni e riserve circa la loro opera e le conseguenze di una valutazione ottimistica della sit~- zione (1 ). Naturalme1ite la fase di ottimismo anglo-tedesco in materia di convertibilità non è stata senza conseguenze nel processo integrativo già compiuto e sugli istituti e organismi che nel fr,attempo ·si erano creati. Se la politica di liberalizzazione degli scambi europei, fra i Paesi aderenti all'O.E.C.E., ha continuato fortunatamente a segnare progressi, il sistema unilaterale dei pagamenti, istituito quasi contemp~raneamente al codice della liberazione, ha subito una grave crisi di trasformazione, crisi che si sarebbe evitata, se gli Stati europei fossero rimasti uniti, in una visione comune del problema europeo. Il 29 luglio scorso a Parigi, furono approvati dal Consiglio dei Ministri dell'O.E.C.E. tre documenti: un << Protocollo addizionale>> all'accordo dell'Unione Europea dei Pagamenti, un nuovo << Accordo monetario europeo >>,le « Regole di politica commerciale >>tra Paesi europei, da applicarsi dopo la convertibilità. ' Col « Protocollo addizionale » l'Unione europea dei pagamenti veniva ( 1) ~er queste vicende della politica della convertibilità in relazione al problema della integrazione economica europea, vedi, oltre che il mio discorso alla Conferenza interparlamentare europea di Parigi, gli articoli pubblicati il 5-6-'54, il 3-9-'55, 1'8-10..'55su il «Mercurio» (<< La convertibilità non è un problema, non un dogma», << Il salto nel buio della convertibilità», << Convertibilità in ombra alla conferenza del F.M.I. »). [10] Biblioteca Gino Bianco

prorogata di massima fino al 30 giugno 1956: tuttavia la liquidazione dei debiti, a partire dal 30 giugno scorso, non p.Vvienepiù, come prima, mediante il pagamento del 50 % in oro e dollari, il resto costituendo credito dell'Unione, ma col 75 % in oro e dollari, solo il 25 % rimanendo in credito. E' stata questa già una modifica che ha diminuito per il Paese debitore, costretto a saldare i suoi debiti in oro e valute, la preferenzialità dell'area europea rispetto ad altre aree. Nondimeno, sia pure entro i limiti segnati, e tenendo conto della possibilità di crediti speciali (l'Italia ha ottenuto in quella occasione un credito di SO milioni di dollari), un certo margine di pref erenzialità europ~ è rimasto in vita. Ma la minaccia più grave al sistema multilaterale era contenuta in u11a clausola del << protocoilo >> secondo cui l'Unione Europea dei Pagamenti sarebbe stata liquid,ata, quando tanti Paesi, in grado di rappresentare il 50 % della quota della Unione, avessero dichiarato di voler ritornare ad una moneta convertibile (eventualità che, fortunatamente, , si è dileguata all'orizzonte). In tal caso all'Unione Europea dei Pagamenti subentrava << l'Accordo monetario europeo» con l'applicazione della clausola che tutti i debiti sarebbero stati regolati in dollari americani È evidente che, se un Paese deve sborsare dollari per i suoi acquisti nell'area O.E.C.E., non ha più interesse a mantenere discriminazioni rispetto all'area del dollaro e sarà portato o a liberalizzare tutto il suo commercio di importazione (qualunque ne sia la provenienza: area dell'O.E.C.E o area del dollaro) o a contingentarlo, sospendendo la liberalizzazione, per l' una o per l' altra sede. E' questa situazione di necessità, in cui i Paesi più deboli (Italia, Francia ecc.) si sarebbero potuti trovare, che mi ha fatto temere un colpo grave alla liberalizzazione degli scambi e quindi al processo di integrazione europea che ne è il sottofondo. Un correttivo a questo pericolo si è voluto trovare nella creazione del cosiddetto« Fondo Europeo>>,stabilendo che ogni Paese dovrà mettere a disposizione degli altri Stati, crediti nella sua moneta nazionale sino ad un certo ammontare (il Fondo avrà un capitale di 600 milioni di dollari, di cui 271,5 provenienti dal capitale dell'Unione e corrispondenti al residuo del montante sottoscritto dagli Stati Uniti), ma il colpo alla Unione sarebbe stato, in ogni caso, così grave, da non consentire molte speranze per il futuro. Il rinvio sitie die della convertibilità dovrà far riflettere sulle modifi ... [11] Biblioteca Gino Bianco

... che sinora introdotte, e sulla necessità di non sacrificare a minori esigenze il processo di integrazione economica europea. È evidente che l'Europa non si può avviare al mercato unico, senza una politica preferenziale o discriminatoria nel suo seno. La Russia sovietica costituisce con gli Stati Uniti una vasta area preferenziale se non autarchica; gli Stati Uniti sono difesi da un'alta barriera doganale e protezionistica. È chiaro che il mercato unico europeo non può nascere senza l'abbattimento, anche graduale, delle barriere doganali .e la creazione di una specie di << Zoliverein europeo ». Ma se questo avviene, se l'Unione doga- . nale nasce, sorge, altrettanto ineluttabilmente, la zona preferenziale. La discriminazione tra commercio nell'interno dell'area e commercio al di fuori dell'area si pone automaticamente, la creazione del mercato comune. Del resto, la Comunità del carbone e dell'acciaio, con le disposizioni relative all'abolizione graduale dei dazi nel suo ambito, non è altro che una comunità preferenziale, che dovrà finire col regolare i suoi rapporti con terzi Stati, anche in materia tariffaria. Bisogna, in altri termjni, scegliere o per il ritorno alla organizzazione economica anteriore al 1914, ritorno che può avvenire nei lirr1iti e con le gravi alterazioni sopra illustrate, o per l'intensificazione degli sforzi diretti alla creazione di un mercato unico e quindi per una ripresa del processo europeistico, sul terreno economico, invece che sul terreno strettamente politico e militare. Ma vi sono probabilità per questa ripresa? Indubbiamente la Conferenza tenuta a Messina l'estate scorsa non brillò per eccessivo coraggio europeistico. Ma la nomina del Comitato di esperti che avrebbe dovuto studiare il «rilancio» sul terreno economico è stata una buona decisione politica. Sotto l'impulso del Ministro Spaak, che ne ha diretto il lavoro, il Comitato si avvia, non soltanto a proporre autorità specializzate (per es. in materia di energia nucleare) ma a gettare l'idea del mercato unico e quindi del vero e proprio « Zollverein europeo». Ecco un'indicazione che a mio giudizio avrà grande importanza per l'avvenire dell'economia europea. Quella ancora scarsa solidarietà che Butler, alla Conferenza di Istanbul, attribuiva al mercato monetario mondiale, si può a maggior ragione riferire all'economia europea, divisa tra diversi Stati nazionali e adeguata alle necessità, non di centinaia di milioni di uomini, ma di 40--45milioni di abitanti per Stato. Credere che una economia così frazionata e suddivisq ' [12] Biblioteca Gino Bianco

possa reggere all'urto delle ben più potenti economie continentali è un non senso. O le economie europee si integrano, acquistando stabilità e reggendo agli urti, o rimangono allo stato attuale e saranno perennemente deboli. D' altra parte a coloro che si preoccupano degli aspetti politici del problema europeistico e della preminenza di questi aspetti su quelli economici (tesi dei federalisti, e sopratutto della corrente più spinta del movimento federalistico) dirò che non si può pensare alla r~lizzazione di uno « Zollverein >> europeo senza che ciò implichi conseguenze di carattere politico. Gli interessi economici alimentano ancora fondamentalmente, la attività dei Governi e dei Parlamenti. E basta pensare alla grande complessità e alla importanza decisiva dei problemi economici relativi alla creazione di un mercato comune, per comprendere come economia e politica debbano, in questo campo, muoversi parallelamente. Per finire, accennerò a una interessante polemica svoltasi di recente in Francia a proposito di problemi fin qui trattati. In un rapporto presentato al Consiglio economico di Francia il socialista ed europeista André Philip, che ne è presidente, ha sostenuto la tesi, già da me esposta a Parigi, che bisogna scegliere tra convertibilità e processo di integrazione economica europea. Lo scrittore Remy Bernard, su Le Monde dell'll settembre scorso, ha combattuto strenuamente quella che egli dichiara una falsa alternativa ed ha sostenuto che la convertibilità è conciliabile con il processo di integrazione economica europea. Ma se la sua critica può avere ragione nel senso che una convertibilità multilaterale attuata da tutti i Paesi europei non cozza contro il processo d'integrazione europea, l'avversione alla tesi di Philip non ha fondamento quando si µarli non di una convertibilità generale, ma di convertibilità unilateralmente decisa. In tale caso le conseguenze disintegrative sul processo di solidarietà economica europea che faticosamente si è sviluppato in questo dopoguerra ~rebbero immediate ed evidenti. E ci porterebbero ad una situazione economica e quindi politica, che non gioverebbe certo al rafforzamento del mondo occidentale ed europeo. UGO L.A MALFA [13] Biblioteca Gino Bianco

DIECI ANNI DI CULTURA IN 1TALIA De Sanctis, "precursore" conteso di Vittorio de Caprariis Nè persuasiva nè plausibile si può considerare la ricostruzione dell' estetica desanctisiana così come è stata delineata dallo stesso Gerratana (1 ) e che dovrebbe costituire, conformemente all'ambizione di liberare il De Sanctis dal Croce, il primo tentativo di opporre uno studio organico della filosofia dell'arte del maestro irpino a quella che il Croce stesso aveva procurato in più riprese di fornire. Ma prima di analizzare le affermazioni del Gerratana converrà fermarsi brevemente sul criterio metodologico che l'autore difende e a cui evidentemente si attiene, e che è il criterio di chi non avendo inteso la genuina metodologia storicistica, sente non so quale validità della reazione positivistica e insieme avverte la grossolanità di cosiffatta reazione e le contraddizioni di questa coi suoi stessi principi, epperò si sforza di correggerla con l'aiuto della dialettica marxistica e invece ne aggrava i difetti, e fraintende lo stesso marxismo. L'errore dell'interpretazione «idealistica>> dell'estetica desanctisiana sarebbe stato nell'aver questa << tentato di interpretare e spiegare tutta l'opera del De Sanctis alla luce di principi ad essa completamente estranei»: ed oggi si dovrebbe invece « restaurare il significato originale>> dell'opera del vecchio maestro senza sottoporlo ad una nuova revisione. Soltanto quando questo sarà stato fatto, << si potrà vedere quanto della sua estetica rimanga tuttora valido e possa essere assimilato in una nuova concezione, sorta sulla base di una nuova esperienza storica>>: come sarebbe accaduto al Marx di fare per la filosofia dello Hegel (2 ). Ora, se non si vogliono fare giochi di parole, si dovrà pur ammettere ( 1 ) Introduzione ali'estetica desanctis1:ana, in Società, 1953, pp. 22-57. ( 2 ) GERRATANA: Introduzione cit., pp. 22-23. [14] Biblioteca Gino Bianco

che « una nuova concezione sorta sulla base di una nuova esperienza storica » è un'elegante (ma neppure troppo) perifrasi che esprime esattamente ' lo stesso concetto dell'altra espressione (forse un po' più diretta) dei « principi... completamente estranei>>. Quindi tutta la differenza tra l'interpretazione idealistica del De Sanctis e quella marxistica, che il Gerratana tiene in serbo, si ridurrebbe in apparenza al fatto che la prima si sforza di intendere tutto il De Sanctis, mentre la seconda vuol far riferimento solo ad alcune parti della sua dottrina che si assumono per « valide ». Perchè, dopo tutto, come altro si attua questa « restaurazione >>che oggi si chiede del genuino pensiero desanctisiano se non facendosene storici? E abbiamo proprio noi bisogno di ricordare a dei marxisti, che si voglion·o storicisti conseguenti, che lo storico si avvicina sempre al passato armato di << una nuova concezione>>,di << principi che sembrano estranei>>? Il solo punto che differenzia gli storicisti dai marxisti è nel fatto che i primi ripongono la virtù dello storico appunto nell'equilibrio che questi riesce a porre in atto tra la coerenza e la verità della sua concezione e la coerenza e la verità del passato che indaga, sì che questa sua concezione non si atteggerà mai come un astratto termine di paragone su cui misurare il vero e il falso degli uomini del passato, ma come lo strumento che gli consente di penetrare nell'anima di quegli uomini, di vivere ed operare con essi e insieme di vederli vivere ed operare, che gli consente, finalmente, di cogliere concretamente il ritmo delle loro verità e le ragioni dei loro errori. Solo a questo patto non si fa a pezzi il passato e non lo si ordina meccanicamente: ma in verità il Gerratana da una parte è un puro strumentalista, per cui pretende di giudicare sempre una posizione>>, teorica o pratica che sia, << secondo la funzione concreta a cui può assolvere in diverse situazioni»; e dall'altro è un gentiliano qui s'ignore, perchè la storiografia che egli propone è appunto qt1ella di certi deteriori epigoni del Gentile, che procedono innanzi massacrando il passato ed estraendo da ogni cadavere la piccola goccia di verità da mettere in serbo per l'avvenire. La più coerente storiografia storicistica (anche se il Croce è sembrato cedere talvolta alla suggestione del << vivo» e .del << morto>>) si rifiuta a queste astrazioni e procura di intendere un sistema di idee nella sua logica interna, nelle sue ragioni, che possono essere ideali o pratiche o l'uno e l'altro insieme, nella sua unità, senza straziarlo: che è quello che ha fatto il Croce per il De Sanctis quando si è posto il compito di comprer1derlo tutto e di [15] Biblioteca Gino Bianco

eòtteggerlo tutto (poichè infine anche il correggere e un modo dl comprendere). E che è quello che ha tentato di fare anche, sia detto con buona pace del Gerratana, il Marx stesso con lo Hegel. Cosa era, infatti, il rovesciamento della dialettica hegeliana se non un modo di comprendere tutto lo Hegel e di correggerlo tutto? Comunque ciò sia, v'è una cosa che nessuna industria di ragionatore potrà mai negare, ed è che l'estetica desanctisiana sia in primo luogo la estetica della ' forma ': e questo anche il Gerratana si .guarda bene dal negare. Pure egli procura di correggere l'interpretazione tradizionale del De Sanctis osservando che questi ha ben distinto la forma nella quale « il contenuto si perde», dall'altra e solamente vera, che fa tutt'uno col contenuto: << in poesia - si può leggere infatti nel Saggio sul Petrarca ( 3 ) - non c'è propriamente nè contenuto nè forma». Questa medesimezza della forma con l'idea, col contenuto (è noto che il critico ricorse più volte alla immagine di uno specchio di cui non si avverta il vetro) sembrerebbe contraddire la riduzione crociana della ' forma ' ad intuizione lirica: in tal modo, si argomenta, verrebbe disperso il principio desanctisiano del carattere rappresentativo dell'arte, che dà un significato particolare all'estetica di lui ,e che ne fa, se si potesse adoperare la formula togliendone la contradictio in adiecto, un'estetica contenutistica della forma. In effetti il Gerratana parla risolutamente di « quella forma che riflette la realtà senza offuscarla della sua impronta >> ( 4 ) e non esita a scrivere che quella ·del De Sanctis era un'inclinazione materialistica, sia pure solo istintivamente, in virtù del << chiaro riconoscimento di una realtà obiettiva, naturale e sociale, prima ancora ,che obiettiva realtà artistica >> (5 ). Nessuno vorrà contestare l'importanza del contenuto, non pure nella estetica desanctisiana, ma in ogni estetica rigorosamente pensata: e proprio in iquella dello storicismo mi sembra sia implicita la critica più vigorosa della creazione artistica che ha per oggetto se stessa; la critica, cioè, di quella degenerazione di una categoria che predica se stessa. Ma il punto preciso che si deve cogliere per intendere l'estetica desanctisiana, e il rapporto che essa prospetta di contenuto e forma, non consiste altrove che ( 3 ) Saggio sul Petrarca, ediz. Gallo, Torino, 1952, p. 107. ( 4 ) GERRATANA: Introduzione cit., p. 31. ( 5 ) GERRATANA: Introduzione cit., p. 33. [16] Biblioteca Gino Bianco

nella relazione che il critico irpino stabilisce tra l'artista e 1a sua materia. Prima di parlare di propensione materialistica bisogna chiarire compiutamente questa relazione. E sulla natura di essa mi pare che un'attenta lettura dei testi desanctisiani non lasci alcuna possibilità di dubbio, a qualunque periodo della vita di lui i testi stessi appartengano. « Ogni contenuto - scriveva il De Sanctis intorno al '58, facendo i suoi conti con lo Hegel - è una totalità, che, come idea appartiene alla scienza, come esistere :materiale appartiene alla realtà, come forma appartiene all'arte. Il che ... non vuol dire che il poeta, cogliendo il contenuto come forma, debba sopprimere il resto, cioè a dire quello che ci è di religioso, di politico, di morale, di reale; ma che tutto questo debba comparire come forma, bello, sublime, orribile, brutto, ecc.... » (6 ). Sono parole che lo stesso Gerratana ha ricordate e che vogliono dire appunto che la realtà obiettiva si trasfigura, anzi si deve trasfigurare, trasformare nella opera di poesia: la fede o la politica non appaiono più come tali nell'opera d'arte, ma ,come bellezza. D'altro canto, proprio nel Saggio sul Petrarca, il critico osservava che di tutta la realtà non rimane nulla fuori di quello di cui noi ci impadroniamo: « e che altro, dunque, rimane della storia fuori di quello che lo spirito fa suo? Tutto l'altro se ne stacca e imputridisce» (7 ). Ma, lasciando da parte tutta la storia e limitandoci al problema estetico, come avviene per il De Sanctis questa trasfigurazione del contenuto? Nelle Lezioni sulla letteratura i·ta/,ianadel secolo XIX si può leggere una frase abbastanza rivelatrice: « nella realtà artistica sono due elementi: l'esterno naturale, e poi l'azione del cervello sulla nostra visione>> (8 ): il De Sanctis aveva ben individuato il principio attivo e interiore della creazione artistica e su esso aveva sempre insistito, magari con monotonia. « La forma - aveva già scritto nel Saggio sul Petrarca - è il bambino del nostro cervello; e il problema dell'arte è di sapere se quel cervello ha forza produttiva e se quel bambino è creatura vivente, è nato vivo>> (9 ). È ben vero che al De Sanctis dovè sembrare talvolta che a questo ( 6 ) L'idea e l'estetica dello Hegel, in Opere, ediz. Cortese, XIII, Napoli, 1940, pagina 244. ( 7 ) Saggio sul Petrarca cit., p. 80. ( 8 ) La letteratura italiana nel secolo XIX, in Opere, ediz. Cortese, I, p. 162. ( 9 ) Saggio sul Petrarca cit., p. 34. f17] Biblioteca Gino Bianco

modo gli si poteva contestare di negare la parità di contenuto e . ÌOrnià, e soprattutto gli si poteva rimproverare di spezzare quell'equilibrio in nome del quale s'era battuto contro la forma vuota, contro il formalismo. Ma egli, sebbene non fosse e quasi non desiderasse essere filosofo professionale, non doveva fare molto sforzo di raziocinio per cogliere che altro è affermare la medesimezza del contenuto e della forma nell'opera di poesia, e altro è insistere su una loro matematica ed astratta parità, e soprattutto che altro è questa medesimezza che si è detta ed altro l'attivo spirito poetico. Perciò, anche quando osservava che l'argomento non è una tabula rasa su cui si possa imprimere il suggello che piace, ma una realtà che contiene già. la sua poetica, e cioè le sue leggi organiche, il concetto, le sue parti, la sua forma e il suo stile; anche quando si esprimeva in chiave così scopertamente contenutistica, si affrettava ad aggiungere che solo chi era dotato di anima di poeta poteva cogliere tutto ciò (10 ). E negava quindi nella sostanza l'autonomia del contenuto. Q,ual è mai, infatti, questa poetica delle cose, cosa sono queste lacrimae rerum, che non esistono se un vero poeta non se ne avvede e non le trae a sè e non confonde con esse la sua anima? Tutti i contenuti sono in astratto uguali (anche se il Gerratana sembra aggiungere, orwellianamente, che ve ne sono alcuni più poetici degli altri!): ma in concreto la poesia nasce dove e'è il ' cervello ' poetico, tanto per adoperare una parola cara al nostro critic9. E se una volta trasportato dalla passione potè esclamare che <<quando esiste il contenuto, picchia e ripicchia, a lungo andare si fa la via, si crea la forma sua», si trovò poi costretto a far <<piovere>>in Italia la parola 'romanticismo ', per spiegare perchè quella volta la lanterna di Diogene non aveva dato luce e il « nuovo contenuto » non aveva potuto trovare la « forma sua». La spiegazione era semplicistica, poichè era astratto il modo di porre la questione, di rappresentare come suscettibile di diventare <<contenuto poetico >>il <<nuovo contenuto, morale, religioso, democratico, politico, nazionale>> che si era venuto sviluppando nello spirito italiano nella seconda meta del secolo XVIII (11 ): astratto poichè il contenuto poetico ( 10 ) Dell'argomento della 'Divina Commedia', in Lezioni e saggi su Dante, ediz. Romagnoli, Torino, 1955, pp. 532-33. ( 11 ) La scuola cattolico-liberale e il rotnanticismo a N apolì, ediz. C. Muscetta e G. Candelora, Torino 1953, pp. 5-6; ma più avanti non senza qualche contraddi- [18] Biblioteca Gino Bianco

hon si d~ fuori ,deltopera di realizzata poesia, ed è dunque lmposslbHe parlarne prima che questa esista. Si potrebbe dagli scritti del De Sanctis raccogliere ed ordinare una compiuta fenomenologia della composizione artistica: si troverebbe sovente un fluttuar di espressioni che, come già notava il Croce (12 ), cela a volte uno scarso rigore di concetti. Ma le cose essenziali, l'individualità e la soggettività del momento poetico, l'universalità e l'autonomia dell'arte, si troverebbero altresì sempre confermate. « Quando il poeta compone - scriveva egli discorrendo del Cours de littérature del Lamartine (13 ) - ha innanzi un fantasma che lo tira fuori dal suo stato ordinario e prosaico, gli agita la fantasia, gli scalda il cuore. Non crediate però ch'egli gitti sulla carta tutta intera la sua visione e tutte le sue impressioni. La sua penna riposa, ma non il suo cervello; rimane agitato, pensoso, la poesia si continua nella sua testa, dove fluttuano molte altre immagini ... Il poeta, concedetemi il paragone, è un'eco armoniosa, che ripete di una parola solo alcune sillabe, ma un'eco animata e dotata di coscienza... >>.Che cosa avvenga in questo processo di meditazione e composizione poetica, di intuizione-espressione (per adoperare le parole del Croce), il critico stesso lo spiegava appena qualche anno dopo in una digressione del Saggio sul Petrarca: l'artista, quello vero e grande, uccide l'ideale realizzandolo, annulla il contenuto creando una forma nella quale si appaga, ed oblia interamente ogni cosa: << oblii in modo che, quando altri domandi cosa è là dentro, risponda: - Una certa idea, una qualche cosa, un non so che, - cioè a çlire: la forma è là, e la forma è tutto>> (14 ). Ma, si potrebbe argomentare, questo è un De Sanctis della prima maniera, che non ha ancora pienamente approfondito i suoi concetti: dopo gli zione esclamerà: << Vi ho spiegato più volte che un concetto per sè solo non è poetico, come il contenuto bruto, il materiale non è poesia », z·v1:, p. 150. { 12 ) B. CRocE: De Sanctis e lo hegelis1no, in Saggio sullo H egel, Bari, 1948, p. 394; De Sanctz·s-Gramsci, in Terze pagine sparse, Bari, 1955, I, pp. 166-68; non si capisce bene perchè il Gerratana, Introduzione cit., p. 32, polemizzi col vecchio Croce, il quale più tardi si corresse dell'aver attribuito a semplice trascuratezza l'approssimati vità concettuale del De Sanctis. ( 13 ) << Cours famz.li"erde littérature » par M. de Lamartine (1857), in Saggi Critici, ediz. Russo, Bari, 1952, II, p. 69. ( 14 ) Saggi"o sul Petrarca cit., pp. 33-34. [19] BibliotecaGino Bianco

scritti e le lezioni torinesi, dopo il Saggìo sul Petrarca, verrebbe la conversione al realismo, la quale sola mostrerebbe l'effettiva propensione dell' estetica desanctisiana e alla luce di essa bisognerebbe .interpretare per.fino le affermazioni che si sono sopra ricordate. Non ha posto forse il nuovo editore, il Muscetta, il volume che ha per titolo Verso il realismo subito dopo il Saggio sul Petrarca e immediatamente prima della Storia della letteratura italiana? La nuova critica e la nuova estetica, ancora aurorali al tempo dei . corsi zurighesi, verrebbero prendendo corpo e anima appunto dopo il '60, si definirebbero ·abbastanza rigorosamente nella Storia stessa, nelle lezioni sulla letteratura italiana del secolo decimonono, nei numerosi saggi che lo scrittore venne componendo dopo. Ora, i testi sembrano piuttosto smentire che ,confermare questo processo. Se si legge attentamente la famosa ' postilla' al Saggio sul Petrarca, che è appunto del 1883, si vedrà1 che essa è in polemica proprio contro le esagerazioni del realismo: il De Sanctis vi ribadisce il concetto che << l'espressione ideale» è << quel rappresentare le cose secondo la loro ripercussione nel cervello >> e scorge con .finezza che il pericolo ·del realismo è quello di dare nel tipico e di ammazzare ·così l'arte (15 ). Queste fugaci notazioni si possono illuminare con scritti dell'ultimo periodo dell'attività critica desanctisiana. Nello Studio sopra Emilio Zola il De Sanctis, infatti, esemplifica con quel suo modo tagliente e immediato questo rischio dell'involuzione tipologica: « eccomi innanzi una giovinetta simpatica, piena di grazia; 1io sto con gli occhi in quegli occhi neri e dolci, e il cuore mi batte; e tu vuoi spiegarmi in lei suo padre e sua mamma e sua nonna; ma per la croce di Dio fatti in là, ch'io vegga, ch'io ami quella cara creatura; cosa è dirimpetto a lei tutto il tuo universo? cosa importa a me la tua scienza? Questo è l'amore, e questa è l'arte>> (16 ). E in effetti la critica definitiva di Zola è ragionata su questo tema fondamentale: viva il realismo, esclama il De Sanctis, viva la nuova arte ,che riproduce nelle sue invenzioni e nelle sue trasformazioni la realtà natu- ( 15 ) Saggio sul Petrarca cit., pp. 9-11; cfr. B. CROCE: V na f a1niglia di patrioti ed altri saggi· stori·ci· e cri'tici·, Bari, 1949, pp. 249-50: << e da che cosa fu ispirata questa seconda postilla? sempre dalla sollecitudine per le condizioni morali d'Italia; le quali dalle romanticherie che il De Sanctis lamentava nel 1868, erano di poi precipitate in tale e tanto ' realismo ' e materialismo, da rendere ormai necessario un ammonimento in senso contrario ». ( 16 ) Studio sopra Em,ilio Zola (1878), in Saggi Criti·c1: cit., III, p. 252. [20] Biblioteca Gino Bi•anco

raie, e che tale realtà procura di imitare; ma con questo non 5i è ancora artista: quello che crea l'arte è << il vivo sentimento dell'ideale umano e la potente immaginazione costruttrice e rappresentatrice>> (17 ). E la poesia - ripeterà l'anno dopo, tornando a discorrere del romanziere francese - è tutta nella forma: « e la forma è quella che vi ho chiamata forma ideale, è la cosa ingrandita dall'immaginazione; le forme sono l'espressione, lo stile, il colore >>(18 ). Finalmente, nell'ultimo suo scritto d'impegno, il De Sanctis ribadisce con fermezza le idee che non ·,avevamai cessato di professare, e ricorre perfino alle stesse espressioni di una volta, per mettere in evidenza il carattere soggettivo del processo di creazione artistica, la trasfigurazione del reale che si produce in questo processo, la necessità della invenzione individuale perchè la poesia si realizzi, perchè la potenza della suggestione del reale si faccia atto poetico: << quando un oggetto, o piuttosto l'immagine di un oggetto si presenta nel nostro cervello, noi ne riceviamo una impressione; e quando quella immagine vogliamo tradurla al di fuori nella parola, questa contiene in sè non solo l'oggetto, ma l'impressione prodotta. Quella immagine è l'oggetto trasformato nel cervello.... Cjò che oggi domanda il critico ed il pubblico, è questo solo: ci è in questo lavoro d'arte quella tale immagine, uscita da un'impressione vera e viva nel cervello? Ci è nel cervello dell'artista luce, calore, quella forza allegra che produce e che si chiama genialità? ... >>(19 ). Si è di proposito preferito far riferimento solo agli ultimi lavori del De Sanctis, perchè balzasse fuori con più evidenza quanto mitica è questa famosa conversione al realismo. E si deve aggiungere che una ricostruzione del pensiero desanctisiano articolata in due o tre o più fasi, ,ben precise e distinte e che si sviluppano l'una dall'altra, ha solo l'apparenza di un'ordinata comprensione storica, ma nella sostanza è antistorica, poichè non coglie il vero ritmo del pensiero del grande critico, che è piuttosto quello di un continuo provare e riprovare le idee nelle ·analisi particolari, e quindi un arricchire di determinazioni le idee stesse, che non un 'mutarle ( 17 ) Studio sopra Emilio Zola, in Saggi Critici cit., III, p. 268; e cfr. Zola e l'Assommoir (1879), ivi, III, p. 295: << egli non è un creatore di arte nuova, e neppure un precursore come si tiene. È un fenomeno, o se vi piace meglio, un sintomo ... ~. ( 18 ) Zola e l' Assommoi·r, in Saggi Critici cit., III, p. 283. ( 19 ) Il darwinismo nell'arte (1883), in Saggi Critici cit., Ili, p. 319. [21]- Biblioteca Gino Bianco

più o meno radicalmente. E ci sembra che vedesse giustamente il Croce nell'osservare che nel suo maestro non v'era stato un << mutamento sostanziale>>, ancorchè talvolta il De Sanctis potè pensare che vi fosse stato (20 ). Perfino quella che si suol chiamare la « crisi del gusto romantico >>no11 pare che si possa accettare letteralmente: perchè è ben vero che egli si staccò dalla dottrina prevalente del romanticismo, ma è altresì vero che serbò sempre certi moduli della critica e quasi si direbbe dell'anima romantica, i quali non restano estranei, ma si mostrano consustanziali alla sua personalità. E può esserne prova abbastanza illuminante non .solo la continua ricerca delle situazioni drammatiche, dei movimenti immediati della passione, che s'incontra nel Saggio sul Petrarca ( dove l'ha notata pertinen- . temente il Sapegno (21 ), ma anche il ricorso alle formule dell' « urto >>,del << dra1nma », della « collisione », su cui s'imperniano moltissimi giudizi delle assai più tarde lezioni sulla letteratura italiana del secolo decimonono (22 ). E finalmente, cos'è mai questo realismo desanctisiano di cui tanto si parla oggi e che appare appunto una sorta di incunabolo dottrinario di una nuova e più vera poetica? Cos'è questo realismo nell'arte? Il De Sanctis ha scritto che bisognava dare << una più larga parte alle· forze naturali e animali dell'uomo, cacciare il reve e sostituirvi l'azione, se vogliamo ritornare giovani, formare la volontà, ritemprare la fibra »; ha scritto che la << forma del realismo» doveva essere « corpulenta, chiara, concreta » e << tale che· ivi dentro traspaiano tutti i fenomeni della coscienza », perchè solo a questo modo si può realizzare la forma obiettiva, la vita delle cose (23 ). Ma possiamo noi assumere queste frasi polemiche, aggiunte in una postilla al discorso su Zola e l'« Assommoir >>c, ome l'annuncio della nuova estetica realistica? Possiamo farlo, quando una troppo letterale interpretazione è smentita da altri luoghi dello stesso discorso e anche da scritti posteriori, quello ad esempio su Il darwinismo nell'arte? E soprattutto quanto l'inten- ( 20 ) B. CRocE: De Sanctis e lo hegelismo, in Saggio sullo Hegel cit., pp. 374-75. ( 21 ) Saggio sul Petrarca, p. XIX; l'introduzione del Sapegno è veramente eccellente per il suo equ.ilibrio: confesso, tuttavia, di non essere riuscito ad intendere cosa voglia dir la formula che vi riéorre una volta del << concetto della poesia come fortna vivente>> e cioè della << poetica realistica», che non è ragionato in nessuna parte del-- l'introduzione stessa. ( 22 ) Cfr. ad esempio La scuola cattolico-liberale cit., pp. 49 e 318. ( 23 ) Zola e l' Assommoir, in Saggi Critici cit., III, pp. 298-99. Biblioteca Gino Bianco [22]

zione di polemica culturale e direi addirittura politica ( << per una razza fantastica, amica delle frasi e della pompa, educata nell'arcadia e nella rettorica, come generalmente è la nostra, il realismo è un'eccellente antidoto» (24 ), è così soverchiante? Non solo; ma bisogna chiederci anche se si è veramente sicuri che non vi siano altri elementi che turbino il rigore di queste proposizioni: v'è nel contesto una formula assai importante: << l'artista è come il grande attore che oblia sè e riproduce il personaggio tal quale natura lo ha formato » (25 ). Questa formula non suonerebbe altrettanto bene sulle labbra di un acceso romantico? Non sembra, ripetiamo, che qui vi sia un mutamento sostanziale: la forma è sempre il contenuto che si trasfigura nel 'cervello' dell'artista e l'arte è autonoma creazione di nuova realtà. Quella del De Sanctis resta l'estetica della forma: e si dica pure della « forma vivente» se piace di più, anche se l'aggettivo, considerato dal punto di vista della creazione artistica, suona tautologico, dal momento che non v'è realtà, non v'è forma d'opera d'arte realizzata, che non sia vivente. Del resto il De Sanctis stesso aveva ·assai chiaro il concetto che ogni estetica contenutistica, svolta coerentemente, avrebbe condotto a negare l'autonomia dell'arte, e questa - scriveva polemizzando con lo Zumbini - << è il primo canone di tutte le estetiche, è il primo articolo del Credo, nè un'estetica è possibile che non abbia questo fondamento>> (26 ). Sicchè proprio non si riesce a comprendere come il Gerratana possa ritenere che da queste pagine che abbiamo or ora ricordate non sia lecito trarre la conclusione che << una poetica realistica, come qualsiasi poetica che prescriva determinati contenuti, è priva di significato» (27 ). L'affermazione del Gerratana è soltanto indiretta: pure non vi può essere alcun dubbio sul suo significato. La poetica dell'ultimo (se non addirittura di tutto) De Sanctis sarebbe una poetica realistica, che prescrive, cioè, certi contenuti: e questo, come tutti sanno e come s'è visto ancora .una volta, è smentito ( 24 ) Zola e l'Assommoi·r, in Saggi: Critici cit., III, p. 299. ( 25 ) Zola e l'Assommoir, in Saggi Critici· cit., III, p. 299. . ( 26 ) Settembrini e i suoi critici: (1869), in Saggi Critici cit., II, p. 268. ( 27 ) GERRATANA: Introduzione cit., pp. 46-47. Come questa proposizione (e molte altre che s'incontrano in questo articolo) possa conciliarsi con l'altra, che si legge a p. 38, che la «lotta» del De Sanctis fu sempre « su due fronti, contro il formalismo e contro il contenuti~m.9 ».1 riesce assai difficile da comprendere. [23] Biblioteca Gino Bianco

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