Nord e Sud - anno II - n. 11 - ottobre 1955

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna .. • ANNO II * NUMERO 11 * OTTOBRE 1955 Bibloteca Gino Bianco

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Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibloteca Gino Bianco . ..

... SOMMARIO Vittorio de Caprariis Manlio Rossi-Doria . Editoriale [ 3] I rinnovatori del << Contemporaneo» [7] La bonifica alle strette [21] GIORNALEA PIÙ VOCI n. d. r. Leggi speciali [31] Ferdinando Isabella Napoli 1955 [34] Salvatore Cambosu Gino Marin Nello Ajello La salute dell'uomo sardo [ 43] Emigranti in Belgio [51] Un giudice del Sud [57] DOCUMENTIE INCHIESTE Facoltà di giurisprudenza [ 62] Gianfranco Manganella Periferia dell'«_Urbe » [75] IN CORSIVO [99] CRONACHEE MEMORIE Salvatore Rea Storia di un giornale napoletano [ 104] RECENSIONI Nello Ajello Vino e pane [123] Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti a Italia annuale L. 3.300 semestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti sul C. C. P. n. 3 /34552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore • Milano DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 35.12. 71 Bibloteca Gino Bianco

• Editoriale Negli ultimi mesi l'Europa è rimbalzata da Messina a Bruxelles, da Bruxelles a Noordwjik: il solo risultato concreto, indiscusso, visibile, di questa peregrinazione è stato il rinvio dal I O al 31 ottobre della data ,entro la quale le commissioni tecniche create a Messina dovranno consegnare i loro rapporti. Quanto al resto, stretti tra i commenti alla Conferenza dei Quattro Grandi e l'aspettativa del viaggio a Mosca di Adenauer, fra i commenti del viaggio a Mosca di Adenauer e l'aspettativa della Conferenza dei Quattro Ministri degli Esteri, i responsabili della politica estera dei paesi della C.E.C.A. non hanno fatto molto di più che 111anifestarei loro buoni propo·- siti. Qualcuno, anzi, .r-en'è quasi di·menticato: Pinay, ad esempio, imbarazzato dai guai africani; qualche altrio l'ha fatto per procura: von Brentano, occupato nei preparati.vi del viaggio oltrecortina. In Italia, invece, l'anniversario della morte di De Gasperi, che è caduto nello scorso agosto, ha dato all'iniziativa del rilancio europeo l'accento patetico e la commovente suggestione della commemorazione: e si sa quanto gli oratori siano sensibili nel nostro paese a questi argomenti. Frattanto ci è capitato più di una volta di restane smarriti innanzi alla tli.t:involturacon cui si è parlato in Franci·a e anch:e in Italia di ri~orno alla convertibilità. Su questo punto veramente il nazionalismo puntiglioso e stupido del tipo ' quota 90' è supleratosolo dall'irresponsabilità.Dovrebbe essere chiaro per tutti che la corsa alla convertibilità sarebbe la peggiore sciagura che potrebbe capitare al nostro paese (e, sebben.e talvolta non se ne rendano conto, ai francesi). Se la Germania e i paesi del Benelux do_veisJero veramente rendere convertibili le loro mo.nete, si creerebbe automaticamente una discriminazione nel mercato europeo; e i m,ercati della Germania e del Benelux, di paesi che hanno cioè una moneta forte e un ., Bibloteca Gino Bianco

dinamismo economico fortissimo, sarebbero naturaliter più ricercati e finirebbero col prevalere su quelli italiano ,e francese. L'anno scorso a Parigi l' on. La Malfa ricordava ai tedeschi (e agli italiani e ai francesi) che l'Europa non si difendeva soltanto sul piano della C.E.D. ma anche, se non soprattutto, su quello dell'Unione Europea dei Pagamenti. Come i tedeschi non potevano sollecitare allora una politica europeistica e insieme spingere verso la convertibilità, così ora non vi sono alternative possibili per la Francia e l'Italia alla politica di convertibilità,. fuori di (una spinta sempre più coerente e consapevole verso la integrazione economica e verso il mercato comune. Il nostro europeismo non è una malinconia di intellettuali: noi siamo persuasi, e l'abbiamo ripetuto più volte e ci illudiamo di averlo dinzostrato, rioi siamo persuasi che una politica estera europeistica, una politica di integrazione economi'ca europea, è una premessa necessaria di una politica meridionalistica. Senza una rivoluzione nelle strutture e,conomiche, senza una 1nodifica prof onda del nostro mercato del lavoro e dei capitali, senza cioè un mercato comune europeo, una politica di intervento nel Mezzogiorno · è destinata a restare una politica a metà, che risolve, sì, certi problemi im.mediati, attenua taluni dislivelli paurosi, ma non elimina quelle strozzature della situazione generale italiana che a/,la fine pesano, più che su ogni altra cosa, sulla situazione meridionale. Il Piano Vanoni stesso, l'abbiamo già altre volte ricordato, urta nell'inesorabile realtà della nostra bilancia dei pagamenti. E se si vuole che non nasca morto, che non diventi una delle solite approssimazioni, si deve predisporre la sola politica estera che possa consentirgli di riuscire pienamente. ! Con questo non si vuol dire certo che tutte le paro_leche si sono udite in Italia negli ultimi mesi fossero superflue o banali. Dobbiamo anzi registrare con molta soddisfazione il discorso del 16 settembre a Salisburgo dell' on. Fanfani, di quello stesso on. Fanfani che troppe v.olte nel passato avevamo trovato alquanto sordo ai motivi della politica europeistica. Oggi egli ha il coraggio di dire - ed è la prima voce veramente responsabile ,ed autorevole che ha il coraggio di dirlo - che l'U.E.O. può servire alla difesa dell'Europa, ma non serve certo alla causa dell'integrazione europea, e che è quest'ultima che bisogna perseguire ad ogni oosto e con altri e pii't efficaci mezzi che nel passato, perchè quella è la sola via di salvezza pei nostri vecchi paesi. Questo dell'on. Fanfani è un grande passo avanti ed a noi BiblotecaGino Bianco

importano poco le ragioni per le quali quetto passo avanti è stato fatto: q11el che conta è che sia stato fatto. E quel che conta, altresì, è ,che alle parole seguano i fatti, che le affermazioni di Sa/,isburgo .siano calate nella trama di una coerente e ferma azione politica. Per paradossale che ciò possa sembrare è proprio l'atmosfera di distensione che è ali'origine del fatto che negli ulti~-nimesi i problemi del 'rilanJ cio europeo' siano avvertiti con particolare acutezza da larghi settori della classe dirigente italiana. L'atmosfera di distensio1ie ha gettato, e ancora di più getterà nel futuro, una luce cruda sulla debolezza e la provvisorietà dei legami dei paesi dell'Ovest europeo tra loro, sulla insipz'enza di coloro che pensavano di poter ancora star alla pari in un confronto di colossi. La tendenza alla restaurazione nazionale, che si era disegnata nell'ultimo anno? agevolata dalla congiuntura economica favorevole, si dimostra ancora una volta in tutta la sua arcaicità nell'evoluzione della congiuntura internazionale. E qui il discorso tocca assai da vicino il Partito Socia/,ista. Fino a quando l'on. Nenni crede di poter andare innanzi coi viaggi a Mosca e a Pechino, con i sogni di mediazione, con gli elogi della distensione? Fino a quando l'on. Nenni crede di poter a questo modo continuare ad evitare il nodo della questione? Il problema non è solo, anzi non è tanto quello della ripercussione del cosiddetto 'spirito di Ginevra' all'interno del nostro paese, quanto quello delle ripercussioni della eventuale nuova congiuntura internazi'onale sul nostro paese, .sull'avvenire del nostro paese. I socialisti italiani non possono più a lungo eludere la questione che si pone a tutti i socialisti europei, a tutti i paesi europei: la questione di ttno spazio economico meno angusto e soffocante di quello nazionale. L'America, l'Inghilterra, l'Unione Sovietica sono grandi spazi economici perchè sono grandi aree politiche; l'Europa è un mosaico di aree politiche precarie e quindi di spazi economici insufficienti. I socialisti, di fronte alla questione europea, per dignità di partito moderno, non possono scegliere lo status quo, non possono correre il rischio di trovarsi isolati dalle altre correnti democratiche, allineati soltanto, impli'citamente, sulle posizioni del M.S.I., per il naziona/,ismo economico e l'autarchia. L' on. Nenni si è sempre vantato di allineare le sue posizioni di politica estera su quelle della socialdecrazia tedesca Forse non è privo di significato il fatto che i deputati socialdemocratici della Germania Occidentale abbiano recentemente chiesto l'aumento dei poteri dell'organo sopranazio- [s] Bibl0teca Gino Bianco

... nale della Comunità Europ,ea del carbone e.. dell'acciaio. Ma ·ancora più significativa è la notizia secondo la quale anche l'on. Ollenhauer avrebbe deciso di schierarsi a fianco di Mollet e di Spaak tra i promotori di una vasta campagna di· pubblica opinione per spingere i governi all'integrazione europea. Se ciò fosse vero, l'on. Nenni sarebbe ancor più che nel passato premuto verso una scelta decisz·va: la scelta tra l'adesione alla politica di costruzione europea dei partiti socialisti, di Mollet, di Spaak e di Ollenhauer, e il fiancheggiamento alla politica estera sovietica. • I [6] BiblotecaGino Bianco

• • DIECI ANNI DI CULTURA IN ITALIA I rinnovatori del "Contemporaneo" di Vittorio de Caprariis Un discorso sulle vicende della cultura italiana negli ultimi dieci anni d.ovrebbe, per essere veramente rigoroso, cominciare col giustificare il suo termine a quo: perchè negli ultimi dieci e non negli ultimi venti o addirittura cinquant'anni? La domanda non è oziosa - come potrebbe sembrare a prima vista - e non è neppure dettata soltanto da pedanteria metodologica: in queste, assai meno che in altre cose, si può accettare una cronologia che sia puramente di comodo, di cui, cioè, si conosca già prima di adoperarla la provvisorietà e l'arbitrarietà, una cronologia, insomma, puramente prammatica. Ma se si riflette sul senso che danno per lo più al loro discorso quelli che hanno intrapreso, in questi ultimi tempi, a discutere della storia culturale italiana dello scorso decennio, si comprende che la scelta del 1945 come termine a quo non e puramente casuale, ma risponde ad una precisa esigenza polemica: la cronologia che si adotta così è già in funzione di un giudizio sulle vicende della cultura del nostro paese 11ell'epocaimmediatamente precedente il 1945, e, diciamolo pure francamente, di un giudizio non sempre solidamente motivato. Potra essere curioso osservare che, quando la discussione è tenuta ad un livello che si vuole scientifico, i nostri marxisti ammettono di buon grado che « non esiste nè un 25 luglio nè un 8 settembre della storia della cultura» (cfr. Società, 1955, p. 552); ma, su un altro piano, su quello della divulgazione culturale che per essi fa una sola cosa con la polemica politica, la cautela storiografica e abbandonata del tutto, e si trascorre volentieri alle più schiette semplificazioni per accreditare tesi di cui il meno che si possa dire è che sono aprioristiche e settarie. E torna in mente quella polemica che subito dopo la liberazione di Napoli ebbe a protagonisti il Croce e non ricordiamo più quale leader del P.C.I. - una polemica naturalmente culturale -, alla fine Bibloteca Gino Bianco

della quale lo scrittore comunista confessò, sinceramente ed alquanto ingenuamente, che egli e i suoi amici avrebbero risposto alle « armi della critica >> con la << critica delle armi >>. A giudicare, infatti, dalle conclusioni che Marco Cesarini e Fabrizio Onofri hanno voluto trarre dai numerosi interventi nell'inchiesta sulla cultura italiana degli ultimi dieci anni, da loro preparata per un settimanale di parte comunista, Il Contemporaneo, un '25 luglio' vi sarebbe stato anche nella storia culturale del nostro paese, un ' 25 luglio ' altrettanto decisivo di quello politico. La rottura nella storia culturale italiana corrisponderebbe dunque alla soluzione di continuità nella nostra storia politica: e come dal '45, cioè, dall'insurrezione antifascista e antinazista e dalla ricostituita unità del paese, ha inizio un nuovo periodo della storia _politica italiana, dallo stesso anno ha inizio una nuova epoca della storia della nostra cultura, una nuova primavera intellettuale. L'inchiesta di Cesarini ed Onofri ha, dunque, ai loro occhi - e agli occhi di tutti coloro che sono dello stesso parere - il valore di un atto notarile, firmato da autorevoli \ testimoni, con il quale si riconosce il 'nuovo corso', si riconosce che la cultura italiana degli ultimi dieci anni ha rotto risolutamente col passato, con le sue tradizioni di ieri, per imboccare una strada diversa e, natural1nente, assai migliore. Si direbbe anzi che l'inchiesta stessa - o almeno le sue conclusioni - preferisca assumere un tono di rivendicazione personale .ed affermare che nella nostra repubblica delle lettere l'antico presidente è stato deposto - non si sa ancora molto bene se da una rivolta popolare o da una congiura di palazzo - e che al suo posto è stato unto e consacrato un nuovo signore. Insomma, per uscir fuor di metafora, sembra ai Cesarini e agli Onofri che si possa finalmente gridar alto e forte che la cultura storicistica e crociana è morta e che le è stata data, a cura loro e dei loro amici, poco cristiana e poco onorata sepoltura. La polemica « antifascista e anticrociana » condotta per dieci anni dagli intellettuali marxisti italiani avrebbe appunto conseguito questo mirabolante risultato, rinnovando insieme ìa tradizione intellettuale italiana e sostituendo alla vecchia filosofia reazionaria, in cui i nostri studiosi si erano oziosamente attardati, una nuova filosofia progressista, anzi la sola filosofia progressista veramente coerente e conseguente che sia mai stata pensata, il marxismo di Marx ed Engels e Lenin e Stalin, filtrato, e reso omogeneo alla cultura nazionale del nostro paese, da Antonio Gramsci. [8] Bibloteca Gino Bianco

• A giudizio dei direttori dell'inchiesta (cfr. Il Contemporaneo, n. 33, 20 agosto), dunque, la lotta culturale contro Croce invocata da Gramsci sarebbe stata coronata dal più pieno successo: è vero che un A1iti-Croce del tipo dell'Anti-Duhring, così come lo voleva ap_punto Gramsci, non è mai stato scritto (e a giudicare dalla volontà di lavoro degli « intellettuali organici>> del P.C.I. non sarà mai scritto); ma poco importa. Tutti o quasi gli intervenuti nella discussione sembrano infatti concordare sul fatto che il pensiero di Croce, la filosofia storicistica, è ormai uno strumento inservibile (posto che per un momento abbia avuto una qualsiasi utilità), che bisogna tranquillamente ma risolutamente mettere da parte se si vuol progredire nel lavoro culturale. Perfino Guttuso, il pittore Guttuso (cfr. Il Contemporaneo, n. 25, 18 giugno), ha voluto dire la sua opinione in materia e 11adichiarato, con quella competenza filosofica che nessuno avrà difficoltà a riconoscergli, che la cultura crociana dopo aver liquidato le correnti noncrociane o anti-crociane sarebbe divenuta una 'metafisica'. E Norberto Bobbio (cfr. Il Contemporaneo, n. 24, 11 giugno), si è divertito a tracciare una storia ironica del nostro 'genio speculativo', cioè di quella superiorità filosofica di cui gli studiosi italiani si sarebbero per più decenni compiaciuti e nella quale si sarebbero spontaneamente imprigionati, chiudendo così gli occhi sul mondo circostante, sulle cose che si pensavano e scrivc- ,,ano fuori d'Italia. Ed Aloisi ha accusato (cfr. Il Contemporaneo, n. 27, 2 luglio) l'idealismo crociano del disprezzo ingiusto in cui sarebbero state tenute per più anni nel nostro paese le scienze sperimentali e quindi indirettamente dello stato di arretratezza in cui sarebbero oggi ridotte per la scarsità di ricercatori, per l'ignoranza di progredite tecniche di ricerca, per ]a quasi totale mancanza di strumenti. Solo Mario Sansone (cfr. Il Contemporaneo, n. 36, 31 luglio), ha tentato una cauta difesa di Croce (e di se stesso, cioè della ricostruzione da lui altrove tentata della storia della cultura italiana degli ultimi dieci anni, che viene trapassando da Croce a Gramsci): ma il suo intervento era rigidamente circoscritto dal tono di co11-- fronto polemico diretto con Bobbio e finiva così col lasciar da parte 11 problema posto come fondamentale dagli autori dell'inchiesta e da altri scrittori, e sul quale bisognava appunto discutere. Accordo quasi totale degli interpellati, dunque, e giubilo giustificato degli interpellanti: ma se da questo, che potrebbe essere tenuto per un giudizio introduttivo, si passa all'analisi del contenuto dei singoli articoli, si Bibloteca Gino Bianco

vede che l'unità e la conformità delle opinioni, tanto care a Cesarini e Onofri, non si sono realizzate. Prima, tuttavia, di passare ad un'analisi più particolare, conviene a questo punto mettere da parte quegli articoli che non toccano il centro effettivo della questione (e sono purtroppo la maggior parte). Sarebbe del tutto inutile, infatti, attardarsi a discute.re la concezione imperialistica del ' neorealismo ' che sembra avere Zavattini, la proposizione che il « neorealismo costituisce attualmente l'unico tessuto connettivo della vita nazionale» (cfr. Il Contemporaneo, n. 27, 2 luglio): dopo tutto gli stessi comunisti, se l'equivoco non facesse loro comodo per altri motivi, si preoccuperebbero di dimostrare che il neorealismo che essi hanno in mente ha assai poco da dividere con la fatuità semplifìcatrice, la letteratura travestita e il marciume decadentistico coperto di bei sentimenti da ' anima bella ', che a tutt'oggi sono le caratteristiche peculiari dell'opera zavattiniana. Del resto Moravia (cfr. Il Contemporaneo, n. 29, 16 luglio), ha mostrato con molta chiarezza l'equivoco di questa nuova moda letterariocinematografica: « essa.si presenta sotto l'aspetto allettante e tutto moderno di uno sperimentalismo realistico, o meglio neorealistico, di un'ambizione insieme documentaria ~ lirica, di una predilezione ragionata per le rappresentazioni locali, dialettali, autobiografiche e spontanee >> per concl11dere alla fine in un << nuovo provincialismo>>. E sarebbe altresì inutile dimostrare ad Aloisi che tutte le sue genericità sui rapporti di scienza e società sono o ovvie o inutili, dal momento che si tratta di cose risaputissime e comunque poco o nulla hanno in comune col problema che l'interessa, il problema della fortuna delle scienze sperimentali nel nostro paese, un problema che, a quanto egli stesso sembra ammettere, si risolverebbe col dare una migliore posizione economica ai ricercatori puri, senza alcun bisogno di quella rivoluzione totale che pur viene quasi invocata nella conclusione del suo scritto. D'altro canto, troppo lontano ci porterebbe una puntuale discussione dell'articolo vivo e concreto di Calamandrei (cfr. ll C ontemparaneo, n. 32, 6 agosto), sulle << tre generazioni >> di studenti che si sono seguite nelle università italiane, che allarga il tema proposto dall'inchiesta e in certo senso se ne distacca; e che comunque supera lo sche-- ma della ' rottura ' con la tradizione per porre un problema di ' continuità'. Prima, però, di una discussione approfondita di quello che s'è definito un giudizio introduttivo, prima •di verificare, cioè, la verità. delle affermazioni dell'inservibilità del metodo storicistico e della morte della cultura Bibloteca Gino Bianco

• • storicistica e crociana, conviene analizzare gli interventi di _Guttuso, di Bobbio e di Alicata e le considerazioni che in essi sono fatte sulle vicende della cultura italiana degli ultimi dieci anni. Quella di Guttuso è una confessione che ha del patetico: è difficile non avvertire dietro un'autocritica che si vuole distaccata, dietro le contraddizioni e i giudizi superficiali e sommari e lé affermazioni orecchiate, un sincero smarrimento. Al punto che quasi si ha rimorso (ma pur si deve farlo) di contestargli l'ignoranza di cose filosofiche, di contestargli le sue contraddizioni, di chiedergli perchè quella che egli chiama la ' corsa all'Europa ' degli anni '35-'36, il contatto con la cultura europea, è in quel giro di anni un fatto positivo, mentre più tardi lo stesso desiderio di confronto con altre culture - e sia pure soltanto con altre mode culturali - venga definito ' formula cosmopolita ' e spacciato sbrigativamente per corruttore. Si ha rimorso, si diceva, a contestare queste cose a Guttuso, quando se ne leggono altre inframezzate ad esse, quando si vede che il discorso tende inesorabilmente a prendere la piega della confessione del fallimento. Il fallimento di un'artista che a un momento della sua vita aveva, senza indugio e senza perplessità, scelto la strada dell'artista 'impegnato' e l'aveva percorsa interamente. Ed oggi si ferma ad analizzare quella strada e la trova peggio, assai peggio di un viottolo senza uscita; la trova una gran<le strada, quella che ha più sbocchi di tutte le altre, la strada della facilità. Il 'populismo', il 'ritorno a questo o quel maestro del passato', la tecnica dei 'messaggi', appaiono a Guttuso altrettante soluzioni di 'facilità', altrettanti modi di riempire il vuoto col falso, di fare dell'accademia al posto dell'arte: il problema, quello vero, che stava a cuore al Guttuso di ieri, sembra, dunque, essere restato un problema, misterioso e difficile ed insoluto come ieri, con in più il sentimento di oggi, di aver sprecato tempo e fatica, di aver forse compromesso, col troppo prolungato contatto col freddo e col vuoto dell'accademia, il genuino impegno iniziale. Guttuso si sforza anche di individuare gli errori: noi artisti o intellettuali comunisti - egli scrive ad esempio - non abbiamo abbastanza approfondito Gramsci, ma ci siamo limitati a riverirlo: gli abbiamo cioè rifatto il verso, abbiamo preso la schiuma che sta sulla cresta e ci siam lasciata sfuggire la forza dell'onda; così le tesi di un Antal o di un Lukàcs, le abbiamo affrontate semplicisticamente, senza intendere i motivi più validi, senza farle veramente nostre, senza trasmetterle nella nostra più viva esperienza. Non pare che vi sia un . Bibloteca Gino Bianco

solo accenno positivo nell'articolo •di Guttuso, e la conclusione, come s'è accennato più sopra, ha del patetico: << forse in noi è mancata la fiducia del rinnovamento, quella fiducia che fa rischiare l'errore ... È mancata la libertà di azione intellettuale, e soprattutto per nostra interna insufficienza ')".'. Dieci anni di lavoro intellettuale e di impegno umano: il vuoto, dunque, 'e la tristezza del vuoto? Ma allora a che giova, Guttuso, tirare in mezzo, tra se stesso e i propri errori, Croce, tirare in mezzo la diffidenza provinciale e crociana contro tutto quello che avviene fuori della direzione prestabilita? Queste proposizioni potranno mettere in regola, forse, i rapporti col partito ma non certo quelli con la coscienza; potranno servire la chiesa ma 110nservono certo la verità e l'arte. ) Anche Norberto Bobbio è alquanto pessimista sul lavoro che s'è fatto in questi dieci anni: il maggior risultato - egli scrive - è che abbiamo scoperto appieno le nostre insufficienze culturali, abbiamo potuto constatare che esse sono all'origine di molti altri mali che ci affliggono, mali politici e sociali che forse non sospettavamo neppure e che in ogni modo fino a qualche anno fa non connettevamo affatto con le cose della cultura, abbiamo compreso tutto questo fino al punto di tenere per insopportabile la nostra condizione ·attuale. È, come si vede, un giudizio tutto in rilievo, brusco, amaro) che può sembrare paradossale, come paradossale ed ironica - s'è già accennato - ne è la motivazione: la presunzione italiana che la scuola di Atene fosse ormai trasferita per sempre a Napoli, che la filosofia, dopo aver a lungo errato per l'Europa, si fosse stabilita in Italia, anzi 11elMezzogiorno. C'è nelle parole di Bobbio una curiosa eco polemica, di polemica antimeridionale: come per certi meridionalisti oltranzisti e semplificatori la causa di tutti i mali politici, economici e sociali del Mezzogiorno si doveva cercare nella ' conquista piemontese ' e nel conseguente sfruttamento coloniale cui le provincie del Sud sarebbero state sottoposte; così per Bobbio la_causa di tutti i mali e di tutte le insufficienze della cultura italiana contemporanea andrebbero cercate nella dittatura filosofica esercitata dai meridionali (leggi: soprattutto da Croce), nel loro' genio speculativo ' che avrebbe sterilizzato i motivi validi e sani della cultura del Nord. Così si sarebbe dispersa la « tendenza meno speculativa» e il << maggiore rispetto dell'esperienza », tipici della cultura settentrionale; così si sarebbe dispersa la tradizione del << liberalismo radicale >>, che va da Cattaneo ad Einaudi. Che questo non sia soltanto un accenno fugace, ma corBibloteca Gino Bianco

• risponda ad una convinzione profonda dell'autore, è provato dal fatto che egli ha ripreso e svolto lo stesso concetto altrove (Cultura vecchia e politica nuova, nel Mulino, luglio 1955, pp. 586-87), collegando la diversità delle due tradizioni culturali, del Nord e del Sud, ai due diversi tipi di società sviluppatisi nel nostro paese, la prima prevalenteniente industriale e << di più lunghe tradizioni individualistico-borghesi e sindacali-socialiste», e la seconda prevalentemente contadina, << ancora semifeudale ed anarchica ,>. Per conseguenza di ciò anche oggi << nei movimenti avanzati della loro cultura in lotta contro la cultura tradizionale, clericale, retorica, umanistica», il Nord si muoverebbe r1ella direzione illuministica, propria del liberalismo radicale, mentre il Sud si orienterebbe verso una direzione storico-materialistica, propria del neo-marxismo, la prima direzione rappresentando la rivoluzione liberale di Gobetti, la seconda la rivoluzione comunista di Gramsci. Ci ripromettiamo di tornare in uno dei prossimi articoli sui problemi che pone qui Bobbio (e di tornare insieme su tutta la posizione che egii rappresenta): ma vale intanto la pena di osservare subito che la sua sintesi, se da un lato spezza lo schema storiografico su Gobetti che oggi i comunisti vorrebbero accreditare, d'altro canto semplifica troppo e trascura quelle matrici culturali che Gobetti aveva in comune con Gramsci, cioè proprio le matrici idealistiche. Non solo, ma la sua caratterizzazione della società meridionale ( << semifeudale e anarchica >>) è alquanto sommaria, come sommario il giudizio sulla tradizione culturale meridionale. E finalmente può veramente renderci conto questa spezzatura geografica della storia del pensiero italiano dell'ultimo secolo? Può uno spartiacque di questo genere sostituirsi ad un problema storico? Come si spiega, allora, in questa visione, nella visione di una scuola positivistica come « fenomeno quasi esclusivamente settentrionale», il fatto, per non fare che un solo esempio, che il più grande pensatore politico italiano della scuola positivistica, Gaetano Mosca, venisse da Palermo? O l'Università di Napoli a quel tempo era tutt'intera un dominio in partibus infidelium degli spiritualisti ed idealisti? E d'altra parte se Croce ha con fermezza implacabile polemizzato coi positivisti, se li ha così maltrattati e se ne ha respinto le dottrine, • si può dire perciò che la tradizione culturale del Nord, quella del radicalismo di Cattaneo ad esempio, gli sia restata estranea? O non è da vedere piuttosto come egli l'abbia elaborata e in che misura abbia subito l'inBiblo.teca Gino Bianco

fluenza della scuola positivistica attraverso (e anche qui ci limitiamo ad un sol caso di nostra specifica competenza) Gaetano Mosca? E chi ha, finalmente, introdotto Marx nel circolo della vita culturale italiana? Forse i sindacalisti e socialisti del Nord? È appena necessario avvertire che queste osservazioni non si fanno per difendere Croce o per mostrare le sue benemerenze culturali, e meno ancora per malinteso spirito di meridionale che si senta oltraggiato; ma solo per tentare di mostrare i limiti della motivazione storica del giudizio che Bobbio dà sulle vicende della cultura contemporanea. Ora, per tornare a questo giudizio, sembra a Bobbio che nulla di quel che si doveva fare sia stato fatto: << ciò di cui avevamo bisogno era di assimilare (o riconquistare) nuove tecniche di ricerca, dalla logica simbolica all'analisi del linguaggio, dalla psicologia del comportamento alla sociologia sperimentale, dalla sociologia della conoscenza alla storia sociale delle idee, e di rompere il dominio delle tecniche in cui eravamo avviluppati e che erano diventate giochi di bambini spensierati ». Abbiamo, invece, continuato a gingillarci con simili giochi, a gloriarci della nostra maturità speculativa e della nostra presunta superiorità sugli altri paesi nelle discipline 111orali,siamo restati provinciali. V'è, forse, un certo pericolo ad adottare questo metro di giudizio: v'è, dopo tutto, anche un provincialismo dell'anti-provincialismo, e Bobbio sa benissimo che non sempre l'attitudine a cogliere le nuove correnti culturali straniere è segno di maturità e di serietà jntellettuale. Comunque ciò sia, io non so se gli scrittori italiani di filosofia 1neritino questo rimprovero; ma se dovessi giudicare dagli studi italiani di storia della filosofia umanistica e rinascimentale, coi quali ho qualche dimestichezza, dovrei dire che questo del provincialismo mi pare un riml)rovero quasi del tutto immeritato. E dovrei anche considerare immeritato lo stesso rimprovero per gli scrittori italiani di storia, coi libri dei quali ho ugualmente qualche dimestichezza, non fosse altro che per dovere prof essionale. Devo confessare anzi (e prego Bobbio di farmi l'onore di credere che non si tratta di ' boria delle nazioni ') che mi è avvenuto spesso di constatare che studiosi stranieri, anche assai seri e preparati, ignorassero abbastanza spesso la bibliografia italiana sul loro argomento o che la ricordassero senza averla a volte neppure scorsa, anche quando potevano trarne giovamento per le loro ricerche. E devo confessare, altresì, che assai più raramente mi è capitato di dover riscontrare analoghe ' ignoranze ' presso Bibloteca Gino Bianco

• studiosi italiani (studiosi seri, naturalmente), nei quali v'è a volte perfi11 la civetteria della conoscenza totale della 'letteratura' straniera sull'argomento trattato. Ma anche se si va fuori del campo degli specialisti mi pare che il giudizio di Bobbio resti eccessivo: in Italia s'era tradotto Huizinga parecchi anni prima che in Francia e parecchi anni prima s'era tradotto il Tawney, per far l'esempio di due libri di storici certo parecchio lontani dalla scuola storicistica italiana e per non parlare di Meinecke, di cui si sono tradotte tutte le opere più importanti, mentre nella stessa Francia non s'è tradotto che la modesta Catastrofe della Germania. E mi pare anche che da noi siano conosciute e discusse le scuole storiche tedesche o inglesi o francesi con molta attenzione e che si sappia cosa conti il movimento degli Annales nella storiografia e in tutta la cultura francese e fino a qual punto si possano accettarne certe esigenze e certi moduli storiografici e in che misura le tecniche proposte vadano ritenute; che si sappia cosa significhi Butterfield nella storiografia britannica o la problematica della frontiera . ìn quella americana; che si sappia di quali apporti innovatori sia capace, nella storiografia medievale, e insieme di quali cautele occorra circondarla, la Staatssymbolik di Schramm. Naturalmente ciascuno tende a giudicare il tutto dallo stato degli studi nel campo di propria competenza (con il che non si vuo~ dire affatto che in quello della storiografia le cose vadano tutte benissimo e che non vi sia ancora un grande lavoro da compiere): 110nsi può fare a meno tuttavia di chiederci se è possibile e come è possibile che nella cultura italiana gli studiosi di storia siano. abbastanza evoluti e quelli di filosofia così involuti come Bobbio sembra affermare. Ed è una domanda abbastanza importante, ci sembra, poichè forse dalla risposta che si dà ad essa può dipendere un più attento giudizio su tutta la cultura contemporanea del nostro paese. Nè il Bobbio risparmia le sue critiche ai marxisti e qui le sue osservazioni assomigliano a quelle di Guttuso, sebbene muovano da un diverso stato d'animo e soprattutto da una diversa concezione della cultura: « di Gramsci si è fatto, i marxisti italiani hanno fatto, un inventario di cinque o sei formule, con le quali si spiega ogni cosa, e dei suoi libri una somma di massime o versetti da citare come àrgomenti ex auctoritate >>. In questo giudizio, che non si può non condividere, è anche accennata una valutazione di tutta l'opera culturale dei comunisti negli ultimi dieci anni: sembra a Bobbio che questi abbiano sostanzialmente sprecato le possibilità di rinnoBibloteca Gino Bianco

1 vamento che sarebbero state implicite nelle loro posizioni, che anch'essi abbian finito col cedere alla tendenza ' speculativa ' tipica del nostro paese ed abbiano finito col fare .finalmente della vuota accademia. Come si vede, la rapida sintesi del Bobbio non fa grazia a nessuno: nè alle correnti culturali italiane dell'entre-deux-guerres e alle loro eredi di questo secondo dopoguerra, in modo principale la filosofia storicistica, nè alla cultura marxistica; e neppure forse risparmia quelle stesse correnti culturali a cui vanno le sue simpatie, quelle, cioè, che più sentono l'esigenza di un rovèsciamen.to delle tendenze speculative (idealistiche o storicistiche o neomaterialistiche che siano) e che affermano la necessità di un metodo nuovo e di una nuova mentalità, di un nuovo sperimentalismo e di un rinnovato ilh1minismo. << Questa filosofia richiaratrice non è più che una tentazione, è ancora e soltanto un programma di pochi, non è diventata atmosfera, costume », egli ha scritto altrove (cfr. Il Mulino cit., p. 584): il che vuol dire che Bobbio avverte benissimo quel che c'è di velleitario, di puramente negativo, di non-costruttivo nelle nuove esigenze ed è troppo uomo di studi severi per non intendere il pericolo gravissimo che si cela in tali posizioni. Troppe volte, negli anni tra le due guerre, ha sentito proclamare questa esi- ~ienza di rinnovamento e di superamento e troppe volte ha constatato come essa si traducesse in pratica ad una mera inquietudine velleitaria di estetisti in ritardo, di cattivi .filosofi e cattivi storici, di uon1ini ribelli alla disciplina degli studi. È forse un fastidio uguale per tutte le programmazioni che rischiano di restare puramente verbali, che minacciano di restare program- , mazioni e di dar luogo soltanto ad infinite ed interminabili discussioni generali e generiche, è forse un fastidio di tal genere che ha indotto Bobbio a dettare come conclusione del suo intervento una nuova esortazione alle ' opere ': << proporrei per i prossimi (anni) una tregua ideologica e che ciascuno si metta a studiare. Dopo dieci anni vedremo chi avrà scritto i libri migliori ». Questa sentenza e soprattutto la sua motivazione hanno avuto il torto di non piacere a Mario Alicata (cfr. Il Contemporaneo, n. 30, 23 luglio): il rinnovamento culturale che Bobbio e i suoi amici vorrebbero operare si fonda soprattutto sulla convinzione della necessità di mettere la cultura italiana al paragone con quella di altri paesi, di correggere o addirittura di eliminare la tendenza ' speculativa ' grazie allo studio dell'empirismo e all'adozione di nuove tecniche sperimentali, di rendere vivo e attuale il Bibloteca Gino Bianco

• lavoro filosofico abbandonando gli strumenti di ricerca tradizionali ed adottandone di nuovi. Il che si riduce, come ha scritto Bianchi-Bandinelli (cfr. · l'Unità del 30 agosto), << alla introduzione in Italia di mode culturali di origine anglosassone e di sviluppo nordamericano»: e si sa che per i nostri bravi marxisti quel che è americano non si deve leggere ma si deve soltanto criticare come reazionario e barbarico. Quella che Bobbio vorrebbe introdurre in Italia è la « cultura all'ombra dei monopoli», è l'oppio che << l'itn- , perialismo americano » si proporrebbe di somministrare ai suoi « satelliti >> ' per meglio dominarli ed opprimerli politicamente. Così suona una recente risoluzione della commissione culturale del P.C.I. e così gli intellettuali comunisti, maggiori e minori, vanno proclamando. Se i nostri bravi marxisti siano o no in ritardo su certe tendenze che sembrano affiorare in una capitale che sta loro molto a cuore, è forse troppo presto per dire e comunque non è nostro compito stabilire: quel che ci interessa porre oggi in rilievo è che, per denunciare e combattere questa nuova « insidia » del « ceto dirigente che fa capo alla grande industria monopolistica e all'alta finanza», essi vengono rispolverando i luoghi comuni della « robusta e vitale cultura nazionale italiana», che si resero tristemente famosi in un periodo abbastanza recente della storia del nostro paese. Ad Alicata sono spiaciute, dunque, la sentenza di Bobbio e la motivazione di essa, così che egli ha sentito il bisogno di dar fiato alle trombe dell'ottimismo: è vero che i comunisti hanno disseccato Gramsci (anche lui come Guttuso: ma è una malattia!), che non hanno combattuto con sufficiente intelligenza e prontezza le nuove ideologie che fioriscono << ali' ombra dei monopoli>>; ma questi sono in fondo peccati veniali, che si ri- -eordano perchè il genere letterario dell'autocritica messo in voga dai comunisti non abbia a soffrire e da cui, in ogni modo, è abbastanza facile riscattarsi. La cosa sostanziale è che Atene si è trasferita non a Napoli e tànto .meno ad Oxford o a Cambridge, ma a Mosca e a Pechino: la rivoluzione che è in corso nel mondo ha rinnovato anche la cultura italiana, le ha fi11almente dato una linfa vitale, l'ha fatta uscire dall'Arcadia dell'idealismo e dello storicismo, l'ha consacrata cultura progressiva. Sono i comunisti .che hanno diffuso a migliaia di esemplari le opere di Marx, di Engels, di Lenin, di Stalin, di Gramsci, di Togliatti, che hanno avviata la conoscenza della società italiana, che conducono oggi la lotta per il rinnovamento ,culturale: quegli intellettuali, perciò, che si sentono smarriti e rifiutano Bibloteca Gino Bianco

la cultura tradizionale perchè non abbastanza 'impegnata', se vogliono ' impegnarsi ' veramente non hanno da fare altro che iscriversi al Partito Comunista. In principio, infatti, era il marxismo: poi venne la cultura nazional-popolare, l'esigenza di rivendicare una cultura che partisse dalìe cose per agire sulle cose, la conoscenza della realtà italiana; ed il resto, il resto è silenzio. Prima dei comunisti la società italiana era un'entità sconosciuta ed inconoscibile: Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini, Guido Dorso, ad esempio, hanno scritto del Mezzogiorno, hanno operato nel Mezzogiorno e per il Mezzogiorno senza conoscere la società meridionale; Benedetto Croce ha scritto la Storia del regno di Napoli senza conoscere le cose di cui scriveva. Poi il buon Dio .doveva mandarci, per nostra edificazione e insieme per nostra mortifi,cazione e punizione di questi peccati di omissione, doveva mandarci i comunisti (e con questi Mario Alicata e, perchè no?, Valentino Gerratana), perchè potessimo finalmente imparare com'era fatto il Mezzogiorno, la società meridionale, la realtà italiana; e per imparare anche magari che don Giustino o Dorso fanno parte del patrimonio culturale marxista: Croce e Salvemini no, perchè hanno avuto il tempo di protestare in modo inequivocabile contro ogni tentativo di imbalsamarli e santificarli. Ma, tant'è, la cultura storicistica e crociana è morta: così pare ad Alicata e a Guttuso, a Zavattini ad ·Onofri e a Cesarini. O meglio, si è preoccupato di chiarire Bianchi-Bandinelli, non è morta ancora, ma è sul punto ì di morire: è ferma su posizioni invecchiate, è incapace di rinnovarsi, di dar risposta ai nuovi urgenti problemi che pone la realtà, è incapace di mantenersi perfino alla stessa altezza di quella tradizione a cui si collega. E, peggio ancora, è ormai ridotta alla sua ultima trincea, alle università, e « fa capo a strati rispettabili, ma sostanzialmente inerti della società tradizionale italiana». La sola cultura degna del nome oggi in Italia è invece , quella marxista o « che aderisce ad alcuni presupposti del marxismo e del suo storico svolgimento >>: questa è nuova e viva, fa capo a strati non inerti di una società anch'essa nuova, risponde ai problemi urgenti e brucianti. Tanto afferma Bianchi-Bandinelli riprendendo le conclusioni del dibattito svoltosi sul Contemporaneo e tanto si leggeva nello stesso Contemporaneo, assortito di un'altra e non meno stupefacente conclusione, quella cioè che in Italia vi sarebbe gran bisogno di una «distensione» (tanta è la forza delle parole!) ideologica, consistente non già nel dar tregua al dibattito ge- [18] Bibloteca Gino Bianco

• nerale (come proponeva Bobbio), quanto nel << non svalutare la cultura co- - me tale a vantaggio della politica». Ma, di grazia, chi ha sempre sostenuto che la cultura fa una cosa sola con la politica, è, anzi, quasi l'ancella della politica? Chi per scelta dottrinaria e politica insieme ha sempre preteso la coincidenza totale di queste due attività spirituali, fino a ridurre l'arte, la filosofia, la storiografia a strumenti di una battaglia politica e a campi di battaglia politica? Non si sono, forse, i comunisti sempre serviti delle cose della cultura come di parole d'ordine, fino a generare, ancor più che ì'irritazione, il fastidio in coloro che li ascoltavano o li leggevano? Se, dunque, quest'ultima loro proposizione, della necessità di una << distensione » ideologica, vuol dire che, avendo finalmente inteso i .grossolani errori che erano nelle posizioni assunte nel passato, essi fanno o faranno ammenda onorevole di tutte le falsificazioni e le sciocchezze di cui si sono vantati fino ad oggi, per noi codesta << distensione » ideologiça è la benve- , 11uta. Salva naturalmente una riserva naturale e legittima in chi abbia avuta pratica delle medicine che gli intellettuali organici hanno tentato di somministrarci fin qui: noi ci riserviamo, cioè, di giudicare le loro intenzioni dai fatti. E poichè in questa materia i soli fatti che c9ntano sono i libri, ci riserviamo di giudicarli dai libri. Nella proposizione con cui Norberto Bobbio concludeva il suo inter- ,~ento ( << mettiamo da parte le discussioni generali e scriviamo dei libri:· vedremo dopo chi avrà scritti i migliori libri >>) v'era un'esigenza giusta. Dopo tutto, lo ripetiamo, i soli documenti che vi siano o meglio ai quali bisogna far ricorso quando si vuole parlare di cultura sono appunto i libri: le tendenze, le esigenze, le istanze rischiano di restare dei meri velleitarismi quando non si incarnano nel lavoro concreto. Ora, dal momento che si parla della cultura italiana degli ultimi dieci anni, non sembra che sia modo migliore di farlo di quello che analizza il lavoro concreto che è stato fatto in questi dieci anni. Se il criterio è valido per i prossimi due iustri dev'essere valido anche per i due lustri passati, e la domanda precisa · che dobbiamo porci è la seguente: tra il '45 e il '55, al di là delle discussioni generali e programmatiche - che hanno tuttavia la loro importanza e che non si possono cacciar via troppo semplicisticamente - chi ha scritto i << libri migliori»? Poichè i nostri comunisti danno per morta la cultura. storicistica e affermano che al suo posto s'è insediata quella marxistica, se si vuole giudicare sui fatti e non sulla fede delle parole altrui, ci si deve chieBibloteca Gino Bianco . .

• dere quali sono le opere di estetica~di filosofia, di storiografia, che la cultura marxistica ha prodotte, quali sono i risultati nuovi delle loro ricerche e qual'è il loro valore. Tutte le altre cose che si potrebbero dire, che sono state dette dall'una o dall'altra parte, finirebbero sempre con l'avere carattere di divagazioni più o meno pertinenti, se non fossero sqrrette da un continuo ricorso alle fonti, da un continuo controllo sul concreto lavoro intellettuale. Un giudizio sulle direzioni della cultura italiana oggi deve necessariamente presupporre una analisi della cultura italiana ieri, un'analisi delle opere attraverso cui essa si è espressa. Nella misura in cui h.a trascurato completamente questa analisi fondamentale e indispensabile - perfino come semplice esemplificazione - l'inchiesta promossa dal Contemporaneo ha completamente fallito il suo scopo: essa non dimostra, non prova, ma afferma. E nelle discipline scientifiche à'ffermare senza dimostrare non conduce molto lontano. Alla fine dell'inchiesta gli autori e i lettori di essa sono esattamente al punto di partenza e sono costretti a porsi la stessa domanda: cosa è accaduto nella cultura italiana negli ultimi dieci anni? A qualcuno dei principali problemi che questa domanda sottintende procureremo di rispondere, nei limiti della nostra intelligenza e competenza, nei prossimi articoli. I Bibloteca Gino Bianco

La bonifica alle strette di Manlio Rossi - Doria I problemi della bonifica hanno da noi la sorte (condivisa da non pochi altri) dei vagoni sui binari morti: si muovono soltanto per manovra a • spmta. I . Chiaramente formulati e portati avanti sotto il fascismo da Arrigo Serpieri e dal gruppo di uomini che si raccolse attorno a lui, furono sul più bello ricondotti sul binario morto per la preferenza accordata all'Agro Pontino, alla guerra d'Etiopia, alla guerra mondiale. Ripresi dopo la guerra, Ministro dell'Agricoltura Antonio Segni, ebbero chiara formulazione pro- . grammatica ed efficiente avviamento realizzativo dopo il Convegno di Napoli dell'ottobre 1946, con il programma ERP, la cosiddetta legge dell'acceleramento del dicembre 1947 e il Convegno dei Georgofili per il finanzia- . mento delle trasformazioni fondiare del dicembre 1948, ma ancora una , volta furono messi in disparte per il passaggio del treno rapido della riforma fondiaria. Riparati alla meglio gli scambi, il vagone sembrava tornare in linea dopo la prima fase di organizzazione d·ella Cassa -per il Mezzogiorno (quando i temi fondamentali del completamento privato ·della bonifica pubblica furono messi nuovamente a punto dal programma Curato dei distretti di trasformazione integrale) e ancora una volta l'iniziato movimento tornò a fermarsi per le esitazioni del Consiglio di Amministrazione della Cassa, il conflitto di competenza tra Cassa e Ministero d'Agricoltura e la incapacità dei Ministri di trovare un ragionevole accordo tra lorq e tra i loro funzionari. Da queste vicende della politica della bonifica gli amici Bandini e Ramadoro sono stati tratti a riprendere la discussione in argomento e a ricercar le colpe del lento sviluppo della trasformazione agraria da parte dei privati non dove esse sono, ma nei difetti della Legge del '33 e nell'esiBibloteca Gino Bianco

stenza dei consorzi di bonifica; trovan,do così argomenti per portar acqua al mulino degli Enti di riforma, che, nella loro comprensibile visione, dovrebbero diventare strumenti di efficace risoluzione del problema. In un articolo su La, Stampa del 12 agosto, con lo stesso titolo di questo che vado scrivendo, ho cercato di dimostrare l'assurdo di questa tesi, ma l'argomento è di tale importanza che merita qualche considerazione in più di quelle che possono materialmente raccogliersi in un articolo di giornale. La prima e più importante è app·unto quella contenuta nell'inizio di questo articolo. · La bonifica è un'operazione delicata e complessa proprio perchè - almeno nel Mezzogiorno - è un'attività, per così dire, contro natura, una costruzione contro corrente. È. stato più volte dimostrato come le forze economiche in atto, i rapporti contrattuali esistenti, le molte incertezze tecniche ed economiche abbiano per decenni agito, nei comprensori latifondistici meridionali, nel senso di mantener le cose come stavano, o in quello di una lenta e non sempre positiva evoluzione degli ordinamenti fondiari e agrari. Fin da quando s'è cominciato, perciò, a parlar seriamente di bonifica , nel Mezzogiorno - ai tempi di Arrigo Serpieri, Eugenio Azimonti, Antonio Sansone, Antonio Bianchi - si è visto che occorreva condurla avanti con la visione unitaria, l'energia e la continuità con le quali soltanto si vincono le grandi battaglie dirette a soggiogare la natura e il secolare andamento delle cose umane. Viceversa, l'azione concreta è rimasta negli an11i caratterizzata da quell'andamento discontinuo, del quale sopra si faceva cenno e dal quale naturalmente hanno tratto .una insperata possibilità di difesa le forze più retrive tra i proprietari meridionali, ma anche - ed è più grave - hanno tratto ragione di continue delusioni e disperazioni le forze più capaci e progressive della stessa e di altre categorie sociali. La politica della bonifica nel Mezzogiorno ha bisogno di chiarezza e principalmente di continuità di direttive e di applicazioni delle stesse. Senza questa continuità non bastano nè la larghezza degli stanziamenti accordati, nè la rapidità di realizzazione dei programmi di opere pubbliche, nè la larghezza dei contributi statali alle opere private di trasformazione. Questa continuità è mancata sotto il fascismo, prima, malgrado la ininterrotta continuità del regime; e in regime democratico, poi, malgrado la ininterrotta gestione della politica agraria da parte di uomini di Bibloteca Gino Bianco

• un solo partito. È mancata perchè non si è stati capaci di condurre insieme due imprese alla volta; e al sorgere di ogni nuovo impiego s'è allentata, per così dire, la presa nell'impegno della bonifica; e perchè, nel continuo avvicendamento di uomini nella responsabilità di quella politica, ciascuno di questi - sebbene fossero nell'un caso e nell'altro di uno stesso partito - 110nha saputo vincere l'infantile gusto di disfare o abbandonare gran parte di quel che aveva avviato il suo predecessore. Non mi sogno, con questo, di negare che lacune e incertezze legislative, debolezze organizzative e politiche dei consorzi, grossi problemi di fondo mai interamente risoluti abbiano contribuito a determinare quanto c'è di insoddisfacente negli sviluppi delle bonifiche meridionali, ma bisogna saper conservare il senso delle proporzioni. Incertezze legislative, debolezze organizzative, problemi di sostanza sono tali da poter essere vinti e domi11atidall'azione governativa, quando questa è dotata di larghi poteri, come lo è oggi legislativamente e finanziariamente la politica della bonifica. Occorre soltanto che questa sia en·ergica e continuativa, sappia quel che vuole e sappia volerlo, non dico per molto, ma ininterrottamente per cinque anni almeno. Fino a quando non si riconoscerà esplicitamente questa palmare ve- . rità - che tutti conoscono e solo sussurrano - i problemi di cui parliamo resteranno, come sono da anni, sospesi a mezz'aria, con tutti i danni di questa incomoda posizione. Di problemi sospesi a mezz'aria ce ne sono non pochi, nelle bonifiche meridionali. Diciamo subito che tutto il chiasso che si sta facendo sulla inadeguatezza delle leggi di bonifica e degli organi incaricati di realizzarla non riguarda, giustamente, quei 9 milioni di ettari ai quali è stata estesa la classifica, ma quei pochi e importanti comprensori del Mezzogiorno e delle Isole di più elevata suscettibilità, nei quali si sono concentrati in questi anni gli investimenti pubblici e nei quali nella maggior parte dei casi, è prossima l'entrata in funzione della irrigazione. Se non vogliamo, perciò, perderci nei fiumi di una astratta casistica, per ora è a questi comprensori che dobbiamo guardare, e non ad altri. Limitato così il campo, è necessario definire le direttive permanenti Bibloteca Gino Bianco

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