Nord e Sud - anno I - n. 1 - dicembre 1954

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna - ANNO I * NUMERO I * DICEMBRE 1954 Bibloteca Gino Bianco

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Rivista mensile diretta da Francesco Compagna • Bibloteca Gino Bianco

U. La Malfa G. Giarrizzo N. d. R. V. de Caprariis V. Accardi N. Ruffini L. Amirante F. Compagna SOMMARIO Editoriale Mezzogiorno nell'Occidente [ 11] Intellettuali e Contadini [ 23] ., GIORNALEA PID VOCI La stretta di Palermo [37] Tabacchine a convegno [ 39 J Credito per gli artigiani [ 42 J Molti .decreti, poche scuole [ 46] Chi tocca la Mostra . . . [ 49 J Due decennali: '' Il Tempo'' e '' Il Giornale'' [53] DOCUMENTIE INCHIESTE U. Zanotti-Bianco Lo spostamento dei centri abitati in Calabria [58] R. Scotellaro Scuole di Basilicata (I) [ 67 J N. Ajello N. Pierri Una copia L. 300 - Estero L. 360 Abbonamenti: Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1.700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti sul C. C. P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore • Milano Bibloteca Gino Bianco IN CORSIVO [96] CRONACHEE MEMORIE Storia e antologia della Napoli-Sciangai [ 103] RECENSIONI Una lotta nel suo corso [ 123] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 • Telefono 62.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI presso Arnoldo Mondadori Editore Milano - Via Bianca di Savoia, 20 - Tel. 35.12. 71

Editoriale Nord e Sud non stanno qui ad indicare i -termini di un'astratta contrapposizione fra gli interessi delle regioni più sviluppate e le aspirazioni delle regioni più povere; ma piuttosto i termini elementari in cui si riassumono oggi tutti i problemi italiani, come problemi d'integrazione fra Settentrione e Mezzogiorno d'Italia, nel quadro delle più moderne esigenze d'integrazione fra Europa occidentale continentale ed Europa meridionale mediterranea. Quale può essere il modesto contributo che potrà recare una rivista alla soluzione di questi problemi d'integrazione? Anzitutto, nella sitt,azione attuale, u1za migliore e più aggiornata conoscenza della realtà meridionale. La situazione del Mezzogiorno è oggi in movimento, in rapido, jpesso incontrollato movimento: deve essere seguita e studiata sistematicamente nelle sue uniformità e nelle sue varietà, nelle sue mo.dificazioni, reazioni, resistenz~. I nuclei più influenti ed operosi della classe dirigente italiana risiedono ancora nella Valle Padana, o di là provengono quando si concentrano nella capitale; e anch'essi indugiano spesso, come i nuclei più arretrati e meno responsabili, nel/' antico pregiudizio che il Mezzogiorno sia un,appendice passiva della vita nazionale. Quando pure, di. fronte ali'evidenza di certe situazioni, quei nuclei più influenti ed operosi siano riusciti a liberarsi di tale pregiudizio, non hanno potuto, però, regolare il proprio comportamento sul fatto nuovo, che cioè il Mezzogiorno è diven-tato protagonista determinante della lotta politica italiana. Di qui 1,na frettolosa « scoperta » di terre inesplorate, una serie di giudizi approssimativi e con:traddittort incertezza e confusione nel!'azione politica, illusioni giacobine e velleità reazionarie. Bibloteca Gino Bianco

Approfondire la conoscenza della realtà meridionale e adeguare il comportamento della classe dirigente italiana ai risultati di un tale approfondimento: questi sono i primi aspetti in cui si pone oggi il problema d'integrazione fra le « due Italie ». La nostra rivista, si propone appunto di contribuire alla valutazione dei nuovi dati della situazione meridionale e di esercitare una pressione costante· per adeguare a questi dati l'orientamento dei governi, dei partiti, della stampa, dei gruppi qualificati di pubblica opinione. Oltre dieci anni sono trascorsi dal settembre 1943: chi paragonasse gli entusiasmi e te speranze, le attese e il sogno generoso di costruire la città felice, dei mesi febbrili che seg1,1,ironoquel settembre, fino alla Liberazione di Roma, fino alle giornate dell'aprile 194 5, fino alle elezioni della ·Costituente, chi paragonasse insomma quei sentimenti e quelle illusioni· agli avvenimenti cui· abbiamo assistito e alla realtà cui siamo pervenuti, rischierebbe d'esser travolto da un' on.data di acre pessimismo. Nel Mezzogiorno, abbiamo visto qualunquisti e sa-nfedisti tenere rumorosamente il campo, fascisti trionfanti insediarsi in tutte le posizioni di controllo della vita pubblica, 1: democratici essere progressivamenie espulsi dal tessuto politico. Invano ammonimmo che così veniva spianata la strada ai comunisti. Oggi ci rimane l'amaro vanto di aver visto giusto. I co1nunisti detengono il monopolio dell'iniziativa politica; i pulpiti clerico-moderati, liberalnazionalisti, nazionalfascisti sono sempre pìù traballanti; l'inetta classe dirigente che è rimasta al potere, chiusa a ogni esigenza dì ricambio, deve cominciare a riconoscere .di aver fatto male i suoi conti. Ma i quadri democratici sono stati dispersi. E, tuttavia, essi 11,onsono distrutti. Perchè le forze che nel Mezzogiorno si baitono per la conquista di una realtà politica e civile che risoiva le secolari insuf-fj,cienze del Paese nel quadro di un modo di vita libero e democratico non nascono da contingenti escogitazioni destinate a rimanere nel limbo delle buone intenzioni: ma sono invece il prodotto delle esigenze più profonde della storia e della società meridionale, riallacciandosi ad una battaglia con vari modi e vicen-de combattuta sin dalla origine, tra Sei e Setiecento, di quella tradizione di cultura meridionale che storicamente si è realiz.zata soprattutto come tramite tra la moderna coscienza civile et1-ropeae l'arretratezza della società meridionale. Sono, ques"te, forze ed esigenze troppo intrinsecamen·te connesse con la vita del ·paesè perchè le Bibloteca Gino Bianco

esperienze e le delusioni di dieci anni, sia pur carichi di storia come quelli seguiti al 194_3, possano bastare a distruggerle. Non ci nascondiamo, certo, che se a questa tradizione risale un po' tutto il positivo della storia meridionale degli ultimi due secoli, quesui stessa storia ci ammonisce del pericolo e del limite proprio del liberalismo meridionale, rimasto, come è stato detto, sempre superiore al Paese, ma « astrattamente superiore )), in un continuo sforzo di stringere i suoi contatti con un ambiente per troppi aspetti difforme e sfuggente. · Da una parte ci rifiutiamo di ammettere che questo difficile contatto possa e--sserestabilito con l'abbandono delle ragioni medesime che portano u ricercarlo, cioè con la resa pura e semplice alla «realtà>> del Paese; tanto più che oggi tale resa alla « realtà >> del Paese comporta il rischio di vedere poi questa realtà stessa assoggettarsi, suo malgrado, a qualcosa di così profondamente ripugnante alla sua natura come lo Stato di polizia comunista; oppure conduce all'accettazione di quell'equivoco mito del mondo contadino, come riserva di energie incontaminate dalla civiltà moderna - « di Lutero e di Machiavelli>> - che viene affioratJdo dalla inquietudine ideologica e dai vuoti .di cultura di certi ambienti cattolici. D'altra parte siamo consapevoli della positività, ai fini della battaglia democratica nel Mezzogiorno, del risveglio delle masse meridionali, sia pure sotto la guida comunista; perchè ali'antico sforzo di penetrare un mondo stagnanu ed immoto, si sostituisce adesso il rapporto con forze politiche consapevoli, e per ciò stesso più facilmente agganciabili e articolabili sul piano della lotta per il progresso civile del Mezzogiorno. Condizione di tutto questo è però che all'attuale debolezza si sostituisca una posizione di forza delle energie democratiche del Mezzogiorno, che le ponga in grado di inserirsi come elemento attivo, di propulsione e di controllo, nell'attuale processo di sviluppo d~lla società meridionale. Ora, è un fa,tto che la realtà meridionale e italiana, accantoa pericoli e deficienze innegabili, presenta anche aspetti ed elementi che. segnano un netto punto di vantaggio rispetto alla situazione in cui si doveva svolgere la battaglia meridionalistica dei Fortunato, dei De Viti De Marco, dei Colajanni, ecc. La, visione del problema del Mezzogiorn·o come problema nazionale italiano si è ormai tradotta sul piano politico in una Jerie di realizzazioni e di conquiste, presenti alla mente di ognuno, che solo l'intervento diretto di tutte le forze democratiche, senza distinzioni r~gio- [sJ Bibloteca Gino Bianco

1zali, hanno reso possibili; e questa solidarietà democratica· nazionale è la premessa, solida e necessaria a un tempo, da cui oggi deve prender le mosse ogni seria azione meridionalista. E se, ciò nonostante, queste conquiste e realizzazioni appaiono tuttora precarie, se la situazione politica del Mezzo giorno nel 1954 si presenta con i colori nient' affatto rosei di cui si diceva, gran parte della responsabilità risa/~ alla disintegrazione delle forze locali della democrazia meridionale. Tanto più necessario quindi lo sforzo di riannodare le file: le quali stanno disperse un po' in tutto il tessuto della società meridionale, da certe inquietudini e insoddisfazioni di giovani intellettuali di provincia, a esigenze di libertà e dignità civile che sono pur presenti accanto al disfacimento morale di tanta parte della borghesia di queste regioni, a nuove forme produttive e aspirazioni che nascono nei settori più avanzati dell'economia meridionale. Non si ere.da che nell'affermare la gravità della situazione in cui la inettitudine delle classi dirigenti ha precipitato il Mezzogiorno, minando la stessa relativa stabilità delle regioni settentrionali, qui ci si compiaccia di visioni apocalittiche e ci si rifiuti di riconoscere quel che di importante e di buono si è fatto in questi anni: la ricostruzione economica e la politica 1nonetaria, la ripresa internazionq,le dell'Italia e le riforme, gli investimenti pubblici e la liberalizzazione degli scambi. Queste sono voci attive di un bilancio che resta però disperaNlmente. deficitario; ipo·teche su un futuro migliore, magari; compromesse però dal clima p·olitico del presente. Gli uomini che hanno fatto cose buone e positive -- accanto a molte altre cattive, come è proprio degli uomini -- hanno bene merittito dal Paese. Ma le principali contraddizioni non sono state risolte; come la politica europeistica è stata saboklta e ostacolata dalle vecchie cricche nazionali.rtiche insediate nella stampa e nella diplomazia, la politica meridionalistica è sUlta sabotata e ostacolata dalla gtacidante inettitudine di vecchie cons(!rterte, alle quali anchegovernantiilluminati hanno fatto troppo largo credito. Quando si considera il Mezzogiorno, vien fatto di pensare che le classi· dirigenti i-taliane abbiano avuto voglia di isolare nel corpo del Paese una grande fetta di territorio per impiegarlo come una sorta di immenso laboratorio, di enorme zona di esperimenti. E' come se avessero voluto concentrare nel Sud la maggior parte delle sventure italiane: non solo la miseria, la disoccupazione, la sottoalimentaiione, ma anche la parte peggiore [6] Bibloteca Gino Bianco

di se stesse, le loro deteriori manifestazioni, le loro arretrate rappresentanze. Così, tutte le sventure del Paese si riflettono nel Mezzogiorno come in uno specchio deformante e tornano agli occhi degli osservatori paurosamente ingigantite. Ebbene, l'immensa zona di esperimento ha reagito: tra il '46 e il '5 3, nelle regioni meridionali, il P. C .I. ha più che raddoppiato i suoi voti. Il Mezzogiorno non è più la « riserva di saggezza >> cara alla musa retorica di certo giornalismo tradizionale. Noi vogliamo sperare che non ci sia più nessuno in Italia tanto folle da voler insistere; tanto poco intelligente da credere che si possa ristabilire un equilibrio distribuendo qualche portafoglio ministeriale a qualche deputato monarchico o qualche sovvenzione per i 1n·ovimenti che riflettono soltanto l'infantilismo politico e le velleità reazionarie di agrari declassati e parvenus surclassati. Quan·do tutti . ritenevano che nel Mezzogiorno tornassero a campeggiare i movimenti cosidetti « nazionali » - che poi sono quelli tipicamente antinazionali - si stava invece verifica11do una radicale conversione delle plebi meridionali, che hanno compreso quale formidabile arma di pressione rappresenti il voto politico. . La grande novità di questo secondo dopoguerra è appunto la penetrazione comunista nel Mezzogiorno, una penetrazione tanto più rapida ed estesa quan-to più lunga e opprimente era stata la compressione precedente, quanto più ostinati e stolti sono stati i tentativi di ristabilirne i termini anacronistici e grotteschi. E' questa la constatazione da cui deve muovere chiunque voglia intendere le dimensioni attuali della questione meridionale e chiunque voglia agire nel Mezzogiorno. Che vi sia in Italia chi pretenda di persuadere i «cafoni» del Mezzogiorno a non votare per i comunisti in nome del re in esilio, delle madonnine che piangono, della città-martire e di non ben precisati « valori nazionali», affar suo. Ma, se questa fosse opinione diffusa anche fra gli uomini responsabili; se questo fosse ancora, come è stato fino a oggi, il punto di vista .di coloro che detengono poteri economici e controllano la stampa; se su questa strada si vo- _ lesse insistere da parte dei quadri dirigenti del Sud e da parte di certi ambienti settentrionali, ricalcando lo schema elettorale di Castellammare e aspirando a costruire maggioranze come quella che regge l'Ente Regione in Sicilia, seguendo le indicazioni della stampa più tendenziosa e recando preziosi vasi alla Samo comunista; se dura tubto ciò, noi abbiamo ancora Bibloteca Gino Bianco

una volta il dovere di dire alto e forte ché ci si ostina a. non comprendere quello che si sta verificando nel Me.zzogiorno, che tale ostinazione conduce a un non lontano precipizio, che ì comunisti possono già pregustare i vantaggi che si ripromettono da una crisi istituzionale della democrazia italiana~ Le plebi meridionali non hanno una coscienza potitica, sòno solo ai margini di una coscienza di classè, hanno afferrato soltanto alcuni dati elementari della loro condizione umana: ma il processo di liberazione è appena agii inizi. Questo processo, risolvendosi nella promozione a proletariato cosciente e responsabile di un sottoprol~tart·ato e .di un mondo contadino a volte soggetto a tutte le corruzioni, a volte inquieto e rivoltoso, aprirebbe grandi prospettive di consolidamento e sviluppo della democrazia italiana, se non fosse per la massima parte controllato dai comunisti: Ai quali, in presenza di ambienti politici che negano e falsificano tutte le tradizioni ed aspirazjoni liberali, riesce facile camuffarsi da liberali. Non c'è che un mezzo per strappare dalle mani· dei comunisti il controllo del processodi liberazione del sottoproletariato e soprattutto dei· contadini meridionali: accelerar.elo svolgimento di tale liberazion-e,perchè, a un certo gra.do di esso, il comunismo perderebbe gran parte del suo attuale mordente, la sua forza di richiamo si attenuerebbe, le sue possibilità di camuf-. farsi dimi'nuirebbero. A volersi comportare nel modo opposto si produce il solo effetto· di spingere anche gran parte del ceto medio ne7la rete dei fronti popolari: ciò che sta infatti avvénendo, illusioni o delusioni_aiutando. . Perchè, parallelamente al processo di liberazion-edel sottoproletariato un altro movimento ha.avuto inizio nel Mezzogiorno, senza· che gli osservatori politici vi abbiano prestato mo/,ta attenzione. E' la secessione di t-tnaparte della piccola e media borghesia dal blocco agrario, Ìl qua,le si viene ormai sgretolandosotto ìa spinta ,dei tempi e degli eventi. Anche questo processo, per l'assenza di forze democratiche efficienti capaci di intervenire attivamente, viene ora controllato dai ·comunisti, mediante l'accorgimento dei fronti popolari, la penetrazione capillare nelle zone di particolare disagio S()ciale cd economico, la complessa tattica di convegni e di mozioni che la politica dei ~< fron-ti » consente. Buona parte della borghesia 1neridio1iale,la migliore, specialme1zte i giovani, si sente. oggi respinta da Il Mattino e da Il Giornale d'Italia, che no1i lianno sentito la [8] Bibloteca Gino Bianco

11,uo11siatuazione storico-politicaed echeggiano anacronisticamenté i vecchi falsi moti11idei Bergamini e degli Scarfoglio:aumentano di conseguenza i lettori dell'Unità e del Paese Sera, che rapprese11.:tanpoe, r così dire, falsificazioni più moderne. Analogamente, buona parte dclia piccola borghesia meridionale abbandona gli epigoni di Salandra, reagisce alla sguaiata retorica del qualunquismo e del laurismo, nega ogni fiducia ai blocchi amministrativi caldeggiati dalla reazione agraria e, trovando il vuoto, aderisceai fronti popolari. Liberazione· civile del sottoproletaria~ourbano e rurale, secessione politica della piccola e media borghesia dal blocco agrario: sono i due grandi sogni dei meridionalisti che si avverano. Ma su di essi incombe il grande e minaccioso equivoco del Partito Comunista, che preclude ogni prospettiva democratica allo sviluppo di questi movimenti; che anzi fa leva su di essi per paralizzare lo Stato democratico. Come uscire da queste drammatiche contraddizioni in cui si dibattono i democratici meridionali? Liberalizzare la vita pubblica nell'Italia meridionale, chiarire fino in fondo e avanzare su tutti i piani l'alternativa · della democrazia moderna, la sua portata civile, la sua carica sociale, il suo ideale politico. Questi sono i primi imperativi che si pongono agli uomini politici che ancora domandano cosa si debba fare per fermare il comunismo nell'Italia meridionale. Questi sono i presupposti per affrontare seriamente i problemi. Noi insisteremo puntualmen-te e continuamente su quei primi imperativi e, mentre abbiamo l'ambizione di offrire alla pubblica opinione ed agli uomini politici il rilevamento e la spiegazione dei dati che contribuiscono a determinare le situazioni in cui viviamo e dobbiamo operare, ci ripromettiamo, altresì, di discutere le impostazioni politiche dei problemi e di suggerire quelle che sembrano le più ragionevoli e le più vantaggiose, ossia di intervenire politicamente. Se, però, non possiamo provare nessuna indulgenza verso il velleitarismo provinciale e reazionario del vecchio mon·do politico meridionale e verso il qualunquismo incarognito di certi ambienti italiani che rappresentano il più triste retaggio del fascismo, nessuna indulgenza ci potrà essere addebi,tata per quelle che consideriamo le stolte illusioni e le opache vanità di coloro che cercano comodo riparo all'ombra dei fronti popolari; illusioni e vanità che sono particolarmente gravi fra gli am- .. Bibloteca Gino Bianco

• bienti intellettuali, in quanto denunciano i sintomi di una nuova trahison des clercs. . Se abbiamo scelto una p1 osizion·e esposta a tutti i venti, non ci piace però assumere facili atteggiamenti di superatori. Diremo, perciò, semplicemente, che rimaniamo fedeli a una forte tradizione liberale, « la sola tradizione di cui l'Italia meridionale possa trarre intero vanto))' che all'Italia tutta ha pur recato gran contributo di intelligenza e di cultura, di forza civile e di progresso politico. La nostra aspirazione consiste nel tradurre sul 'terreno politico, per l'Italia settentrionale non meno che per quella meridionale, la contin;uità e la vitalità di quella tradizione. - Biblote~ Gino Bianco

Mezzogiorno nell'Occidente di Ugo La Malfa e HE cosa è questo problema del Mezzogiorno, questa drammatica insufficienza del Mezzogiorno, questo sforzo del Mezzogiorno di uscire dalla sua stagnazione, se non il problema che i giovani intellettuali meridionali portano nel loro spirito, hanno vissuto fin dal [oro primo affacciarsi ad t1na vita consapevole? Non intendo con ciò dire che alltri non avvertano il problema, che i contadini, che la piccola borghesia, che gli eterni disoccupati e gli eterni derelitti del Mezzogiorno, non siano n1artoriati da quei problemi e da quel1a so.fefrenza, non siano essi i protagonisti ddl dramma. Intendo soltanto dire che la qualità di intellettuale ha servito a rendere spietatamente chiari i termini dell problema, a farli entrare in tutti i dominii della vita spirituale, oltre che economica e ~ociale. E se, qualche vdlta, i giovani intellettuali del Mezzogiorno possono « nordicizzarsi >> ed emigrare, partecipare cioè ad una diversa con- .dizione di vita, essi non potranno mai dimenticare le caratteristiche, ~ingolari condizioni ambientali nelle quali sono cresciuti. Da questo punto di vista, Ila qualifica, la parola « meridionale >> ha un senso ben preciso. Essa definisce una particolare condizione di vita, una maniera di essere di alcuni milioni di italiani; essa presuppone un particoiare stadio di civilizzazione umana, e, per ciò stesso, un confronto ed un paragone. Quando oggi noi parlliamo, con linguaggio ultramoderno, di aree depresse o di zone arretrate o sottosviluppate, esprimiamo molto di meno, e di più generico, di qu,~1che il termine « meridionale >> esprima. Poichè aree depresse o zone ad economia arretrata o sottosviluppata possono considerarsi l'India o l'Egitto, la Cina o ili Messico o non so quanti altri paesi, ma manca a ta:li vasti territori una condizione che Bibloteca Gino Bianco

appartiene più propriamollte al Mezzogiorno d'Italia: l'essere cioè questa u11'area sottosvi,luppata o di depressione, nell'ambito di una civiltà nazionale e internazionale caratteristica dei paesi del,l'Europa occidentale. Noi possiamo parlare d~ll'India o dell'Egitto, come di paesi al di fuori della storia interna dell'Europa; non possiamo parlare della Sicilia o delll'Abruzzo, della Campania o delle Puglie nello stesso senso. I1l Mezzogior,no ha partecipato al moto civiile e culturale dell'Europa occidentaie, anche se non gode oggi delle condizioni economiche e socia1 lì, morali e culturali, di questa più vasta area. E in ciò non può essere interamente assimilato alla Jugoslavia o alla Turchia, come ha fatto, nell suo rapporto, la Commissione Economica per l'Europa (1 ), tanto meno all'Egitto o all'India; bensì può dividere [a sua drammatica singdlarità con la sola Spagna o, con riguardo a un'età che è ormai troppo storicamente lontana per caratterizzare problemi attuali, con la Grecia. Ma se Mezzogiorno non vuol dire soltanto area depressa e sottosvi!luppata, ma vuol dire area depressa e sottosviluppata ne:ll'ambito di una storia e di una civiltà delle quali si è fatto diretta parte, per coniprendere il Mezzogiorno è essenziale non trascurare questa peculiarità. Il Mezzogiorno non può, a differenza di tante altre regioni, avere l'onore e ['onere di una civiltà autonoma, distinta dalla civiltà della quale fa parte storicamente. L'India può attuare i progressi tecnici, economici e sociali della civiltà europea e rimanere India, così la Cina, e così; per molti versi, [a Russia. Ma così non può essere per ·il 1\1ezzogior 1 no italiano. D'altra parte in tutti i paesi che oggi si pongono, .in termine di attualità, il problema del1 la rea!lizzazione di un tipo di civiltà << non arretrata))' qual'è ad es. la civiiltàoccidentale europea, vi è un ( 1 ) Del resto la stessa Commissione economica per l'Europa ha riconosciuto ciò quando ha affermato, in altra parte dello stesso rapporto, che l'essere il Mezzo- , giorno « la parte depressa di una più grande entità nazionale, rende l'Italia meridionale un caso del tutto specifico, non facilmente comparabile con i problemi degli altri paesi dell'Europa. meridionale >> (Economie Survey of Europa in 1953, pagina 137); o quando, collateralmente, in contrapposizione ai paesi dell'Europa orientale, afferma che « la regione mediterran~a è stata la cu[a della civilizzazione europea e alcuni dei paesi europei meridionali furono fiorenti e potenti solo pochi secoli fa. Essi sono paesi di sviluppo economico arretrato piuttosto che paesi che non hanno conosciuto la civiltà moderna». Gli aspetti complessi di una civilizzazione sono presenti nel rapporto, anche se si tratta di uri rapporto economico. Bibloteca Gino Bianco

elemento di orgoglio nazionale e di emulazione insieme. Essi intendono co11seguire la modernità della 1loro vita economica, sociale e culturale, così come l'Europa occidentale ha saputo conseguirla, ma vogliono nello stesso tempo contrapporre t1na loro civiltà a quel1la civiltà (è soprattutto la tesi comunistico-nazionalistica dei paesi orientalli); hanno insomma ,l'obiettivo della emulazione e della contrapposizione insieme. Il Mezzogiorno non è in questa condizione. Esso è Occidente senza le condizioni economiche, sociali, culturali che caratterizzano l'Occidente. Esso non è un Oriente occidentalizzato: è un Occidente orientalizzato. · Questo elemento caratteristico del Mezzogiorno, questo essere il 1viezzogiorno un Occidente decaduto, è stato sempre chiaro ed univoco nella coscienza più avanzata del Mezzogiorno. Si può dire che tutta la storia politica sociale e cultura!le del Mezzogiorno ha visto contrapporsi una coscienza moderna occidentaile allo stato di arretratezza generale del paese, alla ignoranza e all'oppressione dei ceti più ricchi, al clientelismo e al provincia1lismo delle organizzazioni politiche, economiche e sociali locali. L'opera delle minoranze meridionali ha potuto avere maggiore o minore successo (dal Risorgimento in poi essa ha avuto, per lo meno, il merito di aver posto il problema all'attenzione del!l'Italia), ha potuto essere più o meno feconda, ma essa ~ra univoca ,nel suo indirizzo, ed era univoca perchè tutta la storia del Mezzogiorno si lega ad una esperienza occid_enta 1 le. E del resto, in un campo specifico, come quello cultura[e, questa capacità del Mezzogiorno di [egarsi all'Occidente ha raggiunto le forme più alte e più 1inpegnative. Il crocianesimo, co1ne fenomeno di grandissima cultura, non rapsodico, non occasionale, ma frutto di lunga tradizione e ·maturazione, è lì a testimoniare una capacità di circolazione occidentale ed europea del Mezzogiorno che, se non rispecchia direttamente la vita dei contadini meridionali, come ri[evano alcuni dogmatici censori~ rispecchia una ma,niera di essere dellla vita meridionale che non \ ' ' 1 pt10 essere ne trascurata, ne sottova utata. Si è affermato di recente che l'opera di queste minoranze è stata economicamente e socialmente improduttiva, che la democrazia politica, ideale delil'Occidente, non ha saputo dare nulla al Mezzogiorno. Da Matteo Renato Imbriani a De Viti De Marco, da Giustino Fortunato a SaiBibloteca Gino Bianco

"' vernini, a Dorso, il pensiero democratico meridionale si è battuto sul terreno delle idee, del1laconoscenza spregiudicata e profonda dei problemi n1eridionali, ma non ha organizzato nè forze, nè soluzioni organiche dei problemi. La democrazia giolittiana non è stata influenzata dall'azione di queste m~noranze, che anzi sono state osteggiate da quelila o l'hanno osteggiata; e tanto meno ne è stato influenzato il fascismo. E' su questa aspirazione mancata, su questa volontà tesa del Mezzogiorno culturale verso l'Occidente, non realizzata sul terreno economico e socia[e, che si è inserito il grande tentativo comunista. Il comunismo ha avuto il merito, nel Mezzogiorno, di rendere politicamente attivi molti strati sociali tra i più miseri e sprovveduti, di sapere dar loro un'organizzazione, di sottrarli a:ll'oppressione, al dlientelismo, al provincialismo, ailla corruzione. Ma il limite obiettivo al comunismo, la sua reale difficdltà di conquista della vita italiana è dato, anche nel Mezzogiorno, anche nel[a desolazione economica e sociale del!la vita meridionale, dal!l'esistenza di una tradizione storica e culturale di carattere occidentale. In a!ltre parole, se il comunismo, come propagazione di una dottrina e di una esperienza proprie di un grande paese orientalle, trova il suo limite obiettivo nelle condizioni di civiltà de'lla Val~e Padana e di altre zone d'Italia (e questo consente a scrupolosi osservatori di parlare di una saturazione del movimento comunista nel Nord e nel Centro d'Italia) e nella struttura, quindi, prevalentemente occidentale di quell'economia, un analogo limite esso . trova nel Mezzogiorno, anche se l'ambiente economico è qui più arretrato e alcune condizioni più favorevoli. E lo trova, ripeto, o dovrebbe trovarlo, perchè anche nel misero, nell'arretrato, nelll'incolto, nel feudale Mezzogiorno, l'Occidente ed i1 1 suo spirito di libertà, la sua cultura, i suoi ordinamenti economici e sociali sono pres~nti, almeno come termini di paragone. 11 contadino meridionale non è il mugik, anche se misero ed oppresso come quello. Dell resto, la stessa celebre tesi gramsciana, suhla quale si fonda la azione ideologica e politica del comunismo, la tesi secondo cui il rinnovamento della società scaturirà dall'incontro e dall'unione degli operai del Nord e dei contadini del Sud, mostra nei confronti, dltre che del Nord, del Mezzogiorno, la sua astrattezza dogmatica e ili suo semplicismo schematico. La struttura economica, sociale, culturale dei paesi àel1 'Occidente è troppo complessa perchè si adatti allo schema operaistico Bibloteca Gino Bianco

con il quale Gramsci vede [a realtà del settentrione d'lta[ia. La differenziazione dei ceti, il relativamente allto livelilodi vita di alcuni operai, l'articolazione della vita sociale nelle stesse campagne, costituiscono il limite all'espansione comunista, che più sopra abbiamo individuato. Ma quando si passa al Mezzogiorno, la distanza dal Nord, maigrado sia ancora troppo grande per assicurare u,na stabilità politica e sociale, è tuttavia troppo piccola perchè elementi di confronto e di paragone esistano, e perchè la tesi strettamente classista conservi la sua validità in confronto ad altre va[utazioni ben più complesse e ricche. Il contadino del Sud, e non solo il contadjno, ma l'artigiano, l'operaio, il piccolo borghese, sentono istintivamente che l'operaio del Nord vive, proprio come operaio, in una condizione, in un ambiente, in una possibilità che non sono i loro ed ai quali essi aspirano. Mezzogiorno e Piemonte non sono sulllo stesso piano, anche pensando ai soli operai dellla Fiat; e il Mezzogiorno aspira, in primo luogo, a divenire Piemonte. E Pa[miro Togliatti, per dare una qualche validità allo schema gramsciano, ha dovuto inventare, nel suo discorso di Napoii del 30 maggio scorso (2 ), la stagnazione generale della vita econon1ica milanese per vedere cominciare ad affiorare qualche « ele.. mento di somiglianza fra due condizioni ita~iane (Nord e Sud) profondamente diverse >>. Ma non si possono certo ridurre le condizioni di Milano aale condizioni di Napoli, per assicurare allo schema gramsciano una validità dottrinaria e alla rivoluzione comunista probabilità di attuarsi. Dunque il comunismo incontra o dovrebbe incontrare ili suo limite anche nei riguardi di una struttura economica e sociale arretrata, ma di una civiltà storica ricca, quale è quella del Mezzogiorno. Ma limite fino a quando e rispetto a quaii forze? Non certo rispetto alle forze tradizionali, clientelistiche, pater,nallisticheo addirittura oppressive e reazionarie del Mezzogiorno; non certo rispetto alle minoranze intellettuali eroiche, che hanno arricchito la vita culturale del Mezzogiorno, ma sono rimaste isolate ai fini delle realizzazioni pratiche. Il [imite al1l'azione comunista ndl Mezzogiorno d'Italia, come in tutta l'Europa occidentale, può essere segnato dai postulati ideali, dalla capacità di azione, da[le ( 2 ) Integralmente riprodotto in Cronache meridionali, anno I, n. 6, giugno 1954. Bibloteca Gino Bianco

• concrete realizzazioni di una democrazia moderna. Se ill comunismo ha avuto partita vinta rispetto a tutte le forme di reazione socia[e e fascistica, rispetto a tutte le manifestazioni della democrazia formale, esso dovrebbe avere compito ben più difficile rispetto alle manifestazioni del:la democraziamoderna, che nell mondo occidentale sono espresse dal new dealismo roosve:tliano o dalle realizzazioni laburistiche e ,dal socialismo di marca scandinava. Questa è l'alternativa de}la quale abbiamo avuto scarsa consapevolezza in questi anni, della quale bisognerà avere piena consapevolezza domani. Così la lotta fra democrazia moderna e comunismo, lotta che non è soltanto contrapposizione, e anzi importa poco che io sia, ma emulazione fra due ideali, fra due visioni del mo:ndo, fra due forme di civiltà, ha la sua validità anche per l'Italia meridionale, anche per iJl misero, • per l'arretrato, per i1l feudale e, nelllo stesso tempo, per il civilissimo , . . Mezzogiorno. f' • • • • • # Ma se comunismo e ·(lemocrazia moderna si scontrano e debbono . . scontrarsi più che altrove nel Mezzogiorno, quali sono le armi della se.. r , cotida in confronto ai miti formidabili agitati dal primo? In questo campo tutto ii processo di affinamento della democrazia moderna, del suo pensiero economico, della sua capacità di modificare Je condizioni sociali degli uomini, deve farsi valere. La redistribuzione del reddito attraverso l'in- . . ) tervento dello Stato è un dato della democrazia moderna, così come la politica dei massicci investimenti pubb[ici e la politica delle aree depresse. Parallele a questa politica sono la teoria del pieno impiego e della sicurezza di lavoro, come [e dottrine sulla previdenza e sull'assistenza. Chi esamini la storia delle realizzazioni economiche e · sociali della democrazia moderna troverà una capacità -di rivoluzione della vita tradizionale che nulla ha da invidiare al comunismo, pur salvando il principio fondamentale di libertà che caratterizza la civi1 ltà dell'Occidente. Abbiamo applicate queste riuove conc.ezioni del[a democrazia allà vita del Mezzogiorno in questi ·anni, a1lmeno dopo la !liberazione? Abbiamo fatto uno sforzo per difendere la civiltà del1'0ccidente sul solo terr~no nel quale può essere difesa, combattendo l'arretratezza, la miseria, la paura sociale? Ritengo di sì. , · · Se si pensa alle concezioni democratiche di Imbriani o di De Viti De Marco, di Nitti o di Giustino Fortunato, e se si pensa alla, maniera [16] Bibloteca Gino Bianco

con cui oggi l'Itallia democratica vede il problema del Mezzogiorno, il Passo è enorme. Alle concezioni democratiche di Giustino Fortunato e di De Viti De Marco, all loro intellettualismo un poco astratto ed aristocratico, il comunismo ha potuto contrapporre il suo attivismo, la sua capacità di organizzare Je forze contadine e degli operai, la sua vocazione ad agitare continuamente problemi concreti. Ma gli intellettuali democratici delle nuove generazioni, eredi di un grande pensiero meridionalista, possono contrapporre, a loro vdlta, al comunismo alcune grandi realizzazioni c·oncrete: la riforma agraria, la Cassa per il Mezzogiorno, [a liberalizzazione degli scamb.i. I1l valore rivoluzionario che, per [a vita del Mezzogiorno, hanno queste tre grandi realizzazioni della democrazia del dopoguerra, sfugge alla valutazione immediata. Siamo troppo vicini alile polemiche sullla riforma agraria, sulla Cassa per il Mezzogiorno, sulla liberalizzazione degli scambi, perchè se ne vedano, in prospettiva, tutti i risultati e soprattutto perchè possa cogliersi l'intima connessione che tra queste tre grandi rea- :Iizzazioni esiste. D'altra parte il Partito comunista, nella sua intensa azione diretta a svalutare ogni capacità riformatrice di carattere democratico, ha impegnato tutta la sua macchina propagandistica per ridurre il significato di queste realizzazioni o a puri fatti elettoralistici (riforma agraria, Cassa per il Mezzogiorno) o a decisioni politiche contrarie a fondamentali interessi economici nazionali (liberalizzazione degli scambi). Da ciò la diffusione di uno scetticismo, di una opinione qualunquista, che ha degradato i!l Mezzogiorno ed immiserito lo sforzo nazionale, nd.l mornento stesso nel quale si proponevano le condizioni di u,na grande • • r1nasc1ta. Tuttavia, ad un esame pacato ed obiettivo, l'aspetto profondamente innovatore e vivificante della nuova politica del Mezzogiorno non può alla lunga sfuggire. E non è sfuggito agli stessi osservatori imparzia!li che la critica comunista cita in appoggio alle proprie tesi (3). (3) Afferma la Commissione economica per l'Europa (op. cit. pag. 140) che un « cambiamento realmen.te significativo nell'atteggiamento e nella politica italiana verso il Mezzogiorno depresso ha avuto luogo in anni recenti. Por mezzo secolo la questione del Mezzogiorno è stata all'ordine del giorno della politica italiana, ma • Bibloteca Gino Bianco

Del resto, tale aspetto congloba esigenze che la letteratura meri~ dionalistica aveva affacciato. Il prob1 lema della proprietà terriera e del latifondo, il problema della carenza assoluta di capitali di investimenti nel Mezzogiorno, il problema della pressione che il protezionismo ha esercitato sull'economia meridionale, sono stati momenti importanti della critica meridionalistica, motivi frequenti ed intensi di indagine e di esame. E' mancata all'antica critica meridionalistica la valutazione della connessione fra questi problemi, ed è mancata soprattutto l'idea centrale che deriva da un'esperienza prettamente new dealista: quella cioè che una grande concentrazione di capitali di investimento, attraverso fintervento. dello Stato, può modificare le condizioni strutturali di u.na economia · depressa. L'esperimento della valle del Tennessee, legato a tutte le teorie del new deal, non poteva essere conosciuto e valutato nè dal liberista De Viti De Marco, nè da Giustino Fortunato. Mancava soprattutto, ai meridionalisti insigni del passato, la cognizione del come lo Stato possa essere un formidabile redistributore di reddito e di risparmio e come la coincentrazione di capitali d'investimento in certe zone, ed in spazi di tempo relativamente ristretti, possa modificare condizioni ambientali, alltrimenti caratterizzate da processi lentissimi di trasformazione. Questa connessione è oggi coraggiosame1 nte attuata, superando - e questo sa di miracolo - le violente opposizioni ed i violenti contrasti di interesse che almeno due àegli aspetti della politica meridionallistica (riforma agraria e liberalizzazione degli scambi) avrebbero determinato. E che la connessione fosse elemento fondamentale di ogni azione nel Mezzogiorno, si può dedurre dal semplice fatto che senza un massiccio investimento di capitali, non so'1osulla terra espropr~ata, ma anche nel1'ambiente economico generale nel quale opera~ l'esproprio, la riforma agraria non avrebbe avuto senso alcuno. Ma anche la Cassa per il Mezzogiorno, comegra11dioso rgano di sviluppo degli investimenti, sia nel campo agricolo e dei lavori pub}jlici, che nel campo industriale, avrebbe perduto gran parte del suo valore. La liberalizzazione degli scambi, sopravvenuta nel 1951, a qualche anno dal,la riforma agraria e dallla Cassa per il Mezzol'azione intrapresa è stata fiacca e sporadica. La nuova politica, iniziata con la creazione della Cassa per il Mezzogiorno, è assai più vigorosa e comprensiva ed indica una chiara e cosciente rottura con la tradizione dei passati decenni >>. Bibloteca Gino Bianco

giorno, ha chiuso il cerchio. Da una parte, calmierando il costo dei beni di investimento attraverso la libera importazione, ha ampliato il volume stesso degli investimenti possibili. Dall'altra parte, aprendo i mercati alla nostra esportazione, in contropartita della !liberalizzazione delle nostre importazioni, ha, non solo frenato il processo autarchico di molti paesi esteri; da,nnoso soprattutto all'economia meridionale, ma ha posto una ipoteca sull'economia di consumo dei mercati del Centro e del Nord Europa, in favore delJa probabile espansione de:la produzione meridionale (4 ). Iil complesso dell'azione predisposta in questo secondo dopoguerra a favore del Mezzogiorno, e quellla che dovrà svilupparsi domani, tende, naturalmente, non solo a diminuire lo squilibrio fra Italia del Nord e Italia del Sud, ma ad i,ntegrare l'economia deil Mezzogiorno nel1 l'economia dell'Europa occidentale, chiudendo un processo che ha già avuto largo svolgimento sul terreno culturale e spirituale. Ma, a questo proposito, non posso ignorare la grave posizione di critica che un intellettuale ex azionista, e di recenti convinzioni socialiste, ha assunto rispetto a questo processo e rispetto al giudizio della Commissione economica per ['Europa. Intendo alludere allo scritto pubbilicato recentemente da Vittorio Foa sul settimanale Il Contemporaneo (8 maggio 1954). Secondo il Foa, ila Commissione economica per l'Europa, nel suo rapporto, si sarebbe espressa in termini critici rispetto a questo processo i,ntegrativo, ed egli cita una quantità di rilievi tecnici che dovrebbero suffragare l'affermazione. Ma noi abbiamo visto che la Commissione economica per l'Europa, non solo ha compreso esattamente il problema del Mezzogiorno d'Itailia, ma lo ha addirittura differenziato dal caso generale dei paesi mediterranei, come ha differenziato questi ultimi, che l1anno goduto nel passato di condizioni di alta civiltà, dai paesi d'Europa (4) . Questo significato di una politica degli scambi rispetto al problema del Mezzogiorno è riconosciuto dalla Commissione economica per l'Europa, quando essa afferma ( op. cit. pag. 140) che la « capacità di importazione è il limite al quale la politica economica italiana esplicitamente adatta la velocità di sviluppo del Sud ». Bibloteca Gino Bianco

orièntali. La Commissione economica per l'Europa ha, cioè, avuta una sensibi1 lità rìspetto a _valori storici e di civilizzazione che i nostri intellettuali della sinistra socialcomunista, legati all'ideologia e alla· esperienza politica e sociale di un paese orientale, non hanno. · Ma· la Con1missione per ['Europa ha fatto di più_. N-el suo capitolo introduttivo· all'esame delle condizioni dell'Europa meridionale (5 ) essa sostiene che «i paesi dell'Europa meridionale sono strettamente connessi, da un punto di vista geografico, culturale, politico ed economico, col resto dell.'Europa occidentale... lii problema delllo sviluppo dell'Europa meridionale è parte e porzione del problema della integrazione economica dell'Europa occidentale. Il rapporto tra Europa meridionale ed - Europa occidenta!le ha qualche analogia - su di una assai più vasta scalla- col rapporto tra Italia meridionale e Italia settentrionale». Se un rapporto d'integrazione e di interdipendenza esiste, secondo la citata Commissione economica, fra Europa meridionale ed Europa occidentale, a m~ggior ragione esso si po1ne fra Mezzogiorno d'Italia ed Europa occidentale. E tutto l'artificio del!la tesi degli intellettuali della sinistra comunista e paracomunista, che in questi problemi poco rispettano i canoni -del marxismo, si rende di esemp!lare evidenza. _Del resto, quando Foa cita, spulciando dal rapporto, l'affermazione secondo cui « la integrazione politica, come è pacifico, limita severan1ente la 1lib-ertàdi stimolare la crescita e l'impianto di imprese nei paesi sottosvi!luppati >> ( 6 ), cita una considerazione che la Commissione fa a proposito dei danni economici che l'unità poilitica dell'Italia avrebbe prodotto all'economia meridio-nale. Con che evidentemente Foa non vorrà conclt1dere·che, per evitare talli danni, l'Italia meridionale non avrebbe dovuto -unirsi all'Italia settentrionale! Molte considerazioni della Commissione economica riguardano l'impossibilità di correggere gli squilibri fra zone ailtamente sviluppate e zone sottosviluppate in base alla semplice economia di mercato, e queste considerazioni sono troppo ovvie e troppo [egate al riesame critico che i teorici della den1ocrazia moderna hanno fatto di vecchi schemi e di vecchie dottrine, perchè valga la pena per il Foa di citarle e per noi di discuterle. Il rapporto è pieno di ri:lievi del genere (5) Economie Survey of Europe in 1953, pag. 77. ( 6 ) Economie Survey of Europe in 1953, pag. 137. Bibloteca Gino Bianco

e rappresenta un utile strumento di studio per chi voglia condurrè una politica di lotta contro la depressione delle aree. sottosviluppate. Ma i,l Foa non si arrende per questo. E, a sostegno_di una tesi, che più arbitraria e malfondata non potrebbe essere, cita infine l'afferm~zione ddlla Commissione secondo cui una politica per le aree depresse trova un limite nella capacità di importazione. I più convint~ meridionalisti di parte democratica sapevano ciò e hanno voluto una politica di liberalizzazione degli scambi proprio per una preoccupazione del genere. E' ovvio, d'altra parte, che la capacità di importazione viene estesa non solo da una politica di liberalizzazione degli scambi, ma da una maggiore esportazione. E' bana·le, tuttavia, servirsi di questo argomento per riproporre il consueto problema degli scambi fra est e ovest. L'incremento degli scambi fra est ed ovest è un elemento del problema, e io non voglio affatto trascurarne l'importanza; ma è un elemento secondario. L'incremento principale al quale bisogna badare, è l'incremento degli scambi fra zone sottosviluppate e zone altamente sviluppate: l'incremento, cioè, ndll'ambito dell'Europa occidentalle. E' questa elementare constatazione che porta la Commissione a comparare il problema dell'Europa meridionale rispetto a1 ll'Europa occidentalle al problema del Mezzogiorno d'lta1 lia rispetto al Nord. Nel rapporto, l'Europa orientale è considerata, nel complesso, area sottosviluppata. E le integrazioni non si fanno fra due aree sottosvilt1ppate, ciò che avrebbe risultati assai modesti, ma si fanno tra un'area sottosviluppata ed t1n'area di alto sviluppo; ciò che si attua nel caso di rapporto tra Mezz~ giorno ed Europa occidenta1e, tra Europa meridionale ed. Europa occidentale. Ho citato il lungo articdlo di Foa perchè esso è impressionante testimonianza dell,artificio col quale è affrontato, dal Partito comunista e dagli intellettuali alleati, i~ problema del Mezzogiorno e dell'azione da, condurre. Quando si afferma, come afferma Foa, che « integrazione e svi1uppo del Mezzogiorno sono incompatibili tra loro», si è al di là di ogni obiettivo esame del problema, e si professa un atto di fede che non ha · nulla da invidiare alla credenza nei miracoli di Lourdes. Voler risolvere il probl~ma del Mezzogiorno guardando all'Est ed alle civiltà dell'Est, significa ignorare i dati fondamentali ddlla geografia, del[a storia e della [ 21] • Bibloteca Gino Bianco

civiltà de!l Mezzogiorno; significa costruire, sulla depressione del Mezzogiorno, t1n'altra depressione che sarebbe, in questo caso, di ordine soprattutto intellettuale. Tuttavia, se i fatti esposti danno ragione allla tesi fondamentale degli intelrlettuali democratici, e se la via da ~oro seguita si può considerare la via giusta, occorre domandarsi dove sono le forze che possono ailimentare questa posizione, che possono spingerla avanti, che possono dare al Mezzogio·rno un volto moderno .. La carenza di organizzazione, di spinta, ,di proselitismo, di propaga,nda di ur1 ideale concreto, storica1nente vero, è uno degli aspetti più gravi de[la crisi democratica del nostro Paese, Ripeto, il prob!lema del Mezzogiorno è stato visto, in questo se- ~ondo dopoguerra, i1 n maniera esatta; ma è stato visto illluministicamente, com-e riformismo dall'alto. Sorgeva, sì, la Cassa per il Mezzogiorno, ma l'opinione locale continuavà ad oscillare tra la fede acritica nel partito di Alicata e le parate azzurre di Lauro e di Covel1li. Il Mezzogiorno si apre a nuova vita, ma i giovani meridionalli democratici sono, nei confronti 1dell'opi 1 nione pubblica meridionale e delle forze meridionali, nelle condizioni in cui sono stati De Viti De Marco o Giustino Fortunato o Guido Dorso. Minoranze che combattono una giusta battaglia, che hanno, a differenza dei primi, provocato una politica di riforme da Roma, ma che non hanno potuto raccogliere, nel Mezzogiorno, le forze di appoggio all'ideale di una democrazia moderna, di un new deal italiano. Mi auguro che questa grave lacuna possa essere coimata e che i giovani meridionali possano acquistare la coscienza alta della civiltà della loro terra e di un suo possibile inserimento nel mondo deila democrazia moderna; senza l'adorazione di miti e forme, che appartengono ad altre civiltà e ad altre esperienze storiche e sociali, e senza il ristagno in una vita senza ideali e senza scopo. Bibloteca Gino 81anco

Intellettuali e contadin·i di Giovanni Giarrizzo L'INTELLETTUALE di « sinistra » occupa un posto a parte nel quadro della cosiddetta cu tura militante in Italia: tipo morale abbastanza ben definito, storicista ma non troppo, moralista con un'intenzione, invertita, di machiavellismo, soprattutto pronto - nel più teso conflitto della sua coscienza - alla abdicazione « sociale >>s,olo che se ne solletichi la vanità magnifica11do estensione e profondità del sacrificio (1 ). Di solito destituito di inteilligenza politica, non se ,ne rammarica, nella rasserenata convinzione che ta:e disinteresse sia garenzia di purezza scientifica e di obiettività. La sola notizia di cu1 è vago, è l'inarrestabile avanzata delle forze popolari .. che finiranno con l'assorbire anche lui, attribuendogli « obiet;ivamente >> una dignità di cittadino del nuovo mondo socialista che « soggettivamente >> egli, i,ntelllettuale e borghese, sente di non poter meritare. Giacchè - ed è forse la cosa psicologicamente più singolare - l'intellettuale « di sinistra>> è domjnato, in questa macerante angoscia di abdicatore, da una terribile maledizione, quella di non potersi spogliare del1a sua natura di intellettuale, di chi nellla cristiana discriminazione di anima e corpo ha eretto la difesa privilegiata, ancestralmente privilegiata, della parte più aJta, lo spirito -- una professione e una qualifica cioè accettate in definitiva come tri- ( 1 ) Si veda per ciò soprattutto la tesi dell'imbarbarimento culturale come stadio fatale e necessario del trapasso ,da una cultura borghese a una cultura socialista; è una ide:i - ricordava C. LuPoR1N1 (Società, VI, 1950, p. 98), ritrovandone la prima testimonianza nel Diario di un borghese di R. BIANCHIBANDINELLI- che « circola ancora fra alcuni intellettuali •di sinistra, ed ha un par.ticolare sapore romantico di accettazione eroica di un sacrificio prossimo, in vista di un più vasto bene tuturo ». Bibloteca Gino Bianco

ste retaggio di compléssi borghesi, o piccolo-borghesi, come una divisa reazionaria odiosa e incomoda per colui stesso che la porta (2 ). Rappresentato in questi tratti, l'intelllettuale di sinistra appare, però, più un diffuso stato d'animo che una concreta personalità storica: al contrario, gli intellettuali di sinistra ci sono, e si individuano come gruppo, oltre che per Je caratteristiche psicologiche già descritte, per fa loro fisionomia di ex-crociani, patiti di Gramsci - « l'intellettuale fra Lenin e Croce >> -, ora subitamente lanciati alla riscoperta di un De Sanctis progressivo e popolare, e ansiosi di scoprire, nel filone « populista » del[a ietteratura italiana del secolo scorso, una propria tradizione di rottura. da opporre all'interpretazione classista e borghese del Croce storico delfa letteratura della nuova Italia. Un motivo quest'ultimo che fa luce su un'altra, e non meno importante, delle tentazioni psicdlogiche dell'intellettuale di sinistra : la ricerca .dei precursori, di uomini, cioè, nei quali sia possibile riconoscere la medesima funzione di fiancheggiamento (obiettivo o soggettivo, fa ~ostesso) delle forze popolari. Ma può anche accader~, specie qua11do si risale molto indietro nel tempo, di non trovare, come si vorrebbe, sostenitori « culti )) dei diritti del popollo oppresso (3 ). L'in~ tellettuale di sinistra, sia esso uno storico o un letterato, non si scoraggia: se la cultura ha tradito ai tempi di Alcuino o dell'Ariosto, lasciando che Carlomagno mahrattasse gli schiavi o gli Este invitassero ai balli di corie sdlo gentiluomini o gentildonne, Gabriele Pepe e Antonio Piromalli sono pur qui a vendicare le offese e a correggere i torti. Forse, quan,do la nube polverosa sollevata dagli aspri combattenti ( 2 ) Un raro documento è, per tutti, la tragicomica frenesia, la· brama di dissolvimento di Lu1G1 Russo: « . . . io ardo per diventare comunista, ma per essere arrivato forse troppo tardi io mi arresto »; e le piacevoli note che seguono: cc••• per essere comunisti bisognerebbe essere ricchi di una cultura di carattere ·economicofinanziario che io non ho; per essere comunisti, bisogna avere quello che si dice una cuitura marxistica, e in me tale cultura è sporadica ... >> (Il dialogo dei popoli, Firenze, 1953, p. XX). (3) E si veda, per converso, la mascherata autoesaltazione in G... PEPE, Pane e Terra nel Sud, Firenze, 1954, p. 75 : « Ma ciò che in certo modo conforta, nel deserto della fame e della disperazione che viene alla luce dalle cronache e dai documenti di storia meridionale, è vedere che [sotto il dominio spagnolo] non tutti gli intellettuali tradivano, come in tempi più recenti, il popolo sof/ erente » (il corsivo è mio). E' l'anticipata epigrafe dell'intellettuale di sinistra meridionale. Bibloteca Gino Bianco

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