Muzak - anno III - n.13 - giugno 1976

Dischi Led Zeppelin Presence . (Wea) In questo anno fin'ora non troppo generoso di novità il tempo sembra aver voluto rendere giustizia a tre o quattro personaggi della vecchia leva. Come Nei! Young è riuscito con un album positivo, Lou Reed si è per una volta identificato onestamente con il rock che suona e Bob Dylan è uscito con un, album che non è Highway 61 ma è sempre un discreto scrigno d'emozioni, anche i Led Zeppelin, vecchia guardia dello heavy-metal, ribadiscono alle decine di grui;ipi che si sono formati nel recente exploit di questo genere che hard-rock non è per forza uguale a cattivo gusto. E in effetti in fatto di gusto i quattro exragazzotti inglesi (ormai son dei « sciuri » con tanto di Rolls Royce) si sono affinati parecchio. Dai « licks " di chitarra di Jimmi Page (non è un mostro ma sa tirare fuori ancora qualcosa di originale dalla sua tastiera) al basso di John Paul Jones che sostiene il ritmo a tutti i livelli con costruzioni architettoniche spaziose e robuste, la musica degli Zeppelin pur rimanendo nell'ambito delle dodici battute si è evoluta e, in qualche modo, intellettualizzata notevolmente. Insomma bi. sogna considerare che i singoli musicisti pur mantenendo l'ingenuo idioma dell'inizio hanno raggiunto dei livelli più alti a livello di capacità d'espressione. L'ambiente, lo ripetiamo, è quello che è: sudato ed eccitato, capelli sulle spalle e pancia di fuori. Uno stile spesso demodè se adottato da neofiti: ma qui si tratta della • real thing "· Se ancora qualche cantantino dalla voce alta e disperata e il culo a pizzo può commuovere una teen-ager o forse una nostalgica ultratrentenne, Robert Plant degli Zeppellin può farlo sicuramente meglio. Ce lo dimostra in brani come Nobody's Fault But Minexo Royal Orleans, tutti contenuti in questo Presence che mantiene le migliori promesse del precedente Phisical Graffity. Tra l'altro noterete la copertina molto simile a quella dell'ultimo Pink Floyd. Tutt'e due sono opera dello studio Hipgnosis. Popol Vuh Agulrre (Pdu) Danilo Moroni Popol Vuh, gruppo di musicisti germanici, ha raggiunto la completa maturità artistica, dopo alcuni periodi spesi nell'evolvere il suono della West Coast; le caratteristiche del suono dei Popul Vuh, unico in Germania' hanno preso forma definitiva da Florian Fricke, capogruppo e tastierista prima dedito alla sperimentazione elettronica (senti i primi album « Affestunde », « In der Garten Pharaos »), poi autore di capolavori di realizzazione personale, dal terzo album « Hosianna Mantra » ad « Aguirre ». L'opera è la più unitaria e completa mai stesa dal gruppo, e se a tratti ricompaiono brani passati in nuovi arrangiamenti, essi sono logica evoluzione del loro linguaggio. L'armonia interna all'opera supera l'inevitabile frammentarietà d'immagini data dal fatto che Aguirre è colonna sonora di un film contemporaneo tedesco stesa nel '69: con le debite distanze, Popul Vuh il gruppo è riuscito a concretizzare quel che Pink Floyd ha parzialmente fallito, prima in « More », poi in « Zabriskie Point » e infine in « La Vallee ». Il suono di Aguirre ha colore, è una sintesi di rapporti fra passato e futuro, fra suono acustico e elettronico. Più di ogni altra opera di questi tempi mostra quale sarà la via dei musicisti più sensibili, germanici e non. Si può modulare elettronicamente un suono acustico e viceversa: ciò che divide suono elettronico ed acustico è l'impossibilità da parte dell'esecutore di intervenire con il « tocco » sul processo riproduttivo della nota, e quindi pren cisarne il timbro, o meglio le possibili frequenze. Significativo come in un anno decisivo per le sorti della musica pop Florian Fricke si sia riaccostato al suono elettronico con nuovi propositi. L'intera seconda facciata esplora le possibilità timbriche, armoniche e melodiche di un mezzo usato elettronicamente. Se in una delle prossime opere Fricke riuscirà a sintetizzare le varie parti del proprio discorso musicale, Popol Vuh sarà immediatamente riconosciuto fra i massimi gruppi di musica contemporanea. Mauro Radice Rino Gaetano « Mio fratello è figlio unico » (lt) Gaetano lo avevamo già conosciuto con un precedente Lp (Ingresso libero) pieno di idee ma decisamente realizzato male, dati gli scarsissimi mezzi a disposizione. Già era presente, comunque, l'ironia che è il perno intorno a cui ruotano tutte le canzoni di Gaetano. Nel primo Lp l'ironia puntava, più che altro, alla ricerca di un linguaggio dagli accostamenti imprevedibili, con metafore astruse e legami sintattici di tipo surreale. Dopo questa prima esperienza c'è stato un 45 giri, « Ma il cielo è sempre più blu», che ha dato all'autore quel cre• dito commerciale che gli era completamente mancato con « Ingresso libero». « Mio fratello è figlio unico • prosegue la linea inaugurata da « Ma il cielo è sempre più blu ». Gli arrangiamenti ora hanno un ruolo fondamentale e servono a caricare il tutto con maggiore ironia; sono tutti pressoché diversi l'uno dall'altro, e sono scelti imitando dichiaratamente molti luoghi comuni nella canzonetta (liscio, night, rock & roll, ecc ...) opponendosi, molto spesso, al testo che su queste musiche finisce per voler assumere di volta in volta un senso ironico, comico dissacratorio. E' indubbio comunque che lo scopo principale di Gaetano sia quello di incuriosire e soprattutto di divertire il pubblico, cosa che eià lo rende un fatto completamente a sè nell'ambito dei cantautori nostrani. Ed è per questo che a nulla servirebbe accusarlo di commercialità. E' certamente quello che vuole anche se intendendola in un senso affatto positivo (ammesso che ce lo possa avere). Gli si può contestare casomai di illudersi di essere positivamente commerciale (cosa che per molti è una contraddizione in termini). Oppure gli si devono contestare le canzoni, quasi in senso cabarettistico, giudicando di volta in volta l'efficacia delle gags, del divertissement intelligente, dello sfottò provocatorio di tutto e di tutti. Ascoltando questo Lp, e facendo i debiti raffronti con i lavori di altri cantautori, viene da chiedersi se sia meglio preferire canzoni pretenziosamente poetiche, ma, nella verifica dei fatti, di gran lunga più commerciali. Roberto Renzi Mlles Davls « Agharta » • (Cbs) La discografia di Miles Davis è tra le più imponenti che un musicista vivente possa vantare. Qualcosa come quaranta o cinquanta Lp legittimi a suo nome, senza contare i dischi pirata, le varie riedizioni c tutte quelle registrazioni in cui Davis compare anche senza essere il leader del gruppo. Una discografia, tra l'altro, tanto numerose quanto importante e significativa più o meno in tutte le sue tappe. E' per questo forse che ad ogni uscita di un suo disco ci si aspetta il capolavoro, un capitolo fondamentale della musica contemponea, una svolta decisiva o, comuneque, un grosso fatto musicale. Data l'aspettativa sarà molto probabile che si resti delusi da questo « Agharta • registrato dal vivo in Giappone che oramai pare essere una tappa obbligatoria per tutti i musicisti che godono di una certa fama. 11 passaggio obbligato anzi sembra proprio quello di dover registrare prima o poi qualche concerto effettuato in Giappone.

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