Muzak - anno III - n.13 - giugno 1976

Storiadeljazz Il jazz è liberoma è egnato • 1m Come spesso succede nelle cosiddette 'arti', anche nel jazz ci sono state delle opere che possono essere prese a simbolo di un'intera situazione e che non hanno mancato di innescare polemiche di ogni genere, provocando vari sommovimenti critici e imponenti mareggiate di flusso e riflusso nella partecipazione del pubblico ad un'idea o ad u__n'altra. Opere che, in ultima analisi, evidenziano quello scontro ideologico tra reazione e rivoluzione che nell'arte, generalmente, sono in stretto rapporto di metafora con le medesime forze così come si concretizzano nei fatti politici. Una di queste opere, forse proprio la più clamorosa, è « Free jazz », la suite che Coleman realizzò nel 1960, dando l'avvio ad un dibattito che vive ancora oggi con un'immutata carica polemica. Un dibattito, tra l'altro, che ha superato gli assunti iniziali, se non altro sviluppandone le premesse, tanto che oggi, dopo 16 anni, grazie anche ai meccanismi di assorbimento delle situazioni d'ascolto, riascoltare « Free jazz », non può fare il medesimo effetto. Da allora, infatti, il free ha avuto un lungo decorso producendo suoni molto più aspri e provocatori (e anche più 'liberi' in senso strutturale). Abituati a ben altro, quindi, ci può sembrare impossibile che « Free jazz » a suo tempo sia stato giudicato così clamorosamente cacofonico e inascoltabile, così privo di ogni logica. Si può dire, per questo, che il free jazz sia stato parzialmente assorbito al punto da sminuirne il carattere eversivo? Resta il fatto che « Free jazz » è tuttora un'opera largamente attuale. Le implicazioni restano vive e leggibili. Si può dire tutt'al più che la relativa acquisizione del free abbia addolcito quell'effetto traumatico che era una delle componenti principali dell'esperimento. Riportare l'opera nel suo contesto sarà comunque utile per chiarirne le ragioni di fondo che sono riassumibili nei seguenti punti. 1. « Free jazz » apparve subito come una specie di manifesto programmatico di un nuovo corso nella storia del jazz. Come l'inizio di un nuovo importante capitolo che per la prima volta invece di essere definito e annunciato (magari con anni di ritardo) dalla critica veniva proclamato di forza e con molta consapevolezza dallo stesso musicista che ne era portatore. 2. In questo nuovo corso risaltavano due aspetti molto importanti definiti nelle dicitura 'A collective improvisation' apposta da Coleman sulla copertina del disco. L'improvvisazione era da intendersi nel senso più letterale possibile. Niente di preconcetto e di convenuto. I musicisti dovevano improvvisare esprimendosi il più liberamente possibile dialogando con gli altri sulla base di associazioni a carattere intellettuale ed emotivo. Evidentemente questa dichiarazione di libertà espressiva ha valore proprio perché realizzata in una dimensione collettiva, esaltando, su basi nuove, quella che era stata una delle componenti più importanti della musica afroamericana. 3. Sia la dimensione collettiva ::h:: l::: 'libertà' ricer29 cate vanno interpretate non in senso artisticamente astratto e convenzionale, ma sono da inquadrare più in generale nel contesto globale della cultura afroamericana in cui collettivismo e libertà sono sempre riferiti al reale, anche se in rapporto di metafora. 4. Evidentemente quest'opera deve essere considerata come portatrice di implicazioni a carattere estetico Free Jazz che vanno molto al di là dell'ottica afroamericana che pure ne è la ragione prima ed ineliminabile. S. E' altrettanto chiaro come « Free jazz » già nella sua proposta interna si proponesse come indicazione utile per i suoi possibili sviluppi più che non per una sua delimitazione nel tempo e ne11ospazio in cui è stato realizzato Gino Castaldo « Noi stavamo esprimendo le nostre menti e le nostre emozioni tanto quanto potevano essere catturate dalle apparecchiature elettroniche». Cosl Omette Coleman ha definito la seduta di registrazione che poi fu pubblicata su disco col titolo « Free jazz . A collective improvisation by the Omette Coleman double quarte! » (Atlantic 1364). « Free jazz» è una suite ininterrotta di 36 minuti, nella quale suonano otto musicisti strutturati nella formula del doppio quartetto: Omette Coleman (sax), Don Cherry (tromba), Scott La Faro (basso), Billy Higgins (batt.) e Eric Dolphy (clarinetto basso), Freddie Hubbard (tromba), Charlie Haden (basso), Eddie Blackwell (batt.). Non esiste un tema conduttore. Ci sono solo degli unisono, che fungono da appuntamenti-richiamo per scandire l'inizio degli assolo. Gli assoli si susseguono in questo ordine: Dolphy, Hubard, Coleman, Cherry, Haden, La Faro, Blackwell, Higgins e sono contrappuntati collettivamente da tutti i musicisti. Il dialogo è strutturato ad associazioni di idee, senza vincoli tonali od armonici. Se talvolta affiora qualche accenno strutturale, in senso armonico, avviene in modo spontaneo e non convenuto, essendo ovviamente parte del patrimonio personale di ogni musicista coinvolto nell'esperimento. Ornette Coleman

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