Muzak - anno III - n.12 - aprile 1976

Abbeccedario Gioventù ammazzata Due bambini si sono uccisi, si suicidano gli adolescenti, tutti almeno una volta pensiamo alla morte. Rispetto ai desideri di un ragazzo come rispetto ai sogni di un bambino o al bisogni di un uomo la vita come ce la impone questa società può essere intollerabile. « Milano. Roberto Auguglia, un bambino di dieci anni, si è ucciso con fredda determinazione. Ha aperto i rubinetti del gas, si è seduto accanto alla cucina e ha poggiato la testa sui fornelli aspettando la morte. In questa posizione lo ha trovato una sua amichetta di 12 anni, inviata dalla madre del bambino, allarmata per non aver ricevuto risposta alle sue telefonate. La madre costretta al lavoro, lo aveva lasciato solo in casa, convalescente da una lieve operazione alla caviglia. Ivrea. Paolo Venturi, 13 anni figlio del primario del reparto di traumatologia dell'ospedale civile, ha deciso con altrettanta determinazione di suicidarsi. Solo in casa, ha forzato un cassetto del padre, ha estratto una pistola, l'ha caricata, ha appoggiato la canna alla tempia e ha sparato » (il Manifesto). Questo, in Italia, nel 1976. A Monaco, nel 1919, Jakob Apfelbock assassinò i propri genitori. Per lui, Bertolt Brecht scrisse questi versi: « In mite luce Jakob Apfelbock ammazzò il padre e la madre suoi, li chiuse tutt'e due nel guardaroba e restò nella casa, solo lui. Correvano, a nuoto, nubi sotto il cielo e intorno la casa mite il vento estivo soffiava e nella casa c'era lui solo sette giorni prima era ancora un bambino. E quando una volta nell'armadio gli guardarono in mite luce stava Jakob Apfelbock e quando chiesero perché l'avesse fatto Jakob Apfelbock rispose: Non lo so Ma la lattaia si chiese il giorno dopo se il bambino una volta, prima o poi, se Jakob Apfelbock andrà per una volta sulla tomba dei poveri genitori suoi ». Ancora Italia; nel 1970, 13 casi; nel 1971, 37 casi; nel 1973, 80 casi: a tanti ammontano i decessi di bambini e adolescenti, morti per cirrosi epatica, frutto diretto dell'eccesso nel bere. Una inchiesta condotta a Napoli, tra 5.000 bambini e adolescenti di bassa estrazione sociale, ha dimostrato che, tra di essi, oltre il 50% dei sofferenti di disturbi psichici sono soliti bere alcolici e che, comunque, sul campione di 5.000, circa il 20% beve abitualmente vino e liquori. Non si tratta - come qualche truffaldino ha già cercato di insinuare - di un ribaltamento dei ruoli e delle figure sociali, di una gigantesca « sostituzione di persona », con i bambini e gli adolescenti che, progressivamente, assumono connotati e comportamenti tradizionali della senilità - il suicidio e l'alcolismo - mentre i vecchi, a loro volta, raggiungono la pace dei sensi, la tranquillità della quiete fisica, emotiva, sensoriale, la serenità che possono dare solo l'infanzia o la sapienza. Al contrario, quello che stiamo vivendo è un processo di accelarata disperazione di massa che coinvolge le diverse generazioni e penetra, in forme differenti, nelle differenti classi sociali. La fine dell'imperialismo e del capitalismo come si annuncia nella crisi economica e sociale della gran parte dei paesi del mondo - e come in Italia si manifesta nel declino grottesco e insolente del regime democristiano - porta con sè odore di morte, pensieri di morte, desideri di morte. La classe dominante e il suo sistema di potere (in tutte le mille artir-esta in onore ae11a mone 01 Alceste Campan11e colazioni ed appendici) reagiscono alla sensazione di debolezza e di collasso che drammaticamente avvertono, rinnovando, da una parte, la propria protervia fatta di violenza e brutalità e, dall'altra, trasmettendo a tutto il corpo sociale la propria irreversibile voglia di distruzione. Distruzione altrui, innanzitutto, e autodistruzione. Sia la fine dei sistemi e dei regimi dominanti sia tale processo di distruzione e autodistruzione non hanno naturalmente un percorso lineare, nè uno sviluppo progressivo: sono itinerari che coinvolgono generazioni diverse e che covano a lungo dentro la rete dei rapporti sociali consolidati, manifestandosi in forme differenti e con differenti intensità, esplodendo in impennate improvvise. Ad essi si può opporre solo una speranza che venga fuori dalla negazione radicale (alle radici, cioè) del sistema da cui la disperazione nasce; una speranza fondata sulla lotta rivoluzionaria delle masse. Senza di essa, è la disperazione a vincere. E' vero, infatti che, nella situazione presente, « c'è poco da stare allegri ». Questi padri sconfitti ogni giorno, queste madri che il ricatto economico dei prezzi impazziti costringe al lavoro e al doppio lavoro; queste città feroci dove i bambini giocano in miracoloso equilibrio sui marciapiedi; queste

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