Cinema Qualcunovolò sul nido del cuculo di Mllos Forman La cinematografia americana, dopo la grande crisi del « drammone ,. hollywoodiano e del western-john-wayne, ha saputo, una volta di più, recuperare e nobilitare commercialmente {secondo alcuni, probabilmente, « commercializzare ,. senza mezzi termini) il filone cinema-verité della cinematografia europea (francese, e, in qualche modo italiana). Questa appropriazione, quasi indebita, ha dato, di converso, risultati ottimi: è il caso di Lenny, di Quel pomeriggio di un giorno da cani, Nashville soprattutto, e altri minori. A questo si è unito (in parti ben determinate) la presenza del divo « di tipo nuovo,. e la denuncia politica. Non esce da questo schema Qualcuno volò sul nido del cuculo: film eccezionale da più punti di vista, serio, fatto e confezionato molto bene. non ambiguo ma tale da lasciare qualche perplessità. Sembra quasi una tragedia greca classica. E della tragedia ha tutto: il protagonista (Nicholson), il deuteragonista (l'indiano), il « cattivo ,. (l'infermiera), il coro (i pazzi), la confusione iniziale (chi è pazzo e chi no), la progressiva semplificazione (i pazzi sono sani e i sani sono fa. scisti), la catarsi (la fuga dell'indiano). La storia non esiste (come è giusto per questo nuovo filone americano), cioè non esiste esplicitamente ma in realtà (come anche in Nashville) esiste eccome. Un galeotto (Nicholson, sempre lui) viene mandato in manicomio perché presenta tratti di irrecuperabilità. In questa « istituzione totale,. (tipicamente americana: riformista ed efficientista all'apparenza, in realtà repressiva e fa. scista) egli riesce a riportare la pazzia nella sua dimensione di « sanità ,., fornendo ai ricoverati multiple ragioni e svariati motivi di vivere la pazzia in positivo... ma questo non può essere accettato dal sistema riformistico-repressivo e il protagonista (sempre Nicholson) viene messo in « condizioni di non nuocere ,. (fino, appunto, alla catarsi finale). Da dove, dunque, la perplessità? Dal fatto che tutto si muove in modo eccezionalmente preordinato ma senza riuscire a dare un messaggio definitivo: non si capisce, infatti, se alla fine bisogna essere per la pazzia (imposta) che rivendica la sua sanità (reale), o per la liberazione eroica e individuale. Il finale (eroico appunto) un po' retorico pone un'ipoteca difficile su questo film. Che, comunque, rimane un prodotto degnissimo: la prova che il cinema americano sta risalendo la china, salendo sulle spalle della grande esperienza neo-realista e esistenzialista del cinema italiano e francese. Salon Kitty G.P. Regia di Tnto Brass Immaginate un film brutto, ma proprio brutto, stupido, ma proprio stupido, falso, ma proprio falso. inutile, ma proprio inutile, mal fatto, ma proprio mal fatto. Il risultato si chiama Salon Kitty, l'ultima (anche in senso qualitativo) pellicolaccia del filone porno-nazi. Oppure: fate fare a un cieco un'imita47 zione di Pasolini, aggiungeteci un fotografo senza mani, un reazionario che imita Visconti, un tocco di orrore di uno stupido che si crede Fellini. Il risultato si chiamerebbe sempre Salon Kitty. Questo polpettone innominabile narra la fantastica storia di un gruppo di ausiliarie delle SS (Germania 1939-40) incaricate di trasformarsi in puttane per gli alti gradi dell'esercito nazista. Ma - ah, l'inganno! - nelle alcove delle puttane-SS sono nascosti microfoni che servono: vuoi a spiare eventuali traditori, vuoi a ricattare generali e simili. Ma una puttana-SS si innamora inopinatamente di un aviatore-traditore. Essi vivono momenti di grande gioia, scopando nei cessi e correndo per prati (cattiva imitazione di Lelouch). Lui - ignaro - manifosta l'intenzione di disertare. Ella non sa dei microfoni che registrano tutto. Il traditore è impiccato. Ma l'amore riscatta sempre ed ella, ausiliaria SS pentita, ordisce la vendetta contro l'ufficiale nazista incaricato delle registrazioni. Come? Lo costringe, con sapienti arti amatorie (masturbatorie), a parlare del suo folle disegno di potere e di tradimento, registra il tutto mercé le complicità di un napoletano (brava gente gli italiani, soprattutto i napoletani) e porta la registrazione alla gestapo. li caltivo ufficiale è ucciso. e, fi. nalmente, sembra di capire dal finale onirico, il nazismo nella sua forma deteriore, sado-masochista è sconfitto, e torna la felicità nei cuori della puttanaex-SS e della sua maitresse che si chiama Kitty e tiene, appunto, un Salon. Naturalmente i nazisti sono tutti: sadici, pervertiti, semi-impotenti, cocainomani, deformi, grassi, pazzoidi. Non c'è, in tutto il film, un solo nazista che appaia, non dico normale, ma un po' meno da barzelletta stupida. Non dico, ora, che uno debba per forza fare un film sul nazismo con un minimo di credibilità storico-politica. Ma, francamente, dei film « culturali » sul nazismo ne abbiamo piene le scatole. Anche perché questo film, al contrario (si parva licet componere magnis) di Salò, non ha metafore di sorta. E' un filmaccio un po' disgustoso (deformi, vecchi, sfregiati, deturpati, e chi più ne ha più ne metta) e un po' zuccheroso, senza nessuna unità e nessun messaggio. (Il tentativo di critica al cazzo-potere è goffo e inciampa nell'impotenza degli uomini di potere: controsenso difficilmente sanabile). Erotico, poi, lo è più o meno come quattro sedie intorno a un tavolo di pessimo stile. E inoltre, c'è Helmut Berger, un attore che, se non c'era, bisognava inventarlo: serve alle accademie d'arte drammatica per insegnare come, assolutamente, non si deve recitare. Kitty Tippel G. P. Lavandaia dagli occhi belli, sorella di puttana e figlia di ubriacone, con le mani distrutte dagli acidi, sessantatré fratellini affamati a carico e tutta l'ingenua allegria di una collegiale in licenza, incontra principi az. zurri in numero di tre, impara a impugnare correttamente il cucchiaio del brodo, fa all'amore mangiando cioccolatini, viene abbandonata perché povera anche se si è ripulita a dovere, partecipa coraggiosamente ad alcune manifestazioni di piazza che sembrano stralciate da un arazzo di cattivo gusto. Consuma una breve boheme posando nuda per l'affresco del comunismo (bella figa in bandiera rossa, secondo i migliori dettami del realismo socialista) e quindi, finalmente, approda nell'avito castello del rivoluzionario nobile, ricco e ferito. Naturalmente è solo un graffio e naturalmente si sposano. Il tutto è ambientato in un'Olanda dai colori fiamminghi e fiabeschi, in pieno tumultuoso ottocento e senza lesinare sulle sequenze sessual-rivoluzionarie di povere fanciulle a coscie aperte perché il mondo è cattivo. Irrilevante il film, cafona la regia, fasullo l'impegno. Bella la protagonista, naturalmente. Ma per favore la voidiamo piantare con le versioni cinematografiche di Cenerentola? L. R.
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