Muzak - anno III - n.12 - aprile 1976

Grog La Grog è una etichetta nuova di zecca che esce con questi tre dischi di gruppi genovesi. Secondo un uso piuttosto diffuso negli Stati Uniti vari musicisti suonano ognuno nei vari dischi pur rimanendo fissi i gruppi di base. Celeste è un quartetto mentre Picchio, Dal Pozzo e Mandillo sono un sestetto e un quintetto. I musicisti sono tutti piuttosto giovani ed è in ogni caso positiva la nascita di una etichetta aperta ai giovani esordienti. Tanto per dare un'idea dell'ambiente musicale Vittorio Scalzi (già New Trolls e poi collaboratore di Fabrizio De André) figura come collaboratore in Mandillo e Picchio Dal Pozzo mentre in Celeste il fratello Aldo suom il flauto. Folkstudio Dall'ormai celebre locale romano dove da molti anni passano al complesso le nuove schiere di cantautori, folksinger e jazzisti di ogni tendenza, arriva ora una collana discografica che intende proporre « artisti e spettacoli non inseriti in circuiti commerciali », e se non si può parlare di dimensione alternativa vera e propria, si tratta certamente della ricerca di una cornice più dignitosa e correttamente « diversa » dal consueto circuito dell'industria culturale. Tra i primi quattro dischi usciti, due soprattutto ci sembrano degni di attenzione e non a caso, sc1ovinisticamente, sono i due italiani: Mimmo Locasciulli e Antonio Infantino col gruppo di Tricarico. Locasciulli è un cantautore nato sulla scia più che « classica » del filone dylaniano. Impronta di cui tuttora risente negli arpeggi della chitarra, nell'uso dell'armonica a bocca e in alcuni squarci di linguaggio. E' certo, comunque che la sua musica sia tanto più convincente quanto più percorre la sua strada, indipendentemente dal modello iniziale, col quale, in sostanza, sembra avere poco a che fare sia per l'impostazione della voce che per la costruzione delle immagini sia, infine, per l'atteggiamento complessivo. Abituati come siamo all'ermetismo casereccio e alla retorica reboante di molti cantautori nostrani, le canzoni di Locasciulli stupiscono per la pulizia e la semplicità dei testi. Una semplicità comunque, che trova un suo giusto equilibrio tra precisi riferimenti e la polivalenza dei significati poetici, nelle varie immagini che le canzoni offrono. Vi si narra di contrasti tra politico e privato, di luoghi abbandonati e di luoghi ritrovati, di sane pazzie e di miti superati. Il tutto con efficacia alterna e discontinua, più che giustificata in una personalità, tutto sommato, in via di defi- '1izione. Tanto che a questo punto verrebbe spontanea la frase di prammatica secondo cui quello che è importante è il secondo disco. Il primo, si sa, è un trampolino di lancio. Quello che conta è come si atterra dal tuffo che ne consegue. Per Antonio Infantino il discorso è tutto un altro. Si tratta certamente di uno dei più importanti interpreti del folklore meridionale, e dispiace vedere la sua proposta, basata su un pluriennale lavoro di ricerca e di rielaborazione, sconosciuta ai più, sommersa dal fermento per lo più selvaggiamente commerciale che accompagna in Italia molte delle manifestazioni che riguardano la musica popolare. Si è molto discusso, negli ultimi tempi, sugli equivoci che spesso pone il rapporto tra le musiche popolari originali e le varie forme di riproposta e di rielaborazione. E' indubbio che tra i due momenti intercorre uno spazio irto di pericoli di ogni genere e pertanto molto difficile da colmare per chiunque voglia in qualche modo rifarsi ai materiali popolari. I tanti errori ed equivoci dovrebbero aver dimostrato che la questione è essenzialmente politica. Infantino dimostra, con una tesi che è soprattutto politica, che delle musiche del mondo subalterno bisogna cogliere, come unica via non mistificante, 46 i momenti di lotta, di opposizione, di aggregazione rituale, di identificazione collettiva ecc. A questo scopo Infantino sembra aver assorbito a tal punto i modi della musica popolare della Lucania da poter rendersene un prolungamento, una continuazione creativa, uno sviluppo in termini di rielaborazione personale, senza per questo mutarne le ragioni di fondo, senza stravolgere e devitalizzare la fonte. Delle musiche dei tarantolati Infantino riporta la stessa drammaticità, la stessa funzionalità sociale, la stessa violenza liberatoria, esaltandone le implicazioni politiche. Può cosl aggiungere testi propri senza che la proposta ne venga snaturata. «Avola», il pezzo che chiude il disco, è in questo senso un vero capolavoro. lnfantino, in conclusione, sembra essere uno dei pochi interpreti del folklore italiano che possano rendere credibile una sua continuazione positiva e attualizzata anche al di fuori degli abituali contesti in cui è vissuta, e talvolta vive tuttora, la musica popolare. G. C. Schonherg l'uomol,'opera di Giacomo Manzoni Feltrinelli, pagg_ 420, L. 3.000 Arnold Schéinberg è, come si sa, il fondatore della scuola dodecafonica, cioè di quella particolare corrente musicale del novecento europeo che ha conseguentemente superato l'armonia tonale. Ormai si è, per fortuna, di molto smorzata la polemica che fino a qualche anno fa opponeva progressisti e tradizionalisti, e si può coerentemente riguardare la scuola dodecafonica e il suo fondatore con l'ottica storica che essa indubbiamente richiede. Ma c'è di più: che la figura stessa di Schéinberg e il valore di rottura della dodecafonia sono scesi (grazie alle nuove correnti dotte, come quelle che fanno capo a John Cage, e anche al jazz) dal mito sulla terra, rifanno parte non più di una sorta di metafisica musicale o di ring per addetti ai lavori, ma della storia della musica, e in questo ambito sono un fatto di grande importanza su cui riflettere. L'opera edita in questi giorni da Feltrinelli si situa in questa nuova considerazione critica. E da questo punto di vista è significativo che l'autore (musicista di scuola dodecafonica ma direi superatore intelligente della dodecafonia) sia uno dei pochissimi critici musicali di indubbia ottica materialista: questo gli permette di superare un vizio e un vezzo corrente nella critica a Schéinberg: il vizio di non fare i conti con la storia psicologica e culturale del personaggio e il vezzo di parlare per addetti e pochi intimi. Così Adorno che (in Filosofia della musica moderna) parla di Schéinberg usandolo nella sua polemica contro Strawinsky, così Pousser che se ne serve per discorsi tutti suoi sulla semantica musicale, cosl Rognoni che tende a costruire intorno alla scuola di Vienna un'estetica complessiva idealista, cosi Vlad che cerca giustificazioni alle proprie tecniche compositive attraverso il maestro, etc. Qui, invece, Manzoni fornisce un quadro chiaro e preciso (in linea con la chiarezza di quella Guida alla musica sinfonica, edita Feltrinelli, giustamente famosa) storico, psicologico, culturale e bibliografico che vale la pena di leggere, per comprendere un po' meglio uno dei più significativi episodi della musica borghese colta dei nostri tempi.. G. P. GIACOMO MANZru ARNOLDSCHONBERG L.:UOMOL.:OPERAITESTIMUSICATI CONUNACOMPOSIZIONGEIO\/ANLEINEDITA I lii

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