Leo Kottke Six and Twelve Strlng Gultar (Sonet) Greenhouse, My Feet are Smlllng (Capito!) Del periodo centrale di Leo Kottkc, chitarrista americano, questi sono i tre album più significativi. Kottke è vicino al country più che al blues e ad altre forme tradizionali di musica amt,ricana. Reinventa alcuni classici con lo spirito di un virtuoso dello strumento, ma non cade in effettismi o banalità come ha saputo fare nel suo ultimo disco « Chewing Pine ». Qui tutto è ancora incontaminato dalla ricercJ di un linguaggio libero da -..ostrizioni di carattere commerciale e perfettamente sincero. La sua voce annoia come sempre, ma non ha un ruolo preponderante. C'è una versione di In Christ there 1s no East or West come l'aveva riarrangiata John Fahey, e risulta uno dei tratti più riusciti di Greenhouse. Ma è soprattutto 6 e 12 String Guitar a rivelare Kottke un grosso artista, e a rìcordare soprattutto che la sua evoluzione può ancora rico.ndurlo a fare della propria qiusica un mezzo di vera espressione e comunicazione. Ristampe La Wea italiana prosegue il suo massiccio lavoro di ristampa. Questo mese riescono alcune pietre miliari del pop da Blue di Joni Mitchell (uno dei suoi album più bellì) al delizioso Crosby & Nash dell'omonimo duo. Sempre della Wea c'è anche il primo degli America, delicato e naive, e il terzo dei Led Zeppelin che contiene tra l'altro la splendida Immigrant Song. Tra le antologie la Cbs piazza questo mese un Leonard Cohen Greatest Hits, interessante nella scelta e nella presentazione, una buona scelta di Chicago, una ennesima (fiacca nella confezione) antologia su Bob Dylan e un'antologia doppia dei Poco. Fra i lavori indispensabili di jazz contemporaneo sono For Players Only di Leroy Jenkins e Garden of Harlem di Clifford Thornton, stampati e distribuiti dalla Jcoa americana. E' questa un'associazione di grandi musicisti neri che autogestiscono la propria musica. E coraggiosissim·a come sempre .-----------------' è la nuova opera della Art Ensemble of Chicago, gruppo che Dischi d'importazione Iniziamo questo mese una rubrica dedicata ai dischi d'importazione. Molti album fondamentali per la comprensione del pop, del jazz e della musica popolare in genere, non .vengono pubblicati sul nostro mercato per il loro scarso potenziale di vendite. I dischi d'importazione danno invece la possibilità di sapere quel che accade, più o meno, al presente, e quello che fu importante ma è troppo tardi per esser sfruttato. E' que. sto il caso di Experiences della Third Ear Band, antologia dei tre album del gruppo. Teso alla riscoperta delle tradizioni esterne all'Europa, questo gruppo è giunto al limi te della creatività collettiva in una delle più splendide realizzazioni musicali degli ultimi anni '60. Altrettanto importanti sono le ristampe delle opere di Amon Duul II, gruppo fondamentale nella elettroacustica tedesca, di Pentangle, fra le massime espressioni del folk revival inglese, di John Mayall, interprete più noto del british blues. Esiste anche una riedizione della storica jamsession fra i Fleetwood Mac, gruppo di blues inglese, e i bluesmen di Chicago: Fleetwood Mac in Chicago. esprime una immagine globale più che puramente musicale della cultura afroamericana. Altre cose segnano l'evoluzione del linguaggio del pop. Vanno segnalati Dreaming of Glenis/a dei Talisker, che tentano di fondere la tradizione celtica ai modi d'improvvisazione di John Coltrane, dato alla riscoperta delle musiche etniche africane. Ed Evening Star, di Robert Fripp e Brian Eno, sempre più vicini ai moduli della musica contemporanea. E' un lavoro polìedrico e sperimentale, ma alla portata di chiunque voglia accostarsi a una forma d'espressione finalmente costruttiva. E' uscito il terzo album da solo 'di Jerry Garcia, inutile come il precedente. E Bìll Wyman, bas. sista dei Rolling Stones, ha inciso il suo secondo album da titolare: Stone Alone. Una casa autogestita, la Rounder, raccoglie le opere più belle del country americano. Ultime, in ordine di tempo, sono Whiskey be/ore Breakfast, del chitarrista Norman Blake e Have Moicy, con l'ex membro degli Holy Moda! Rounders, Peter Stapfel. Tutti i dischi nominati sono reperibili da Supersonic, Via Gregorio VII, 301, Roma. 44 Schede Donatella Bardi Siciliana di nascita e milanese d'adozione Donatella Bardi è una vocalista italiana con una formazionè diversa dalla maggioranza delle sue colleghe. Se infatti tra i musicisti uomini molti negli ultimi anni hanno portato avanti discorsi in qualche modo «diverso» dalla immagine stereotipata di artista all'italiana, per le donne l'identificazione col modello sembra essere spesso obbligatoria. Donatella ha cominciato a cantare in un certo ambiente della musica pop milanese, quello di Claudio Rocchi e dei primi esperimenti di musica ad uso e consumo di un particolare pubblico alle prese con esperienze di India, fumo, amicizia e gruppo. Poi quella musica ebbe di fatto dei grossi limiti ma intanto Donatella aveva la possibilità di cantare in maniera creativa, inventare i suoi colori senza òoversi mettere a cantare di « fidanzamenti » come praticamente ogni donna vicalista in Italia. Tanti concerti. in questa fase, turni come corista per arrotondare e intanto esperienze con la propria vita, ancora amicizia, modi nuovi di sentire e vivere i rapporti. La prossima esperienza è la collaborazione con Massimo Altomare e Checco Loi nella stesura di Chiaro ,il secondo album del duo. Qui la voce di Donatella appare più sicura, più matura anche se il disco non possiede un vero equilibrio per eccesso di produzione. « A Puddara è un vulcano» è il primo disco solo di Donatella inciso per la Wea Italiana. Sono una serie di brani che Donatella stessa ha scritto. E' un album d'esordio e riflette le difficoltà di esprimersi che incontra una giovane artista al primo lavoro in prima persona. Il suono è piuttosto curato e alcuni brani sono piacevoli anche se siamo persuasi che Donatella può rendere il cinquanta per cento in più. Forse la struttura melodica dei brani non è tale da stimolare la creatività nell'interpretazione, nel senso dato al testo. Occhio comunque a questo nome, si tratta di una musicista, non della solita ochetta canterina. Marco Dani Folk magieband La big band, come realtà spettacolare e culturale, è stata violentemente oscurata dalla diffusione, in ogni luogo e per ogni tendenza, di musica concepita e sviluppata sulle possibilità del piccolo gruppo. A tal punto che oggi la sola immagine della big band ha già, ineluttabilmente, un sapore tradizionale, di chiassoso e ~uperficiale divertimento. In realtà, nell'avanguardia jazzistica degli anni '60, sono. successi molti fatti che hanno radicalmente cambiato l'ottica del lavoro orchestrale, adattando i nuovi modi di far musica alla struttura della orchestra. Basti pensare a GeorgeRussel, a Sun Ra e al molteplice lavoro della Jazz Composer's Orchestra, per fare solo alcuni nomi. Queste esperienze hanno dimostrato che la big band non è necessariamente una grossa mite. china rigida e sclerotica, capace solo di accogliere realtà già sperimentate e •consolidate altrove. Può essere, al contrario, un luogo di ricerca e di crescita, una dimensione effettiva di lavoro collettivo, agganciato alle idee più vitali della nuova musica. E' un problema che comincia ad essere sentito anche nell'ambito del nuovo jazz italiano. Non a caso da qualche tempo a Roma si è formata la « Folk Magie Band », un'orchestra in cui sono confluiti molti dei giovani musicisti, jazzisti e non, che in tempi recenti si sono mossi all'interno dell'ambiente musicale romano. La « Folk Magie Band » è un'esperienza aperta, in via di definizione. Si muove, volutamente, su un terreno eclettico; ricorre ad atmosfore. addirittura a stili diversi. O1,cilla tra ricerca e spettacolarità, tra modernità e tradizione, pagando il necessario
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