culturazione) è la tendenza all'assimilazione passiva della cultura dei padroni bianchi (riconoscibile poi nelle lotte per l'integrazione, i diritti civili, il pacifismo cristiano ecc....); la seconda (disacculturazione) è la tendenza all'isolamento (e quindi all'autonomia culturale, alla contrapposizione, riconoscibile poi nell'autonomia religiosa dei black muslims, nelle tesi del ritorno in Africa, nel « Black is beautiful • e in fine nel « Black power »). La differenza tra questi due atteggiamenti non va spiegata riduttivamente con una dialettiè9 geografico-culturale imperniata sulle polarità Africa-America. Ambedue sono reazioni perfettamente risolvibili nell'ambito ame. ricano, collegate alla meccanica dei rapporti di classe, con l'aggiunta delle particolarità della questione del colore della pelle, che allo scontro di classe si sovrappongono complicando il quadro generale, senza però mutarne la natura. Ed è anche vero che ambedue queste reazioni furono, e sono, alimentate dall'establishment bianco che da un lato fece di tutto per distruggere l'autonomia esistenziale e culturale del nero (disgregando i gruppi etnici e i nuclei fa. miliari degli schiavi importati) e dall'altro volle, e vuole tuttora, impedirne l'assimilazione totale. Il regime bianco ha cosl ottenuto di avere a disposizione le sacche di riserva del sottoproletariato nero da emarginare brutalmente e da sfruttare in modo totale e capillare, e nel contempo uno strato di pseudoborghesia nera disposta ad addolcire lo scontro pur di ottenere i magri risultati dell'integrazione parziale. Il capitalismo bianco, in ultima analisi, ha voluto i neri né completamente isolati, né completamente assimilati, in uno stato di contraddittorio equilibrio sociale che riesce ad imporre al popolo nero il falso mito dell'eguaglianza, ma che è anche il principale stimolo alla violenzjl e alla durezza politica che le avanguardie hanno dimostrato di saper gestire. Che cosa rappresenta l'Africa in questo quadro? Culturalmente la questione va vista in termini di funzionalità. Allo schiavo appena arrivato nella nuova terra l'Africa dovette servire come immagine di un paradiso terrestre perduto, una mamma benevola da cui era stato violentemente staccato. Lingua, usanze e costumi africani permanevano nella misura in cui colmavano il vuoto di identificazione nel nuovo modo di vivere. Dopo la liberazione dalla schiavitù l'Africa era un simbolo del paradiso da recuperare. E nel novecento è stata un simbolo politico: un luogo fisico in cui ritornare, oppu. re ancora l'aggancio per le tesi internazionaliste. L'Africa insomma è stato un retaggio usato di volta in volta in modi diversi, ai vari livelli di funzionalità che poteva avere. Stessa cosa dicasi per la musica, in cui il retaggio, data la maggiore tolleranza dei bianchi, è stato più forte e persistente, tanto che tutta la musica afro-americana prejazzistica è impregnata di elementi africani, dal canto di lavoro allo spiritual al blues ecc.... 37 l'Africa. E questa puntualmente arriverà· con l'Hard bop, e con Art Blakey soprattutto. Art Blakey inserisce con precisa coscienza musicale temi e ritmi ispirati, o derivati, dalla musica africana. Ancora più avanti andrà l'avanguardia degli anni '60. il free jazz aggiungerà alla coscienza musicale quella politica. Il recupero del- !' Africa, ora, è pieno, consapevole, non si fonda sui colori ma sui contenuti. L'America e l'Europa conoscono questa nuova realtà dalle tuniche africane di Archie Shepp, dell'Art Ensemble of Chicago ecc..., dai ritmi violentemente possessivi, molto spesso ispirati alla poliritmia africana. E ben presto ci si accorge che dietro questa Africa, c'è la protesta nera, le tesi del Black Panther Party, la nuova esaltante bellezza afroamericana. Più a fondo di tutti è andato John Coltrane. Il timbro Elementi che comunque sono parti di questa dialettica culturale e che in senso strettamente funzionale tendono a scomparire man mano che il popolo nero viene acquisito dalla società americana. Il jazz, antropologicamente parlando, non solo non è musica africana, ma al contrario è il segno della definitiva acquisizione da parte dei neri degli strumenti occidentali. La particolarità di questa acquisizione è indubbia ma la sensibilità che il nero immette nell'occidente non è africana; è piuttosto, e questo basta per renderla un fatto a sé, afro-americana. del suo soprano si rifaceva agli strumenti a fiato orientali e africani, e lo stesso vale per la sua ricerca sulla musica modale. Ma il messaggio più importante di Coltrane è un altro. Parallelamente alle tesi internazionaliste di Malcolm X, Coltrane ha elaborato una musica che più che essere strettamente africanistica, è stata rivolta al terzo mondo, alla identificazione di tutti i popoli di colore, e più in generale di tutti gli sfruttati, sui temi della lotta internazionalista. In questo senso il suo « Kulu se marna » è forse il più grosso monumento edificato da un non africano alla cui~ tura della nuova Africa. Coltrane, e con lui altri musicisti afro-americani degli ultimi anni, hanno ricomposto il contrasto recuperando l'immagine dell'Africa nell'unico modo in cui poteva essere recuperata realmente, politicamente. Gino Castaldo
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