Muzak - anno III - n.12 - aprile 1976

Storiadeljazz Lasinfonia delTerzo mondo L'immagine dell'Africa ha fatto capolino molto presto nella storia del jazz. Già ai suoi albori Louis Armstrong indossava pelli da buon selvaggio, tanto irreale quanto, a ben vedere, essenzialmente biancofilo o perlomeno legato al bisogno che i bianchi avevano di esorcizzare la paura del nero, di questa inquietante e pericolosa presenza nel mondo subalterno americano. L'Africa, entra nel jazz evocata dal « re degli zulù » di Armstrong ma dovranno passare molti anni prima che qualcuno cominci a prendere sul serio questa componente. Come al solito è stato compito dell'avanguardia nera degli anni '60 denudare ed estremizzare polemicamente il problema, rendendolo finalmente chiaro. Prima la critica si era esercitata su du,e posizioni ·estreme rivelatesi poi ambedue profondamente spiazzate e in qualche caso decisamente reazionarie. Per qualche tempo sembrò addirittura che fosse molto « di sinistra » o quatomeno progressista, sostenere che il jazz era una diretta discendenza della musica africana, contrapponendosi ai critici « di destra », conservatori, che volevano evitare ogni accostamento, ogni confronto. Tanto che ci si mise un po' di tempo ad afferrare pienamente le tesi di Leroi Jones, il quale stranamente si guardò bene dall'esaltare troppo l'africanesimo della cultura dei neri. Sembrò una tesi del giusto mezzo, in realtà la più ricca di implicazioni rivoluzionarie, e anche la più acuta dal punto di vista storico-analitico. L'uomo nero, secondo Jones, è americano, in modo radicato e profondo. Le particolarità della sua cultura, tra cui vanno intese anche le componenti di africanesimo residuo, sono dovute alla segregazione, ali 'isolamento del popolo nero, non alla biologica persistenza del passato ancestrale. La cultura nera è « diversa » da quella bianca così come la cultura proletaria è « diversa » da quella borghese. II passato non c'entra. E' il presente a determinare queste differenze. Se il nero americano si ricorda ancora delle sue origini africane è perché la sua ricerca di identità è costantemente sabotata dalle strutture sociopolitiche bianco-americane. Se il nero fosse stato assimilato paritariamente l'Africa oggi sarebbe lontana come effettivamente è, geograficamente. Ancora una volta, in sintesi, si tratta di un problema bianco. Gli strumenti occidentali acquisiti dai primi jazzisti mutano in parte il rapporto di funzionalità che la musica aveva per la comunità afro-americana. La musica nera da questo momento comincia a dividersi contraddittoriamente tra ritualità (questa sì di discendenza africana) e l'individualismo dell'arte occidentale, per ricomporsi solo negli ultimi anni. Il goffo, candido « re degli zulù » di Armstrong è un ricordo, oramai, pallido e scolorito, e oltretutto costruito ad uso e consumo dei bianchi, dell'Africa. Ellington va ancora oltre. Sull'esotismo costruisce tutto un sistema di segni e colori ochestrali: il « Jungle style », una giungla trascolorata e finta almeno quanto i film di Tarzan. Si intravede però in prospettiva una nuova coscienza dell'Africa 36 (nel caso di Ellington si può fare un paragone con la negritudine) che maturerà nel bebop col passaggio agli anni '40. Anche per i boppers si può parlare di esotismo, ma di esotismo più raffinato e autoironico. In quel periodo oltretutto i « Black muslims » reclutavano centinaia di nuovi adepti tra i musicisti. L'islam, anche se fumosamente, dava ai boppers una nuova immagine del1'Africa, come un punto di riferimento nella loro ricerca di identificazione. « A night in Tunisia », uno dei più celebri pezzi del bebop, è un capolavoro di sottile equilibrio tra la nuova coscienza e la sublimazione deli'iconografia tradizionale. Fino ad ora di musicalmente africano c'è veramente poco. L'Africa è un'immagine, niente di più. . Per avere dei precisi riferimenti musicali ci vuole una precisa volontà, un uso consapevole del recupero delLa questione antropologic..a. L'africanesimo nel jazz è una questione essenzialmente antropologica. Farne un problema di residui musicali sarebbe riduttivo e spiazzante. Ci porterebbe lontano dalla reale configurazione del problema. Sarebbe fuorviante isolare alcuni elementi musicali come la scala pentatonica del blues (e le conseguenti blue notes) o la poliritmia, e presumerne la qualità di retaggi. La questione, si diceva, è essenzialmente antropologica e si lega strettamente alle origini della musica afroamericana e più in generale alla complessa meccanica dello scontro culturale verificatosi in America all'indomani dello sbarco forzato del popolo nero nel nuovo continente. Nell'universo nero emersero immediatamente due opposte (ma integrabili) tendenze antropologico-culturali, perpetuatesi fino ai giorni nostri attraverso successive sovrapposizioni: la prima (ac•

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