sembrava quasi un modello inattaccabile, è stato spazzato via. Finite le interminabili file di bancarelle, piccole fiere mal riuscite, finito il classico alternarsi di comizi concerti e dibattiti (alleviati magari da un audiovisivo e un tiro alla fune). Certo non sono state né saranno tutte uguali queste feste urbane, ma a guardarle oggi il filo comune che le lega saita agli occhi. O forse più che altro le lega una stessa esigenza di fare della festa qualcosa di più collettivo e meno passivo di tutti i grandi concerti e di tutte le feste « per consumatori ». Cosl dalle grandi danze contro la pioggia di Parco Lambro, Re Nudo ha tratto le sue « feste da sballo ». A novembre, al Palalido, la prima volta è sembrata una vera rivelazione: tolte le sedie dalla platea, tutto si trasforma in una sola immensa balera. E per ballare tutti insieme non c'è bisogno in fondo di molto: non c'è bisogno di palchi, di divi o di grandi complessi. Sono bastati tanti buoni dischi rock, i valzer e le tarantelle per dare vita ai balli di massa. Tre ore così con qualche gioco, tanto ballo e tanto fumo, e la festa è fatta. Per molti è indubbio che questa è stata la spinta e un po' il modello, per fare le feste nei centri occupati. Una festa « povera » che tutti possono organizzare, per cui basta avere uno spazio, qualche disco, un po' di vino buono e di torte fatte in casa per contorno. E tante feste, da Leoncavallo alla Comasina, funzionano così, il sabato, la domenica o il giovedì grasso, con 200 o più giovani per volta. Funzionano o hanno funzionato così? Perché c'è già molta gente che, come Marco, studente festaiolo quindicenne, dice « Ballare non basta più. La prima volta al Palalido è stato bello, ma poi adesso ogni volta è la stessa menata. Ci vogliono cose nuove». E di tentativi di fare « cose nuove » rispetto alle « feste da sballo » ce ne sono stati alcuni. La festa di sabato grasso, sempre al Palalido, organizzata dalla Comune e da Radio Canale 96, è stato senz'altro uno di questi. Un tentativo di sintesi tra questo gran « lasciar ballare » e qualcos'altro. In questo caso però il qualcos'altro era soprattutto lo spettacolo. Uno spettacolo che si svolgevà un po' sul palco (con la « banda della Madonnina », • qualche complessino e il poeta cantautore occupante di case) e un po' tra la gente (con le maschere e i pupazzoni e il duello tra l'elefante rosso ' chiamato « governo delle sinistre » e il crociato dc Borruso). Forse i tentativi più importanti, le idee nuove, vengono però più che dalle grandi feste tipo Palalido (versione Re Nudo e versione Canale 96) dalle feste all'aperto. Nelle domeniche pomeriggio alle colonne di San Lorenzo o alla stessa festa di primavera (anche se un po' meno in quest'uhi27 ma), il problema del palco sì-palco no, spettacolo o ballo, non c'era neanche. Così questa forzata mancanza di mezzi, e non solo questa, ha portato spesso a inventare lì oer li il « qualcos'altro ». Gli strumenti o pseudo strumenti musicali (tamburelli, pentole, caracas) offerti alla gente che scendeva dal tram, ai bambini che le mamme portavano a giocare nei giardini di Piazza Vetra, il mimo o le maschere con cui si improvvisavano piccoli spettacoli teatrali, confondevano immediatamente organizzatori e organizzati. E' già forse un arisposta a chi dice solo che « nelle balere si spende molto, c'è un ambiente alienato, individualista, pieno di costrizioni. Qui (sono i compagni di Leoncavallo che parlano) la festa non costa, ci si veste come si vuole, si balla « più insieme». Sono sostanzialmente feste da ballo. La festa di primavera voleva essere tutte queste cose insieme. Organizzata dai collettivi giovanili, da chi era stato volta per volta organizzatore e organizzato di tutte le altre feste. Voleva essere anche un momento di lotta nei confronti della giunta comunale, per il riconoscimento dei centri occupati e per l'utilizzazione degli spazi del centro cittadino. E proprio per questo le attese e le pretese, così come le proposte erano tante. « Portate strumenti musicali, colori, maschere ... faremo gli -!lquiloni e i dibattiti » stava scritto sui manifesti. In realtà anche questa è stata più che altro una festa da ballo. Senza un vero e proprio palco, con due ottimi interventi poco autoritari della Nuova Compagnia di Canto Popolare e di Finardi e Camerini, qualche maschera, qualche scritta sui cartelli attaccati agli alberi o stesi per terra, un pupazzone raffigurante « inverno e governo » portato in corteo e bruciato. Con due o tremila persone sparse per i giardinetti, che guardano lo spettacolo del teatro emarginato o che ballano le tarantelle in girotondo o addirittura in corteo. « C'è poco contatto tra la gente anche perché fa freddo » dice qualcuno avanzando timide critiche. « Mi è piaciuta perché ognuno poteva fare quello che voleva, non c'è stata nessuna subordinazione al palco » sostiene qualcun altro. Ma in realtà i dibattiti non ci sono stati ( « c'era poco tempo » dicono perplessi gli organizzatori) e forse è stato proprio il freddo cosl poco primaverile a far sentire a molti la mancanza di qualcosa. Un qualcosa che sembra rimanere ancora abbastanza indefinito per tutti, che si chiama Licola per chi è stato a Licola, che si chiama S. Lorenzo per chi ha voluto e sentito S. Lorenzo, un qualcosa che fa storcere il naso di fronte all'impiegato che guarda la festa di primavera e dice con tranquillità « dopo una settimana di lavoro ci vuole un po' di divertimento ». Paolo Hutter
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