sere neutri di quante ne abbiano i contenuti. E io che speravo di avere scoperto l'amore tra donne, soltanto perché avevo voglia di toccarla, strapparla a L. e offrirle una cena ... Lidia Ravera . . . « Starci » o non « starci » per me non è un problema: me lo ripeto in continuazione, ma in realtà mi sembra di prendermi in giro. Certo, se bevessi un po', allora forse, ubriaco ... i sensi che si liberano, le inibizioni che cadono ... eppoi domani posso sempre dire che non rispondevo di me, insomma mi salvo. Poi tu ti vergognerai anche di più, soprattutto se l'iniziativa la prendo io, e quindi non lo dirai a nessuno: è salvo il pubblico. Sempre la faccia che offro, mi condiziona sempre. Magari mi va veramente, ma mica me lo confesso. Ti guardo con intenzione ... già, 57 per fare queste cose (cose sporche, cose che non si dicono) bisogna intendersi prima alla ben 'e meglio ... sguardi « particolari », magari ti guardo « lì », magari invece ti prendo la mano in un gesto di tenerezza (permesso), però te la stringo in un modo particolare ... e poi se tu ci stai, se ti va, mi rispondi nello stesso modo. Però non qui, c'è tantà gente, amici si, ma è inutile esibirci. Poi forse ho paura. Non tanto degli altri (mi sembra che mi guardino strano, forse ridono un po' forse mi compiangono: hanno già capito, mi sono tradito a guardarti così?) ma ho paura di te, di questa « cosa » strana che però mi va di fare: strana, mi vergogno anche a pensarla. L'idea stessa della nudità, la mia e un'altra simile alla mia, mi spaventa a morte: sono possibili i paragoni, la « bellezza » o la bruttezza sono paragonabili. Odio la misurabilità, soprattutto su di me. Certo, se scrivo, o parlo, se faccio l'uomo di mondo ... quello lo so fare, che mi misurino anche: sono una persona brillante. Ma lì, noi due, senza parlare o quasi, siamo misurabili sulla capacità di amare. Di amare non di fare l'amore (mi fa ridere e arrossire questa frase riferita a due uomini: due uomini non fanno l'amore, si inculano, si masturbano, fanno le « cose » ... ), di accettarsi, di vivere interamente e internamente una dimensione nuova e diversa. E consapevole: sapere che ci siamo piaciuti, accettati, amati. .. sto diventando scemo. Continuo a parlarti della linea del segretario generale, dèi positivismo, della comune che voglio fare, magari del lavoro che devo finire entro dopodomani, oppure mi spingo fino a dirti che con « mia moglie » (la chiamo così, mi vergogno e mi do la copertura eterosessuale di comodo mentre voglio toccarti e voglio essere toccato da te ...) non ci scopo mica tanto bene. Mi va proprio da impazzire. Ma a tratti. Se mi figuro il « dopo » sento quasi un po' di schifo, o di vergogna, comunque. Penso che non ce la farò mai, allora per esorcizzare ti faccio una carezza: vorrei almeno affetto, ma sento che non mi basta mica tanto. E penso di buttarla sul teorico: in fondo stiamo bene quando parliamo, forse se ti parlo di « omosessualità » un discorso tira l'altro, forse ti dirò che « si, perché no, bisogna anche essere capaci di amarsi " l'uno sull'altro ". Che è giusto e bello volersi e toccarsi, che essere sessualmente liberi è una conquista dell'uomo nuovo, che certt' non voglio « ghettizzare » l'omosessualità ma me la voglio vivere, per quanto è grande e quanto è piccola. Ti farei un discorso lungo sul fatto che non voglio fare l'amore con te usando il mio potere, il cazzo come potere, ma che non credo neanche che solo perché il cazzo ce 1'hai anche tu allora facciamo il rapporto « nuovo e paritetico ». Che è bello che tu non sia bello, biondo con gli occhi azzurri, 15 anni e il corpo efebico, perché mi piaci per altre cose, perché sei intelligente, bravo, ma non solo: perché hai un corpo, perché come mai hai bisogno di essere amato e di amare, di toccare e essere toccato, di definirti anche rispetto agli uomini, non per fuggire le donne e per sconfiggere sul piano dell'autarchia sessuale, ma per essere più dolce, meno aggressivo... per essere misurabile e misurato non sulla lunghezza del cazzo ma sulla voglia di amare, sull'essere uomo e non maschio, sul recupero di una completezza affetiva che sento - e lo sento mentre me ne vado con un grosso rimpianto e un po' di magone - che mi è maledettamente difficile recuperare. Giaime Pintor
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