Bambini Potere bambinesco Sono arrivati in redazione quattro fogli dattiloscritti con i pensieri e le considerazioni di due « educatori » di collegio. Coscienti del loro ruolo, infelici del loro ruolo, attenti a tutta la violenza con cui l'istituzione (totale) condiziona bambini di dieci anni a diventare o gradassi integrati o delinquenti comuni, consapevoli della ambiguità che, in una situazione di carcere, non salva neanche il buon cuore, neanche l'antiautoritarlsmo, neanche la democrazia. Il collegio è aperto. I ragazzi girano liberamente nell'atrio, per i corridoi. Telefonano. Hanno le scarpe da tennis. Hanno i capelli abbastanza lunghi. Le ragazze conoscono gli attori, Franco Gasparri, Kabir Bebi, i ragazzi hanno le figurine delle squadre di serie A. Chi ha la maglietta dell'Inter o della J uve ci va anche a pranzo. Le ragazze grandi guardano i piccoli con un tantino di degnazione. Vanno a fare il bagno alle docce. I ragazzini si attaccano al buco della serratura. Una la hanno vista nuda. A una gli hanno visto le pocce, grosse così, e fanno vedere un'esagerazione. Qualcuno dei più fissati passa tutto il tempo che può a fare le scopertine. Sono quelli che ne sanno più di tutti. Quasi tutti i ragazzi hanno una scatola con le proprietà. Comprano e vendono. Una pigna vale 20 figurine, due merende, un po' di fogli di quaderno, una figura di una donna uda. Le merende servono anche per fare scambi amorosi. Quelli che hanno più cose sono i più svelti o i più spregiudicati a infiltrarsi in cucina, rubare le nutelle, le mele, le carote. Le schedine del totocalcio scadute si vendono a 10 lire. Tom Sawyer ci si divertiva, ma i ragazzi ci sono costretti, se vogliono avere qualcosa di proprio, a vendere, comprare, rubare tutto quello che capita. Chi è più furbo, chi è più forte è più stimato. La pace è solo apparente. Tutti vivono con la paura di essere fregati. I ragazzi fanno tutti i giorni a pugni ... In IS giorni si sono rotte tre braccia. I più grandi comandano e menano i più piccoli, come in tutte le istituzioni totali, i nonni fanno (o facevano) il gavettone alle reclute, i goliardi alle matricole. Ma qui è più dura. Direttrice, assistenti, ragazzi riempiono tutto il mondo affettivo del collegiale. Quelli che sono presi di mira perché sono, non so, più deboli, più ingenui, più goffi sono schiacciati, diventano capri espiatori, si prendono tutte le colpe e portano di più il peso di questo genere di vita. Così abituati a essere presi per il culo, non sanno neanche che avreb54 bero diritto di essere amati, rispettati, ci credono anche loro a quei valori con cui sono giudicati nel collegio. Qualcuno dei grandi vuole che i più deboli ci stiano anche sessualmente. La cosa si sa se quello più piccolo si mette a piangere e in questo modo si ribella. 'E' un'omosessualità fatta di sopraffazione e di violenza. I maestri scoprono che si deve fare l'educazione sessuale. Il maestro Maori arriva raggiante: « Gli ho detto tutto! » Poi dopo 2 giorni viene fuori che Maori ha detto che le donne non si toccano. Ha spiegato i fiori coi pistilli e tutto il resta e ha detto quello che non si deve fare. I ragazzi assorbono tutti i miti virilisti, consumistici, i miti di potenza. Vivono troppo stretti e sempre tra loro, e si sentono contaminati dalla presenza dell'altro. Si attaccano nevroticamente alla propria sedia, tolgono la polvere anche dove non c'è, si sporcano le mani e la faccia di colla, di terra, di erba. Si fasciano ferite inesistenti. Impongono tirannicamente la loro volontà o si annullano buttandosi per terra e rimanendo per un'ora a fare cantilene o a ripetere la stessa parola. Uno psichiatra troverebbe sicuramente per ognuno di questi comportamenti un nome scientifico. Quello che viene da noi ha detto caratteriali. I collegi sono una scuola di violenza, anche quelli più aperti. La violenza è nei muri, nei letti tutti in fila, nelle ore di studio e di gioco rigidamente divise, la violenza è nelle regole che li ordinano. Quando i ragazzi escono guardano ogni rapporto come a uno scontro, ogni persona come un nemico. Stefano giudava la macchinina dell'autoscontro e digrignava i denti. Ogni tanto qualcuno scàppa. Stefano M. l'anno scorso ha fatto 15 chilometri lungo il mare prima di farsi riprendere. Adesso così sa farsi rispettare perché sa che se scappa tutto il collegio si mette a cercarlo, e sa che le fughe mettono paura ai responsabili. Ai ragazzi ogni tanto gli prende la «crisi». Quando gli prende la crisi spaccano tende, sedie, tavoli, credenze. Per sottrarsi ai comandì la crisi è una buona via di uscita. Allora dicono: « guarda che se non mi fai fare questa cosa mi prende la crisi ». E' una buona idea, ma è individuale, e peggiora la situazione perché dopo i ragazzi non sanno più se ci fanno apposta o no. Ho pensato che sarebbe bello che venisse fuori qualche Lenin bambino, ma in collegio neanche la banda resiste a lungo. E poi non è questione di piccoli Lenin. Quello che i ragazzi vogliono è uscire dal collegio, non farlo diventare una comune. Escono con l'immaginazione o con l'imitazione.
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