Muzak - anno III - n.11 - marzo 1976

re un presidente, muore una pop star. L'unica speranza che Altmann suggerisce nelle seguenze finali è che all'America resti, comunque, l'abitudine sana di uccidere ciclicamente i suoi stessi miti. L. R. Regia di Robert Aldrich Dire che è un brutto film, un film idiota, irritante, sessista e angoscioso basterebbe a definire il pasticciaccio <li Robert Aldrich, tutto intessuto sulle turbe del poliziotto, cinico ma buono, legalitario ma antigerarchico, facile alla pietà per una « checca » deforme coi capelli bianchi e gli occhi rossi (siamo ancora all'omosessualità come variazione sul tema della poliomielite), ma ben deciso a sparare alle spalle di un ladruncolo timido entrato in drogheria per rubarsi, più o meno, due etti di zucchero. Ma l'attenzione con cui il dialogo (lodato dal Corriere della Sera, il che oltre a farci perdere fiducia nel bravissimo Grazzini ci fa sospettare che lo sceneggiatore abbia alcune amicizie influenti) segue la strategia della banalità, e il sonoro, in genere, quello del cattivo gusto merita un invito più argomentato ad evitare accuratamente Un gioco estremamente pericoloso.. Dunque: Catherine Deneuve, squillo specializzata in pompini telefonici, è l'amante del poliziotto turbato, che, per I'occasione, si trasforma in poliziotto conturbato. Insieme vivono, nonostante lei eserciti la professione, come una coppia di sposini eternamente novelli, mentre l'abile regista ci ossessiona di primi piani delle labbrone di lei, dei suoi dentini avidi di sesso, dei suoi occhioni invitanti. Gli effetti sonori gonfiano i respiri fino a trasformarli in sensualissimi sospiri (tecnica datata 1950), mentre i frequentisimi sospiri diventano rantoli erotici. Attorno a questa pessima riproduzione di Lelouch (che con un uomo e una donna ha inventato la versione filmica dei cioccolatini Perugina) si snoda una trama giallo-porno piena di colpi di scena prevedibili nei minimi particolari e sovraccarica di ottimi sentimenti. Tesi, antitesi e sintesi, in una moderna versione della dialettica che li vede tutti e tre coincidenti; « li mondo è cattivo l'uomo è buono e la donna, na'. turalmente, è puttana ». l.R. Il compagno eil potere Imiti sono • • aggress1v1 James Dean ritorna sugli schermi coi suoi tre film, a riproporre una combinazione di personaggio-attore-uomo, in cui si identificò una intera generazione di adolescenti. Contrariamente ad altri attori nei quali la scissione tra la sicura che rappresentavano e la loro personale realtà è stata molto grande, anche se alcuni hanno finito con gli anni per tentare di identificarsi col loro personaggio (come Clark Gable, Gary Cooper, )hon Wayne ...), in James Dean questa fusione è stata quasi perfetta ed ha assunto connotazioni estremamente interessan. ti per la storia del costume americana, ma anche e soprattutto per una eventuale storia della « Gioventù ribelle » di questi ultimi decenni valida anche per l'Italia. Non era certo il primo giovane ribelle dello schermo. Negli anni 30 e 40, a fianco dei personaggi positivi incarnati dal solido americanismo riformista di Gary Cooper o Henry Fonda e a quelli negativi dei vari gangester malefici, e poi accanto agli sfiduciati romantici alla Bogart, c'è pur stato Jann Garfield, attore oggi quasi dimenticato, che con la sua faccia comune di giovane proletario ebreo si scontrava con una malasorte prevalentemente sociale. L'identificazione tra ruolo e uomo c'era: Garfield era un compagno di origine poverissima, che se la vide brutta al tempo della caccia alle streghe e morì in circostanze misteriose nel 51, amareggiato e isolato. In quell'anno uscivano 2 film come Un posto al sole e Un tram che si chiama desiderio, che stabilivano il mito di due altri giovani ribelli: Montegomery Clift e Marlon Brando. Il primo, più intellettuale e tormentato, doveva morire in una lenta autodistruzione psichica, cercando di fatto la morte. Del secondo, che I/Selvaggio incarnò un giovane motociclista teppista vestito di cuoio, angelo del male suo malgrado, ribelle tenero e spavaldo, è ben noto, come sia poi finito nei languori masochisti e sciapi dei tanghi parigini, a piangere sulla sua in capacità di essere all'altezza dell'incerto modello eroico cui aspirava. La morte ha salvato anche J ames Dean, come Garfield e Clift, dalla penosa vecchiaia degli inadempienti alla propria vocazione per corruzione capitalistica, la stessa corruzione che, nel mondo parallelo della canzone, ha distrutto le figure per un certo periodo (non del tut• to) di Elvis Presley e specialmente di Bob Dylan. Dopo Dean hanno tentato di incarna• re la figura del giovane ribelle attori come Paul Newman, Warren Beatty, Steve Mc Queen e perfino Sinatra, solo il primo con una certa fragile coerenza, e la tentano oggi malamente Eliott Gould, Dustin Hoffman, Al Pacino, ma ci pare che, a parte il caso di uno sciocchissimo Peter Fonda che non ha saputo andare oltre « Easy Rider», film tuttavia esemplare di un'epoca, solo Jack Nicholson è qualcosa di più che un attore, e può incarnare un modo di essere confrontabile a quello di una generazione, che è però, non a caso, non più adolescente ma piuttosto disillusa, successiva ai dirompenti anni '60, mentre il versante positivo è tornato a un biondo e ariano Robert Redford, che ha in mente i Gary Cooper del passato. Ma torniamo a James Dean, alla sua brevissima parabola umana e artistica. Anche se non bisogna dimenticare che i miti di oggi sono sempre, in qualche modo, divistici, legati all'influenza dei mass-media e destinati a durar poco, per colpa dei media che hanno un bisogno frenetico di riproporne sempre di nuovi per ragioni di mercato. C'erano nella storia di James Dean, tutti gli elementi per farne un mito. Cresciuto non dai suoi genitori, in lotta contro tutti sin dall'infanzia, sottoposto a fatiche obbligate e in parte volute, « prove » di confronto con il mondo nella ricerca, attraverso le molteplici esperienze, di una maturità. James Dean « aspirava all'assoluto», ha scritto Edgar Morin in un bel libro sui divi, « ma non poteva trovarlo nell'amore di una donna». Quando Anna Maria Pierangeli, fanciulli angelicata, gli preferisce, forse per colpa della famiglia, un mieloso cantante Italo americano, allora l'assoluto per Dean, diventa la morte, raggiunta attraverso l'ossessione della velocità, che è sfida alla morte e che in qualche modo la provoca. Muore insomma di disgrazia, ma di una disgrazia lucida. Queste connotazioni « classiche » si aggiungono a quelle derivabili dei suoi film. Dean ne ha fatti 3: « La valle dell'Eden», « Gioventù bruciata», « Il Gigante». Come Brando e tanti altri, è stato costruito come attore da Elia Kazan e dall'Actors studio, che insistevano sull'accen- ➔

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