Muzak - anno III - n.11 - marzo 1976

non si sta scrivendo un romanzo ed è meglio chiarirlo subito. Ma il difetto più grave è un altro, ed è quello per cui, anche come documento, categoria utile e rispellabile, L'erba nasce verde lascia abbastanza a desiderare: manca un minimo di analisi, una chiave di lettura che vada al di là del troppo facile e troppo cattolico • i drogati non sono cattivi, sono solo tristi » (la società, i genitori separati, il babbo ricco e cinico, la mamma un po' puttana, il patrigno libidinoso e via banalizzando). Resta la sensazione, positiva, che Bruna Alasia, in qualche modo, magari male, per Piazza di Spagna e piazza Navona ci sia passata. Con precisione e partecipazione. Non è, insomma, il solito giornalista que,rantenne che mette tre eroinomani davanti al microfono e crede di aver scoperto la meccanica del gap generazionale. Amare di classe di Karln Struck ed. Feltrlnelll, lire 3.200 pag. 232 L. R. Un diario spezzato da considerazioni, conversazioni, lunghe citazioni. La forma lellerariamente viva, ogni tanto felice, ogni tanto un po' ostica. Ma Amare di classe è qualcosa di più di un romanzo «moderno» in forma autobiografica, è una specie di eiaborazione collettiva, non nel senso che l'hanno scritto in sei, ma nel senso (più importante) di riproduzione contradditoria, aperta e, in qualche modo, dialogata di problemi collettivi, visti da un punto di vista collettivo. La scrivente non è una giovane donna-personaggio, identificata dal colore dei suoi capelli e delle sue nevrosi, ma un'età (« Viviamo fra i venti e i trent'anni. Pauna del tempo. Paura dell'eternità »), un sesso, (non femmina, ma donna), una classe che, caso strano, non è quella borghese e una identificazione positiva con la propria classe (• Non ho voglia di pascolare sulle alture delle classi superiori » ), un ambiente (rivoluzionario), un modo di porsi nei confronti dell'esistenza della cultura (Shakespeare, Joice, Marx, Marcuse, un film alla televisione, Ulrike Meinhof eccetera, ma sempre per capire, mai per citare o impigrire nell'erudizione), una presenza anche falla di condizioni materiali. Tullo questo rende il lungo monologo interiore spezzato dall'indicazione dei giorni che passano, non l'urlo patologico dell'artista, ma la testimonianza di una rivoluzione che è già cominciata. Paura divolare di Erica Jong ed. Bomplanl, lire 4.000 Lo slogan di vendita («Una donna che parla di sesso come un uomo»), basterebbe da solo a far odiare il libro di Erica Jong. Se poi si considera anche che già tre milioni di copie sono state divorate solo dal pubblico americano, notoriamente sollo culturale, l'antipatia si trasforma in voglia di scrivere: « per carità, non compratelo, è la solita buggerata». E lo è. Anche se un capitolo si e uno no lo apre con citazioni di Shakespeare e tratta Laing e Freud come se fossero suoi compagni di banco, Erica Jong non ha scrillo un libro serio. E' la mania americana della psicanalisi, mescolata con la confezione americana del femmm1smo (formato famiglia: grande, ma scadente). E' la abitudine americana alla superficialità che pasticcia coi sogni e con le contraddiziom del rapporto uomo-donna come ti insegnerebbe costruirti da te gli scaffali della libreria. Più alcune ba11ute da salotto disinibito, tipo: • ballare è 49 come scopare: non Importa che spettacolo si dà, bisogna concentrarsi su come ci si sente ". Una forma scorrevole e aggraziata, da commedia brillante e la sollintesa convinzione che « anticonvenzionale» sia più o meno sinonimo di «rivoluzionario». Non lo è. E', anzi, l'ultimo ammiccante recupero dei conservatori illuminati. In Paura di volare (che sarebbe poi la paura del potenziale rivoluzionario della propria emancipazione) l'insoddisfazione profonda di una donna investita dalle tematiche dell'autonomia femminista si risolve in un allegro turn-over di mariti. Magari tutti psicanalisti. L. R. Limenetimena periodico femminista, 16 pagine Lo scrivono Marisa, Raffi, Marina, Carmela, Bettina, Gioia, Ginevra. Hanno diciotto anni, diciannove, ventinove, trentadue. Alcune sono militanti, altre no. Si autoproclamano, nel numero zero del loro giornale intitolato • Limenetimena » in un audace neologismo terroristico, « Marie strapiene di Grazie», piccole virtù e reggiseni, contente, intimorite, felici, rabbiose, incazzate, • che finalmente »I e • che basta »! e • che non se ne può più»! La difficoltà di definirsi, il tornare a parlare di rabbia, di cacca, di biberon, di mariti cocciuti e fetenti non è casuale: è un giornale scrillo da donne, che non vuole tanto parlare alle donne, quanto far parlare le donne e che si presenta, quindi, come un grande foglio piegato, un po' disordinato in cui non ci sono • giornalisti e lettori "• ma donne che scrivono a donne che scriveranno. L'idea è buona, se effellivamente la redazione si limiterà al lavoro tecnico, e il giornale sarà scrillo da una fantomatica équipe nazionale-epistolare, un foglio bianco per il movimento. Un po' irritante e, purtroppo, vecchio110 il tono • hippyfreafspontaneo » tipico di Stampa alternativa, che promette democrazia e psichedelia, sovrapponendo formule obsolete ( « basta coi Kapetti e i leaders ») alla critica radicale e complessiva della gerarchia nella rivoluzione e nella vita con cui il movimento femminista sta investendo e trasformando gruppi, gruppetti, partiti, coppie, giornali e famiglie. L.R. Cinema Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi Prendete un giallo con ambizioni letterarie, trasformatelo in film • impegnato» di fantapolitica, fatelo dirigere da un regista di • impegno " civile: il risultato sarà (o comunque è) il peggior film dell'anno. Tante polemiche, questo Cadaveri eccellenti, non le meritava proprio. Né li contesto di Sciascia è più un librcllo consumabile. Ma si sa, nel vuoto cinematografico che contraddistingue la produzione italiana, anche un film di ingenuo qualunquismo diviene occasione di diballito. Bene per il dibauito in sé, meno bene per la politica. La storia, fedele a Sciascia ma calata in una situazione reale tipicamente italiana, racconta di un ispellore di polizia, di regime ma onesto, che alla ricerca degli assassini (o dell'assassino) di 3 o 4 magistrati, si scontra con un complotto di stato di enormi proporzioni in cui sono coinvolti tutti: dalla polizia (compreso il ministro) passando per il Partito comunista (escluso il segretario) arrivando ai « gruppuscoli " (compreso un dirigente un po' fesso e un po' mascalzone che scrive cose rivoluzionarie ma poi lo ritroviamo a feste con il ministro di polizia). Un pasticciaccio, insomma. Pensate solo che questo « gruppuscolo » si chiama Gruppo Zeta (nome atipico nel panorama extraparlamentare di sinistra) pubblica un giornale che si chiama Rivoluzione permanente (dunque si suppone trozkista), dal quale a un certo punto viene letto un brano di articolo tratto dalla realtà: I mostri, articolo contro la magistratura apparso sul Manifesto quotidiano. Basterebbe questa confusione da giornalaccio fa. scistello per dire tutto su questo brutto film. Ma ancora peggiore (se possibile) è il finale: si evince che il Partito comunista è in realtà interno al gioco di complotto e che il comp_romesso storico è già - sotterraneamente - in atto. Qualcuno ha definito questo finale « inquietante»: francamente noi lo 1roviamo puramente reazionario, un tentativo (conoscendo la produzione sciocca ma non reazionaria di Rosi) di entrare m:l dibattito politico di sinistra: un tentativo fasullo e completamente, se ci passate il termine, • a cazzo•· G.P. ...

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