Nuova • compagnia divecchio popolare Abbiamo intervistato Eugenio Bennato della Nuova compagnia di canto popolare. Muzak - Come interpretate, qualitativamente, il tipo di successo che avete, simile a quello generalmente riservato ai gruppi di musica pop? E. Bennato - Ci sono degli elementi di comunicazione musicale che sono essenziali, che coinvolgono ogni persona e provocano reazioni piuttosto violente, e tra questi c'è soprattutto il ritmo. Noi abbiamo fatto uno studio sul ritmo come mezzo comunicativo fine a se stesso. Quando raggiungi quella completezza, quella tensione che ti può dare il ritmo, la musica popolare che noi facciamo ha una funzione catartica, liberatoria. Quando nel nostro concerto riusciamo a ricreare, in qualche modo, quella stessa tensione, si scatena questa esigenza di seguire il ritmo, di liberarsi attraverso l'ascolto della musica, da parte dei vari ascoltatori. Io l'interpreto in questo modo. Non credo sia un fatto di divismo, ma un fatto ancora più sostanziale che è proprio questo modo di sentire la musica. Muzak - Ma il pubblico che oggi vi applaude è r.ompletamente diverso da quello a cui erano destinate originariamente le musiche che riproducete. Eppure anche senza che voi le rinnoviate, producono egualmente un effetto. Ma che significato possono avere oggi, che tipo di funzione possono avere? E. Benna/o - Ogni tipo di musica popolare, evidentemente, è funzionale ad un certo tipo di comunità. Ha, comunque, in sè degli elementi che, potremmo dire, sono universali, oppure che in Italia, per esempio, sono funzionali alla situazione italiana. Il giovane italiano, cioè, si identifica in un certo tipo di musica popolare che può essere quella napoletana, quella siciliana ecc... Si identifica nei problemi che questa musica vuole stimolare. In fondo, la figura del contadino che canta la sua rabbia ne!le tammurriate non è poi così lontana dall'operaio di una borgata di Roma. E' un tipo di comunicazione che è universale, che prescinde dal momento storico o, meglio ancora, si potrebbe dire che il momento storico del divario tra cultura popolare e cultura « alta » non è ancora superato, ancora esiste. Il giovane che si sente fuori dalla gestione del potere ritrova, attraverso la musica popolare, un modo di manifestare rabbia e repressione. Le ragioni storiche che hanno prodotto in Italia, e sopratutto al sud, una frattura tra questi due tipi di cultura non sono superate, non sono anacronistiche oggi, ma esistono tuttora e i giovani La Nuova compagnia di canto popolare sono quelli che lo avvertono per primi. Muzak - Voi stessi, in concerto, ci tenete a sottolineare che il ritmo e l'improvvisazione sono i due elementi essenziali della musica popolare. E poi, riproducete le cose sempre alla stessa maniera, senza alcuna variante improvvisativa, anche laddove è esplicitamente prevista nel canto originario. Che significa? E. Bennato - Questa contraddizione dipende dal fatto che, purtroppo, si arriva ad un punto in cui si è costretti a fare spettacolo, a dover soddisfare le richieste di diversi gruppi, di città, di gente che vuole che noi suoniamo. E' chiaro che a questo punto certe cose si deteriorano. E questa è un po' la confessione del nostro limite, un limite oggettivo. Non possiamo permetterci di fare un concerto al mese. Le richieste sono pressanti e alla gente non puoi spiegare queste ragioni. Di fatto avviene che molte cose debbano essere fatte in un certo modo, meccanicamente. Quell'improvvisazione che tu potresti dare quando spontaneamente ti metti a suonare e senti l'esigenza di farlo, viene un po' meno quando lo fai per mestiere, e non bisogna fraintendere questo concetto. Il dilettante, nel senso buono, è colui che canta quando ha l'esigenza di farlo e allora l'improvvisazione è l'elemento fondamentale. Noi cerchiamo di rispettare questo canone, però è chiaro che non si può improvvisare sempre quando si è condinati da una certa routine. Muzak - Pensate di poter risolvere questa contraddizione? E. Bennato - Pensiamo di risolverla quando avremo esaurito la nostra funzione che per ora è quella di testimoniare, di stimolare. Non siamo ancora usciti dalla fase in cui per quello che facevamo eravamo considerati dei pazzi. Secondo me questa fase non è ancora superata. Quando ci saremo resi conto che alle masse è arrivato il discorso che vogliamo testimoniare, allora sarà esaurito questo nostro compito di diffondere un certo messaggio, un certo modo di esprimersi. A quel punto potremo più liberamente essere noi stessi e fare musica secondo un'esigenza nostra, intima. Muzak - Cos'è che accomuna i fatti culturali che provengono dalla realtà napoletana? E. Bennato - Tutti quelli che si muovono da Napoli hanno una matrice comune. Un entroterra culturale che è proprio quello della città di Napoli, dove esiste ancora un'espressività incontaminata. Anche se c'è stata la televisione, anche se ci sono stati dei giochi di potere estranei alla cultura popolare, a Napoli, comunque, la cultura popolare è rimasta intatta. A Napoli c'è ancora un'espressività che è veramente alternativa, nel dialetto, nella gestualità, nella situazioni che si creano per le strade. Napoli, per la sua storia, è la città più indicata a proporre degli schemi nuovi o, meglio ancora, a dare maggiore forza, maggiore espressività, maggiore vigore al modo di manifestare una certa forma di insofferenza e di protesta. •
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