Muzak - anno III - n.11 - marzo 1976

sostenere che in realtà Alan non ha fatto altro che cantare « Dicitencello vuje » fin dagli inizi. Più chiaro, invece, il caso di Bennato. Di lui, si è subito detto: è chiaramente napoletano! Vuoi per il grottesco tipicamente macchiettistico di certe sue canzoni, vuoi per certi precisi riferimenti, vuoi per certe tonalità da pazzariello, vuoi, infine, per quel ribellismo qualunquista da sottoproletario, che si senti: popolo e non classe. Da tirare in ballo, magari, c'era anche il modello Bob Dylan e altri fatti musicali non propriamente nostrani. Ma l'impeto, la sfacciata comunicativa, l'ironia caricaturaleecc., quelli, non c'era alcun dubbio, erano proprio napoletani. Anche per Toni Esposito è stato subito chiaro. I colori, le immagini, e certi elementi specificamente musicali, furono subito interpretate, e non si poteva altrimenti, come napoletane, malgrado non ci fossero le parole, a chiarire meglio la derivazione. Napoli Centrale, anch'essa inequivocabilmente napoletana, ha operato su due fronti. Ha ricercato nel riimm e nei moduli musicali rock-jazzistici, la maggior forza d'impatto possibile, possibile,j-. per poter innestare il dialetto al là di ogni alibi pittorico e descrittivo. E il loro esempio, in questo senso, rimane unico. Unici, cioè, ad aver adottato il dialetto come elemento costante costitutivo. In questo m~do la musica di Napoli Centrale incarna la rabbia non ideo'. logizzata, l'aggressività della cultura sottoproletaria. Sono, in ultima analisi, un fatto sottoculturale, con tutto quello che comporta di provocatorio, di anarcoide, ma anche di riduttivo e di distorcente. Ci sono elementi sufficienti per parlare in generale di pop napoletano come possibilità espressiva, come dimensione? Che posto ha il pop nella realtà napoletana di oggi? Bisogna tenere conto anche di altri elementi. Del carattere globale che il fenomeno napoletano sta cominciando ad avere, malgrado le intenzioni divergenti degli stessi musicisti. Basta pensare alla Nccp. Il loro successo da qualche tempo rassomiglia sempre di più, sia in senso quantitativo che qualitativo, a ,quello di un gruppo po, dato il tipo di rispecchiamento che provoca nel pubblico. E le ragioni del pop? Evidentemente, anche senza voler forzare troppo l'analisi per cercare similitudini e accostamenti di ogni genere, la realtà che c'è dietro è la stessa. E' Napoli ad imporsi sulla musica, ad invadere prepotentemente la creatività e l'invenzione dei musicisti. Ad imporre la presenza del mondo subalterno. Il cantore dev'essere operaio! e Si tratta di Inventare una cosa nuova - dicono i componenti del Gruppo operalo di Pomlgliano d'Arco - non uno spettacolo tradizionale, ma uno spazio in cui tutti siano protagonisti ». Per parlare coi compagni del Gruppo Operaio di Pomigliano d'Arco sono andato a raggiungerli a Scafati, in provincia di Salerno, dove partecipavano ad un Carnevale che per la prima volta veniva gestito dal circolo Arei del quartiere Ferrovia, un quartiere popolare. Scafati è uno di quei grossi paesi agricoli della Campania, sfrangiato e sformato e sparso tanto che non si riesce a capire dove comincia e dove finisce. Da queste parti da anni va avanti la battàglia per il pomodoro, che gli industriali conservieri preferiscono importare dall'estero piuttosto che pagare un prezzo decente ai contadini e ai braccianti locali. Hanno occupato il municipio, fatto blocchi stradali, e alla fine sono riusciti a cavare un contratto accettabile. In mezzo alla sfilata del Carnevale campeggia infatti un'immensa mascherapomodoro. Il gruppo gira, con la sua consueta sfilata in maschera guidata dal « pazzariello », per i quartieri popolari, e confluisce poi nella piazza principale. Dietro ci sono le maschere locali: carretti tirati dai cavalli, con su un « vescovo » e una coppia. di sposi, poi immensi pupazzi di cartoni sugli stessi carrettini a motore che servono per trasportare i pomodori. E poi un sacco di maschere fatte con Gennaro Caputo abbastanza fantasia. In mez32 zo, le frasche del carnevale poi la bara tradizionale pe; 11funerale della vecchia del carnevale, seguita da un ragazzino che fa da lamentatrice lanciando urla strazianti. Nell'intervallo tra la sfilata e lo spettacolo, parliamo un po' con Angelo De Falco l'animatore del gruppo. D; Falco insiste sulla grande ondata di creatività di base che si è messa in moto a Napoli e dintorni. Ci sono un'infinità di gruppi, più o meno costituiti stabilmente che ruotano attorno alle re'. s_te, ai circoli della zona. Non tutto funziona alla perfezione. I compagni del Gruppo Operaio sono abbastanza critici del rapporto che si è stabilito tra alcuni di questi gruppi popolari e la Nuova Compagnia di C~n!o.Popolare. Certi gruppi fm1scono, dicono, per fa. re da « reggicoda » alla Nccp che se li porta dietro per esibirli quasi come una patente della propria legittimità culturale. Altri - per esempio a Capri, dove ce ne sono almeno cinque o sei - faticano a liberarsi del peso dell'egemonia dei preti e del turismo. Ma complessivamente il movimento è veramente grosso e significativo, è un segno della nuova vitalità di un Sud che anche politicamente non si rassegna più ad un ruolo subalterno. Piuttosto, aggiunge De Falco, c'è il problema degli intellettuali, di come possono stabilire un rapporto con queste realtà nuove di base come innestarvi la propri~ creatività. « Abbiamo fatto una mostra sul pomodoro a Napoli », dice, « ed è stata molto bella e importante. Però, certo è che se la avessimo portata ali' Alfa Sud non l'avrebbe vista nessuno. C'è la sirena, bisogna scappare a casa, ci sono tanti problemi. E' difficile per gli intellettuali entrare in contatto con gli operai, ma è in questa direzione che bisogna muoversi, e l'asso-

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