Muzak - anno III - n.11 - marzo 1976

di « revival » da parte di gruppi, cantanti e complessi che sono venuti alla ribalta dopo il successo della Nuova Compagnia di Canto Popolare - oltre alla Nccp, Concetta Barra, Marina Pagano, Tony Cosenza, ecc. Di tutti questi personaggi, va detto subito che non sempre è ben chiara (anche perché forse non è poi tanto netta) la discriminante tra la canzone popolare e la canzonetta napoletana; e in parte proprio questa ambiguità contribuisce al loro successo di mercato. D'altra parte, è un fatto indiscutibile che la Nccp ha rappresentato un fatto di grande importanza, se non altro per l'impulso che ha dato a gruppi di base che si sono resi conto di saper fare anche loro, e meglio, quello che la Nccp faceva con tanto successo. Il limite principale della Nuova Compagnia di Canto Popolare, soprattutto nei dischi, sta nella loro impostazione completamente spoliticizzata. La cultura popolare viene fuori , o come un residuo del passato da conservare per motivi e- • popm10 cologici, ma non come qualcosa che sia vivo e operante in questo momento. La Nopoli del 15 giugno, dell'Alfa Sud, delle lotte dei disoccupati; la Campania dell'emigrazione, sono fatti assenti dal quadro che il gruppo presenta. Ed è un vero peccato, perché le premesse per fare un discorso diverso ci sarebbero. Non è che si critichi la Nccp perché non ha in repertorio « canti di lotta »: è possibile descrivere una realtà sociale anche senza bisogno di slogan. Il fatto è che da tutto il loro lavoro traspare un disinteresse totale per la realtà concreta, odierna del mondo popolare da cui estraggono le loro canzoni. E questo sbaglio di prospettiva politica si porta dietro anche sbagli di tipo scientifico (perché è scientificamente sbagliato presentare una tradizione culturale dimezzata e anche di tipo estetico, musicale, spettacolare (ad esempio, l'idea balzana di presentarsi in scena con quei curiosi costumi, e la tendenza ormai prevalente nel loro lavoro a dolcificare le canzoni che eseguono). Il fatto è che Napoli sta esprimendo già adesso ben altra realtà di consapevolezza popolare. Le canzoni non nascono solo dal lavoro cosciente di gruppi organizzati, come il Gruppo Operaio di Pomigliano d'Arco o il Gruppo Musicale Torrese, che innestano la propria milizia politica su una sicura conoscenza e partecipazione al repertorio musicale e teatrale tradizionale. Nascono anche dalle lotte di massa in corso adesso a Napoli: come per esempio quella canzone, « 'O lavoro » che i disoccupati cantano nei cortei e nelle manifestazioni, e che è un altro esempio della crescente, importantissima tradizione della nuova canzone operaia. Sandro Portelli 31 Alan Sorrentl, Edoardo Bennato, Toni Esposito, Napoli Centrale: ,sembra nato il « pop ,. napoletano. Ma in realtà è « Napoli ad imporsi sulla musica,'ad invadere prepotentemente della creatività e l'invenzione dei musicisti •· Un tempo c'era Alan Sorrenti. Di lui, marginalmente, si sapeva anche che era napoletano. Poi, arrivò Edoardo Bennato, anche lui, guardacaso, napoletano. E poi ancora Toni Esposito, Napoli Centrale. Ci si rese conto, come di improyviso, che esisteva un pop napoletano. Non un gruppo che veniva da Napoli così come poteva venire da Modena, da Scurgola o da Abbiategrasso, ma anti musicisti che, ispirandosi a Napoli, hanno trovato delle ragioni nel fare musica pop, probabilmente proprio in quanto napoletani. Una fertilità, tra l'altro, davvero fuori del comun·e per una città italiana. Possibile che non ci eravamo accorti di avere la nostra Nashville? Il fatto è che accomunare stilisticamente questi musicisti riesce abbastanza difficile. 1componenti di Napoli Centrale, ad esempio, interrogati sull'argomento in un'intervivista rilasciata a « Radio Città Futura », hanno violentemente rifiutato una simile ipotesi, diffidando chiunque dal tentativo. Non sentono di condividere lijlla con gli altri gruppi. La loro Napoli, dicono, è diversa da quella degli altri. Ma esistono veramente tante diverse Napoli? Innanzitutto parliamo di « napoletanità ». Perché e in che modo i poppisti che abbiamo citato sono napoletani? Innanzitutto parliamo di « napoletanità ». Perché e in che modo i poppisti che abbiamo citato sono napoletani? Prendiamo Alan Sorrenti. Per le sue prime opere, di Napoli si parlava poco. Più ffrequentemente ci si arrampicava sulle vette scabrose dello sperimentalismo o sugli esempi più raffinati del pop anglosassone. Si citava in continuazione Tim Buckley; « Un compagno di strada », rispondeva Alan za sbilanciarsi troppo. Poi, d'un tratto, essere di Napoli diventò di moda, e in perfetto sincronismo avvenne lo scivolone sul bagnaticcio di « Dicitencello vuje ». Scivolone, poi, si fa per dire: una barca di soldi ,e un'apparizione in hit parade) e l'ingresso ufficiale nell'olimpo dei grandi protagonisti dello showbusinness. Ma si diffuse anche un senso di delusione, come per un tradimento consumato, e fatto strano, soprattutt tra i giovani napoletani. La cosa è costata ad Alan una parte del suo pubblico più attento, procurandogli però del- ! 'altro, meno attento forse, ma molto più numeroso. Fatto sta, comunque, che pet la prima volta Sorrenti hu cantato in dialetto (quello che aveva deluso i giovani tenapoletani non era certamente questo, quanto l'operazione di recupero di un canto della tradizione « classica»), e tutti, tradimento o meno, si sono accorti che Alan è napoletano, cominciando a rivedere le cose passate e trovandovi, d'un tratto, un che di mediterraneo, di solare, di tipicamente meridionale. Qualcuno ha addirittura creduto be.ne di ..

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