Muzak - anno III - n.11 - marzo 1976

l'espressività popolare, ha assunto una fondamentale duplicità; divisa, cioè, tra funzione evasiva (pre comunicazioni di massa) e funzione rituale. Evasiva in quanto distrazione, valvola di sfogo e appianamento dei contrasti attraverso un'ideologia interclassista ed estraniante. Rituale, invece, nella sua funzionalità collettiva, nell'identificazione del rapporto musicale con la realtà stessa. E' evidente come le mode, e l'iconografia tradizionale che di Napoli hanno spesso fatto una bandiera, abbiamo soffocato e represso questo secondo aspetto, in favore del primo. Pericolo che si corre tuttora dato l'inevitabile riflesso « di moda » che la nuova musica napoletana sta avendo (V. N.C.C.P. e Sorrenti in hit parade). E di qui l'ambiguità della tradizione di cui i musicisti devono tenere conto, e che è un elemento ricorrente e costante. E' evidente che la validità della nuova musica napoletana, (ma il discorso potrebbe essere allargato) si misura proprio sul terreno della ritualità, e cioè sulla capacità di essere « interna » ai fatti sociali e non « esterna ». Il ritmo è, forse, l'unico elemento musicale che accomuna gran parte delle proposte musicali che provengono da Napoli. Il ritmo inteso, appunto, come elemento catalizzatore della funzione rituale della musica. Il ritmo che unifica, seguendo il quale ci si ritrova a celebrare la funzione della collettività; la scansione del coinvolgimento. Il ritmo è il punto di riferimento per tutti quelli che ascoltano. E' l'identificazione, nel processo creativo, tra esecutori e ascoltatori. Lo è in una tammurriata, nelle marce del pazzariello, in certi brani rock ecc. Lo ha capito molto bene la N.C.C.P., che affida al ritmo il ruolo di principale elemento stimolante e vivificatore, evitando così l'impasse della sterilità di un discorso improntato sul recupero storico non rivitalizzato. Lo ha capito ancora meglio il Gruppo Operaio di Pomigliano d'Arco che distribuisce mazze e pentole (a scopo di provocazione ma anche per allargare l'area della partecipazione) agli ascoltatori, al culmine di una tammurriata. E l'ha capito bene anche Toni Esposito che delle percussioni ha fatto il perno di un vero e proprio universo sonoro. E da qui si capisce come possa esistere un rock che, paradossalmente, s~ realmente napoletano (è il caso di Napoli Centrale). Il ritmo si collega al senso del movimento (la marcia, la partenza, l'arrivo). Crea disponibilità alla ricezione. Crea uno spazio di comunicazione e di identificazione collettiva, all'interno del quale il « contenuto» viene recepito come fatto socializzante e aggregante. E inevitabilmente la questione ritorna sui contenuti. Sul ritmo rituale si può improvvisare, recitare formule e litanie della memoria collettiva, sfruttare creativamente idiomi convenzionali, raccontare storie, fatti di cronaca, la protesta ecc... Il problema è che questi contenuti siano anch'essi vissuti dalla collettività in forma rituale. Siano cioè propri, « dall'interno », e non giustapposti. E' quello che sta avvenendo, anche se tra molte lacune e incertezze. Ed è proprio per questo che rivendichiamo la necessità di un dibattito. Tra il pubblico, tra i critici e, non ultimi, tra i musicisti stessi. Napoli, ~econdo noi, è una situazione-chiave, dalla quale si possono capire tante cose. E' il caso, ci sembra, di verificarle. Napoli, e questo è un fatto, sta cambiando rapidamente e profondamente. Ci auguriamo che la nuova musica 27 sappia interpretare questo processo e non estraniarsene. E' possibile che ora Pulcinella possa prendere in mano il mitra? Gino Castaldo

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