Muzak - anno III - n.10 - febbraio 1976

Folk Spiegando verità pifgate intasca Sulla capacità di dare espressione immaginativa, fantastica, ai fatti sociali collettivi, sulla passione per il gioco di linguaggio si misura la poesia. Oggi i poeti non prendono il nobel, ogni tanto suonano la chitarra. E' il caso di Paolo Pietrangeli. Ho sentito qualche sera fa al Circolo Gianni Bosio uno spettacolo di Paolo Pietran• geli, per una volta tanto non in piazza o in teatro, ma davanti a un centinaio di compagni in un clima molto ravvicinato, che favoriva la comunicazione. Era parecchio che non sentivo davvero Pietrangeli, e mi sono venute diverse idee in testa. La prima, con cui mi sto baloccando da parecchio tempo, e che mi si è confermata, è che i poeti veri dell'Italia di oggi non sono quelli che vincono il premio nobel. Sono i vari Pietrangeli e Marini, perché sono loro oggi che svolgono davvero il compito dei poeti, almeno dei poeti che sono in rapporto col loro tempo: e cioè il compito di dare espressione immaginativa, fantastica, ai fatti sociali collettivi; di scavare il rapporto tra i fatti sociali e i fatti personali, ·scoprire in che rapporto stanno, in che modo si possa vivere politicamente i fatti personali e arricchire con la fantasia i fatti politici (per esempio, la ballata di Giovanna Marini sui treni per Reggio Calabria). Nel caso di Paolo Pietrangeli, poi, la cosa è assai evidente perché Pietrangeli ha una delle caratteristiche importanti del poeta, e cioè il gusto e la passione per il linguaggio. Non a caso, le ultime due canzoni che ha fatto sono la trasformazione in poesia, gioco e discorso politico del « Trattato di Semiologia » di Umberto Eco, un discorso sui rapporti tra lingua e potere, sulla potenza dell'ovvietà. Se uno ci fa caso, le canzoni di Pietrangeli sembrano come gomitoli sdipanati dalle rime; ogni parola se ne porta appresso un'altra per affinità di suono, e poi il nesso viene trovato per forza con _lafantasia. Uno che ha il coraggio di dire che per fare l'uomo nuovo ci vuole la lallera con l'uovo può permettersi qualsiasi cosa. Io ho fatto caso 36 che quando Pietrangeli ha bisogno di una parola corta e accentata dice quasi sempre « blu » - le natiche blu dell'angelo dei prodotti Pax, l'asfalto blu che resta dopo che sl è dissolta la pagoda della fantasia, magari gli occhi della ragazza. Ora, non c'è niente di più disgustoso che mettere una parola i_n un testo poetico solo perché ti manca una sillaba. Ma a Pietrangeli le parole gli prendono significato quasi da sole. A me quel « blu » mi evoca ogni volta il senso della morte, il colore livido della putrefazione, anche nelle canzoni più scherzose. E', evidentemente, una questione di « vibrazioni », non misurabile; ma credo che sia vera lo stesso. Poi un altro gioco che fa Pietrangeli è quello di smontare i luoghi comuni - del linguaggio, dell'immaginazione, della poesia. Sono i discorsi dei padroni e dei reazionari che ha in mente Paolo quando gli spara contro i suoi. E' un errore, secondo me, pensare a « Contessa » solo per il bell'inno che fa da ritornello. Tutto il dialogo tra le nobildonne fasciste è un sommario dell'idiozia borghese ed una spiegazione di perché uno che viene fuori da quella classe possa accumulare tanta rabbia a forza di viverci dentro da voler poi prendere la falce e il martello e spaccare tutto. Non è un tema occasionale: lo ritroviamo, appena accennato, anche nella canzone del baobab - parole sante, bravo il mio generai - e quante volte le abbiamo sentite in treno, al bar, dagli amici di famiglia? Il baobab, a me_, sembra una versione ammodernata di Contessa; all'idiozia del linguaggio dei padroni uno può anche rispondere rifugiandosi nel mondo di sogno del baobab ma la rabbia è tanta e tagliato l'albero si finisce col prendere un'altra arma e fare ra-tata-ta. Magari, e questo è il guaio da quando è finito il sessantotto, col farlo da soli, ritrovando la ragione nelJa pazzia. Quanto ai luoghi comuni dell'immaginazione con cui gioca Pietrangeli, sono singolarmente adatti alle sue fonti musicali, rivisitati come queste con l'ironia. Si è detto che la musica di Pietrangeli viene dal melodramma, magari attraverso il cabaret e l'innodia proletaria, con tutto un clima da belle epoque marcita dove uno respira la corruzione della borghesia pure nel giro degli accordi. I luoghi della immaginazione sono tipici, esotici, decadenti. I risciò, i palmizi, il baobab, la pagoda, il pellicano - i luoghi mentali dell'esotismo borghese, alla Pierre Loti o, visto che va di moda un'altra volta, alla Salgari. Sono prodotti dell'imperialismo naturalmente, e della rivoluzione industriale: la condizione urbana è sempre più invisibile, le armate dell'occidente scoprono luoghi nuovi e favolosi, e allora la valvola di sfogo diventano queste immagini fantasiose del mondo che si va ad opprimere e distruggere. In Pietrangeli, queste immagini di fantasia e di fuga dal reale finiscono regolarmente per dissolversi. Lasciano lo spazio ad altri sogni, a quelli della testa del padrone usata come palla da bowling, di corso Umberto trasformato in una via Carlo Marx che è anche un grande giardino. Però anche i sogni borghesi restano col loro fascino; il fatto che siano affascinanti e impossibili è una contraddizione dichiarata in Pietrangeli, una delle ragioni che rendono necessario sostituirli con altri sogni, che sono possibili perché sono la proiezione utopica degli obiettivi ~eali del, movimento operato. Lessico musicale e lessico verbale dunque sono intrecciati strettamente in questo discorso fantastico e omogeneo sullo squallore della borghesia, grande media e ➔

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