Muzak - anno III - n.10 - febbraio 1976

in gola, come dire nello spazio di pochi minuti « sogna, ridi, corri insomma obbedisci e non pensare » giacché una simile successione di coinvolgimenti non può non essere artificiosa. Più_a fonqo di questo c'è la natura del materiale usato, la sua derivazione culturale che è quella pop del brano cantato e diretto da una forte ma rigida struttura strumentale: forma inefficace a moderni orizzonti espressivi ... in concerto a New York ma ricca di piacevoli simmetrie e comodi punti di appoggio. All'interno dello stereotipo l'arrangiamento nasce da un processo di addizione dei singoli strumenti non da un loro momento di espansione, di ricerca estemporanea o predefinita. Tutti i brani della P.f.m. sono fitti di arpeggi, contrappunti ed unisoni tecnicamente complessi. e perfettamente intrecciati ma nessuno di questi ha il valore di un'intuizione essenziale che scavalchi il « già detto » della forma, si appoggiano generalmente agli stessi schemi adatti alla strofetta cantata, la loro collocazione espressiva è la stessa con la differenza che creano un alibi a quello che in realtà è un oggetto prefabbricabile. Soprattutto nelle esecuzioni dal vivo la conduzione a collage apre a momenti strumentali autonomi, ma anche in questi casi il rapporto di invenzione non emerge nel- • la sua sostanza drammatica e umana, proprio per la già citata ingiustificabilità psicologica di quella situazione all'interno del tutto; lo episodio diventa coloristico, di attesa. Possiamo dire che la dimensione strumentale della P.f.m. comincia e finisce qui: in un grosso oggetto vestito a festa costruito pezzo su pezzo per la « maraviglia » dell'ascoltatore. Ora, questo coloratissimo filmane può interpretare la complessità dei comportamenti delle idee della violenza di tutti i giorni? Cosa si può dire di attuale confermando un diagramma di organizzazione del suono tanto rigido quanto prevedibile? Semplicemente che stllre appoggiati è comodo e che la consapevolezza di quella 33 violenza non è tanto forte da indurci a rischiare, a uscire da un coinvolgimento fittizio e gratificante: la violenza apre i conflitti, quella musica li chiude perché ne impedisce l'interpretazione. Così avviene nella dipendenza alla gerarchia fissa delle funzioni: batteria, basso, strumenti armonici, melodici e voce; lo stesso è per la tecnica compositiva tipica nella P.f.m. che dà all'armonia il ruolo di suggestivo tappeto dinamicamente atrofizzato che si muove sempre sui momenti forti della battuta ritmica (almeno concettualmente), cioè quando siamo pronti alle grosse risoluzioni che sono anche quelle belle furberie che spesso danno i brividi. E le grosse risoluzioni non mancano, anzi sono amplificate da una concezione armonica decisamente romantica: accordi pieni, estremamente consonanti e costituzionalmente « mellotronabili ». Quindi gran finali al galoppo, colori eroici, dimensioni superomistiche; datemi una successione simmetrica La maggiore Sol maggiore e... vi solleverò il mondo senza spiegarvelo. Per spiegarlo bisognerebbe anche giustificare da dove arrivano queste passioni al rallentatore o le impennate con Io zoom, dove abitano tutte quelle carezze arpeggiate, lo eclettismo birichino del brano collage e quegli incastri ·perfetti che sembrano tanti orologini svizzeri Appartengono a noi? In realtà per accettare lo schema mentale che questo tipo di musica propone, non basta che si sollevi il mondo, anche noi dobbiamo sollevarci a due piedi da terra come si dice « tra le nuvole »; ma allora quel Marx oggi così citato da tanti musicisti italiani vive anche a quelle altezze? Oppure questa dialettica, questa coscienza del reale è una cosa che tocca solo la nostra « sfera pubblica » e quando ci esprimiamo in musica una cosa vale l'altra basta che sia bella? . Ci risiamo: se fossimo dei critici ultracinquantenni.. Bruno Mariani

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