Muzak - anno III - n.10 - febbraio 1976

Scuola Uncl•etino ésalito incattedra Rissoso, goffamente individualista, perbenista, e presuntuoso il professore-massa è un fascista dilettante. L'ha scritto il « Pane e le rose » nel novembre del 1972, e lo ripubblica Muzalc, oggi, anche se molte cose sono cambiate sicuro di fare cosa grata agli studenti. Professori veramente fascisti, nella scuola, ce ne sono abbastanza pochi, e di solito non li si nota troppo. Sono riservati, discreti, abili; conoscono bene la propria materia, la insegnano senza troppi problemi. Conoscono benissimo, anche, i propri colleghi: appena giunti in una scuola sanno subito tutto su tutti, osservano ogni cosa con molta esattezza, formulano giudizi acuti e precisi. Non si espongono, facendosi coinvolgere nei casini, nelle contestazioni classe per classe, nelle diatribe di poco conto sul metodo nozionistico o sul lavoro di gruppo: aspettano, con calma, che i colleghi e gli studenti più esposti si compromettano decisamente, incappando in qualche precisa infrazione ai regolamenti o alla legge (conoscono benissimo, ovviamente, tutto il Giannarelli: il volumone che contiene tutti i regolamenti della scuola italiana), allora intervengono come falchi, rapidi, efficienti, spietati. Senza animosità personale, quasi con dispiacere (ma la legge è legge purtroppo ...), parlano a chi di dovere: il loro è un intervento micidiale, che finisce sempre con la sospensione, il trasferimento, la espulsione o la bocciatura del disgraziato. Di rado, comunque, e solo quando ne vale veramente la pena: il loro compito più specifico è quello di osservare e di riferire. E ci si attengono con la stessa pedanteria con cui insegnano. Parlano poco, ovviamente, con i colleghi e pers:no col Preside; solo quando arriva un ispettore si scopre che, per caso, lo conoscono benissimo. Ma di fronte a questi pochi professionisti, in ogni scuola che si rispetti, c'è la grande e pittoresca massa dei fascisti dilettanti: la maggioranza assoluta, di solito, in continua rissa con gli studenti, tra di loro e con i professori democratici. 20 E' difficile darne la tipologia: ce ne sono di tutte le risme. Ma qualche caratteristica in comune si può sempre individuare. Sono, come quasi tutti i professori, senza distinzioni di parte e di fede, ignoranti come capre: gli ultimi libri della loro vita li hanno letti all'università, dopo di che le loro letture si sono limitate ai volumi di Indro Montanelli ed ai libri di testo: una dieta culturale che non può mancare di produrre il sicuro rimbambimento cui, più o meno inconsciamente, aspirano. Le professoresse, veramente, leggevano, fino a qualche anno fa, anche « Grazia » . ed « Annabella »: hanno smesso di solito, quando alla posta del cuore ed agli articoli sul come fare la marmellata di ribes si sono affiancati servizi sull'orgasmo vaginale, con foto di belle donne nude. Non si considerano, propriamente fascisti: non si interessano di politica, che è sempre una cosa abbastanza sporca. Votano, naturalmente, perché è un dovere, scegliendo o la D.C. o i liberali: non si sono mai fidati davvero dei socialdemocratici, e solo da qualche anno hanno scoperto i pregi del partito repubblicano. A volte, scherzando piacevolmente con i colleghi democratici in- sala professori, gli chiedono un consiglio, loro che si interessano di queste cose, o - se un piccolo rimorso gli sfiora la coscienza - arrivano a dire: « Tu che leggi i giornali, che cosa c'è sotto, veramente, a questa storia del processo V.alpreda? », e cambiano subito argomento. Non sanno insegnare, ovviamente. Hanno imparato, con gran fatica, il programma della loro materia, e lo ripetono con ostinazione; non capiscono, con tutta la buona volontà, il discorso sui libri di testo: senza libro di testo, loro, non saprebbero che pesci pigliare; non hanno la minima idea di che cosa sia quel lavoro di gruppo di cuj parlano tanto i democratici: non si rendono conto di come quelli non capiscano che, se si fanno i gruppi, ci sarà al massimo uno studente per gruppo a lavorare, e gli altri copieranno tutto. Sono attaccatissimi ai voti e alle bocciature: quando loro anda- . vano a scuola li bocciavano sempre in latino o in matematica, e non capiscono perché adesso si debba cambiare. Ne conoscevamo uno che ripeteva sempre: « Se il mio professore di lettere, il Fregonazzi, quello di Mantova, non mi avesse bocciato in latino in seconda media, non sarei mai arrivato a fare il professore », e non si rendeva conto di avere dimostrato irrevocabilmente quanto le bocciature siano nocive. La scuola è loro, loro sono la scuola, ma a scuola non sono amati nemmeno dai loro capi, i presidi. Fanno sempre un gran casino: litigano con le classi, trattano male i genitori, si impuntano su tutte le piccolezze, fanno succedere guai su guai. Quando il movimento politico nella scuola è in crisi, in stanca, in riflusso, riesce sempre a mobilitarsi contro uno di loro, che ha fatto qualche puttanata sconsiderata, e le lotte riprendono belle e vivaci. E poi obbediscono mal volentieri: non vogliono fare supplenze, protestano come aquile quando c'è una riunione al pomeriggio, vogliono tutti il sabato come giorno libero, sbagliano nel tenere il registro, segnano il voto di condotta nella colonna delle assenze, stanno a cassa più che possono. Le professoresse si fanno mettere incinte tutte in marzo (quelle sposate, ovviamente), per cominciare il congedo di puerperio all'inizio dell'anno, evitare i casini dei primi mesi, non correre il rischio di partorire in estate, che sarebbe sprecato, perché c'è già vacanza, e

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