re educazione alla mitezza comunista. La consapevolezza dei rapporti di forza tra il movimento antifascista e i suoi nemici, la conoscenza scientifica delÌ'arsenale bellico e istituzionale dei fascisti e dello stato, la coscienza che tale arsenale deve essere neutralizzato e sconfitto, pena la nostra sconfitta: questo dovrebbe far parte dell'essenziale patrimonio di formazione politica di ogni antifascista. E allora, la capacità - ad esempio - delle masse giovanili di sbarrare la strada ai fascisti nelle scuole e nei quartieri, ricorrendo agli strumenti che sono di volta in volta necessari; l'esempio prima fatto riguardo al piccolo spacciatore di eroina; la necessità di imporre i propri diritti e le proprie rivendicazioni: sono tutte occasioni per una maturazione delle masse giovanili su questo terreno, per una educazione al rispetto della disciplina di massa, allo sviluppo della propria forza (fisica e non), del proprio equilibrio, della, propria lucidità (e della propria abilità, agilità, prontezza). Questo implica lo sviluppo di due processi paralleli e, infine, coincidenti: a) il superamento del rifiuto della violenza, sempre e comunque, in quanto attività pie- .bea e degradante, non nobile nè dignitosa; che è la posizione sostanzialmente ari- \ stocratica di chi la violenza può ignorare perché ne affida ad altri (mercenari privati o di stato) l'esercizio o·perché - per nascita, per censo o per scelta di vita - può preservarne la propria esistenza quotidiana; b) il superamento della disponibilità alla violenza come mezzo di espressione della propria aggressività sublimata. La sublimazione, secondo la psicanalisi è la somma della energia istintiva e del17 l'énergia difensiva dell'individuo, che diventa capacità di agire, liberandosi positivamente o manifestandosi in maniera distorta e regressiva. Questi processi esigono entrambi, per essere risolti positivamente, la più grande lucidità e la conquista di un'alta dose di autocontrollo. Entrambi, infatti, impongono una saggia amministrazione dei propri impulsi e un loro equilibrio, proprio perché tali impulsi contemporaneamente e contraddittoriamente si presentano. Il superamento della repulsione verso la violenza, pertanto, o è accompagnato da un indirizzo positivo della propria aggressività oppure può diventare inclinazione alla crudeltà e alla brutalità; per « indirizzo positivo » intendo lo sviluppo pieno delle proprie attività senso· riali e delle proprie energie fisiche, a partire da quelle sessuali. Il problema non è, insomma, quello di dare una dimensione politica (un alibi?) alla propria personale aggressività e a quella collettiva, di rendere, quindi, normale attività politica la privata e quotidiana nostra violenza; il problema è, al contrario, di considerare, accettare e praticare l'uso della forza come strumento politico, come una necessità, facendosene, appunto, una ragione storica, scientifica, morale. Questo sconfiggendo la tendenza a rovesciare nella pratica della violenza politiva le proprie frustazioni e i propri complessi, ma isolando - per quanto è possibile - l'una dagli altri; garantendo la maggiore lucidità e capacità di autocontrollo nel momento in cui si esercita la propria forza perché è appunto questo - l'uso della ragione - che distingue tale esercizio da quello che è !o sfogo dei propri sentimenti negativi (l'ira, l'odio, la competitività); conservando rigorosamente la consapevolezza che l'uso della violenza - essendo appunto necessità e non libera scelta - è, comunque, mortificazione di una parte della nostra umanità e negazione del nostro tendere alla mitezza e alla dolcezza, a rap- • porti interpersonali e a relazioni private e sociali fondate sulla libertà e sull'eguaglianza. Per conquistare amore, affetto, tenerezza, la nostra esistenza quotidiana deve misurarsi violentemente con il ~istema di relazioni e di comportamenti che ci viene imposto, aggredirlo per - tendenzialmente - rove- . sciarlo. (Farlo individualmente è il desiderio impotente degli egoisti; farlo collettivamente è nuova morale). E non spetta a noi la scelta delle armi che rendono possibile questo rovesciamento; è questa la ragione per cui, per conquistare amore, affetto, tenerezza, dobbiamo sacrificare una parte della nostra capacità attuale di amare, di essere affettuosi e teneri e dobbiamo, anche, essere · disamorati, aggressivi e duri, sapendo che - dopo esserlo stati - non potremo recuperare mai, interamente, la nostra umanità quale e ~nta essa era in precedenza. L' impossibilità di essere « innocenti » dere, in sostanza, portare ad es-sere ' colpevoli ' in maniera collettiva, solidale e organizzata, a recuperare nella creazione del vincolo comunitario quanto di positivo si è perduto .della propria personale coerenza. C'è una frase di Che Guevara, di cui un tempo si abusava e di C(!i ora si è troppo parsimoniosi: « Bisogna indurirsl.senza abbandonare la propria tenerezza ». Ecco. Fosco Dio/allevi
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