Muzak - anno III - n.09 - gennaio 1976

Voce,elotte Bandiera fessa Fra arroganza, presunzione e scarsa intelligenza di pubblico, la canzonetta politica si fa il verso. Antone 1lo Venditti Ma come si fa? Scriveva nel n. 7 di Muzak, Giaime Pintor: « Credo che se dai nostri articoli, recensioni, saggi, non traspare questa umiltà che ho detto, il problematicismo si esaurisce in lunghe e snervanti (e inconcludenti, quindi) riunioni e fra di noi continueremo a morderci la coda, a vagare ancora (... ) m concetti astratti, andare avanti a intuizioni più o meno intelligenti ». Una tranquilla affermazione di buon senso, eppure notevolmente utile in tempi sgangherati come questi. Tanto più quando, leggendo il Corriere della Sera, ci può capitare tra capo e collo iI seguente giud izio di Mario Luzzatto Fegiz su Fabrizio De Andrè: « li gioco delle parole, l' imprevedibilità degli atteggiamenti di questo Franti che sputa in faccia agli innocenti durante la parata militare, ruba gli incassi alle prostitute, trucca le stelle ai naviganti e, alla fine, in tribunale, bacia le bocche dei giurati rappresentano nello stesso tempo (udite, udite! n.d.r.) un atto di nolontà nel senso schopenaueriano e contemporaneamente l'autobiografia del personaggio (De Andrè, appunto, n.d.r.), affascinato da tutto ciò ch'è contrario alla norma, che vive vita irregolare dormendo poco, alzando generosamente il gomito, sfidando masochisticamente il pubblico di cui confessa di avere un terrore tale da procurargli, prima degli spettacoli, una vera e propria sofferenza fi. sica, e che tende, inconsciamente, alla propria autodistruzione (il suo volto devastato lo fa apparire assai più in là dei suoi 35 anni)». Si è passato il segno, crediamo. Noi che pensiamo ci debba essere un limite a tutto e che - come dice l'onorevole Flaminio Piccoli - « la libertà non debba trasformarsi in licenza», noi ci ribelliamo. 52 Fare della siffatta critica musicale, infatti, o corrisponde, paro paro, alla volontà di ciurlare nel manico, oppure risente degli influssi velenosi del nozionismo tardoliceale (che si manifesta, spesso, nel!' esibizionismo erudito dell'intellettuale da farmacia, da taverna o da stadio) oppure, ancora, sottintende una esaltazione del divismo tenebroso e decadente, sostanzialmente acritico e tremendamente regressivo rispetto alla maturità culturale del movimento di massa. E, allora, riteniamo anche giusto risalire alle radici culturali degli autori, interpretarne gli orientamenti e il patrimonio intellettuale, ma - per carità - non è obbligatorio strafare; e allora il buon vecchio Schopenauer lasciamolo in pace, almeno quando si parla di De Andrè Fabrizio, canzonettista dopotutto (senza offesa). 2. Spiace sempre, ancora in tema di critica musicale, essere troppo meccanici, però, ad ascoltare l'ultimo ellepì di Antonello Venditti, viene proprio da pensare che la debol!zza di questo lavoro non sia estranea alla distanza sempre maggiore che separa questo cantautore dal pubblico di movimento. Crediamo che sia, grosso modo, un anno che Venditti (in passato largamente disponibile per le iniziative autogestite) ha ridotto drasticamente tale disponibilità e che, se è stato presente al Parco Lambro, non lo è stato a Licola e a molte altre occasioni analoghe. Ripetiamo: è forse meccanico ma, insomma, per i più intelligenti di questi autori il rapporto diretto col movimento nei concerti di massa pensiamo che non sia semplicemente un bagno populista; è, al contrario, un'occasione di verifica della propria opera da parte di coloro che ne acquisteranno i dischi e, ancor di più, è l'unica (o quasi) opportunità, per questi autori, di cogliere i gusti, gli orientamenti, i sentimenti dei propri destinatari, farli propri, interpretarli, riproporli. li rapporto coi concerti del movimento, per De Gregari, Venditti, Guccini, Lolli e gli altri, è quindi (al di là della sincerità o meno della loro scelta politica e dell'uso che il movimento stesso ne fa) I'insostituibile terreno di coltura della loro ispirazione e della loro elaborazione. In assenza di questo rapporto, la qualità del loro lavoro scade, perché non è altrove (almeno per la gran parte di questi) - nella propria individuale cultura o riflessione (abitualmente deboli) - che possono trovare alimento. In questo recente ellepì, «Lilly», Venditti ha messo due cose buone ( « Lo staro becco » e «Lilly», appunto), una mediocre (« Compagno di scuola ») e quattro pezzi decisamente brutti. Un po' poco, ci pare. Particolarmente indecorosi, poi, due pezzi che si volevano ironici: « Santa Brigida », non gustosa né divertente satira-pop del revival folkloristico e « Penna a sfera», di cui ci sfugge qualunque ragione di esistenza. Negli altri pezzi, quanto prima si è detto sulla attuale debolezza di ispirazione del Nostro, appare confermato; la povertà degli spunti costringe Antonello Venditti non più a copiare Elton John o Leo Ferrè, ma, addirittura, a copiare Antonello Venditti. Così non si può proprio andare avanti. (Cosa succederebbe se Claudio Rocchi si mettesse a copiare Claudio Rocchi?). Simone Dessì

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