delic sound e via dicendo, suoni e tecniche perfettamente identici a quelli di Clapton, Jimmy Page o Ginger Baker utilizzati per animare le serate qualunquiste dei ballerini di fine settimana. Secondo: dai tempi in cui ascoltavamo Woodstock ad oggi il nostro atteggiamento verso la realtà e verso noi stessi è cambiato; quello che gridavamo anche irrazionalmente in nome del « freak way of !ife » adesso trova una collocazione e un coordinamento politico, una relazione più profonda con tutti gli altri aspetti della vita sociale ed individuale. E se questi aspetti formano un sistema complesso di relazioni mutabili e di contrad- .dizioni oggettive, il nostro incontro con la musica non potrà più nascere su metafore troppo lineari e prive di dialettica. Gli accordi della chitarra di Pete Townsend sono coloriti e superamplificati ma si appoggiano a schemi armonici e ritmici prevedibili cosicché la loro funzionalità è superata; il livello di suono dei Grand Funk è eccezionale, ma i temi e la costruzione dei brani sono a senso unico, privi di dinamica cioè del reale sviluppo ora necessario; il messaggio di amore e di pace delle canzoni west coast non corrisponde più al nostro: la pace deve essere ancora conquistata perché ci è negata continuamente, in quei brani non c'è ombra di questa lotta, pace e amore sono posti come dati di fatto grazie ad un reale « torpore » armonico e melodico. Se qualche anno fa una incisione dei Pink Floyd poteva essere credibile come ricerca sonora della liberazione, data la grossa quantità di energia sociale espressa in buone vibrazioni, oggi il fatto che ci si proponga una successione elementare e scontata di suoni superconditi elettronicamente acquista piuttosto il sapore di una presa in giro. Tutto questo perché abbiamo anche smesso di identifi24 care l'inconscio e la liberazione con la semplicistica suggestione fisica, la nostra energia sessuale con pulsazioni ritmiche elementari, o peggio con l'interpretazione « goliardica » del pagliaccio Mick Jagger, cioè senza alcuna collocazione sociale. Quanto detto non vuole diventare una critica generalizzata alla musica pop e al suo grandissimo valore di ricerca, ma la dimostrazione che un certo tipo di ascolto perde la sua validità culturale qunado non può più garantire un effettivo incontro con tutte le possi bi Iità del linguaggio. Dunque non un paradossale « basta con la musica pop », ma un definitivo « basta con la dea musica! », basta con la musica « bella perché mi piace », giacché può esistere anche senza attività mentale, solo per riproduzione meccanica e non è sufficiente scandalizzarsi della sua dimensione industriale al solo livello politico e di gestione economica. Già il momento dell'ascolto deve avere questa funzione attiva demistificante, chiedendoci continuamente se quanto ci è proposto è il frutto di una ricerca profonda delle possibilità degli strumenti e dei suoni o la ripetizione di un cliché, se quello schema è stato realizzato insistendo sui suoi più facili punti di appoggio o esplorando momenti nuovi, se quella situazione è una scelta o vive solo della sua immagine esterna, se insomma la partecipazione totale che è un fatto irrinunciabile, ha in ogni momento una ragione reale di esistere o avviene meccanicamente, « a comando»; il che, quindi, non significa affrontare freddamente la musica ma acquistare una sensibilità critica partendo dalla necessità reale di trovare la propria giusta espressione, di scegliere noi stessi le nostre immagini e viverle per la loro effettiva attualità (la libertà è anche nelle nostre ... orecchie). Bruno Mariani
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