Folk E'ora,èora il canto achilavora Sconfitti dal confronto con il mondo del professionismo musicale, i cantautori operai dimostrano che la loro musica, anche se somiglia alla moda « revival » dei cantacronache impegnati, non è merce e non è riconducibile a merce. Da qualche tempo viene avanti una tendenza importante nel campo della canzone politica, quella per.cui operai, artigiani, contadini che hanno assimilato le esperienze del movimento della nuova canzone politica e di protesta cominciano a fare loro stessi canzoni sulle proprie esperienze. C'è una differenza importante tra queste nuove canzoni e quelle della tradizione del canto politico popolare come la siamo venuta scoprendo negli ultimi venti anni, e sta nel fatto che si stabilisce adesso un nuovo rapporto non solo con le canzoni tradizionali, ma anche con le espressioni della cultura di avanguardie intellettuali e politiche non direttamente interne alla classe operaia. L'esempio più evidente è il lavoro del Gruppo Operaio di Pomigliano d'Arco, soprattutto nella «Tammurriata dell'Alfa Sud». Qui infatti si parte dalla più classica delle forme tradizionali contadine campane e si racconta la storia dell'ingresso in fabbrica di un contadino, dei rapporti con la catena di montaggio e con i compagni di lavoro; poi di colpo, al suono di una sirena, il canto si interrompe e il gruppo « rappresenta » (lo metto fra virgolette perché per molti di loro sì tratta solo di ripetere un momento della vita di tutti i giorni) momenti della realtà della fabbrica, la mensa, l'assemblea, il corteo interno, per poi mimare i suoni ed i movimenti del lavoro alla catena con tecniche che sono del teatro di avanguardia, ma innestate sulla gestualità tradizionale napoletana. Dopo di che, il ritmo della catena e il ritmo degli slogan si trasformano gradualmente, e senza soluzione di continuità, di nuovo nel ritmo della tammurriata che riprende e conclude la storia. L'operazione del gruppo di Pomigliano è senz'altro la più consapevole, ma anche quella che corre più rischi, perché proprio per la loro bravura i compagni di Pomigliano rischiano di stare sempre in bilico tra l'intervento politico e il mondo dello spettacolo, e c'è solo da sperare che il movimento di classe sappia stabilire con loro rapporti tali da non 21 fargli fare la fine di una seconda, più brava e più autentica, uova Compagnia di Canto Popolare. D'altronde, i rischi che corre Pomigliano d'Arco li hanno già pagati singoli compagni proletari, cantanti e autori di canzoni anche straordinarie, che sono usciti sconfitti dal confronto con il mondo del professionismo musica Ie. Penso a Tonino Zurlo, falegname di Ostuni, le cui canzoni sono tra le più belle che siano uscite negli ultimi anni, anche se il dialetto pugliese in cui le canta le rende spesso ostiche. Tonino suona la chitarra in modo tutt'altro che « folk », assai più vicino alla musica rock che gli è certo familiare come a tutti i giovani della sua età. Ma i testi non sono certo in inglese, bensì nella sola lingua che poteva descrivere la sua realtà, il dialetto; e soprattutto lo stile di canto, il modo di emissione della voce sono gli stessi del canto di lavoro e religioso delle campagne del sud, piegati a parlare della fabbrica, dell'emigrazione, del fratello ridotto dalla di, soccupazione a fare il poliziotto. Tonino ha provato per qualche tempo a fare il cantante professionista, sia pure nel giro ristretto dei circuiti militanti, e così, ha rischiato di svuotarsi e di perdere tutto quello che aveva da dire, di tagliarsi fuori dalla sua realtà espressiva. L'esperienza di Tonino Zurlo, ed altre che si potrebbero ricordare, dimostra una cosa secondo me assai importante. E cioè che le canzoni degli operai, anche se somigliano a quelle del « revival » e dei cantacronache impegnati, non sono la stessa cosa perché non sono merce e non sono riducibili a merce. Questo magari anche contro la volontà dei loro stessi autori; ma il fatto resta che l'inserimento di questi nuovi cantanti politici operai nei circuiti dello spettacolo ne è inevitabilmente la distruzione, perché anche loro - come tutll I poeti e gli artisti della classe operaia - sono espressione non tanto di un mondo interiore soggettivo quanto di una concreta realtà di rapporti sociali, che rivivono anche con la fantasia e l'immaginazione ma che in primo luogo vivono nei fatti quotidiani. Un altro esempio che dimostra questa realtà è quello di Alfredo Bandelli, forse il primo e il più noto dei nuovi cantanti militanti di estrazione proletaria. Canzoni come «La ballata della Fiat», « Partono gli emigranti » ed altre ancora, tra le più belle uscite dal '68 in poi, hanno il taglio della esperienza diretta, se non della fiat, senz'altro del rapporto con il padrone. Per Bandelli, la questione del circuito non si è mai posta; è sempre stato prima e soprattutto un militante di classe, poi e secondariamente uno che faceva canzoni. E non mi pare casuale che, anche all'interno della sinistra di classe che conosceva e cantava le sue canzoni, ci siano voluti anni prima che si sapesse che erano sue e non di Pino Masi. Ma forse più importanti di questi personaggi e gruppi che hanno raggiunto un minimo di circolazione al di fuori del loro ambiente sono i numerosi proletari che si servono della musica all'interno della propria realtà, come strumento complementare al loro operare politico quotidiano. La ricerca sul campo ci porta continuamente in contatto con questi compagni, al punto da convincerci che non si tratta di casi isolati, ma delle punte di un iceberg di nuova musica proletaria tutta da scoprire. Ne cito qui, per brevità, solo tre. Uno è Pasquale Malinconico, artigiano di Torre Del Greco, comunista. Fa l'« aggarbatore » di corallo, cioè modella i pezzi prima dell'incisione. E' un esempio di « proletario colto», nel senso che ha letto molto e che ha anche studiato musica alla scuola lo- ..
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