Muzak - anno III - n.09 - gennaio 1976

Che senso ha parlare di jazz italiano? Può sembrare una contraddizione, quando non ci si riferisca semplicemente al fatto che un certo jazz è italiano in quanto suonato da italiani. Come può un linguaggio, che è stato così nettamente caratterizzato dalla situazione storica degli afro-americani, diventare un patrimonio culturale di un altro popolo, con una sua precisa autonomia? In che misura è lecito suonare jazz in Italia al di là della semplice imitazione dei modelli americani? La risposta, prima di ogni teorizzazione, è già nei fatti. E' nella stessa presenza di musicisti che suonano un jazz oggettivamente « diverso»; è nei festival jazz di quest'anno, nei quali il pubblico, prevalentemente giovanile, ha reclamato l'esigenza di un rinnovamento, scavalcando i ritardi e le lentezze della macchina culturale italiana, contestando violentemente le strutture antiquate e conservatrici, ed esigendo una chiarificazione generale. Segni premonitori Già negli anni '60, a Roma, c'era stata una coraggiosa avanguardia che, nel quasi totale isolamento, aveva insistito sulla ricerca di un' autonomia creativa. I nomi sono quelli di Mario Schiano, Giorgio Gaslini, Enrico Ra·va. Sono esperienze decisive che germoglieranno in seguito, negli sviluppi posteriori. Ma non bastava. E' stato il pop, o meglio l'evoluzione del pubblico giovanile a dare un senso alla cosa. Indubbiamente il pop, al di là dei tanti falsi miti che ha imposto, è servito ad allargare l'area della recettività musicale; ha abituato il pubblico alle aggregazioni di massa e, perlomeno in Itali a e suo malgrado, ha scatenato un veDossierjazzitaliano NewOrleans éin provincidaiNapoli « Le or1g1m nero-americane del jazz - dice Mario Schiano - devono rimanere come back-ground, come memoria remota e possono anche non essere esplicite_ L'importante è che vada avanti un modo italiano di fare il jazz ». Su questa consapevolezza il nuovo jazz italiano è cresciuto. Tentiamo un bilancio e presentiamo i protagonisti. Mario Schiano spaio di dibattiti sulla gestione politica e sui contenuti della musica. Una maturazione globale, insomma, che, quando il fenomeno pop è rifluito a dimensioni demistificate e minimizzate, ha lasciato migliaia di giovani con una maggiore disponibilità alla musica politica, e quindi anche verso quel jazz che nasceva proprio dalla consapevolezza, dall'intelligenza creativa, dall'impegno militante. E la situazione che si è venuta a creare nei festival jazz degli ultimi anni è assai si17 gnificativa; un'escalation di partecipazione e di politicizzazione, spesso con toni aspri e polemici, da parte dei giovani, che è letteralmente esplosa nell'estate scorsa. Da una parte, a Pescara, pestaggi e lacrimogeni e dall'altra, a Umbria jazz, una partecipazione così imponente da mettere in crisi le strutture del festival, oltre che porre l'accento sull'insufficienza di una manifestazione musicale in cui manca assolutamente ogni tipo di gestione culturale. I nuovi musicisti E' evidente che questa situazione generale non ha sensibilizzato e maturato solamente il pubblico. Ha anche generato una notevole crescita culturale nei giovani musicisti che hanno dimostrato in questi anni una consapevolezza, del tutto inedita (con l'eccezione dei nomi già citati), del fatto musica Ie. Consapevolezza esercitata su due diversi piani: quello dell 'organizzazione e quello del linguaggio musicale. A livello organizzativo bisogna sottolineare l'importanza dei concerti autogestiti nei quartieri popolari romani e, per fare un esempio recente, il festival di « Controindicazioni » che si è svolto a Penne (vicino Pescara) negli stessi giorni in cui aveva luogo la fallimentare esperienza « ufficiale » pescarese, con pieno successo. La crescita è stata anche culturale. I nuovi jazzisti italiani hanno saputo utilizzare quegli elementi la cui acquisizione non vuol dire necessariamente imitazione, ma piuttosto adesione ad un' estetica, nata dalla condizione storica degli afro-americani, ma che via via si arricchisce di eleinenti e di implicazioni nuove e polivalenti. Dice Mario Schiano: « li jazz ormai è un linguaggio universale, di tutti, e così anche il blues. Le origini nero-americane devono rimanere come background, come memoria remota e possono anche non essere espliciti. 11 blues lo si può anche sottintendere ma deve rimanere come feeling, come forza espressiva. L' importante è che vada avanti un modo italiano' di fare il jazz. li jazz afro-americano deve essere un continuo riferimento su cui, però, bisogna innestare il proprio lavoro, la propria personalità, in completa autonomia. Quello che dobbiamo assolutamente evitare è il jazz d'imitazione al quale segue a pag. 20

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