Interviste Siamoinballo balliamo La musica popolare deve essere riproposizione di riti passati o continuazione che tiene conto del nuovo, verso il futuro? « Dalle campagne che si spopolano ormai non può venire nessuna musica popolare che non sia straniata» ha dichiarato Luigi Cinque sassofonista del Canzoniere del Lazio, all'avanguardia del nuovo pop italiano, « sei baraccati baIJano al Campidoglio la tarantella, la fanno su un ritmo più veloce, che esprime la durezza della nuova lotta ». Anche l'Unità, l'organo del Pci, ha dedicato alla questione la sua terza pagina per alcune settimane. In tutto il movimento, e dopo Licola, la «questione» della musica popolare è al primo posto quando si parla di nuova musica, di nuova cultura, di alternativa. Ma qual è la musica popolare oggi? Solo quella riprodotta dai contadini nella loro realtà quotidiana? O magari quella rivista di Maria Carta, quella dolciastra di Anna Identici, o le « pastorellerie » del Canzoniere internazionale di Leoncarlo Settimelli? O forse esiste una musica popolare diversa: con uno sguardo alla musica popolare urbana (proletaria, potremmo dire) e uno ai rifacimenti « pop-jazz » del materiale popolare. Di questa seconda corrente fa parte il Canzoniere del Lazio, con Spirito bono uscito in questi giorni al suo terzo disco, partito da una ricerca di materiali popolari e approdato a un modo nuovo di fare musica. Musicisti capaci di trascinare I0.000 persone in frenetiche tarantelle, e applauditissime star della controcultura. Abbiamo parlato con Luigi Cinque, sassofonista del gruppo. Muzak: Cerchiamo di chiarire un po' la questione della musica popolare. Qual è la storia dei vostri rapporti con il materiale contadino, qual è stata e qual è la vostra ipotesi di lavoro? Luigi: Il nostro lavoro è cominciato con il Canzoniere italiano e con Sandro Portelli. Facevamo « ricerca », registrazioni del materiale popolare e lo riproducevamo tale e quale... ma un po' per l'uso di strumenti diversi un po' per l'esigenza di intervenire su questi materiali, cominciammo ad improvvisare. Credo che nella riproposizione del materiale popolare ci siano diversi modi di improvvisare: noi preferiamo intervenire sull'atmosfera piuttosto che sui « modi ». Così, per esempio, se riproponevamo un canto, che so?, di mietitura della ciociaria, usavamo questo materiale come schema, quasi fosse una testimonianza su cui intervenire con la nostra particolare sensibilità, anche strumentalmente. E così al posto della zampogna, delle ciaramelle, del mandolino o della chitarra « battente», usavamo basso e percussioni per riproporre il ritmo, mentre i sax e il violino costituivano una tessitura simile a quella delle zampogne e delle ciaramelle. 11 nostro discorso, cioè, riprendeva il materiale popolare scomponendo e ricomponendo l'atmosfera, appunto, e anche al livello di modi riproponeva il doppio aspetto melodico e ritmico ... in pratica si era, in quel primo periodo, ancora interni quasi totalmente alla musica popolare, pur cercando di afferrarne più le caratteristiche generali che non i modi specifici ... 12 Muzak: Sempre comunque all'interno della musica popolare. Qual è stata l'evoluzione successiva, e perché avete sentito l'esigenza di sviluppare in « autonomia » il vostro discorso? Luigi: Ci si è posta, a un certo punto, l'esigenza di rivedere la concezione generale. Un dato significativo per questa revisione era la gente che ci veniva a sentire: perché anche il pubblico decide ... allora, per esempio, i momenti di improvvisazione non erano tanto dettati dal materiale su cui si improvvisava, quanto da noi stessi, dalla nostra esperienza, da quello che avevamo immagazzinato. on solo come individui o studenti o compagni di città, quanto, direi, come operazione di « simpatia » nei confronti della musica popolare. Perché certo, non abbiamo una storia contadina, nel senso che non siamo e non abbiamo mai preteso di essere contadini, ma magari quella cosa fa parte della tua cultura, nel senso Luigi Cinque che una certa melodia popolare l'hai sentita per strada, o la cantava tua nonna: una operazione culturale, insomma ... ma non una riproposizione astratta che sa di « Arcadia », perché ripropone una cultura che, nostro malgrado ma di fatto, sta morendo... Un'operazione culturale, volontaristica, se vuoi, ma non intellettualistica ... Ma appunto perché è il pubblico in ultima analisi cl-\e ti dà le scadenze, che ti impone delle cose non potevamo continuare questa riproposizione anche se già rivisitata. oi, e il pubblico che ci ascolta, siamo cresciuti sul rock, sul jazz, e sulla musica leggera anche, e allora la nostra musica, come tutta la musica del resto. è un processo di sintesi, nel nostro caso, appunto sintesi fra materiale popolare, atmosfera popolare, strumenti moderni e improvvisazione che nasce dal rock e dal jazz ... insisto: non siamo contadini, non abbiamo una cultura contadina, non riusciamo nemmeno fino in
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