Muzak - anno III - n.08 - dicembre 1975

affermare che la sua carica dissacratoria comincia ad essere fi. ne a se stessa. Si rischia, cosl, di dichiarare « imborghesita » una idea musicale che non si è mai decifrata fino in fondo. E sono svianti anche quelle analisi che avvicinano, al di là di una ovvia analogia, il pianismo di Taylor all'esperienza dell'avanguardia europea. Mentre è certamente più esatto porre Taylor alla fine di un processo evolutivo che ha portato il piano-jazz ad una sintesi ritmico-tonale sempre più complessa e «totale». In « Silent Tongues » troviamo il Taylor più impressionante e travolgente, quello dei concertisolo ( il disco è stato registrato dal vivo a Montreux), in cui non lascia un attimo di tregua all'ascoltatore, sfruttando tutta la sua energia, la sua violenta aggressività sonora che trae dal pianoforte una inedita gamma di possibilità timbriche e percussive. Uno stile, apparentemente, senza precedenti, ma che a ben vedere rivela un'intima connessione con gli aspetti più vivi della cultura afro-americana. G. C. Goblin: Profondo Rosso (Cinevox) Al di là di ogni cattiveria da parte nostra, la denuncia di un « falso storico » come in termini filatelici. Il falso è questo primo album dei Goblin, romani e suila scena da molti anni con alle spalle il Ritratto di Dorian Gray ed altro, ma il falso è l'attribuire a Giorgio Gaslini la prima partitura di questo lavoro a soundtrack, cioè colonna sonora per il film di Dario Argento. Profondo Rosso è una copia esatta di Tubular Bells di Mike Oldfield, dalle note iniziali, alla costruzione tutta, al finale: fanno eccezione alcuni passi di mezzo, « Death Dies» e poco altro, interamente attribuibili ai Goblin, che attendiamo ad una prossima uscita. M. B. Arthur Browne: Dance (Gull) Sorprese da un vecchio mago del rock più schiumoso e matto di Inghilterra. Arthur Browne sulla scena da dieci anni, da « Fire » ai Kingdome Come misconosciuti ed ora con una nuova formazione e rinnovate intenzioni, prima su tutte quella di divertire con molta intelligenza e sin troppo sarcasmo. « Dance » è la pazzia filtrata ancora dai sintetizzatori, ma resa accessibile, orecchiabile: Keith Tippett, Steve York, George Khan tra i protagonisti di eoisodi di incredibile godibilità, « Helen With The Sun », « Crazy », « Take a Chance» ed « Out Of Time » su tutto. M. B. Country Joe Mc. Donald: P.ilradise with an Ocean View (Fantasy) Con il recente album « Country Joe », il pupillo di Woody Guthrie a capo delle manifestazioni contro il Vietnam ha deluso almeno la metà dei vecchi estimatori. Con il presente sarà antipatico a tutti loro. Chi lo seguiva quand'egli mostrava la faccia dell'arrabbiato, infatti, dovrebbe esser invecchiato con lui, ed allora seguirà altra musica. Chi di Country J oe considerava la serietà di musicista, si dovrà ricredere. Tanto basta, purtroppo. Hawkind: Warrior On The Edge Of Time (United Artists) La copertina riporta solo nome e cognome, gli Hawkind dobbiamo immaginarli: sappiamo di Simon House nell'organico, violino elettrico e di una nuova impostazione nel suono del gruppo. Sappiamo di Hawkind come insieme alternativo al sistema discografico inglese, ne fanno parte comunque, ma hanno un proprio circuito, il Greasy Truckers, cui sono legati anche i Man, totalmente autogestito. Dave Brock ed House, musica sfilacciata e sconvolta, condotta dal basso e dalle percussioni: « Assault And Battery », « The Golden Void », « The Dement King », «Magno»; composizioni lunghe, ossessive che Simon House oggi conduce in alto, sulla spinta di un'esperienza elettronica completa, che traccia una linea di congiunzìone bellissima tra i vecchi High Tide e questi ~ Hawkind: come dire la via del rock dello spazio e senza tempo. M. B. Flyng Burrito Brothers: Last Red hot Burrito (A&M) Uno dei migliori albums in assoluto della storia country-rock americana, questo live dei FBB viene riproposto sul mercato a distanza di tre anni dalla data di uscita. Ci sentiamo di preferirlo agli attuali Grateful od ai New Riders Of Purple Sage senza ombra di dubbio: il suono, condotto da Gram Parsons e Pete Kleenow ha una freschezza energetica cui basta ogni tanto pensare per sentirsi già meglio. Niente di meglio che provare « Six Days On The Road » o « Ain't That A Lot Of Love ». M. B. Gaetano Liguori Idea Trio, « I signori della guerra », PDU Sono passati 12 anni da quando Bob Dylan fu inneggiato in tutto il mondo con la sua « Masters of war ». Ora torna la stessa proposizione ma con sopra tutto il peso della coscienza giovanile che in questi anni è enormemente cresciuta. Il jazz di Liguori è il segno di questa nuova maturità. La coscienza si manifesta prepotentemente nella musica, nelle improvvisazioni, nel ritmo, nel « discorso » insomma. In una sede che molti ritengono lontana da qualsiasi riferimento ad altro che non sia inerente alla musica stessa. Irt questo senso il trio di Liguori rappresenta perfettamente tutto il nuovo jazz italiano. Se volessimo trovare un modello alla sua musica, questi non potrebbe essere altri che Ceci! Tayior. Ma è marginale. Quello che emerge sopra tutto è il tentativo di una via italiana alla musica militante. 50 G. C. Bill Evans, « The Tokyo Concert », Fantasy (Cetra) E' molto difficile riuscire a trovare una classificazione per il pianista americano Bill Evans. La sua opera si è spesso intrecciata con i momenti ,principali della storia del jazz, collaborando ad alcune delle più celebri incisioni di Miles Davis, George Russell ecc..., ma la sua personalità rimane quella di un solitario, e la sua musica rimane come come un fatto a sé, distante anche da quello che generalmente è stato il jazz bianco, a cui superficialmente si sarebbe tentati di riportarla. La « pelle bianca» di Evans, casomai, si riflette nell'intellettualismo che contraddistingue la sua musica, e che in qualche modo la rende « datata », anche negli episodi più recenti come questo disco-live registrato nel 1973. Si tratta, comunque, di un intellettualismo cupo e disperato, a tratti anche geniale, che però è la voce di una protesta individuale e introversa che difficilmente oggi può trovare un suo spazio vitale. G. C. Jipi Croce: The Faces l've been (2 Lp, Llfesong) Fu un ottimo cantautore. Prese un aereo, di quelli che cadono, ed ebbe successo. I suoi tre album, vendutissimi, non erano comunque di egual valore: gli ultimi nastri inediti compongono il presente doppio album, e gli rendon grazia nell'intera parte dal vivo, in brani sparsi (Gunga Din, Charlie Green play that Slide Trombone) che risalgono a nove e più anni fa. E' il Croce meno arrangiato e ancora perfettamente sincero, che già neUe incisioni del '73 andava annacquandosi in musiche di largo effetto. Ted Nugent (Epic) Un disco di heavy metal su novecento può sorprendere. Ted Nugent, vecchio chitarrista degli Amboy Dukes, è senz'altro il più valido chitarrista americano di quella forma che trae più origine dal lirismo emotivo di Hendrix che dalla violenza. Dal vivo il suo gruppo è un act insuperato da altri che basano su una chitarra iperamplificata (ma senza effetti) la resa del concerto. Questo suo album è il miglior esempio di attuale « heavy » reperibile.

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