Muzak - anno III - n.08 - dicembre 1975

Schede Maxophone Sulle strade già battute del pop italiano, continuano a proliferare nuovi gruppi, tutti alla ricerca dj questa via italiana al pop che a nessuno, in fondo, è molto chiara. Tra gli altri i Maxophone, gruppo formatosi nel 1973, ma che solo oggi si presenta ufficialmente alla ribalta con un LP realizzato per la Produttori Associati. Strutturalmente i pezzi del gruppo nascono da una fusione, anzi da una giustapposizione di tre tendenze principali: pop, classica e jazz. Niente di nuovo, quindi, alla luce del sole. Ma al gruppo va dato atto dello sforzo per questo nuovo ennesimo accosta• mento di generi. E soprattutto di averlo fatto cercando di mantenere un carattere italiano al tutto, cosa non facile di questi tempi. E rosl, su questa linea, gli arrangiamenti complessi e ricercati si accompagnano sempre ad un forte senso della melodia, nel senso del calore e della semplicità; clementi che dovrebbero fungere da perno ad un discorso che altrimenti rischierebbe di risultare dispersivo. E, comunque, non ci pare riuscito completa• mente il tentativo di trovare una omogeneità tra i diversi generi a cui i Maxophone fanno riferimento. Il tessuto unificante, infatti, che è inevitabilmente pop, sembra non riuscire ad inglobare con disinvoltura gli inserimenti classicheggianti e le fughe jazzistiche. Notevole comunque, è la gamma di strumenti usati. Interessante, ad esempio, è l'inserimento di svariati fiati tra cui il clarino, la tromba e il corno inglese, strumenti che di rado vengono usati nel pop, e che si dimostrano invece capaci di produrre sonorità e impasti dalle mille possibilità espressive. Deludenti, rispetto al resto, ci sono sembrati i testi, assolutamente non all'altezza della parte strettamente musicale. Ci sembrano legati ad un tipo di poesia che il pop, nei suoi esempi migliori, ha già ampiamente superato. Ma il primo LP di un gruppo è generalmente, solo un trampolino di lancio, la cui spinta dovrebbe servire ad arrivare più in alto. Come dire ad ulteriori prove. R. R. Ten/cc Se poi ogni notte trascorsa a Parigi debba essere, forse, l'ultima, questa Paris sarebbe l'ultima spiaggia del rock, o meglio della sua storia decadente, di quello che si è voluto fosse il rock inglese dei due anni '73-'75. Ten CC, già in piedi nel '72, prende forma solo oggi ed agguanta il successo che due albums precedenti non gli avevano concesso. Suono lustro e leggero, di maniera e con pigli gustosi tra le pieghe del sarcasmo, tra i soffi del passato beatlesiano. Un gruppo che deve molto, forse tutto agli Sparks, ma che deve ringraziare la formidabile ricettività del pubblico inglese, la sua attuale dabbenaggine ed il fatto di farsi istituzionalizzare, canalizzare dall'industria, con tanta benevolenza. Ten CC rappresenta in effetti un passo avanti rispetto a Sparks, non fosse che per il solo fattore creativo. Dove Ron e Russell Mael pec- "1axophone 46 cano, nella troppa furbizia degli arrangiamenti, nella banalità di formule decadenti, nel tocco strumentale esclusivamente formale, Ten CC arriva a costruire con più eleganza, con lo spirito dandy che potrebbe venirgli da Ayers e soci ma preferisce Presley e Lilì Marlene. « I'm Not In Love », una canzone « Lennon Mc. Carmey al Jackie'O » è forse la miglior cosa espressa dal gruppo, con « Une Nuite à Paris », ed il sapore dolciastro, cinematografico delle voci e degli strumenti: una formula nuova di avvolgere la gente tra spire di fumo che sanno di passato, del divenissment più completo. M. B. LaTakoma La Takoma è una casa discografica di Berkeley, California, del tutto indipendente, autogestita, autodistribuita. Raccoglie una cinquantina di artisti che non vogliono subordinare la ricerca ad una facile e spesso artificiale fruibilità. Questa ricerca di espressioni, comune a tutti i musicisti della casa, si svolge in due direzioni: una porta alle radici di una determinata forma musicale, sia essa blues o country in genere o bluegrass, l'altra accett& la tradizione popolare quale presupposto indispensabile al comunicare, ma non resta necessariamente ancorata ai moduli basilari. Molti nomi ne sono usciti maestri, ed hanno purtroppo monopolizzato l'interesse: John Fahey è la personalità più complessa, cosciente del proprio stato d'innovatore. Compone musiche come un interprete che ha da tempo assimilato ogni patrimonio culturale popolare e ne interpreta le leggende. Il blues ed il bluegrass originario sono le sue principali fonti d'ispirazione. Ha studiato i ragas orientali e s'è applicato ad una ferrea disciplina Yoga. Fra le poche parole che rende pubbliche, dice di essere a meno di metà della sua opera e crede che questa vita non gli possa bastare a svolgere quella che egli chiama « una discreta evoluzione del Silenzio che possa raggiungerne l'identica armonia ». Robbie Basho è ancora più teso al mondo orientale e dice la musica « aspetto determinante la vita, sua prima ed inscindibile espressione». Leo Kottke ha inciso per la Takoma una minima ma indispensabile parte della propria opera. Altri chitarristi eguagliano il loro indiscusso potere innovativo nella tradizione: Peter Lang, Harry Taussig, Max Ochs traduttore di ragas e cultore di o~ni tipo di musica emica. La Takoma è soprattutto una comunità di musicisti rivolti agli stessi metodi di ricerca, dunque perfettamente omogenea. Altre le persone di cui vorremmo parlare: sono gli interpreti nero americani del blues. gli esecutori di bluegrass, una comune di country blues e due nomi fondamentali nel jazz contemporaneo, Phil Yost e Charlie Nothing. Tracciamo un riquadro puramente informativo che come tale dovrà esser letto; d'altro canto non mancheranno sulla maggior parte degli album abbondanti note di copertina. Citiamo dunque due grandi maestri del blues autoctono, al sud degli Stati Uniti: Bukka White, originario della Mississippi Delta Area e Robert Pece Williams, vagabondo della Louisiana. Infondono al blues una forza sconvolgente e, questo valga per tutti, non conoscono il compromesso. Due opere fondamentali: Mississippi Blues e Louisiana Blues, introduzione alle centinaia di brani da loro composti ed arrangiati. Eddie Jones e Edward Hazleton sono due musicisti girovaghi non riconosciuti. Il primo suona lo zither, strumento monocorda di derivazione africana, il secondo l'armonica. One String Blues, unica opera comune, venne incisa in casa privata di fronte a cinquanta persone. Jones è fra i più originali ed insoliti interpreti del blues ora viventi. J.B Smith è un ergastolano ripreso

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