m quanto portatore di una tradizione addirittura « ellingtoniana » all'interno del gruppo; e infine, per l'occasione, la canrnnte di colore Bunny Foy. Che po1 un disco cosl bello sia stato realizzato in !calia non è assolutamente fortuito. Dipende dal fatto che molte cose si stanno muovendo e che la situazione italiana, strano a dirsi, è capace, oggi, di elettrizzare e stimolare i musicisti stranieri più sensibili. G. C. Woody Guthrie, « Ballate di Sacco e Vanzetti », Albatros Non saranno mai troppe le parole spese per recuperare il senso dell'opera di Woody Guthrie, il folksinger americano morto nel 1967, e che troppo spesso i giovani hanno conosciuto nell'alone impreciso del mito, così come è stato filtrato dalla cultura pop negli anni '60. Il disco, che è una raccolta delle canzoni dedicate da Guthrie a Sacco e Vanzetti è un'ottima occasione per un';nalisi diretta, e non più mediata dagli ambigui neo-menestrelli pop. Ottime per questo aporoccio le indicazioni di cui l'album è ampiamente nutrito. Ma data la complessità del personaggio, sarebbe bene ricorrere anche al preciso studio di Portelli sulla canzone popolare americana, tanto per non farne un nuovo mito da salotto. G. C. Frank Zappa, Captain Beefheart & The Mothers: Bongo Fury (Discreet) Sempre in attesa che Zappa si decida ad evitare l'entertainment da salotto, dobbiamo veder anche una riunione nata fra I peggiori auspici. Captain Beefheart, nrobabilmente in ricerca di nuova fama, procede come di recene a dissipar il passato. Zappa non è da meno: guarda caso, ,,gni album par essere la copi_a del vendutissimo Apostrophe, 11 che cancella ogni dubbio sull'attuale sua (mala) fede. Divertente, 1n ogni caso. Anzi, buffo. M. D. WOOD8YUTIOllB i Bert Jansch: Santa Barbara Honeymoon (Charisma) Maestro del primo Donovan, interprete del folk revival inglese, membro di Pentangle, il cantautore Bere Jansch s'è del tutto venduto, e non salva nemmeno l'aspetto del musicista commerciale ma intelligente. Questa ultima prova è un taglio netto con il passato. Tanto è misero, che vien da domandarsi quant'egli abbia ancor da dire prima che un vecchio amico, tradito nel peggior dei modi, gli strappi l_a chitarra dalle dita e la frantumt. Poco-Head Over Heels-EMI Ancora un punto per il country rock americano. Si ripete in musica quello che in qualche modo già accade per certo cinema americano e il country sca diventando sempre più il genere in cui il movimento musicale americano si presenta con i prodotti a livello più alto. Head Over Hccls, senza essere un disco particolarmente « artistico », è una compilazione equilibratissima suonata bene, cantata meglio e incisa in maniera superlativa. Tra i pezzi che ci piacciono di più Sittin On A Fence, !'li Be Back Again e Dallas. Ideale sottofondo in pomeriggi invernali col sole dietro la finestra e ottimo anche per un ascolto che ricerchi una immagine stereo molto spiccata. George Harrison-Extra Texture-EMI D. M. Tutto il genio di George Harrison sembra essersi esaurito nel triplo Ali Thing Muse Pass. Già le prime tentazioni « orchestrali » avvelenavano Concert For Bangla Desh e dopo di ciò è stato il silenzio interrotto qua e là da canti slegati e senza energia. Questa nuova «fatica» del mitico Harrison è addirittura inascoltabile nel senso che per fare mente locale a questi brani abbiamo dovuto mettere l'album sul piatto cinque o sei volte: ogni volta il disco sembrava finire senza essere passato nella nostra memoria, come si dice « ci entrava da un orecchio per uscire dall'altro». D. M. Can-Full Moon On The Highway-Virgin Nuovo oculato « accaparramento » da parte della Virgin di Porcobello Rd. Con questo album i Can virano verso un'identità spiccatamente rock con influenze spaziali e decadenti. Nell'album aleggiano colori alla Lou Reed e Kevin Ayers ma la base ritmica del gruppo è ancora tanto geniale e originale da fare proprie queste istanze e rigenerarle in un sound che è « completamente » Can. Qua e là abbiamo una chitarra che parte per soli quasi nazi-rock ma molto presto l'imitazione diventa evidente, dichiarata, e con l'intervento di quel basso e batteria di cui sopra il suono ancora una volta si stacca da terra ad esplorare stati d'animo del tutto diversi. Ritchie Blackmore Rainbow-EMI D. M. L'ex chitarrista dei Decp Purple ritorna con questo solo che è un po' la summa di tutto quello che non dovrebbe fare un musicista serio. Il lavoro di Blackmore nei Deep Purple, pur in un ambito che non incontra troppo la nostra approvazione, aveva aiutato la creazione di qualche « gemma » dello hard tipo In Rock ed è un peccato che egli si perda proprio in un momento in cui questo genere musicale sta riscattandosi ad opera di gruppi come i Zeppelin. Chitarra a volume spropositato e voce incazzata sono i due elementi base di questa serie di ricette che nella migliore delle ipotesi scimmiottano costruzioni armoniche a la Bruce. D. M. Al Jarreau-We Got By-WEA Nuovo di zecca, almeno per noi, questo cantante soul americano. Al J arreau canta con uno stile che integra una forte carica « funky » a colori da musica leggera americana (quella che in America chiamano pop music) con un risultato che è molto spesso gradevole per quello che riguarda la sua tecnica. Il senso del ritmo con cui Jarreau interpreta i brani è veramente eccezionale e il calore della sua voce rende il suo soul in qualche modo « confidenziale ». Abbiamo avuto l'impressione che a tratti il nostro tenda un po' a strafare con il suo senso del ritmo e la sua voce calda. D. M. Major Harris-My Way-WEA Schierato in copertina in stile « superfly » Major Harris ha alle spalle una di quelle orchestre di seimila elementi per creare un sound leggero ma sofisticato. Si tratta di uno di quei dischi che ci fanno rivenire in mente le feste da ballo e i lenti stretti e in questo ambito bisogna dire che Major Harris riesce particolarmente bene ad indurre stati d'animo... lascivi. Se credevate che Je T'aime Moi Non Plus fosse spinta ascoltate Love Won't Let Me Wait dove c'è una signorina che mentre Major canta dà letteralmente in escandescenze. D. M. Baker Gurvitz Armi-Elysian Encounter-Vertigo Baker che faceva gare di velocità con Elvin Jones, Baker che inventava lo stile di batteria di tutto un periodo, Baker che aveva il potere di passare sui tamburi come un ventilatore... Poi un lungo soggiorno in Africa a studiare il ritmo delle popolazioni primitive e di nuovo con le mani affondate nella terra ormai arida di certe sonorità inglesi. Del Baker a noi caro rimane qualche testimonianza in questo album in poche rullate nel suo stile più tipico ma eseguite con molta perizia e poca energia. Riuscirà il nostro eroe a conquistare con questa roba i nostri fratelli minori? D. M. continua a pag. 49
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