E' quella bellezza « diversa » che Leroi J ones teorizzava come segno di una nuova cultura, come reazione all'abiezione e al caos dell'America bianca. La struttura di «My favorite things» non è particolarmente nuova, in sè e per sè, mirabilmente sospesa tra semplicità armonica e ampiezza modale. La novità è nell'espressione, nel segno che unifica tutti gli elementi dell'esecuzione. In questo senso il brano è profondamente rinnovatore. E' già una liberazione che implica un rifiuto e che propone un superamento costruttivo. E allo stesso modo vanno intesi i successivi sviluppi della musica coltraniana, che si arricchisce di numerosi riferimenti a culture extra-occidentali o a temi religiosi. « India », «Africa»,« Kulu se marna» e altri brani composti dopo il 1960 si riferiscono agli altri luoghi di quel terzo mondo a cui i neri d'America sentono di appartenere, anche nella loro « americanità ». Il terzo mondo che bussa perentoriamente alle porte dell'occidente con l'urgenza dell'autodeterminazione e dell'indipendenza, ma anche come portatore di una filosofia e di una visione del mondo alternative. E cosl anche per la religiosità che Coltrane ha espresso in numerose opere e al più alto livello nel capolavoro « A love supreme». Una religiosità che da un'ottica laica e marxista è difficile comprendere fino in fondo, ma che per gli afro-americani è stata una costante culturale, con implicazioni molto spesso rivoluzionarie. E infatti più che di religione dovremmo parlare di mistica della vita, dell'unità, dèll'armonia collettiva, essendo, piuttosto, un rito terreno, e non soprannaturale, in cui la comunità si ritrova e annulla le proprie individualità; un sentimento comune che canalizza la voglia di crescere e di liberarsi. E proprio per questo il « free » di Coltrane è esplosivo; perché in esso riconosciamo il punto d'arrivo, l'apice di questo tipo di ritualità. Il « free jazz » Coltrane l'ha conquistato gradualmente, come una meta difficile e pericolosa, come un simbolo di libertà effettiva, non riduttivamente ristretto all'intellettualismo dell'esperimento musicale. C'è pochissima teoria in tutto questo processo liberatorio, da parte di Coltra-;e. Le motivazioni sono la rabbia, l'amore, la sofferenza e il sogno di una nuova cultura. E mi pare un collegamento necessario, indispensabile, tanto per allontanare, almeno in questo caso, il fantasma dell'asemanticità della musica. Il free jazz per i musicisti afro-americani, e particolarmente per Coltrane, non è mai stato una formula vuota e intellettualistica, non si rifà ad una libertà astratta e cerebrale ma alla lotta che il popolo Nero ha condotto per secoli. Ma un conto è localizzare la musica di Coltrane nei suoi confini storici e sociali e un altro ridurne la portata. Rimarrebbe da spiegare come mai musicisti di ogni estrazione indichino in lui un « maestro » ( tra cui Zappa, i Magma, Santana, Mc Laughlin, Archie Shepp e tantissimi altri) e soprattutto come la sua musica possa essere un'importante esperienza per tutti. Ma il jazz, in fondo, è sempre vissuto in questa positiva ambiguità, essendo al tempo stesso negritudine ma anche espressione della cultura occidentale, in senso lato. Aderire all'estetica jazz non significa sottomettersi ad un culto esotizzante ed evasivo. Significa acquisire un ribaltamento di valori culturali che, pur nascendo ai margini della nostra storia, si oppone « dall'interno » a schemi culturali oramai ampiamente invecchiati. Gino Castaldo Dibattito Perlacritica dellamusica politica La musica innanzi tutto, a mio giudizio, è un linguaggio-strumento di conoscenza e comprensione della realtà e di aggregazione di vasti strati sociali. Come linguaggio (o meglio usando un linguaggio) diverso dalla lingua parlata, ha i suoi schemi e una sua sintassi ed è scomponibile in forma e contenuto. Come strumento svolge oggi una funzione sociale ben precisa essendo ormai divenuta organica a quello che è il movimento progressista delle masse giovanili. Questo molto in sintesi, in maniera quasi sloganistica, perché è dalla comprensione di questi due aspetti che va visto il rapporto tra musica e politica, o meglio tra battaglia politica complessiva e battaglia sul fronte ideologico-culturale (nello specifico musicale), e quindi ridefiniti i ruoli e i compiti della sinistra rivoluzionaria in genere e dei compagni che nel settore si muovono (produttori, organismi culturali, organizzatori di iniziative che nella musica hanno il fulcro). A tale scopo è utile vedere come fino ad adesso ci siamo mossi. Vari sono stati gli errori finora commessi da parte della sinistra rivoluzionaria ed essi si possono sintetizzare in un unico termine: « Uso strumentale del fenomeno musicale ». Per tutta una prima fase si è considerata la musica, come un qualunque altro mezzo di propaganda e di agitazione, prediligendo quindi, o meglio, attribuendo una funzione di sviluppo del movimento solamente alla cosiddetta « canzone di lotta » e relegando ogni altro fenomeno nel limbo del personale e quindi del non politico. In una seconda fase si è partiti dalla constatazione che la musica è oggettivamente organica al movimento progressista delle masse giovanili, e quindi il suo impiego massiccio voleva significare un quasi sicuro successo di pubblico. Abbiamo visto quindi i compagni rincorrere i produttori, specialmente quelli affermati, non operando delle scelte e quindi non muovendosi come avanguardie reali del settore, ma demandando e delegando alle masse, il più delle volte ancora condizionate dalla ideologia borghese le scelte da operare. Si tratta quindi oggi di ridefinire in maniera corretta il rapporto che deve intercorrere tra politica e musica, innanzi tutto non dando per scontato il superamento dei limiti accennati prima, ma anzi conducendo una serrata battaglia al nostro interno e all'interno di tutto il movimento perché tutto ciò sia rapidamente superato. Non pensiamo che ciò sia semplice, né di avere già la soluzione pronta ma crediamo che in questo campo i circoli « la Comune» abbiano compiuto degli embrionali ma significativi passi avanti. Nel seminario nazionale sulla musica tenuto a Firenze il 22 e 23 novembre è emersa da una parte la necessità di un maggior approfondimento di una serie di temi (presupposti ideologici che sono alla base del fenomeno musica, problema della sperimentazione in musica, ecc...), dall'altra è emersa la volontà da parte di tutti, compagni dei circoli e produttori, di perseguire l'ottica di affermarci nel concreto come reali avanguardie politiche che portano avanti nello specifico una battaglia alla ideologia borghese, portando avanti una serie di proposte unificanti a tutto il settore. Iu primo luogo abbandopare la logica discriminatoria tra i vari generi musicali, bensì iniziare a operare delle scelte all'interno dei produttori tra coloro realmente interessati allo sviluppo di un discorso alternativo e coloro che hanno invece un atteggiamento e una funzione mistificatoria. In secondo la creazione in tempi rapidi di un vasto fronte di lotta di produttori, organismi culturali, di quartiere e di massa. Paolo Marchetti ( Circoli la « Co>nunt ")
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