poi, per molti anni. Ai due andrebbe aggiunto Miroslav Vitous che nelle prime esperienze del gruppo era sembrato essere una delle « menti » principali, ma che poi si è smarrito per la strada forse dietro a qualche sua personale utopia. Il tema comune era l'evoluzione del linguaggio iazzistico, evitando l'« impasse» del free, che negli anni '60 aveva portato alle più estreme conseguenze la dimensione orizzontale, pulsante, sempre in anticipo sul tempo, del ;azz, che su questa linea era diventato un orgia di contrappunto, con linee melodiche sempre più complicate e libere da qualsiasi vincolo. Un vero e proprio cataclisma espressivo, quindi, che per essere compreso pienamente deve essere riferito alla rabbia, alt'asprezza sociale, al radicalismo politico, o quantomeno all'urgenza della provocazione. Evitare questa esperienza dissolutiva, che probabilmente è stata l'ultimo capitolo del pazz specificamente afroamericano, significava collocare il ;azz in una sede diversa, sia in senso storico che musicale. Significava ribaltare il netto rifiuto che il free iazz aveva espresso nei confronti dei mass-media; significava riconciliarsi con essi, rendersene anzi gli interpreti più sottili e raffinati. Ed è a questo punto che entra in scena il rock, con il suo riverbero di massa, con la sua effettistica ridondante, con i suoi tanti e mal sfruttati giocattoli elettronici. Questi sono gli strumenti più immediati che i massmedia possono regalare a quei iazzisti geniali, vogliosi di novità, ma alieni da quelle esperienze sociali ed intellettuali che hanno portato al free. Tra costoro primeggiano Miles Davis e poi i W eather Report. Questi ultimi, più estroversi e disponibili del « maestro », a tutt'oggi hanno prodotto cinque album, (e credo sia sbagliato andarsi a cercare il meglio e il peggio di queste opere) che costituiscono un unico monumento poetico al mass-media: un violento schiaffo in faccia a generazioni di musicisti pop e rock che invano hanno cercato l'eldorado della nuova musica, giocando con la commercialità e con gli effetti di consumo, e perpetuando quel!'eterno errore dell'equazione che fa coincidere la di/ fusione con la validità. E' un vecchio vizio americano, al quale il pubblico italiano in genere si oppone, quello di confondere la commerciabilità di un prodotto con i suoi valori intrinseci; ed è questo stesso vizio, ad un livello di sublimazione che lo rende quasi irriconoscibile, ad aver prodotto i W eather Report. Questo non significa che la musica dei W.R., sia «facile» oppure non sia valida. Tutt'altro. Ci si deve preoccupare, casomai, del dopo-W eather Report, e di quei gruppi, che in tutto il mondo, seguono le stesse tracce, senza avere la stessa sorprendente abilità nello sfruttare l'arte tecnologizzata dei mass-media con contenuti che non si esauriscano in essa. I W eather Report sono unici, forse anche irripetibili e il loro fascino, se vogliamo, sta proprio in questa continua sfida ai mass-media a non lasciarsi sopraffare dalla massificazione e dall'appiattimento, a cercare sempre nuovi risvolti poetici, in una dimensione che per altri significa accettazione passiva, con una musica ammaliante che rimanga densa di idee e di continua innovazione, ma che allo stesso tempo sia udibile da centinaia di migliaia di persone. Hanno mostrato come l'esaltazione dei mass-media ( un po' come Stanley Kubrick nel cinema) possa produrre cultura, ma anche, con la cattiva « scuola » che ad essi si ispira, il rischio che questa operazione comporta. G.C. Weather Report
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