Muzak - anno III - n.08 - dicembre 1975

Intervista A buonascoltator vaghe parole « Resto nella favola, nella vaghezza, nella semplicità perché così ciascuno può inventare le proprie parole », dice Angelo Branduardi, cantastorie. La musica, secondo lui, non è dell'artista che l'ha creata, ma del pubblico che l'ascolta. Intimista conscio o inconscio utopista? Dolce, quasi soave, poetico e fantasioso Angelo Branduardi ha raccontato a Muzak i motivi teorici delle sue scelte musicali. Angelo: Sono arrivato al secondo album ed ho fatto tutto da me, lavorando sugli strumenti antichi ed in uno Angelo Br■nduardl studio di registrazione adatto, quasi minuscolo, ma perfetto acusticamente. Mi sento bene, adesso, anche se la voce, il disco, sembrano più spogli del precedente e l'immagine di Branduardi è ancor meno aggressiva, ma secondo me più personale. Immagina di scoprire un tipo strano, un vecchio musicista milanese che magari fa la fame da anni e trovi in lui qualcosa di grande, per suo mezzo nasce o meglio cresce dentro di te un'idea di « spazio » che prima era abbozzata, meno formata. Bruno De Filippi, raccoglie strumenti da sempre, li studia, sa applicarne qualsiasi sonorità: cosa che ha fatto con me, mutuando continuamente le mie idee, concretizzando soprattutto il rapporto, l'interazione tra strumento orientale ed occidentale, nei quali non trovo differenza di applicazione. Muzak: C'è stato un passaggio, una differenziazione in questo senso tra la tua espe22 rienza scolastica e i dischi? A.: Il suono che deriva dal classico è edificante, formale e quando esci dal Conservatorio sei in grado di apprezzare solo Mozart e Bach; hai bisogno di anni per liberarti. M.: Tu come hai fatto? A.: Ascoltando, un pomeriggio di tanti anni fa in casa di amici, « A Day In The Life » dei Beatles di Sgt. Pepper, «Cazzo», pensai, « che succede? », e di li nacque qualcosa di molto semplice e naturale, cioè cominciai ad interessarmi di musica etnica. M.: Ad esempio? A.: Non è importante dire indiana o Bali, ma quello che viene prodotto spontaneamente, cioè esattamente quello che dovremmo seguire per migliorare, perché è il suono della fantasia e dei sensi. M.: Se dovessi dire il nome di un gruppo italiano, che cosa diresti? A.: Banco. Ma esistono migliaia di veri musicisti sconosciuti, che spesso fanno i « turnisti » per le case discografiche, cosl sopravvivono, mentre il sistema li sfrutta e li cancella. M: Le case discografiche, i managers, i produttori ... A.: Devi capire una cosa, a me capiterebbe cosl presentandomi ad una casa discografica: - « Branduardi, lei è un ragazzo intelligente, questo contratto le conviene perché bla-bla » - intendo dire che il produttore (David Zard nel caso di Angelo ndr) è necessario, perché lavora per me, mentre io lavoro, sia per me che per la gente. Ma in definitiva lavoro, guadagno dei soldi, è una piccola professione che io accetto perché la sento come mia. M.: Ti autodefiniresti .cantautore? A.: Esiste solo il cantastorie, che deve essere anche musicista: secondo me il cantautore è zero perché è zero la parola, ed è meglio un a solo di violino che un milione di parole per esprimere qualcosa. Se non vado a fare le « pezze di lotta politica » è perché non è nel mio carattere salire sul palco e parlare ed è per questo che le mie canzoni sono favole. Resto nella favola, nella vaghezza e nella semplicità perché cosl la gente ha modo di ascoltare la musica, di inventare le proprie parole - sono come un albero vuoto in cui mettere le cose degli altri. - La gente crede, vuole, sente, perché la musica non è un prodotto dell'artista, ma suo. Maurizio Baiata

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