operai, il modo in cui li vorrebbe e in cui non sono, e le ragioni di questo. Tutto concorre a definire la crisi che Lenz attraversa e che è, come abbiamo detto, la sua ricerca di concordanza tra privato e politico: la sua insoddisfazione per un certo modo di fare politica che non tiene conto delle esigenze più profonde del singolo, e la sua sete di autentico nella lotta per un mondo diverso. Lo scontento e girovagante Lenz finisce a Roma, dove il suo rapporto con Claudia, un'attrice, e i suoi amici imbevuti di psicanalismo ( « gli amici di lei, affermava Lenz, si muovevano in un mondo chiuso, non molto diversamente dai gruppi politici in cui non aveva più sopportato di rimanere. Se questi ultimi riconducevano qualsiasi conflitto, anche il più privato, alla contrapposizione tra capitale e lavoro, quelli si intestardivano a derivare qualsiasi conflitto, anche il più sociale, dalla situazione familiare ») resta comunque insoddisfacente, nonostante sia per Lenz uno scontro positivo, perché già più vicino all'autenticità. Gli intellettuali che gli capita di frequentare sono gli odiosi romani milionari, ciarlieri a vanvera e rivoluzionari a vanvera, ironizzati con comprensibile disgusto. Poi Lenz finisce a Trento, e qui, in un momento felice di incontro tra studenti e operai, la lotta politica gli appare infine concreta, completa, naturale. Trova in qualche modo le indicazioni per una soluzione delle sue contraddizioni di fondo. E' qui che il romanzo svela però limiti gravi: in questa idealizzazione dell'Italia che diventa una sorta di paese mitico (perfettamente in linea con le mitizzazioni che ne hanno fatto altri scrittori nordici in altri tempi) dove i rapporti dei compagni tra loro, tra i compagni e la natura, tra i compagni e il loro passato e la loro Storia, tra i compagni (]asino studenti e i compagni operai, tra i compagni maschi e le compagne femmine, tra i compagni e il loro progetto rivoluzionario e le loro organizzazioni, sono « naturali » e puliti. Lenz aveva detto in Germania che ci sono pochi « modi di fore conoscenza: lavorare insieme, sognare insieme, toccarsi l'un l'altro ». Egli « fa conoscenza » con l'Italia riconquistando queste tre cose finalmente unite, presenti insieme e non disgiunte. E solo ora si sente di poter riprendere il suo posto nella lotta in Germania senza più il disagio, l'insofferenza, la cupezza precedenti, perché ha in definitiva capito come si può agire ed essere, ha un modello cui riferirsi. ...conlapelledelleone Tutto questo è, per noi, sconcertante. C'è davvero tutta questa autenticità tra noi? C'è davvero questa fusione di soggettivo e oggettivo nei nostri modi di fare politica? Mah! Diciamo piuttosto che Schneider non riesce ad analizzare una ragione oggettiva di differenza tra la situazione tedesca e quella italiana, quella che fa sl che siano possibili queste idealizzazioni: la maggiore contraddittorietà della situazione italiana, e il più difficile controllo di questa contradditorietà da parte del sistema, da parte della borghesia. Noi italiani, insomma, viviamo in una condizione storica e sociale più « rivoluzionaria », più mossa e più aperta, più viva politicamente. Ma davvero si è superato lo scarto tra « politico » e «privato », tra soggettivo e oggettivo? Il discorso per noi è tutto aNon si parla d'altro, negli ultimi tempi, che di « giungla ». Giungla di vari tipi. Ora la giungla è una cosa simile alla foresta. La giungla, per esempio quella retributiva, ha i suoi re, che altri non sarebbero che ministri, capi di gabinetto e deputati di maggioranza. La foresta, invece, è noto ha un solo re. Il re della foresta, nel nostro caso, è un napoletano. Qualsiasi libro di lettura delle elementari ci insegna che il re della foresta, il leone appunto, è un animale molto nobile, pacato e raffinato. Sciovinista, se volete, perché preferisce far cacciare la leonessa: però sempre nobile. Così, per esempio, non s'è mai visto un leone che si fa difendere dalle gazzelle ( se capite l'allusione) mentre nella nostra (beninteso immaginaria) foresta ciò succede. Dalle gazzelle e dalle pantere. Poi il leone è generalmente noto per il suo indomito coraggio. Cosicché non si permetterebbe mai di perto, e un racconto come rifiutare di mangiarsi un criquesto di Schneider, nono- stiano solo perché affetto, stante i dubbi che suscitano che so?, da colera. O comunle sue soluzioni, è certo uti- que non si toccherebbe mai le: per confrontarci anche le parti basse per scongiunoi, finalmente, con uno ro, anche perché, con le unscrittore che parla di noi e ghie che si ritrova, rischiedei nostri problemi e delle rebbe di farsi veramente manostre difficoltà, per confron- le e pregiudicare la potenza tare le nostre difficoltà con di-cui va, giustamente, fiero. le sue. Go/ /redo Fo/i Poi, si dice, il leone è an57 che un signore. E infatti allo zoo, dove lo potete vedere, non vi degna d'uno sguardo se gli alzate il pugno e lo prendete a fischi. Invece il leone della nostra ( sempre immaginaria) foresta risponde ai pugni con le corna, il che è meno signorile ma certo più efficace, vorremmo dire che pur essendo meno reale, garantisce l'ordine pubblico. Così fra un leone che onora il loro alto incarico e, al di sopra delle parti, fa le corna, un colombo che paga qualche miliardo un po' di ventriglia, agnelli che, irrespettosi del loro ruolo, tuonano e sputano fuoco, è evidente che tutto sia una giungla. Una giungla in cui si potrebbe anche ridere, tanto i suoi abitanti sono, se ci capite e se non rischiamo il reato di « vilipendio del re della foresta », piccoli e malfatti. Paragone
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