Muzak - anno III - n.07 - novembre 1975

è sprofondata nel culto pm pedissequo del gospel e del rhythm' n'blues annacquati. Salva però le doti di una grande vocalist che altri, nella corsa alla notorietà, paiono aver dimenticato o relegato alla collezione dei ricotdi. Dico questo perché la Nelson è ora un personaggio di primo piano nel business americano, e non tarderà ad imporre la sua figura al pubblico. Di coraggio, naturalmente, non se ne parla. Ella è per così dire a suo agio fra i fiati ridondanti e la ritmica degli studi Mnscle Shoals. Preferisce le composizioni altrui, di Doris Troy soprauutto, e non riesce a convincere più di tanto chi l'aveva seguita agli albori della carriera. Allman Brothers Band: Wln, lose or draw (Caprlcorn) Di enorme successo negli Stati Uniti, quest'opera si rifà agli Allman Brothers più lucidi (vedi saggio), tentando di sintetizzare nei particolari l'a11uale musica degli stati del sud. Ad una ricerca strumentale assai fruttifera si contrappone l'immagine ormai usuale di quel rock, con la voce di Greg Allman roca in Win, lose or draw e la chitarra di Betts che souolinea ritmi ed improvvisazioni in Can't lose What you never had, un classico di Mc. Kinley Morganfield. Come in un vecchio album, Eat a Peach, la ricerca compenetra l'espressione canonizzata. Il lavoro può dirsi del tutto riuscito se dal rock della Band vogliamo anche un'immediata fruibilità. New Rlders Of The Purple Sage: Oh, What a mlghty Time • (Columbia) Ridotta a colonna sonora del « selvaggio west », la perizia musicale del gruppo è andata sprecandosi senza contegno. Garcia formò i New Riders come organico personale nel 1970, ma già esistevano ai tempi di Aoxomoxoa, in trio guidato da Dave Torbert-David Nelson, e suonavano country nella comune dei Dead. Molti anni son passati e dopo il ricco album 4Cl'esordio, il meno riuscito Powerglide ed il capolavoro Gipsy Cowboy, il nucleo s'è standardizzato e non è riuscito ad esser l'ombra di quel trio che usava suonar dalle due all'alba, quando i Dead non reggevano più. Oh, what a mighty Time è una collezione di banalità, l'ennesima. Si consiglia a chiunque voglia avvicinarsi ai New Riders di accantonare a prima vista il suddeuo album. Flylng Burrito Brothers: Flylng again (Columbia) Un vilipendio alla memoria dei Burritos originali, quelli guidati da Gram Parsons e Chris Hillman ed autori di opere fondamentali al country rock, tali The gilded Palace of Sin e Deluxe. Si sprecano idee, propositi, musicisti all'insegna di una ricostituzione che era meglio lasciar nel mondo dei sogni, tanta è la sfacciataggine con la quale si riba11ono luoghi comuni e si costringe il natural talento di Gene Parsons, Floyd « Gib » Guilbeau, Chris Ethridge ad esecuzioni prive di una qualsiasi varietà. Ancora una volta, consigliamo di andar indietro negli anni se si vuol capire che cosa il gruppo ha fauo per la scena musicale odierna e che purtroppo non è più in grado di fare. Shawn Phllllps: Do You Wonder (A&M) Shawn Phillips vecchia conoscenza, le sue prime opere preziose, meno felice la sua mano da « Faces » in poi: adesso è il poi e « Do You Wonder » è un sogno malato, spezzato e l'artista si rifugia nella black music più bieca, dimenticando i tra11i della poesia introspettiva, della forza vitale che la sua voce cfeava. La intera prima parte, tranne frasette occasionali, è un omaggio a Barry White che lascia di stucco, un omaggio nemmeno ben recitato visti i risultati abbastanza scadenti sia ritmicamente che compositivamente: Phillips adopera la voce gutturalmente, la taglia nelle tonalità alte, la funkizza distorcendo l'immagine spirituale, aerea e lascia indietro una buona fetta di 51 sé. Si riscatta parzialmente nella seconda parte, « As Alla Is Played », lunga composizione che probabilmente Shawn aveva in mente da tempo e che qui viene a rappezzare i buchi creati da una ricerca « commerciale » evidente. La vecchia musica lucida affiora qua e là, in « Golden Flower », « Looking At The Angel » e « Summer Vignette», ma non basta. Popol Vuh: In Den Garten Pharaos (Pdu) M.B. Ristampa di un album imperdibile, fondamentale nello sviluppo della musica tedesca degli ultimi cinque anni. Popol Vuh al più alto grado della propria espressività elettronica ed indietro di metri rispetto a « Selispreisung » e « Das Hohelied Salomos » dove il suono si è rarefatto, raccolto, intimizzaro. Florian Fricke guida qui un organico composto da Holger Trulzsch alle percussioni e Frank Fiedler al sinth, ma la figura di Bettina, compagna creatrice ed ideatrice di poesie ele11roacustiche esce in silenzio, dietro alla cascata enorme di suoni. In den Garten Pharaos si compone di due lunghissime suites, una maestosa e lunare, piena di calore ed ombre elettroniche, l'altra piena di punti sospesi, dove l'acqua, nei suoi simboli esoterici e naturali è protagonista, narrata nei suoni, magica. Popol Vuh non ha più colto questa poesia, ha scelto successi,;,amente una via ritmica meno nroblematica, ma ugualmente sincera: forse qui era un tantino più in alto. M.B. Dan Fogelberg: Captured Angel (EPIC) Ecco invece l'esempio di chi, imitando gli imitatori, è arrivato ad avere uno straordinario successo negli Stati Uniti. Come musicista non vale più di tanto, come cantante è assai monotono, còme compositore fa il verso a J ackson Browne e a gente irrimediabilmente perduta. Captured Angel è una sequenza di acquarelli dalle tinte paJlide ed accostate con la grazia di un elefante. Ciò che fa di questo disco un'eccezione, comunque, è una splendida ballad a metà della seconda facciata. Ma niente di più. Soltanto le suore di clausura potrebbero riconoscere il valore dell'incisione tutta, ammesso che siano in clausura da più di dieci anni. Riascoltiamo: Blood, Sweat and Tears: Chlld 1s Father To The Man Della musica che ho ascoltato quando ascoltare musica cominciava a diventare una necessità ed era una cosa pure relativamente nuova, ricordo con molto affetto molte cose e in particolare una: il senso di stupore la prima volta che mi capitò di sentire « Child Is Father To The Man, il primo disco dei Blood Sweat And Tears. Erano tempi in cui non si sentiva ancora tanto parlare di jazzrock e quello che oggi è, più che un gruppo, il simulacro di tutto quanto è deterire disimpegno musicale, era in principio uno dei gruppi più «predestinati» d'America, forse « il gruppo». C'è qualcosa nell'atmosfera generale dell'album, una vena particolarmente romantica e commovente nella voce di Al Kooper per l'ultima volta con B.S. & T. che contribuisce a rendere la quasi totalità dei titoli inclusi irresistibili ancora oggi, anche quando qualche pecca di età (molto raramente) comincia a fare capolino. Quasi un presagio di Tommy degli Who che doveva uscire più tardi, questo disco è aperto da una Overture e la prima parte è tenuta insieme con degli interludii, scri11ida Kooper, sul tema ed eseguiti da dodici archi più i componenti del gruppo. Le sonorità di questi pezzi orchestrali sono sorprendentemente moderne anche quando r[cordano ironicamente cene « aperture » da musichall. Le prime note del primo b:ano « I Love You More Than You'JI Ever Know » di Al Kooper dissipano subito i dubbi circa la modernità dell'opera. Sugli accordi asciu11i e colmi di blues del su0 organo che ancora odorano di t1

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